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B. ELIA DEL SOCCORSO NIEVES (1882 - 1928) Matteo
Elías Nieves del Castillo nacque nell'Isola di S. Pedro, Yuriria (Guanajuato
- Messico) il 21 settembre 1882. Era figlio di Ramón e Rita, un matrimonio
di modesti agricoltori di profonda religiosità. Dovette
tardare a entrare tra gli Agostiniani, come ardentemente desiderava,
sia per motivi di salute che per la sua condizione di povertà. Per questo
arrivò ad essere sacerdote solo nel 1916, a 34 anni. Dopo le sue prime
esperienze pastorali, gli fu affidato il vicariato alla Cañada de Caracheo,
una borgata molto povera. Lì egli ha svolto la sua breve ma intensa
vita di sacerdote, impegnandosi senza riserve per i suoi parrocchiani,
infondendo in essi il conforto e la speranza cristiana e condividendone
tutti i disagi e le sofferenze. Ma
il Messico stava vivendo uno dei momenti più tragici della sua storia.
Uscito dalla dominazione spagnola con la guerra di indipendenza del
1822, non era mai riuscito a incamminarsi verso una vera unità nazionale.
Le nazioni ricche, che accampavano enormi diritti per concessioni sul
petrolio e altre risorse del sottosuolo, fomentavano ogni possibile
divisione interna, a cui facevano da cassa di risonanza i latifondisti
e, purtroppo, anche degli ecclesiastici di alto rango, tutti accaniti
nella difesa dei loro antichi privilegi. Contro tutti costoro il clima
era fortemente acceso, sfociando anche in forme di duro anticlericalismo,
di cui spesso facevano le spese i sacerdoti che stavano in mezzo alla
gente povera. Non c'era in pratica un vero potere centrale, una sicurezza
del diritto, una speranza di appello e di giustizia. Chiunque avesse
avuto modo di arruolar gente e di ammassare armi faceva la legge e diveniva
«la legge». Odi, rivalità, lotte incrociate e senza quartiere esplodevano
come le bolle in una massa di magma incandescente. La paura di tutti
era che un giorno o l'altro potesse arrivare, magari nel più piccolo
centro sperduto nelle campagne, un gruppo di quella gente. E
infatti arrivò anche a Cañada de Caracheo. Era il 7 marzo 1928. Ma già
da un paio d’anni il governo aveva emanato drastiche disposizioni allo
scopo di impedire qualsiasi attività religiosa che non fosse sotto il
controllo diretto dell'autorità civile. Disposizioni che in genere non
venivano osservate, però permettevano qualunque eccesso a chi aveva
il dente avvelenato contro la religione. In genere la vita religiosa
continuava più o meno normalmente, ma nel clima di grossi rischi. Ognuno
ce lo sapeva. Andava bene finché andava bene, ma se qualcosa si inceppava,
erano guai. Il
p. Elia, per prudenza, si nascose in una grotta tra quei monti. Grotta
da eremita. Ma ne usciva regolarmente per prestare ai suoi parrocchiani
tutte le cure religiose, come se nulla fosse cambiato. Prudenza, ma
senza paura. I suoi parrocchiani, che non capivano nulla delle misure
governative, capivano lui, lo amavano sempre di più. Il
7 marzo, dunque, arrivò un distaccamento di soldati alla ricerca, sembra,
di certi ladri di bestiame. Essendo l'ora tarda, decisero di pernottare
nella chiesa parrocchiale. Ma al tentativo di forzare le porte la gente
si ribellò e ci fu una sparatoria. I soldati allora chiesero dei rinforzi
e un altro distaccamento raggiunse il paese. Il giorno 9 stanarono il
P. Nieves, travestito da contadino, ma fu lui stesso a dichiararsi sacerdote
quando gli chiesero le generalità. Fu immediatamente preso prigioniero,
insieme a due giovani contadini, i fratelli Sierra, che cercavano di
tenerlo nascosto. La
mattina del 10, soldati e prigionieri partirono alla volta di Cortazar,
da cui dipendeva la Cañada. Ma i prigionieri non vi arrivarono. Prima
toccò ai fratelli Sierra. Fu permesso che il Padre li confessasse, poi
furono fucilati mentre gridavano: «Viva
Cristo Re!» Ripresero
il cammino. Vicini ormai a Cortazar, il comandante fermò il drappello
e disse a p. Elias con sarcasmo: «Ora sta a voi. Fateci vedere se sapete
morire come sapete dir Messa». Il Padre rispose: «È
giusto. Morire per la religione è un sacrificio gradito a Dio». Su
sua richiesta gli concessero una mezz’ora per prepararsi al grande passo
che per lui era come l'offertorio di una Messa con Gesù. Fu lui a scuotere
la pesantezza del momento dicendo: «Eccomi,
io sono pronto». Quando i fucili furono spianati, egli disse con
decisione: «Ora inginocchiatevi.
Vi voglio benedire in segno di perdono». Si inginocchiarono tutti,
eccetto il comandante che gridò: «Io
non voglio benedizioni. Mi basta la carabina». E mentre il Padre
aveva ancora la mano alzata per benedire, gli sparò al cuore. Il Padre
fece in tempo a gridare con chiarezza anche lui: «Viva Cristo
Re!» Subito
la gente prese a venerarlo come un santo martire. Il
suo corpo venne tumulato in un'apoteosi di folla, la terra imbevuta
del suo sangue è stata conservata come reliquia, il luogo della fucilazione
fu subito il suo santuario. Il suo sacrificio è stato un'offerta per
la pacificazione del popolo. Fu
solennemente beatificato il 12 ottobre 1997. La
sua memoria liturgica ricorre l'11 ottobre.
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