GENERI LETTERARI
APPLICATI AI SINOTTICI

CAPITOLO II°
STORIA DELLA FORMAZIONE DEI VANGELI SINOTTICI

1 - Origini

Lo sviluppo e l'applicazione logica ai Vangeli sinottici dello studio dei generi storici fatto da Hermann Gunkel per alcune parti dell'A.T. (Genesi e Salmi), ha indotto alcuni studiosi ad ideare un nuovo metodo di studio detto metodo della storia delle forme che verrà poi corretto ed integrato dal metodo delle redazioni.

Martin Dibelius e Rudolph Bultmann, fondatori e rappresentanti principali di questa nuova scuola che si affermò negli anni successivi alla prima guerra mondiale (1914-1918), dando una nuova impostazione allo studio dei sinottici, si sono proposti di superare il disagio in cui si era venuta a trovare la critica letteraria nel tentativo di determinare il documento primitivo, la fonte scritta, che era servita di base agli evangelisti.

Per raggiungere questo obiettivo essi hanno tentato di risalire oltre le fonti scritte integrando la critica letteraria con lo studio della tradizione orale. Hanno cioè investigato sulla storia che riguarda il periodo della trasmissione durante il quale il materiale della tradizione si sarebbe formato, prima oralmente e poi in forma scritta, per confluire nei Vangeli.

Si trattava quindi di studiare le leggi che presiedono ad una probabile elaborazione che questo materiale avrebbe subito nel periodo della trasmissione orale, dal suo primo formarsi fino alla sua definitiva stesura per iscritto, tenendo presente il principio che in una cerchia di persone senza formazione letteraria, il materiale tradizionale si può identificare in un ristretto numero di forme abbastanza determinabili perché retto da proprie leggi di stile e di forma.

Compito quindi dello studioso è quello di seguire il materiale nel suo processo di sviluppo e di trasformazione per spogliarlo delle forme delle quali si è rivestito per farlo apparire nel suo stato originale e primitivo.

Se consideriamo il fatto che nessuno dei Vangeli pervenuti fino ai nostri giorni è stato scritto prima di trenta o quarant'anni dalla morte di Gesù, mentre la primitiva comunità cristiana aveva nel frattempo conosciuto una stupefacente esplosione di energia spirituale portando ovunque il messaggio cristiano, dobbiamo senz'altro ammettere che alla base dei Vangeli scritti, prima ancora delle fonti scritte, c’è stata indubbiamente una tradizione orale.

Dai numerosi tentativi della critica letteraria di dare una soluzione accettabile alla spinosa questione dei sinottici, si può facilmente comprendere quanto difficile sia il problema di stabilire con un'apprezzabile certezza le fonti scritte alle quali attinsero gli evangelisti. La determinazione della duplice fonte (Marco primitivo e Q) rimane pur sempre una rispettabile ipotesi e nulla di più, mentre il Vangelo orale è divenuto ormai una solida certezza.

Nell'arco degli ultimi cinquant'anni lo sforzo degli studiosi si è rivolto prevalentemente all'indagine storica di questa trasmissione orale aprendo alla ricerca nuovi ed insospettabili orizzonti e scoprendo dietro le espressioni letterarie una vita concreta e vissuta, quella della comunità primitiva.

Ancor prima del Dibelius e del Bultmann, Johann Gottfried Herder (1774-1803), estendendo l'interesse di quel tempo per le antiche letterature popolari anche ai Vangeli, aveva riconosciuto per la prima volta i problemi di una ricerca storico-formale sui Vangeli stessi.

Un secolo circa dopo, altri studiosi come J. Weiss, P. Wendland ed E. Norden, riprendendo ed approfondendo questa problematica, esercitarono un'azione stimolante per lo studio del metodo delle forme applicate ai sinottici.

Si arriva così all'anno 1919 in cui K. L. Schmidt afferma esplicitamente che «la più antica tradizione su Gesù è tradizione di pericopi, tradizione quindi di singole scene e singole sentenze che, per la maggior parte, sono state tramandate all'interno della comunità senza alcuna fissa indicazione cronologica e topografica».

Nello stesso anno appare l'opera di M. Dibelius «Die Formgeschichte des Evangeliums» che ha dato il nome al nuovo indirizzo di ricerca. Egli mette in risalto il fatto che «i compilatori sono solo in minima parte autori, principalmente raccoglitori, tramandatori, redattori».

Più tardi R. Bultmann, nell'anno 1921 in «Geschichte des Synoptischen Tradizion», mette l'accento sull'azione determinante avuta dall'influsso creativo della comunità nella formazione ed amplificazione del materiale della tradizione.

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2 - Principi e presupposti

Il metodo delle forme storiche applicato ai vangeli si basa su alcuni principi assiomatici:

a) I Vangeli non sono opera letteraria di un autore, bensì delle raccolte di piccole unità letterarie che un compilatore ha inserito in una cornice fittizia senza preoccupazione di carattere cronologico, geografico o topografico.
A questa conclusione arriva, come abbiamo visto più sopra, Karl Ludwig Schmidt stabilendo in tal modo il presupposto più importante del metodo delle forme. L'unico caso in cui questo presupposto non si verifica è il racconto della passione.

b) I Vangeli non sono dei racconti biografici, ma delle testimonianze di fede della comunità primitiva. Essi infatti si ispirano ad una concezione letteraria completamente originale che trova scarso riscontro in altra letteratura dell'epoca.
Mentre nelle biografie trasmesse dall'antichità gli autori si premurano di descrivere i protagonisti della vicenda, l'ambiente e l'epoca nel quale agiscono, gli evangelisti concentrano l'attenzione esclusivamente sulla figura di Gesù come Redentore.
Scarseggiano quindi nei sinottici, quando non mancano addirittura, quelle che sono le caratteristiche principali di una biografia: l'origine e la giovinezza di Gesù, la sua evoluzione spirituale, la descrizione del suo carattere; manca inoltre una cronologia dell'attività di Gesù, tanto da non poterci fare un'idea esatta della sua durata. I riferimenti topografici sono molto generici e casuali.
La preoccupazione dei sinottici non è quindi quella di descrivere la persona o la personalità di Gesù in relazione allo svolgimento dei fatti o degli atti da lui compiuti, ma soprattutto quello di annunziare nella persona di Gesù il Salvatore, il Messia, per consolidare, approfondire e diffondere la fede in lui.
Da questa caratteristica dei Vangeli si presuppone che all'origine degli stessi non ci siano delle creazioni individuali, ma piuttosto la voce della comunità primitiva che professa e predica la fede nel Suo Salvatore. Gli autori scrivono al servizio della comunità e per i bisogni di essa.

c) Poiché il metodo della storia delle forme si propone di ricostruire la storia dei singoli brani della tradizione togliendoli dal rivestimento nel quale si trovano inseriti per ordinarli a seconda delle forme o generi, è necessario, partendo da queste forme, risalire all'ambiente vitale da cui esse ebbero origine. La conoscenza, infatti, di questo ambiente vitale (Sitz im Leben) ci rende possibile una determinazione più precisa ed accurata delle varie forme o generi. Non si tratta di un circolo vizioso se si comprende bene la stretta relazione che vi è tra ambiente sociale e forma letteraria. Noi sappiamo oggi che una lettera di affari si differenzia nella forma da un trattato scientifico, come una predica differisce da un commento politico o sportivo. Il linguaggio degli avvocati è diverso da quello dei politici, ecc. La vita stessa quindi crea la molteplicità delle forme letterarie. Dalle forme si può risalire all'ambiente di vita da cui ebbero origine e viceversa.
L'ambiente vitale da cui ebbero origine i brani della tradizione evangelica si può identificare nella vita religiosa della comunità primitiva con le sue svariate manifestazioni, esigenze e preoccupazioni dalle quali derivano altrettante forme letterarie: la predicazione missionaria, la predicazione liturgica, quella parenetica e l'istruzione catechistica, l'apologetica, la polemica e la disciplina ecclesiastica.

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3 - Classificazione del materiale

A seconda delle forme letterarie, il materiale dei sinottici, proveniente dalla tradizione, può essere diviso in due gruppi principali: Detti di Gesù e Narrazioni su Gesù.

Questa duplice suddivisione ci richiama la teoria critico-letteraria delle due fonti. La fonte di Marco primitivo ci fornisce infatti prevalentemente, ma non in maniera esclusiva, il materiale delle narrazioni, mentre la fonte "Q" prevalentemente quello oratorio, ovviamente anch'essa non in maniera esclusiva.

La stessa suddivisione in due grandi gruppi del materiale della tradizione è stata del resto presa in considerazione anche dall'evangelista Luca, come risulta da Atti 1, 1.

A)  DETTI DI GESU'

Secondo il Bultmann i detti di Gesù possono essere classificati come segue:

a) Detti sapienziali, proverbi che trovano un parallelo nella letteratura sapienziale giudaica (Proverbi di Salomone, Ecclesiaste).

Esempi di tali detti possiamo trovarli in:

– Luca 6, 4 (= Mt. 13, 57 = Lc. 4, 24)
«Non c’è profeta disprezzato se non nella sua patria e tra i suoi parenti e nella sua casa »

– Matteo 6, 2
«Dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore»

– Matteo 6, 34
«Basta a ciascun giorno il suo affanno»

– Luca 6, 45 (= Mt. 12. 34)
«Poiché dall'abbondanza del cuore parla la sua bocca»

– Matteo 24, 28 (= Lc. 17, 37)
«Dovunque sia il cadavere, lì si raduneranno le aquile»

b) Detti profetici ed apocalittici nei quali Gesù annunzia la vicinanza del regno di Dio, promette la salvezza a chi si ravvede e rivolge minacce agli increduli.

Esempi di questi versetti possiamo trovarli in:

– Luca 12, 32
«Non temere piccolo gregge perché è piaciuto al Padre vostro di dare a voi il regno »
Il detto è preceduto dall'esortazione «non temere» che si riscontra anche in alcuni passi profetici dell'A.T. (Is. 41,10; 43, 1-5; 44, 2)

– Luca 13, 28-29 (= Mt. 8, 11-12)
«Ivi sarà pianto e stridor di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti del regno di Dio, ma voi sarete buttati fuori. Verranno inoltre dall'oriente e dall'occidente, dal settentrione e dal meridione e staranno a tavola nel regno di Dio»
In questo detto, che viene inserito da Matteo in un contesto diverso (guarigione del servo del Centurione) rispetto a quello di Luca (serie di detti escatologici), dopo una minaccia profetica contenuta nella prima parte, segue nella seconda l'annunzio della salvezza universale nel regno di Dio.

Appartengono ai detti profetici anche le beatitudini (Mt. 5, 3-10 = Lc. 6, 20-23).

I detti profetici di Gesù affondano le proprie radici nella letteratura dell'A.T., ma presentano allo stesso tempo una grande novità: l'epoca della salvezza viene identificata con precisione nel regno di Dio.

c) Detti legali o precetti per la comunità

Con i primi Gesù, sull'esempio degli antichi profeti, vuole combattere l'esteriorità della religione giudaica, come ad esempio in Mt. 5, 21 e segg.;  Mt. 6, 2-18; Mc. 7, 15.

Con i secondi Gesù vuole dare delle regole giuridiche per la comunità che possono essere di natura apodittica come ad esempio in Mt. 7, 6 o casuistica in Mc. 10, 11-12.

In questo secondo gruppo si possono includere le regole per la disciplina interna (Mt. 18, 15-22) e per il lavoro missionario (Mt. 10).

d) Detti «io sono » in cui Gesù, cosciente di essere l'inviato di Dio, parla in prima persona o anche in terza persona di sé stesso, della sua venuta e della sua missione.

Questi detti possono essere formulati in forma positiva come ad esempio in:

– Luca 12, 49
«Io sono venuto ad accendere un fuoco sulla terra»

oppure in forma negativa come ad esempio in:

– Marco  2, 17
«Io non sono venuto a chiamare i giusti bensì i peccatori»

Sebbene questi detti siano generalmente preceduti dall'espressione «io sono venuto», possono essere inclusi fra essi anche altri detti, come ad esempio le affermazioni dei demoni sulla venuta di Gesù (Mc. 1, 24; Lc. 4, 34), le parole di Gesù che parlano della sua missione (Mt. 15, 24) o della missione degli apostoli come preparazione della sua venuta (Mt. 10, 16).

e) Similitudini di Gesù (metafore, paragoni, similitudini vere e proprie, parabole, narrazioni edificanti)

Esempi di paragoni li possiamo trovare in Mt. 24, 43-44 o in Lc. 15, 4-7 dove Gesù, da un fatto generalmente già noto o da un'esperienza già acquisita dagli ascoltatori, prende l'avvio per inculcare l'insegnamento di una verità divina o per mettere in evidenza un'esigenza morale da seguire. Così in Matteo l'atteggiamento del padrone che sta in guardia soltanto quando sa che il ladro verrà a scassinargli la casa, viene contrapposto all'atteggiamento del discepolo che deve essere sempre vigile. In Luca invece il termine del paragone è la gioia comune sia del pastore che ritrova la pecora perduta, sia di Dio per la salvezza di un'anima.

La Parabola vera e propria si differenzia dal semplice paragone in quanto si tratta di un racconto corredato da particolari secondari. In questo racconto non si parla di ciò che ognuno fa o potrebbe fare, bensì di ciò che è successo ad una ben determinata persona in una precisa situazione.

Così ad esempio nella parabola del Buon Samaritano in Luca 10, 30-37 troviamo queste caratteristiche (proprie della parabola) in cui il comportamento di quel determinato Samaritano, di quel determinato sacerdote e levita diventano esemplari per gli ascoltatori.

f) Apoftegmi

Il Bultmann include fra i discorsi anche quei brani tradizionali che contengono una parola di Gesù racchiusa in una cornice narrativa, così come avviene per certi racconti della narrativa greca costruiti nella stessa maniera. Egli afferma che originariamente queste parole di Gesù furono pronunziate in condizioni diverse e inserite dalla tradizione in queste strutture narrative soltanto in un secondo momento. Secondo lui gli apoftegmi si suddividono in dialoghi polemici e scolastici e apoftegmi biografici. Fra i primi vanno inclusi gli episodi della guarigione del paralitico (Mc. 2, 1-12), della raccolta di spighe fatta dai discepoli nel giorno di sabato (Mc. 2, 23-28) al termine del quale c’è il detto di Gesù v. 28 «Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato; quindi il figlio dell'uomo è padrone anche del Sabato».

Altri esempi di dialoghi polemici e scolastici li possiamo trovare nella guarigione dell'uomo dalla mano rattrappita (Mc. 3, 1-6); nell'episodio del rimprovero dei farisei rivolto ai discepoli di Gesù che prendevano il cibo senza lavarsi le mani (Mc 7, 1-23), dal quale Gesù prende lo spunto per un insegnamento spirituale.

Gli apoftegmi biografici sono detti così perché da essi apprendiamo qualcosa della vita di Gesù. A titolo di esempio possiamo ricordare l'episodio di Gesù con i bambini (Mc. 10, 3-16).

Nella suddivisione del materiale oratorio il Dibelius non si differenzia sostanzialmente dal Bultmann. Egli, badando soprattutto alla forma, prende in considerazione principalmente quel materiale che ha un contenuto esortativo e che si trova raccolto in massima parte nella fonte "Q".

B)  NARRAZIONI SU GESU'

Mentre la suddivisione del materiale oratorio può essere fatta abbastanza agevolmente, più difficile diventa il discorso per quanto riguarda la parte narrativa sulla quale il Bultmann ed il Dibelius prendono posizioni assai divergenti.

Le difficoltà sorgono soprattutto perché la suddivisione deve essere fatta tenendo presente principalmente dei criteri formali, mentre raramente nelle narrazioni possiamo trovare delle forme pure, più spesso si tratta infatti di forme miste.

Il Bultmann non badando alla forma, ma piuttosto al contenuto ed alla critica storica, raccoglie il materiale sotto due titoli:

– storie miracolose che comprendono la maggior parte delle  guarigioni e dei miracoli;

– racconti storici e leggende che comprendono tutte le altre narrazioni.

Tutte quelle narrazioni, invece, in cui il racconto sembra articolato per mettere in risalto un detto di Gesù, come abbiamo già visto sopra, vengono raggruppate fra gli apoftegmi.

Per leggenda egli intende tutti quei brani narrativi, non storici, ma aventi un carattere religioso edificativo. Va tuttavia precisato che per il Bultmann non c’è molta differenza tra racconto storico e leggenda, in quanto nel materiale sinottico la storia è fortemente imbevuta di leggenda.

Il Dibelius suddivide il materiale nei seguenti gruppi:

a) paradigmi: brevi storie a sé stanti in forma di aneddoto in cui assume grande rilievo un detto o un'azione esemplare di Gesù. Esse servivano da illustrazione e da esempio alla predicazione e avevano delle caratteristiche ben precise che si possono elencare nei seguenti punti:

1) compiutezza logica della narrazione che non ha bisogno di collegamento né all'inizio né alla fine. Da questa caratteristica si desume che la narrazione è esistita isolatamente ancor prima di essere accolta nel Vangelo;

2) brevità e semplicità della narrazione in cui risulta assente il fattore biografico e la descrizione della scena. Dei personaggi del paradigma sappiamo soltanto che si mettono in contatto con Gesù. Ciò che invece risalta nei paradigmi è la risposta che Gesù dà a questi contatti;

3) stile edificante, prevalentemente religioso con assenza di caratteristiche tipicamente moderne;

4) grande risalto dato al detto di Gesù;

5) conclusione della narrazione in un pensiero utilizzabile per la predicazione.

Queste caratteristiche le possiamo infatti riscontrare nella guarigione del paralitico (Mc. 2, 1-12): Dopo una breve introduzione nei vv. 1 e 2, apprendiamo genericamente che quattro persone «vennero a lui» portando un paralitico. il racconto termina al v. 12 con un'esclamazione corale « non abbiamo mai visto nulla di simile». Esso risulta quindi a sé concluso, pur nella sua brevità e semplicità. Nello stesso tempo però non sappiamo chi erano queste quattro persone e perché avessero portato questo malato a Gesù. Del malato si sa soltanto che era paralitico e non ci viene detto nulla circa il modo in cui Gesù lo guarì. Lo stile è senz'altro edificante: si tratta infatti di fede e perdono dei peccati. Le parole di Gesù in questo sfondo vago e sfumato assumono un rilievo di primo piano: « il figlio dell'uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra » (v. 10). La guarigione del paralitico non è l'idea centrale del racconto, ma piuttosto la sua espressione e cioè l'esempio pratico (paradigmatico) dal quale Gesù prende lo spunto per dire che ha il potere di perdonare i peccati.

Altri esempi di paradigmi li possiamo trovare nell'episodio dei discepoli che strappano le spighe nel giorno di sabato (Mc. 2, 23-28), della moneta del tributo (Mc. 12, 13-17), dell'unzione di Betania (Mc. 14, 3-9), della guarigione nella sinagoga (Mc. 1, 23-27), nell'episodio del giovane ricco (Mc. 10, 10-27), nella purificazione del tempio (Mc. 11, 15-17). Il paradigma per la sua antichità ha un'attendibilità storica buona.

b) Novelle: racconti ben congegnati che si distinguono dai paradigmi per una maggiore dovizia nella descrizione e nei particolari, per l'uso di soggetti profani, per la mancanza di scopi edificativi e di tutte quelle parole di Gesù che hanno un'importanza universale. Esse hanno per lo più lo scopo di presentare la forza divina di Gesù e servono nel lavoro missionario essendo dirette a persone abituate a sentir parlare di prodigi operati da dei e profeti. Il loro valore storico è più scarso di quello dei paradigmi. Esempi di novelle si trovano nella tempesta sedata (Mc. 5, 1-20), nella prima moltiplicazione dei pani (Mc. 6, 35-44).

c) Leggende. Il termine leggenda viene inteso dal Dibelius non come l'equivalente di storia non vera, ma come il «racconto edificante della vita, dell'opera e della morte di un santo». Si distinguono leggende cultuali eziologiche che hanno lo scopo di giustificare un culto o un uso religioso, e leggende personali che hanno per oggetto la vita devota e la morte di un santo.

Leggende cultuali eziologiche sono ad esempio i racconti dell'ultima cena, l'intera storia della passione e della pasqua. Scarse sono nei sinottici le leggende personali riferite a Gesù. In lui infatti gli autori ravvisano più che un uomo che ha la statura di un santo e che gode per la sua santità di una speciale protezione divina, il figlio di Dio stesso che si rivela in forma umana.

Leggenda personale è la storia di Gesù dodicenne al tempio (Lc. 2, 41-50). Altre leggende personali riguardano i discepoli ed i seguaci di Gesù, come ad esempio: la pesca miracolosa di Pietro (Lc. 5, 1-11), la donna che unge Gesù (Lc. 7, 36-50), Pietro che cammina sul mare (Mt. 14, 28-31), la professione messianica di Pietro (Mt. 16, 17-19), la storia del pubblicano Zaccheo (Lc. 19, 1-10).

A differenza del paradigma e della novella, per riconoscere il genere leggenda non ci si può riferire a criteri di forma, ma bisogna prendere in considerazione gli interessi ed i motivi dai quali essa è dominata.

La storia della passione non risulta composta da pericopi staccate, ma si tratta di un unico complesso narrativo. Il suo ambiente vitale è la predicazione della salvezza (il Kerigma).

d) Miti. Nei sinottici troviamo soltanto tre racconti che rappresentano un vero esempio di mito:

1) il miracolo durante il battesimo di Gesù;

2) la tentazione di Gesù nel deserto;

3) la trasfigurazione.

Motivi mitici sono pure entrati in alcune novelle che Marco ha accolto nel suo Vangelo perché esse sono per lui una prova di Gesù figlio di Dio che rivela la sua vera natura nei miracoli che compie.

Il pensiero mitico è poi entrato anche nella tradizione di alcuni detti di Gesù, come ci viene attestato in Mt. 11, 25-30; 18, 20; 28, 18-20.

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4 - Osservazioni e chiarimenti

Poiché risultano evidenti fra i principali rappresentanti della storia del metodo delle forme delle divergenze per quanto riguarda soprattutto il materiale delle narrazioni, ritengo sia utile a questo punto fare delle osservazioni per chiarire meglio il loro punto di vista.

Le diversità fra il Dibelius ed il Bultmann è dovuta principalmente al modo diverso di affrontare l'argomento, Infatti, mente il primo parte dalle esigenze della comunità per risalire quindi alle forme assunte dal materiale della tradizione nel suo primo formarsi, il secondo prende in esame subito il materiale così com’è pervenuto a noi.

Con questo diverso sistema l'unico punto sul quale concordano entrambi è la storia della passione, in quanto si tratta di un complesso narrativo giunto fino a noi dalla tradizione orale in maniera abbastanza omogenea.

Per l'altro materiale narrativo, invece, possiamo dire che:

1) le brevi storie narrate concisamente e culminanti in un detto significativo di Gesù, vengono chiamate dal Bultmann dialoghi polemici e scolastici ed annoverate fra gli apoftegmi, mentre il Dibelius le classifica fra i paradigmi in quanto sostiene che non si tratta di veri e propri dialoghi, ma delle circostanze narrate con lo scopo principale di mettere in risalto un detto importante di Gesù.

2) le storie narrate in forma pittoresca e culminanti in un miracolo di Gesù vengono classificate dal Dibelius come novelle e dal Bultmann come narrazioni di miracoli. Anche in questo caso, come nel primo, il genere è abbastanza definito, non così la nomenclatura, in quanto è difficile per entrambi stabilire con sicurezza l'ambiente vitale dal quale ebbero origine.

3)  un altro genere riconosciuto dal Bultmann è quello degli apoftegmi biografici, a cui altri danno il nome di aneddoti. Essi hanno in comune con i dialoghi polemici l'impostazione consistente in una parola di Gesù racchiusa in una cornice narrativa, ma si differenziano da questi ultimi in quanto ci fanno conoscere qualcosa della vita di Gesù ed inoltre il detto di Gesù non è provocato da una domanda, bensì da una certa divisione.
Il Bultmann li considera come paradigmi edificanti della predicazione che servono a rendere viva nella comunità la presenza del maestro e quindi ad incoraggiare la comunità stessa. Da notare inoltre che il Bultmann colloca queste particolari forme nella tradizione dei detti di Gesù anziché nella tradizione delle narrazioni su Gesù. Risulta piuttosto difficile stabilire con una certa esattezza questa collocazione in quanto il genere si pone a metà strada fra l'una e l'altra delle due tradizioni.

4) il rimanente materiale narrativo viene classificato dal Dibelius come leggenda e mito e dal Bultmann come racconto storico e leggenda.

Premesso, come abbiamo detto più sopra, che il Bultmann non fa differenza fra il racconto storico e la leggenda, dobbiamo precisare che il concetto di leggenda varia di significato nel pensiero dei due studiosi.

Il Dibelius infatti, classificando alcune parti del materiale narrativo come leggenda agiografica (vita ed opera di un santo), sottrae, almeno in parte, al termine leggenda tutti quegli elementi di caducità e di insicurezza che permangono invece nel Bultmann, il quale la considera dal punto di vista della critica storica.

In base a diversi criteri, non ispirati alla forma, ma al contenuto, il Dibelius chiama mito quel materiale che invece il Bultmann classifica fra la leggenda.

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5 - Evoluzione del materiale

Dopo la classificazione, il compito della Formgeschichte è quello di seguire il materiale dall'inizio della formazione fino alla sua stesura definitiva nei Vangeli per vedere se esso ha subito durante questo corso delle eventuali variazioni.

Poiché è stato ormai accertato che questo materiale, prima di venir fissato per iscritto nei Vangeli, è rimasto per alcuni decenni nella fase orale, è inevitabile che esso abbia subito in questo periodo delle trasformazioni e delle amplificazioni.

Per spogliare il materiale e ridurlo allo stato primitivo dobbiamo quindi partire dalla forma scritta a noi più vicina di Matteo e di Luca per risalire, attraverso le fonti scritte di Marco primitivo e di "Q", fino alla tradizione orale.

Per vedere se durante la fase orale ci sono state delle trasformazioni, può rappresentare un'indicazione l'evoluzione del materiale dalle fonti scritte alla stesura definitiva dei Vangeli. Può inoltre rappresentare un punto di riferimento analogico l'evoluzione di altro materiale profano dell'epoca (proverbi, aneddoti, racconti popolari).

Il compito si presenta naturalmente molto difficile perché le forme primitive si possono soltanto immaginare ed inoltre non è così facile stabilire se le divergenze fra i Vangeli si devono alla tradizione orale oppure all'iniziativa dei singoli evangelisti.

È comunque possibile stabilire con una certa sicurezza che notevoli mutamenti sono avvenuti nella fase orale, sia per il materiale oratorio che per il materiale narrativo come potremo ve
-dere qui di seguito.

A) DETTI DI GESÙ

Nel materiale oratorio si possono riscontrare alcune variazioni di significato attribuiti dagli evangelisti ad uno stesso detto. Ad esempio il detto «della lampada sotto il moggio», posto in contesti diversi è formulato in forma interrogativa da Marco (4, 21) ed in forma assertiva dagli altri due evangelisti (Mt. 5, 15; Lc. 8, 16; 11,33), per Matteo si riferisce alla comunità dei discepoli come risulta chiaramente dal v. 14 « voi siete la luce del mondo...»; mentre per Marco e per Luca si riferisce al Vangelo o addirittura alla persona di Gesù (Lc. 11, 33).

Alcune variazioni di stile le possiamo riscontrare dal confronto dei passi paralleli relativi alle sei antitesi sulla legge riportate da Mt. 5, 21-48 che trovano solo un parziale riscontro negli altri due evangelisti, non però in forma antitetica.

Il detto sull'invito a riconcialiarsi presto con l'avversario nel processo, suona in Mt. 5, 25 come un comportamento saggio, mentre in Lc. 12, 57-59 rappresenta un invito a convertirsi in vista del giudizio finale.

Confrontando i passi di Lc. 14, 15-24 e Mt. 22, 1-4 notiamo in quest'ultimo una certa elaborazione della parabola del banchetto nuziale con tratti che non sembrano ricollegarsi al contesto, come i vv. 6-7 e 11-13.

B) NARRAZIONI SU GESÙ

Anche nel materiale narrativo notiamo delle notevoli variazioni avvenute ad opera della tradizione orale o fatte dagli stessi evangelisti.

Nella storia del centurione di Cafarnao (Mt. 8, 5-13; Lc. 7, 1-10) si notano fra Matteo e Luca alcune differenze. In Matteo l'incontro fra Gesù ed il centurione è personale, in Luca avviene per mezzo di intermediari (gli anziani dei Giudei e gli amici del centurione).

Nel racconto della figlia di Jairo in Mt. 9, 18-26 apprendiamo che la figlia è già morta quando il padre supplica Gesù di farla rivivere; in Lc. 8, 40-53 la figlia è soltanto ammalata gravemente e sta per morire, ma muore in un secondo tempo quando Gesù sta avviandosi a casa del capo della sinagoga, come avverte un messaggero al v. 49.

Altri esempi li possiamo trovare in Mt. 21, 18-22 dove il fico secca immediatamente dopo la maledizione, mentre in Mc 11, 12-14.20) il fatto viene rilevato dai discepoli solo il giorno dopo.

Il Bultmann è preoccupato di esaminare a fondo e minuziosamente la storia della trasmissione del materiale evangelico arrivando però a delle conclusioni tali da lasciare perplessi molti sui risultati di questa sua ricerca. Secondo lui nei Vangeli non troviamo la storia degli avvenimenti come si sono realmente verificati, ma soltanto il ricordo della primitiva comunità influenzata dall'ammirazione e dalla fede per il Maestro. Alcuni detti sapienziali, profetici e legali possono risalire direttamente a Gesù, ma non si può escludere che molti di questi detti siano stati messi in bocca al Maestro dalla comunità stessa. Questo avviene in modo particolare per i precetti della comunità e per quei detti in cui Gesù parla di sé stesso (detti «io sono »).

Le parabole sono considerate dal Bultmann per la maggior parte composizioni genuine. Egli però non esclude che la comunità abbia operato delle aggiunte esplicative che ne hanno travisato a volte il significato.

Nei dialoghi polemici e scolastici e negli apoftegmi biografici di genuino c’è solo il detto di Gesù, mentre il resto è soltanto frutto dell'attività creatrice della comunità.
Il Bultmann, pur ammettendo che certe guarigioni sono il racconto di fatti realmente accaduti, nega categoricamente che Gesù possa aver realmente compiuto i fatti miracolosi descritti nei Vangeli. Questi fatti miracolosi, attribuiti a Gesù dalla comunità, hanno la loro origine in certe storie miracolose popolari e in certi fatti miracolosi narrati nell'A.T.. Così ad esempio la moltiplicazione dei pani sembra attinta da un racconto simile riportato da 2° Re 4, 42-44. Alcune parole di Gesù: «pescatori di uomini» possono aver indotto la comunità a sviluppare dei racconti miracolosi come si può riscontrare in Lc. 5, 1-11.

Le narrazioni storiche sono impregnate di leggenda come ad esempio il battesimo di Gesù, fatto realmente avvenuto, ma descrittoci dai Vangeli sotto forma leggendaria per mettere in risalto la Sua messianicità.

Il Dibelius non si occupa del materiale sinottico nel suo complesso, ma principalmente e solo in parte del materiale narrativo. Egli, a differenza del Bultmann, non è influenzato da pregiudizi razionalistici sulla storicità dei Vangeli e non attribuisce al metodo delle forme storiche un'importanza decisiva per giudicare la storicità o meno della tradizione. Per lui i paradigmi, che fa risalire alla generazione dei testimoni oculari, hanno un alto grado di attendibilità storica. Non altrettanto le novelle in cui possono essersi insinuati elementi estranei. Esse tuttavia provano l'attendibilità storica di certe azioni meravigliose compiute da Gesù di cui le novelle ci trasmettono l'eco. Le leggende, pur conservando un nucleo storico, rivestono alcune azioni terrene di un alone trascendentale.

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6 - Importanza e limiti

Il grande merito del metodo della storia delle forme è anzitutto quello di aver dato un nuovo strumento per l'interpretazione dei sinottici individuando le piccole unità letterarie.

Indubbiamente questo metodo rappresenta un grande passo in avanti rispetto all'impaccio di una critica letteraria unilaterale che non ha saputo oltrepassare i limiti delle fonti scritte. Si è dimostrato anzitutto che il principio della tradizione orale è quello più antico e per conseguenza anteriore alla "scrittura".

Insegnando a distinguere fra materiale della tradizione e cornice redazionale entro cui questo materiale venne successivamente inserito, si è spianato la strada, nell'ultimo dopoguerra, al metodo della storia delle redazioni che rappresenta un ulteriore progresso della ricerca biblica applicata ai sinottici. È stato così possibile riconoscere con maggiore precisione la parte redazionale degli evangelisti, cioè il loro lavoro stilistico, di composizione e di dottrina teologica, sulla base del materiale che veniva loro offerto dalla tradizione, permettendoci di individuare la teologia di ciascuno dei sinottici.

Se alcune riserve possono essere avanzate su questo metodo, esse sono principalmente dovute all'uso aprioristico congetturale e imbevuto di pregiudizi razionalistici che ne hanno fatto i suoi fondatori.

Per il resto ritengo doveroso esaminare alcuni punti sui quali possiamo esprimere un giudizio critico in conformità a quanto già detto nell'introduzione ispirandoci al saggio consiglio dell'apostolo Paolo: « Esaminate ogni cosa e ritenete il bene» (1° Ts 5, 21).

Il primo e più importante presupposto della Formgeschichte: i sinottici sono delle compilazioni, è sostanzialmente indovinato se si distingue fra tradizione e redazione.

Poiché il materiale della tradizione si riduce alle singole parole di Gesù e alle singole narrazioni che lo riguardano, gli evangelisti hanno raccolto questo materiale così come lo hanno trovato inserendolo liberamente in una intelaiatura che nelle sue linee essenziali rispecchia la progressione storica del ministero di Gesù dalla Galilea fino a Gerusalemme. Voler quindi ricercare nei sinottici la successione dei pensieri e la cronologia delle pericopi è un'impresa vana che ci può portare fuori strada. Risulta infatti abbastanza evidente da un confronto sommario dei sinottici la diversa disposizione delle varie pericopi situate in differenti contesti da ciascun evangelista secondo criteri suoi propri e collegate fra loro da semplici formule di passaggio. Nello stesso tempo però non possiamo accettare l'idea che tutti questi brani siano staccati e senza un unico legame interno che li unisca fra loro al punto tale che la tradizione di Gesù ne risulti sfaldata e deformata. Non siamo, è vero, in grado di ricostruire una vera e propria biografia di Gesù, ma possiamo senz'altro riconoscere in questi brani un filo conduttore unico che rappresenta il tema centrale del N.T.: l'identificazione in Gesù di Nazareth del Messia apparso sulla terra.

Che la classificazione dei singoli brani non sia semplice lo si deduce dalla diversità di impostazione e di denominazione che si riscontra negli stessi principali rappresentanti della Formgeschichte.

A prescindere dalla classificazione dei detti che si dimostra abbastanza agevole in quanto ricalca generalmente quella antico testamentaria, il discorso diventa alquanto difficile per quanto riguarda il materiale narrativo. Quando il ricordo di azioni e avvenimenti relativi alla vita di Gesù appartiene ad un recente passato ed è ancora vivo nella memoria dei narratori, ben difficilmente esso può assumere forme letterarie ben precise.

Del materiale narrativo soltanto i racconti di miracoli possono essere configurati come un genere letterario a sé stante. Questi racconti di miracoli il Dibelius li annovera impropriamente fra le «novelle» in quanto non hanno secondo lui il loro ambiente vitale nella predicazione, bensì nella necessità di presentare in un ambiente ellenistico la figura di un Gesù taumaturgo. Tali racconti però, pur presentando delle rassomiglianze con altri racconti miracolosi giudaici ed ellenistici, si differenziano profondamente da questi in quanto non hanno lo scopo di esaltare la persona del taumaturgo, ma piuttosto l'opera messianica di Gesù che, conformemente all'annunzio profetico, inaugura una nuova epoca di liberazione, oltre che dal peccato, anche dalla malattia, dal bisogno e dalla miseria.

Da questo fatto possiamo dedurre che l'appartenenza di un brano narrativo ad una particolare forma letteraria non è motivo valido per avanzare dubbi sulla sua attendibilità storica.

Un altro difetto della Formgeschichte è quello di attribuire un eccessivo potere creativo alla comunità primitiva che avrebbe elaborato il materiale della tradizione senza preoccuparsi della verità storica dei fatti, ma basandosi esclusivamente sulla sua fede in Gesù filtrata dall'ambiente ellenistico.

Questo presupposto cade facilmente se si considera il fatto che, nel tracciare il quadro dell'ambiente in cui si svolgono gli avvenimenti relativi a Gesù, i sinottici non commettono l'errore di inquadrare le vicende in una prospettiva storica lontana dalla mentalità e dall'ambiente palestinese dei primi decenni della nostra epoca.

Vi sono ad esempio nei sinottici dei passi ben noti che esprimono un atteggiamento di Gesù per i bambini (Mc. 9, 36-37) e gli animali (Mt. 10, 29) che sembra piuttosto singolare ed estraneo alla mentalità dell'epoca in cui vennero scritti i Vangeli. Niente può farci credere che questo atteggiamento fosse apprezzato nella comunità primitiva. Paolo infatti chiede incredulo, riferendosi al famoso passo della legge « non mettere la museruola al bue che trebbia » (Dt. 25, 4), se Dio si riferisce solo ai buoi oppure vuol parlare anche degli uomini (1° Cor. 9, 9). Per lui ed altri scrittori neotestamentari il bambino suggerisce l'idea di puerilità piuttosto che quella di amore per l'infanzia (1° Cor. 3,1; 13, 11; Ef. 4, 14; Eb. 5, 12-14). Persino gli evangelisti mostrano una tendenza ad interpretare le squisite storie di Gesù e dei bambini in relazione al trattamento fatto nella chiesa agli adulti spiritualmente immaturi (Mt. 18).

Ciò nonostante la fedeltà al ricordo storico ha indotto gli evangelisti a rappresentare il loro Maestro che tratta con i bambini e parla degli animali in un modo che essi non comprendono, ma sentono che è caratteristico di Lui. Se ciò è avvenuto in questo caso, non si vede come non potrebbe essersi verificato anche in tutti quei casi in cui credenze profondamente radicate nella comunità primitiva potevano contrastare con la presentazione obiettiva degli avvenimenti.

Il discernimento critico degli evangelisti, inoltre, risalta proprio là dove il cambiamento di prospettiva della fede avrebbe potuto trarli maggiormente in inganno. Essi infatti, pur scrivendo quando la predicazione e le grandi lettere paoline avevano già delineato tutta la ricchezza del pensiero cristiano, non se ne lasciano influenzare, ma si fermano ad uno stadio della dottrina assai meno evoluto. Ci presentano ad esempio gli apostoli che non hanno ancora compreso la missione divina di Gesù; Gesù che si ritiene ancora sotto la legge mosaica (osservanza del sabato); la dottrina del battesimo è soltanto delineata nei suoi tratti essenziali.

Tutto questo ci fa dedurre che attraverso i sinottici è possibile arrivare al Gesù della storia: Questo non si può certamente attribuire all'azione creatrice della massa amorfa ed anonima della comunità, ma soltanto a quelli che Luca chiama «i testimoni oculari », e che sono divenuti «ministri della parola» (Lc. 1, 2).

In Ebrei 2, 3 troviamo un ulteriore conferma che la primitiva tradizione cristiana risale a quelli che l'avevano udita per primi dalla bocca del Signore. Questi primi uditori e questi primi testimoni oculari erano ancora in gran parte viventi quando furono compilati i sinottici. La loro testimonianza è una garanzia evidente dell'autenticità storica dei fatti narrati nei Vangeli.

La forma popolare dei sinottici è facilmente comprensibile se si pensa che questi testimoni oculari e questi primi uditori, assieme agli evangelisti ed ai dottori che detennero gli uffici carismatici della predicazione e della parola, non erano dei letterati, ma appartenevano al semplice popolo.

Un fattore che senza dubbio contribuì alla plasmazione delle forme furono le necessità concrete delle comunità missionarie perché i missionari non parlavano ad uno spazio vuoto, ma a uomini radicati in un determinato ambiente di una tradizione spirituale e religiosa. A questa situazione missionaria bisogna indubbiamente attribuire un influsso attivo nella formazione di determinate forme della tradizione come l'apologetica contro i giudei ed i pagani, la parenesi per le necessità interne di edificazione e di esortazione, ecc. Anche il culto dovette costituire uno di tali fattori creatori di forme, sebbene il suo influsso non debba essere sopravvalutato. D'altronde non dobbiamo neppure sottovalutare la semplice necessità di un'istruzione più esplicita sulla vita di Gesù (Lc, 1, 2). Bisogna anche tenere nel dovuto conto la possibilità che i missionari cristiani, che non erano stati testimoni oculari della vita di Gesù, avessero avuto a loro disposizione determinati schemi e collezioni della predicazione missionaria, come delle parole del Signore e dei luoghi comuni per la prova scritturistica del messaggio da diffondere.

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