IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO QUARANTUNESIMO

 

Di nuovo un urlo si levò tutt’intorno, spaventoso, raccapricciante, assordante per ogni essere umano. E, tuttavia, non ebbe effetto sull’ottusa cocciutaggine del Cacciatore, troppo concentrato nella battaglia corpo a corpo contro il biondo Vampiro, dispensatore di morte come tutti gli altri. Non sarebbe mai bastata la forza fisica di un semplice uomo contro quella bestia assetata di sangue dal fisico pressoché indistruttibile; eppure, in quella notte surreale, limpida e tetra al contempo, in quella casa oramai maledetta, accadde uno strano, letale prodigio, dono, si suppone, del Dio dei Vivi che accorse in aiuto del Bene e dei suoi Crociati.

 

Per quanto lo scontro fosse iniziato con un’apparente parità, non ci volle molto perché Zoro venisse scagliato dapprima contro una parete, ricoprendo il giovane di calcinacci, e poi sul gelido pavimento di pietra, le spalle inchiodate a terra dallo stesso paletto, spezzato in due, che il Cacciatore aveva portato con sé per farsi giustizia. E, a quella vista, quando Sanji gli fu addosso per finirlo, Nami aveva lanciato un urlo chiamandolo per nome, spaventata, anzi, terrorizzata da quanto stava per realizzarsi dinanzi ai suoi occhi ormai vitrei di pianto.

   Fu, confidiamo, proprio quella voce a rinvigorire l’uomo che giaceva inerme al suolo.

   Incurante del dolore, incurante del rischio che comportava quel suo gesto, Zoro trovò in sé la forza per sferrare un poderoso colpo fra gli occhi del suo aggressore, arrivando così a liberare almeno la spalla destra e a far crollare all’indietro il biondo assassino, stordendolo incredibilmente per un istante. Istante che, ahilui, gli fu fatale. Il Cacciatore estrasse anche l’altro spezzone del paletto che gli bloccava la spalla sinistra, i tendini irrimediabilmente danneggiati, e con furia tale da trapassare il cuore del Vampiro non soltanto con il legno di frassino che aveva aperto un orrendo squarcio nel suo petto, ma persino con le dita serrate attorno all’arma e che si bagnarono della linfa vitale che scorreva in quel corpo morto, linfa che, con tutta probabilità, apparteneva anche al legittimo padrone di quella casa degli orrori.

   E mentre Zoro si rialzava a fatica, il fiato corto, il sangue che stillava a iosa, specie dalle ferite alle braccia, lo sguardo sugli occhi aperti, fissi e vuoti sul macabro volto del Vampiro morto, i cui capelli biondi avevano immediatamente perso lucentezza, così come cominciava a sfiorire tutta la sua bellezza, l’agghiacciante urlo disperato di una donna non umana giunse alle sue orecchie. Ma il Cacciatore non vi badò, e la prima cosa che fece, fu quella di ciondolare il corpo nella direzione della fanciulla dai capelli rossicci che lo guardava col fiato sospeso, le labbra socchiuse, le lacrime ad inzupparle il volto impallidito per la paura… di perderlo?

   La stessa paura, lo stesso smarrimento che ora attanagliava il cuore, morto eppur capace di provare ancora delle passioni, della femmina di Vampiro che, forse per la prima volta da che era diventata inumana, scoppiò in un pianto talmente disperato da spingerla ferocemente contro colui che le aveva strappato l’immortale amore di un suo simile. Fu un solo braccio, bloccandola per la vita, a strattonarla all’indietro con una forza immonda, derivata da un potere oscuro quanto il suo, ma ugualmente disperata: quella che dà la concezione dell’aver perso tutto. Tutto.

   E se Robin si struggeva per la morte del suo amante, oltre che per il tradimento del suo Cucciolo, quest’ultimo, rifuggendo quella maledetta sensazione di dolore che lo prese allo stomaco per la scomparsa di colui che, forse, avrebbe potuto in qualche modo considerare il suo immortale padre, decise di andare fino in fondo a quanto si era prefissato: sarebbero caduti lì tutti e tre, i suoi oscuri parenti, o sarebbe caduto lui, perché di lasciare ancora che quelle bestie facessero ad altri quello che era stato fatto a lui, o di continuare a vivere quell’esistenza innaturale, non se ne parlava minimamente.

   Spinse dunque sua madre contro la lunga scalinata di marmo che dall’androne centrale conduceva ai piani superiori, e le si stagliò prepotentemente davanti: non avrebbe più mosso piede in direzione dei suoi nuovi, seppur mortali, amici. Gli occhi, spaventati e piangenti della donna Vampiro si alzarono sul suo volto pallido con esitazione, e dinanzi a quella forza, a quella determinazione, quella furia, non riconobbe più il suo prezioso Figlio, ma un altro Cacciatore, fiero e deciso come quello che ora, fiacco per il precedentemente combattimento, si lasciava andare in ginocchio a pochi passi dalla sua nuova meta, una meta dalle iridi nocciola e dalle mani caritatevoli che lo accolsero nel dolce e possessivo ardore di un abbraccio prima che potesse crollare completamente al suolo.

   Fu anche assistendo a quella scena, che gli occhi di Robin smisero di lacrimare e lei parve acquisire nuovamente la solita freddezza.

   Le sue labbra si mossero a vuoto per un istante; ma poi, seppur nel fragore dello scontro violento che il suo Sire stava avendo con quello strambo essere del quale i Vampiri non erano riusciti a percepire la presenza perché inumano quanto loro, la sua voce arrivò nitida alle orecchie del Cucciolo. “E’ quello l’Amore, lo vedi?” mormorò con un vago sorriso sul volto cadaverico, ciocche di capelli corvini le ricadevano scompostamente sulla fronte e sulle gote scarne: neanche lei sembrava più la stessa di prima. “Ed è lo stesso che ho ricercato anch’io, prima fra le braccia del mio compagno immortale… e poi…” alitò, fermandosi per qualche attimo, quel tanto che le consentisse di rimettersi lentamente in piedi. “…nel tuo sguardo”.

   Pur sentendo nitidamente quanto fossero veritiere quelle parole, Rufy impose a se stesso di non cedere al suo gioco del far leva su quel poco che ancora di umano riusciva a conservare: i sentimenti. Gli stessi che, purtroppo, fino a quel momento non si era reso conto di aver avuto in comune con lei.

   Le mani della donna si levarono verso di lui, ma il giovane non indietreggiò né si concesse di averne timore; si lasciò circondare il viso da quelle dita gelide, stranamente più di quanto non lo fosse il suo stesso corpo.

   “Poiché ti ho amato più di ogni altra cosa a questo mondo, poiché tu mi odi così tanto…”

   “Io non… vi odio” la corresse il giovane.

   La bocca di Robin si curvò nel sorriso più materno che potesse nascerle dal cuore. “Ma vuoi uccidermi, bambino mio”. E a questo, Rufy, effettivamente non poté obiettare, cominciando per davvero a cedere a quel dolce, atroce richiamo che era il legame che lo vincolava a quel diavolo dalla chioma scura come la notte senza luna.

   Ancora una volta, lei si mosse verso di lui, e le sue labbra morbide e violacee sfiorarono il viso del Cucciolo per un’ultima volta. Infine, con lenti gesti calcolati, Robin si allontanò di qualche passo per raggiungere quel meraviglioso e grosso candeliere a tre braccia che illuminava parte dell’androne. Si voltò un’ultima volta verso tutto ciò che rimaneva della sua vita immortale, e cioè quel Figlio che ora la scrutava con curioso timore; quindi, con un gesto troppo lesto per impedire che qualcuno la fermasse – e forse solo Rufy lo avrebbe fatto in quel frangente – urtò il candeliere che le cadde sul morbido vestito di seta rossa, e lasciò che le fiamme le divorassero le carni.

 

 

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