Mos maiorum - Lo sfondo storico La biografia di Catilina - L'autunno del 63 a.C.- Il nemico - Il ritratto - Sempronia

L'autunno del 63 a.C.

Nell’autunno del 63 Catilina ordì una congiura per impadronirsi del potere. Il piano prevedeva che una banda armata raccolta in Etruria tra i veterani di Sriuscirà anche ad avvertire Cicerone di un agguato previsto contro di lui per la notte tra il 6 e il 7 novembre) furono sufficienti perché Cicerone mettesse illa impoveriti e irrequieti - capeggiati da C. Manlio, ex centurione sillano -  marciasse su Roma il 27 ottobre. Gli indizi trapelati (tramite Q. Curio che in allarme il Senato e, con l’approvazione del senatus consultum ultimum nella seduta del 21 ottobre, facesse presidiare la città. Bloccato in questa manovra, Catilina si dedicò a un progetto eversivo di maggiori proporzioni, che suscitasse sommosse in tutta Italia e portasse il caos in Roma, con incendi, saccheggi e uccisioni. Fu chiamato in giudizio in base alla Lex Plautia de vi, che condannava all’esilio o alla morte coloro che attentavano alla sicurezza dello Stato. Catilina si presentò in Senato nella seduta dell’8 novembre “o per nascondere le proprie intenzioni, o per scagionarsi dalle accuse come se fosse stato oggetto di interessate calunnie”(con. Cat. 31.5). Quel pomeriggio Cicerone si rivolse ai senatori riuniti sul Palatino, pronunciando alla presenza del suo avversario la prima orazione In Catilinam.

Nella notte tra l’8 e il 9 novembre Catilina fuggì verso l’accampamento di Manlio, e la sera del 9 Cicerone pronunciò la seconda Catilinaria, con la quale convinceva il popolo riunito in assemblea nel Comitium di quanto fosse giusta e necessaria la decisione di esiliare Catilina. Il 20 novembre Catilina (che ufficialmente era diretto in esilio a Marsiglia) raggiunse l’accampamento di Manlio con le insegne consolari del supremo comando, e il senato dichiarò Catilina e Manlio hostes, nemici della patria.

Frattanto a Roma i catilinari guidati da C. Lentulo si riorganizzavano per sovvertire l’ordine in città e tendere un nuovo agguato a Cicerone; cercarono di reclutare nuovi congiurati, fra cui un gruppo di Galli Allobrogi. Cicerone si servì del comportamento ambiguo degli Allobrogi verso i congiurati per smascherare i loro progetti sovversivi, e organizzò per la notte tra il 2 e il 3 dicembre un agguato presso il Ponte Milvio, in cui riuscì a far catturare C. Lentulo e i suoi.

Il pomeriggio seguente il Senato fu convocato in una seduta straordinaria: i capi catilinari apertamente accusati furono costretti a confessare; in serata Cicerone pronunciò la sua terza catilinaria, un’infiammata orazione nella quale mostrava al popolo riunito vicino al tempio della Concordia le prove evidenti della congiura.

Cicerone in séguito venne a conoscenza di un piano ideato dai liberti e dai clienti di Lentulo per liberare il loro capo, e sollecitò i senatori a decidere subito le sorti dei congiurati, pronunciando la quarta catilinaria. è la famosa seduta del 5 dicembre, in cui si confrontarono le idee di Cesare, che proponeva come pena il carcere e la confisca dei beni, e di Catone Uticense, che li condannava alla pena capitale. Il Senato approvò la proposta di Catone, e i congiurati, condannati a morte, vennero strangolati la notte stessa nel carcere Tulliano. Cicerone ne diede la notizia nel foro con la semplice espressione «vixerunt».

A questo punto tutti i gruppi ribelli sparsi per l’Italia si dispersero, ma Manlio e Catilina prepararono presso l’agro Pistoiese la resistenza delle ultime truppe rimaste fedeli, con le quali il 5 gennaio del 62 affrontarono l’esercito regolare guidato da M. Antonio

Con la sconfitta di Pistoia e la morte in battaglia di tutti i suoi seguaci si concluse nel sangue l’avventura politica e militare di Catilina. Cicerone al contrario era al massimo del suo prestigio politico: aver sventato la congiura, riportando la legalità dell’ordine costituito e la sicurezza per la classe dirigente tradizionale, gli aveva procurato l’appellativo onorifico di pater patriae.

 

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