DEBUNKANDO LE MENZOGNE DI "POPULAR MECHANICS" SULL'11 SETTEMBRE


Una rapida videosmentita degli errori più evidenti e clamorosi commessi dalla rivista Popular Mechanics Popular Mechanics scoperta a manipolare le prove per dimostrare la propria tesi.

Debunking Popular Mechanic' 9/11 Lies
Di Paul Joseph Watson, tratto da www.prisonplanet.com.

Popular Mechanics è rientrata nel circolo mediatico nel tentativo di continuare la sua campagna di debunking sul 9/11, che cominciò nel marzo dello scorso anno, con un nuovo libro che afferma di smentire i miti del movimento per la verità sul 9/11. Tuttavia è Popular Mechanics che è stato smascherato nella promulgazione di menzogne, impegnandosi attivamente nel nepotismo, nella ricerca scadente e nelle politiche guidate dall'agenda.

Non vi è alcuna sorpresa nell'apprendere che Popular Mechanics è posseduto dalla Hearst Corporation. Come rappresentato nell'acclamato film "Citizen Kane" di Orson Welles, William Randolph Hearst [magnate della stampa nel film] scrisse il libro sull'amicizia intima e sul giornalismo scandalistico, e Popular Mechanics non si è opposto a quella tradizione.

Il periodico incoraggia la sofisticazione di armamento avanzato e nuove tecnologie usate dalla polizia in ambiti come controllo delle folle e operazioni "anti-terrorismo". Una forte fetta delle sue entrate pubblicitarie dipendono dagli appaltatori in ambito militare e di difesa. Dato che le invasioni dell'Afghanistan, Iraq ed in futuro dell'Iran citano tutte il 9/11 come pretesto, che motivo ha la rivista di condurre un'indagine equilibrata e rischiare di disturbare la sua clientela tanto desiderata?

L'articolo di copertina del Popular Mechanics di Marzo 2005 era intitolato 'Debunking 9/11 Lies', e da quel momento si trasformò nel principale punto di riferimento per tutti i sostenitori della fiabesca versione ufficiale sul 9/11.

A seguito della pubblicazione dell'articolo e della sua acclamazione sui mezzi d'informazione mainstream come l'ultima pietra risolutiva per affossare le teorie cospirative sul 9/11, si scoprì che il maggiore ricercatore dell'articolo Benjamin Chertoff è il cugino di Michael Chertoff, Segretario del Dipartimento di Sicurezza Nazionale.

Ciò significa che Benjamin Chertoff fu assunto per scrivere un articolo che avrebbe ricevuto attenzione su scala nazionale, sulla veridicità della spiegazione del governo di un evento che portò direttamente alla creazione della Sicurezza Nazionale, un organismo di cui suo cugino era a capo.

Questo è un nepotismo senza precedenti e dissolve completamente la credibilità dell'articolo prima che uno abbia persino voltato la prima pagina.

Le argomentazioni presentate nell'articolo sono state ampiamente smascherate dal Movimento per la Verità sul 9/11 e si sono rivelate essere un esempio di "attacco violento di un coprispalla" - per mezzo del quale false e stupide argomentazioni vengono appositamente inventate, attribuite agli scettici sul 9/11, e poi smentite.

Uno degli errori più evidenti nell'articolo principale di Popular Mechanics appare nel paragrafo 'Intercepts Not Routine' dove viene affermato che “nel decennio precedente al 9/11, il NORAD intercettò soltanto un aereoplano civile nei cieli del Nord America: l'aviogetto del golfista Payne Stewart, nell'Ottobre 1999."

Come Jim Hoffman rileva nella sua eccellente confutazione, “Questa audace affermazione disdegna un rapporto reso noto sulla frequenza d'intervento aerea che cita lo stesso Maggiore Douglas Martin che è uno degli esperti citati da PM!"

“Da Giugno fino all'11 Settembre 2001, il NORAD reagì immediatamente nei confronti di aerei o pattuglie aeree da combattimento sviati per 462 volte, quasi sette volte per ciascuno dei 67 interventi avvenuti dal Settembre 2000 al Giugno 2001, disse Martin."

L'articolo inoltre non fa alcuna menzione di uno qualunque dei numerosi war games fissati per la mattina del 9/11 che confusero il personale della difesa aerea riguardo alla vera natura dell'attacco come venne spiegato, come è documentato dal recente rilascio delle registrazioni del NORAD.

Un paragrafo sul collasso del World Trade Center trascura di intervistare i pompieri ed altre persone che segnalarono numerose esplosioni prima della caduta delle torri, squibs di detriti visti sparati fuori dalle torri ampiamente sotto il punto di collasso, ed il fatto che le torri caddero solo di poco più lentamente di un'assoluta caduta libera.

L'articolo venne rilasciato prima che l'analisi condotta dal professore di fisica presso la BYU Steven Jones scoprisse tracce di termite in campioni d'acciaio provenienti dal World Trade Center.
[N.d.R: e prima della scoperta che si trattava, più precisamente, di nano-thermite.]

“Usando tecniche avanzate abbiamo scoperto cosa vi è contenuto in questi campioni - abbiamo trovato ferro, zolfo, potassio e manganese - questi elementi sono caratteristici di un differente tipo di termite che viene usato per tagliare molto velocemente l'acciaio, è chiamata thermate," afferma il professor Jones.

L'articolo rigurgita teorie del pancake e d'incurvamento della struttura, tuttavia non riesce ad ammettere le osservazioni del responsabile alla costruzione del WTC Frank DeMartini, che prima del 9/11 dichiarò che le costruzioni erano progettate per sopportare impatti multipli di aerei di linea senza collassare (qui il video).

L'articolo inoltre non riesce completamente a spiegare perchè furono trovate pozze di metallo fuso sotto entrambe le torri e l'edificio 7 in seguito ai collassi (vedi foto e video alla fine di questa pagina).

La classica implosione dell'edificio 7, che non fu colpito da nessun aereo, è mascherato poichè l'articolo cerca ancora di fuorviare i propri lettori nel far loro credere che sia un fatto risaputo che edifici rivestiti d'acciaio possano collassare a causa dei danni da incendio - un evento senza precedenti nella storia, eccetto tre casi nella stessa giornata: l'11 settembre 2001.

Commentando la propria intervista rilasciata per la rivista, Alex Jones dice che inizialmente pensava si trattasse di un'intervista falsa o una telefonata stravagante. Jones ha rilasciato centinaia di interviste alla stampa e alle TV e migliaia di interviste radiofoniche ma la sua esperienza con Benjamin Chertoff fu come nessun altra.

“La gente dei giornali scolastici sembra più credibile e seria," afferma Jones.

Jones dovette telefonare all'ufficio di Popular Mechanics e verificare che Chertoff effettivamente lavorasse per loro. Nel corso della telefonata gli fu erroneamente detto dal redattore capo James Meigs che la sua intervista non sarebbe diventata il pezzo di un articolo principale e che in realtà era intesa semplicemente per esplorare le differenti teorie che circondano il 9/11.

Inoltre, Popular Mechanics evidenziò un articolo che Jones aveva pubblicato sul suo sito web a proposito di dispositivi incendiari nel World Trade Center.

I siti web di Alex Jones danno risalto ad una sezione trasversale di articoli mainstream ed alternativi. Un articolo scritto dallo stesso Jones è identificato chiaramente come tale.

La rivista si era messa in contatto con le persone descritte nell'articolo, che dissero loro di non aver mai parlato a Jones. L'articolo venne attribuito chiaramente al suo autore originale - Randy Lavello - e non ad Alex Jones. Quando Jones chiese a Popular Mechanics se si stessero mettendo in contatto con gli interessati e chiedere loro se avessero parlato con l'autore originale, cambiarono argomento.

Col compito di promuovere una campagna promozionale per la vendita del suo nuovo materiale di scarto recentemente confezionato, il libro 'Debunking 9/11 Lies' ['Smontare le Menzogne sul 9/11'], James Meigs di Popular Mechanics apparve sulla trasmissione The O'Reilly Factor (qui il video).

A Meigs e O'Reilly c'è bisogno di ricordare che, anche se si ripete in continuazione la parola “fatto", senza presentare alcuna prova evidente a sostegno della stessa non si trasforma una fantasiosa congettura in un fatto certo.

Meigs si contraddice completamente nell'affermazione che, “Nessuno ha mai visto prima d'ora un edificio con più di un centinaio di piani collassare al suolo", ma meno di due minuti dopo acconsente al commento di O'Reilly che niente di imprevisto circa l'impatto degli aerei o dei crolli sorprese gli analisti.

Meigs conviene che è stato un evento senza precedenti, ma poco dopo sostiene che gli analisti sapevano esattamente cosa era potuto accadere. Come avrebbero potuto conoscere i dettagli particolari di un evento che non era mai accaduto prima?

Meigs a proposito dell'implosione del WTC sostiene che furono, “I crolli più accuratamente analizzati della storia", tuttavia non riesce a far notare il fatto che 50.000 tonnellate di acciaio dal WTC, in una presunta scena del crimine, vennero trasportate via mare in Asia e oltre 10.000 tonnellate in India, impedendo una dettagliata analisi.

Meigs, citando i pareri degli ingegneri, in modo bizzarro dichiara che, “La reale sorpresa è che la costruzione sia potuta reggersi in quel modo finchè ha potuto."

Nel Febbraio del 2005, il Windsor Building a Madrid bruciò per oltre 24 ore mentre le fiamme inghiottirono quasi l'intera struttura, ma questa non collassò. Il nucleo del WTC era molto più robusto del Windsor Building. Così abbiamo un edificio che bruciò incessantemente per oltre 24 ore e non crollò, confrontato a due altri edifici, strutturalmente molto superiori al primo, che bruciarono per poco tempo da incendi limitati, ma collassarono entrambi entro un tempo medio di non oltre i 79 minuti - e Meigs afferma che sarebbero dovute collassare prima! Per non parlare del WTC-7, non colpito da nessun aereo!

Meigs sostiene che la nuova pubblicazione di Popular Mechanics “non è un'indagine politica", ma la prefazione del loro libro è scritta da nientemeno che il Senatore Repubblicano prediletto John McCain.

Nella prefazione McCain ripete una quantità ripugnante di detriti neo-con che dipendono esclusivamente dal 9/11, che accade esattamente come il governo sostiene.

“Abbiamo liberato l'Afghanistan dall'autorità omicida dei Taliban, che ospitavano orgogliosamente i nostri aggressori. Abbiamo dato la caccia ad Al Qaeda in tutto il globo," sbraita McCain.

L'Afghanistan è ora diventato un narco-stato guidato da capi militari tribali e da ex-dirigenti dei Taliban, nessun posto fuori Kabul è sicuro, la malnutrizione fra i bambini è la più alta nel mondo eccetto l'Africa, e la produzione di oppio è a livelli record. Le bellicose dichiarazioni circa la caccia ad Al-Qaeda intorno al globo sono alquanto contraddette dal fatto che i collegamenti tra Al-Qaeda e Iraq si sono rivelati essere fraudolenti ed il direttore uscente della CIA AB “Buzzy" Krongard disse al London Times che Bin Laden dovrebbe rimanere in libertà. Aggiungiamo a questo il punto di vista del Presidente Bush nei confronti dello sceicco - “Io sinceramente non sono così interessato a lui", e la retorica di McCain si rivela essere un fiasco colossale.

McCain inoltre usa la tattica ormai assodata di dire che la messa in discussione della versione governativa sul 9/11 sia un oltraggio alle vittime, e questo è ripetuto anche nell'articolo di Popular Mechanics.

Sentiamo cosa Billy Doyle, rappresentante del più grande gruppo di membri delle famiglie del 9/11 ha da dire a questo proposito.

“Se volete credere che loro desiderino far luce su questo evento, come con la Commissione sul 9/11 - questo è un inganno totale" sostiene Doyle.

“Sembra come se ci fosse una cospirazione dietro al 9/11, se realmente guardate tutti i fatti - molte famiglie ora hanno la stessa sensazione."

Doyle disse che metà dei membri delle famiglie - parenti delle vittime del 9/11 - che lui rappresenta pensano che il governo degli Stati Uniti fu coinvolto nel 9/11.

Malgrado gli sforzi di Popular Mechanics di coprire la complicità del governo nel 9/11 tramite un articolo giornalistico in prima pagina ed ora un nuovo libro, i recenti sondaggi mostrano chiaramente una tendenza in aumento verso un rifiuto della versione ufficiale degli eventi.

Se accantoniamo il 30% degli Americani che non conoscono neppure l'anno in cui l'11 settembre accadde, allora rimaniamo con l'ammontare di circa il 36% di chi sostiene che il governo fu coinvolto negli attacchi, con soltanto il 34% degli Americani che effettivamente conosce l'anno degli attacchi ma pensa ancora che venne attuato solamente da un gruppo di gentaglia composto da 19 arabi incompetenti che non potrebbero far volare un Cessna, agli ordini di un uomo su una macchina di dialisi renale.

Quelli di Popular Mechanics sono certi di ricavare una notevole somma di denaro dalla loro ultima pubblicazione, ma è certo che la loro credibilità è in diminuzione, alla luce del fatto che stanno agendo consapevolmente come complici, contribuendo all'insabbiamento di un crimine che provocò la morte di quasi 3.000 americani e di molte altre persone in tutto il mondo.


Video del webmaster di Luogocomune.net che smentisce l'inchiesta di Popular Mechanics (e quindi anche l'articolo di Deaglio che lo cita come se fosse la Bibbia):


 

Deaglio sbugiardato senza saperlo
Di Maurizio Blondet. Tratto da www.effedieffe.com.

«Anche il Diario è al soldo della CIA?», chiede provocatoriamente la copertina della rivista pubblicata (non a sue spese) da Enrico Deaglio.
A questa domanda va risposto sì, con qualche precisazione.
Il fatto è che Deaglio ha dedicato un intero numero del Diario per riconfermare la tesi ufficiale sull'11 settembre (Osama, i 19 arabi, le Torri cadute a causa degli aerei) e smentire finalmente una volta per tutte i complottisti.
Ma come capita a Deaglio, che ama il giornalismo ma non ne è riamato (non almeno quanto lo amino gli Agnelli), la sua scoperta è vecchia: ricicla un numero speciale del marzo 2005 di Popular Mechanic's, intitolato «Debunking 9.11 lies» («Smentiamo le menzogne dell'11 settembre») che è già stato abbondantemente «debunked», ossia a sua volta sbugiardato.
E non c'è voluto molto.
Ad organizzare gli articoli della pretesa inchiesta che vantava di aver intervistato «oltre 300 esperti» (tutti funzionari governativi USA giustamente timorosi di perdere il posto) è stato un tale Benjamin Chertoff, definito da Popular Mechanics «our senior researcher», il nostro più sperimentato ricercatore.
Non c'è male come definizione, per un giovanotto di 25 anni.
Ma dove ha acquisito il giovane Ben Chertoff la competenza scientifica superiore atta a sancire che «le teorie cospirative non reggono di fronte agli irrefutabili fatti?».
Non si sa.
Si sa invece che il ragazzo è nipote di Michael Chertoff, l'israelo-americano che Bush ha messo alla guida del Dipartimento Homeland Security.

Il merito di Michael Chertoff?
L'11 settembre 2001, questo signore era «assistant attorney» a New York: e in questa veste di magistrato espulse - sottraendoli alle indagini - i cinque israeliani arrestati mentre, mascherati con kefiah, si fotografavano a vicenda, facendo il segno di «vittoria» con le dita, sullo sfondo delle Torri in fiamme.
I cinque guidavano un camion della ditta di traslochi «Urban Moving System», rapidamente abbandonata dal proprietario (un altro israeliano) dopo l'arresto dei suoi facchini - tutti appena dimessi da un reparto speciale d'intelligence dell'armata israeliana.
Insomma, Michael Chertoff è assurto al ruolo di ministro in quanto complice di Bush, Cheney, Rumsfeld e Wolfowitz nell'attentato.
Ed è stato lui che ha messo il suo caro nipotino a Popular Mechanics.
Il ridicolo è che il caro nipotino diventato «senior researcher» ha cercato di nascondere la parentela. Quando il giornalista Chris Bollyn gli ha telefonato chiedendogli ex abrupto se era parente del ministro Chertoff, il giovinotto ha risposto: «Non so», ed ha posto fine alla telefonata. (1)
Ignorava la tenacia dell'amico Chris: il quale ha telefonato alla madre di Ben, che abita a Pelham (New York).
Siete parenti del ministro Chertoff?
«Sì naturalmente, è nostro cugino», ha risposto la signora.
C'è di più.
Si è scoperto che a Popular Mechanics, un mese prima della pubblicazione della grande storia che smentiva le «bugie sull'11 settembre» e reggeva la coda alla versione ufficiale, era avvenuta una brutale purga di giornalisti - i quali evidentemente erano colpevoli di resistere all'arrivo del «senior researcher» di famiglia, e alle sue storie. (2)

Popular Mechanics è una delle centinaia di pubblicazioni del gruppo Hearst.
E la Hearst Magazines ha come presidente Cathleen Black, l'autrice della purga.
Questa dama di ferro ultrasessantenne ha - un po' come Deaglio - un amore non ricambiato con il giornalismo, anche se ben pagata dai suoi editori.
Prima che alla Hearst, la Black è stata presidente di USA Today, per otto anni: e negli otto anni della sua guida, il giornale popolare non si è mai sollevato dal deficit di lettori e di profitti.
Quando la Black se ne è andata con buona liquidazione (la pagavano, per i suoi insuccessi, 600 mila dollari annui) USA Today ha cominciato a salire fino a 1,8 milioni di copie.
Nel 1995 la Black ha cominciato a prendere 1,5 milioni di dollari annui dalla Hearst per guidare la divisione periodici.
Ci si potrebbe chiedere come mai.
La risposta è semplice: la signora Black è membro del Council on Foreign Relations (il think-tank dei Rockefeller), il che le ha fruttato anche un posto nei consigli d'amministrazione di IBM, Coca Cola ed altre multinazionali.
Non a caso la rivista dei miliardari Fortune l'ha definita «una delle donne più potenti dell'economia americana».

Ma vale la pena di portare l'attenzione sul marito di madame Black, che lei non cita mai nei suoi curricula?
Il marito si chiama Thomas E. Harvey, un oscuro avvocato.
Almeno fino al 1977, quando il presidente Carter lo nominò di colpo «assistente del direttore della CIA», allora Stanfield Turner, che aveva appena sostituito un tale George W. Bush.
Dopo la CIA, Harvey è passato al ministero della Difesa (Pentagono) dove «ha ricoperto importanti incarichi», si legge nelle sue note biografiche.
Ma come è salito, il marito della Black, a tanto elevati livelli?
Risposta: prima di essere messo da mani ignote ai vertici CIA, Harvey ha lavorato all'ufficio legale «Milbank, Tweed, Hadley & MCCloy», un importante studio internazionale di New York.
Uno dei fondatori, Morris Hadley, è stato membro della Skull and Bones, la società segreta di Yale, ed anche lui in odore di CIA.
Negli anni '80 poi il marito della signora Black è stato consigliere generale della USIA, la Us Information Agency (ex USIS), l'ufficio «culturale» le cui sedi all'estero sono notori pied-à-terre della CIA.
Qualcuno ha fatto notare che anche USA Today appare come un'emanazione della CIA, forse solo perché il giornale ha sede a McLean, Virginia, nelle vicinanze della sede centrale della Ditta (Langley, Virginia).

Ma torniamo alla purga che la signora Black, la moglie del dirigente della CIA, ha compiuto a Popular Mechanics per «normalizzarlo».
Nel settembre 2004, il direttore del periodico di divulgazione scientifica, John Oldham, è stato bruscamente licenziato: al suo posto sono stati messi due tizi, James Meig e Jerry Beilinson, quest'ultimo dal National Geographic.
Anche il direttore creativo di Popular Mechanics, che stava a quel posto da 21 anni, è stato sbattuto fuori: con 90 minuti di tempo per svuotare la scrivania.
Da allora, ogni mese tre o quattro licenziamenti, sostituiti con personale «adatto» a sostenere le versioni ufficiali di qualunque genere.
Persino i lettori (che sono in genere molto patriottici) si sono accorti che sulla rivista la propaganda del governo ha sostituito la divulgazione scientifica, ed hanno tempestato di lettere la redazione.

Detto questo, sarà forse inutile dedicare tempo a smentire le smentite di Popular Mechanics alle tesi cosiddette cospirazioniste.
La «ricerca» del nipotino Chertoff è piena di errori e distorsioni, già sbugiardati da Alex Jones nel maggio 2005 (http://www.prisonplanet.com/articles/april2005/200405factandfiction.htm).
Basti dire che Chertoff jr. non parla assolutamente del crollo della Torre 7, il terzo grattacielo che cadde come gli altri due in perfetta verticale senza essere stato colpito da alcun aereo, e dopo che l'affittuario del World Trade Center, Larry Silverstein, disse ai pompieri: «pull it», ovvero «tiratelo giù», ammettendo implicitamente una demolizione controllata premeditata. Perché anche arrampicandosi sugli specchi non è possibile spiegare questo crollo «spontaneo» e, come gli altri due, perfettamente simile a una demolizione controllata, come «un mito cospirazionista».
Dunque, siamo in grado di ricapitolare.
Popular Mechanics, per poter «smentire i miti dell'11 settembre», ha dovuto ricorrere a un senior researcher di 25 anni che è nipote del ministro Chertoff, oggi capo della «sicurezza interna».
E per far accettare simile «researcher» alla redazione, la signora Black ha dovuto terrorizzare la redazione, purgarla e operare licenziamenti in massa.
La signora Black che, lo ripetiamo, è membro del Council on Foreign Relations, ed è sposata a un altissimo dirigente-consulente della CIA e del Pentagono.
A questo punto, possiamo confermare che anche il direttore del Diario Deaglio, che usa materiale screditato della Homeland Security con un anno di ritardo per sbugiardare i cospirazionisti, è un agente della CIA: ma senza nemmeno saperlo.

Deaglio è di una famiglia di fedeli esecutori del gruppo Agnelli.
Mario Deaglio, l'economista, è stato direttore de Il Sole 24 Ore.
Enrico è passato da «Lotta Continua» alla direzione del quotidiano «Reporter», tentativo artificiale (e fallito) di attrarre l'ultrasinistra alternativa nell'ideologia-Fiat.
Ha lavorato poi per La Stampa, naturalmente, come gli altri «ragazzi torinesi ultrasinistri» amorevolmente covati e allevati dagli Agnelli, Riotta e Lerner.
E come gli altri boys torinesi, anche Deaglio è stato beneficiato di «fortune» che possono far schizzare alle stelle la carriera di un giornalista di potere, se appena un po' dotato.
Mi riferisco ai programmi di prima serata che qualche mano santa ha offerto ai tre boys torinesi nella TV di Stato, nelle ore di massimo ascolto.
Talk-show, ne hanno avuti Riotta e Lerner.
Lerner ha avuto la direzione del Tg1 e se l'è giocata malissimo, sprecando l'occasione regalatagli dai poteri forti.
Riotta in tv ha sempre fatto dormire, ma nonostante tutto eccolo al TG1.
Quanto a Deaglio, chi ricorda ancora le sue apparizioni su RaiTre (un titolo per tutti: «L'Elmo di Scipio») le ricorda come un disastro mediatico, dove i limiti della noia erano superati solo dalla spocchia scostante del personaggio.
Alla fine, non hanno potuto far meglio, i poteri forti, che regalargli Il Diario, costoso giocattolo dove non nuoce più di tanto, e dove cerca ancora di allettare i no-global al pensiero unico del grande capitale.
Con il solito successo: zero.
(3)

Maurizio Blondet.

Note:
1) Christopher Bollyn, «Chertoff's cousin penned Popular Mechanics hit piece», American Free Press, 7 marzo 2005.
2) «The hidden hand of the CIA, 011 and Popular Mechanics», American Free Press, 20 marzo 2005.
3) Sulle qualità di Deaglio come giornalista, storico e intellettuale, ho trovato una divertente e illuminante stroncatura - a firma di Claudio Mutti -  del libro di Enrico Deaglio intitolato «La banalità del bene. Storia di Giorgio Perlasca», (Feltrinelli, Milano, 2002). Qualche stralcio:
«A pagina 35 Deaglio dice che gli ebrei venivano «accusati» dagli ungheresi di avere aderito alla Repubblica dei Consigli presieduta dall'«ebreo Béla Kun». Di fronte alla parola «accusati», il lettore è indotto a pensare che tale «accusa» non fosse necessariamente fondata, ma procedesse da un preconcetto atteggiamento antisemita. Deaglio evita accuratamente di dire che gli ebrei d'Ungheria avevano effettivamente e massicciamente appoggiato la Repubblica dei Consigli, i dirigenti della quale, d'altronde, erano quasi tutti ebrei.
Sempre a pagina 35 si afferma che, dopo la prima guerra mondiale, tra i territori ungheresi ceduti al nuovo Stato jugoslavo vi fu anche la Slovenia. Uno studente di liceo dovrebbe sapere che nell'Impero austro-ungarico la Slovenia era governata da Vienna, non da Budapest; Deaglio invece lo ignora.
Ancora a pagina 35, «l'Ungheria degli anni Venti e Trenta è un Paese 'profondamente cattolico». Forse il «profondamente» è di troppo. E non solo perché lo Stato ammetteva il divorzio; non solo perché, oltre ai cattolici c'erano ebrei e luterani, rappresentati gli uni e gli altri alla Camera Alta; ma anche perché in Ungheria era (ed è) molto consistente la comunità calvinista, tant'è vero che la terza città del Paese, Debrecen, è nota come «la Roma calvinista».
A pagina 39, Deaglio dice che László József Bíró era a Budapest, tra le due guerre, quando inventò la penna a sfera. A questo proposito, sarebbe stato interessante precisare che Bíró ottenne il brevetto della sua invenzione nel 1938; che iniziò a produrla in proprio negli anni della seconda guerra mondiale, quando ormai si trovava in Argentina; che nel 1944 vendette il brevetto, per una cifra irrisoria, a uno dei suoi finanziatori francesi; e che, in ogni caso, le prime biro arrivarono in Europa subito dopo la guerra. Certo, se la penna a sfera fosse stata messa in circolazione prima della guerra, non ci sarebbe nulla di troppo strano e di troppo sospetto nel fatto che lunghi passi del Diario di Anna Frank sono stati scritti con la biro. Ma, purtroppo per il «Diario» (di Anna Frank) e per il «Diario» (di Deaglio), le cose non andarono in questo modo…
A pagina 40, Gyula Gömbös fonda il Partito della Difesa della Razza. E' falso. La formazione politica diretta da Gömbös si chiamava Unione Ungherese di Difesa Nazionale («Magyar Országos Védelmi Egyesület»). A quale «razza» si sarebbe mai potuto richiamare un nazionalista ungherese?
Sempre a pagina 40, ce n'è una un po' più grossa. Rievocando il progetto sionista di Theodor Herzl, Deaglio menziona le «terre spopolate» della Palestina (SIC!!!).
Alle pagina 50-51 si parla del rogo dei libri di autori ebrei decretato dal governo ungherese nel 1944. Secondo Deaglio, «la lista comprendeva centoventi autori ungheresi e centotrenta stranieri». A volte Deaglio mette a confronto eventi storici interbellici ed eventi postbellici analoghi. Stavolta però si guarda bene dal farlo, altrimenti dovrebbe parlare del rogo dei libri «di ispirazione fascista e antidemocratica» che fu decretato il 28 aprile 1945 dal governo di Béla Miklós, il Badoglio ungherese. Se la lista dei libri proibiti compilata nel 1944 comprendeva in tutto duecentocinquanta autori, la lista compilata dal governo democratico si estendeva per centosettanta pagine e conteneva qualche migliaio di titoli.
A pagina 59 l'emblema delle Croci Frecciate è descritto così: «il simbolo della Corona di Santo Stefano trafitta dalle frecce, e non molto dissimile dalla svastica hitleriana». Bisogna dire che la fantasia iconopoietica di Deaglio è piuttosto fervida, dal momento che il simbolo crocefrecciato, invece, consisteva più semplicemente in una croce greca con i bracci terminanti a punta di freccia.
Ma l'argomento in cui Deaglio scatena completamente la propria fantasia è quello della demografia ebraica in Ungheria. A pagina 37 gli ebrei della piccola Ungheria sono il «cinque per cento della popolazione totale del Paese», vale a dire una percentuale corrispondente all'incirca alla cifra di 35.000. Invece a pagina 119 gli ebrei della «Grande Ungheria» (cioè l'Ungheria successiva all'arbitrato di Vienna, comprensiva della Transilvania del Nord) sono valutati nella cifra di 825.000. Eppure a pagina 48 ce n'erano, nel medesimo periodo, 700.000. A pagina 114, Adolf Eichmann riesce a sterminarne… 5.000.000! Un vero e proprio miracolo, che fa il paio con quello della penna a sfera usata da Anna Frank prima che Bíró la inventasse…»


 

 

HOME PAGE