L'intero brano da Ge 1,
1 a 3, 25 può essere articolato
in tre
quadri:
I l racconto di Genesi, che va da 1, 1 fino a 2,1-4a, forma il prologo del Pentateuco ed è una delle pagine più belle e maestose di tutto l'Antico Testamento.
Non si può dire che sia stato scritto in un linguaggio strettamemte poetico perché il suo scopo è prevalentemente didattico. Allo stesso tempo però non ha lo stile della prosa ordinaria, ma ogni sua singola parte è stata studiata per armonizzarsi con tutto l'insieme. In questo modo il complesso del brano acquista una struttura del tutto particolare, sia per essere facilmente ricordato a memoria, sia per raggiungere determinati effetti.
L'artificio consiste, anzitutto, nel fatto che il processo creativo, preceduto da un'introduzione (1,1 s.) e seguito da una conclusione (2, 1-4a), è presentato in otto quadri. Se si trattasse di una poesia, dovrebbero chiamarsi strofe o stanze, descriventi ciascuna un'opera della creazione in termini simili alle altre.
La narrazione delle otto opere è fatta mediante alcune formule che si ripetono in maniera costante in quasi tutte le opere, mentre varia la parte che descrive l'opera particolare di ogni quadro. Ma anche questa parte variabile è suddivisa in ciascun quadro in due tempi: comando ed esecuzione, in modo che l'esecuzione ripeta da vicino i termini del comando.
Questo susseguirsi di otto opere con le stesse formule sembra costruito apposta per mettere in grande risalto l'opera finale e cioè la creazione dell'uomo. In quest'ultima, infatti, risulta evidente uno svolgimento più ampio ed elevato nel quale il linguaggio, a cui l'orecchio si era abituato, si stacca notevolmente dal precedente.
In secondo luogo l'artificio consiste nel disporre le otto opere in due serie parallele di quattro ciascuna, in modo che le opere della prima serie presentino la creazione degli spazi, mentre le opere della seconda serie descrivino la creazione degli esseri che vengono collocati in questi spazi. Le opere si corrispondono e si richiamano a due a due in questo modo: I-V; II-VI; III-VII; IV-VIII; L'ultima corrspondenza esiste, come si vedrà nel commento, ma non è perfetta, essedo l'ultima opera, la creazione dell'uomo, qualcosa di totalmente nuovo e straordinario.
Dal seguente schema si può comprendere meglio quanto detto sopra:
I |
Opera:
la Luce |
V |
Opera:
gli astri |
II |
Opera:
separazione delle acque |
VI |
Opera:
i pesci e gli uccelli |
III |
Opera:
separazione della terra dalle acque |
VII |
Opera:
gli animali |
IV |
Opera:
la vegetazione |
VIII |
Opera:
l'uomo
(maschio e femmina) |
Un terzo artificio
consiste nel distribuire le otto opere in sei
giorni, una per ogni giorno, ma due nel terzo e,
parallelamente, nel sesto. Il settimo giorno si trova
nella conclusione:
1° giorno | 1° opera |
2° giorno | 2° opera |
3° giorno |
3° opera 4° opera |
4° giorno | 5° opera |
5° giorno | 6° opera |
6° giorno |
7° opera 8° opera |
7° giorno | riposo |
«
Nel principio DIO (Elohim)
creò il cielo e la terra
»
.
La parola«
principio» ha
riferimento a quanto segue poi dal versetto 3 al versetto
31 e significa «
in primo luogo ».
Che in questo versetto significhi l'inizio del tempo lo si deduce con il ragionamento (senso conseguente), perché il tempo è la misura del movimento e quindi il tempo non esiste prime delle cose che si muovono; ma la nozione filosofica del rapporto tra tempo ed eternità qui non è espressa.
«Dio », in ebraico, Elohim , plurale maiestatico, esprime l'idea della « Divinità », mentre Jahvè , non viene mai usato in questo capitolo, è un nome personale della divinità, quando entra in rapporto con gli uomini.
«Creò », ebraico barà, è il verbo che si usa esclusivamente parlando di un'azione divina, che ha per effetto qualcosa di nuovo e di straordinario. Per sé il verbo non indica il concetto di creazione dal nulla: nessuna lingua può avere un vocabolo così specializzato. Ma la creazione dal nulla si può dedurre dal contesto, dal fatto che Dio ha formato il cielo e la terra, cioè tutto il mondo visibile con tutti i suoi componenti, mentre d'altra parte non si menziona alcun elemento preesistente alla creazione.
L'oggetto di questa creazione è il cielo e la terra cioè l'universo visibile, espresso mediante le due parti di cui risulta. La lingua ebraica non offriva altra possibilità per esprimere l'idea dell'universo, e d'altra parte il binomio terra e cielo si trova con lo stesso significato nei documenti sumerici e babilonesi. E' così che, senza contraddizione, si può capire come in questo cielo-terra verrà distinta al v. 8 una parte che sarà chiamata cielo, e al v. 10 una parte che si chiamerà terra.
La terra era un deserto (tohu) e un vuoto
(bohu). Si tratta di due parole usate raramente, la seconda
solo in Gr 4, 23 (con tohu) e in Is 34, 11; l'applicazione del
termine
tohu a una regione
deserta (Dt 32,10; Sl. 107, 40; Gb 6,18; 12, 24) è probabilmente
derivata, e non obbliga ad intendere questo passo come una descrizione
della terra deserta, ma piuttosto come un'affermazione della
sua totale privazione di ciò che poi (nei vv. 9-13 e 24-28)
verrà a determinarla e riempirla. Si tratta comunque non di
ciò che chiamiamo il pianeta terra, ma della sua parte solida.
Siccome in certi casi il senso di tohu si avvicina a quello di niente
(Is. 41, 29; 44, 9; 49, 4), alcuni sono del parere che qui non si
parli di uno stato provvisorio (che noi chiamiamo con la parola
greca caos) conseguente alla prima creazione, ma del punto di partenza
stesso della creazione, in cui gli elementi che poi esisteranno sono
descritti in modo da indicare la loro non esistenza.
Abisso
è la parola tradizionale in cui
si suole tradurre il termine ebraico
tehom
, che indica la raccolta di acqua distesa sotto la terra, donde
scaturiscono le sorgenti e i fiumi(come in Ge 7, 11; 8, 2; 49,
25; Dt 8, 7; 33, 13).
Questo abisso acquatico è posto
in diretto contatto con le
tenebre
, il che significa che non si trova al suo posto sotto
terra ma sopra. La terra è dunque sommersa. come è
confermato alla fine del v. 2, dove lo Spirito
aleggia sulla superficie
. Le tenebre sono un elemento negativo, che
viene a completare la descrizione di ciò che ancora
non era la terra in quella prima sua condizione. A questa deficienza
rimedierà al v. 3 la creazione della luce.
Lo Spirito di Dio
(ruah Elohim) che aleggia sulle acque, cioè
sulla superficie del tehom avvolto dalle tenebre, è la
forza creatrice di Dio che si accinge amorosamente ad operare
sull'universo ancora caotico. Per questa interpretazione dello
spirito si veda lo stesso concetto espresso nel
Sl 33, 6: «
Con la parola di Jahvè sono stati
fatti i cieli e con lo spirito della sua bocca tutto il loro
esercito
», dove lo
spirito
è parallelo alla
parola creatrice
. Nel verbo
aleggiava
(merahefet) si esprime un paragone poetico con l'azione
dell'aquila, la quale muove le ali rimanendo librata sul proprio
nido: paragone sviluppato in Dt 32, 11.
Meno probabili sono le altre spiegazioni
dello
spirito
come di un vento impetuoso mandato da Dio, oppure
come di un vento caotico, cioè senza direzione, che soffia
rimanendo sempre nello stesso punto. Quest'ultima interpretazione
è connessa con tutto il modo di intendere il v. 2 come una
descrizione pittoresca del nulla: la terra era un vuoto, il mare era
tenebre, il vento non si spostava da un luogo all'altro, e dunque non
era un vento.
La difficoltà del v. 2, che rende
possibile la precedente interpretazione e l'altra simile
citata a proposito di tohu
wabohu
, è data dal fatto che la parola
tehom
e ruah
(Spirito) non ritornano in seguito nelle opere
dei sei giorni. E' forse meglio fare l'ipotesi che tutto il
capitolo non sia perfettamente unitario. Nel v. 2 si sarebbero
gli elementi di una storia della creazione più vicina
alle cosmogonie antiche, ma che è rimasta troncata, e in tale
stato di frammento, in un nuovo contesto, ha cambiato il senso originario.
Inoltre l'opera dei sei giorni mostra gli
indizi della composizione di due sistemi non omogenei: le opere
sono otto, ma i giorni sei; inoltre alle espressioni più
teologiche
Dio disse
si alternano quelle più arcaiche
Dio fece
(1,7.16.25.26; 2,2s.). Fatta questa ipotesi, possiamo
rendere ragione in un modo o nell'altro delle anomalie, ricercando
l'eventuale senso originario, ma nello stesso tempo affermiamo
che il senso biblico definitivo è quello che le parole prendono
nell'attuale contesto.
Riassumendo: nel versetto 1 s. si narra
la creazione prima, in seguito alla quale il mondo, non ha
il suo aspetto definitivo, ma vi si presentano come tre zone dall'alto
in basso; la zona delle tenebre, la zona delle acque e quella
della terra. L'azione divina si eserciterà successivamente
su ciascuna di queste tre zone.
Primo Giorno, prima opera (vv. 3 ss.)
Si tratta della creazione della
luce.
Dio disse (lieve
antropomorfismo): il comando di Dio è espresso da una
locuzione; noi oggi diremmo: Dio volle che ad un certo momento
esistesse un effetto creato. L'espressione
Dio disse è
la formula di introduzione a ciascuna delle otto opere.
«
Vi sia luce!
». E vi fu
luce ; la luce non è
di per sé legata al sole: esistono infatti altri corpi
luminosi, e può essere considerata come distinta dai
corpi stessi, la cui creazione è riferita ai vv. 14-19. Così
Giobbe 38, 12 s. 19 s. descrive la luce come raccolta in magazzini
celesti, donde viene emessa all'inizio del giorno.
C'è da notare come in questa prima
opera comando ed esecuzione siano brevissimi e quasi corrispondano
l'uno all'altro. L'espressione usata per l'esecuzione sostituisce
la formula «
E così avvenne
» che viene impiegata poi sempre nelle
opere successive.
Dio vide che la luce era buona
(o era un bene) è la formula di
approvazione: esprime che l'effetto dell'opera creatrice corrisponde
esattamente all'idea divina e che questa idea è un
bene.
Dio separò la luce dalle tenebre
, vuole indicare che Dio stabilì
che la luce e le tenebre si avvicendassero regolarmente formando
così una successione di tempi luminosi e di tempi oscuri.
Dio chiamo la luce giorno e chiamò
le tenebre notte
: è la formula
di imposizione del nome. Si tratta
di un antropomorfismo da intendersi secondo le concezioni dell'antico
Oriente: il nome rappresenta l'essenza della cosa; per cui imporre
il nome significa stabilire anzitutto un atto di sovranità
(vediamo un esempio in 2 Re 24,17 dove il re di Babilonia cambia
il nome al nuovo re da lui imposto a Giuda da Mattaniah a Sedekia per
stabilire così la sua sovranità su quel regno) e poi
anche, trattandosi in un primo nome di un essere appena creato, determinare
la sua essenza.
Questo
giorno
e questa
notte
corrispondono al tempo della
luce
e al tempo delle
tenebre
, prescindendo dalla funzione del sole. Si tratta
dunque qui del giorno di 12 ore.
E venne sera, poi fu mattina
: un giorno
: la successione di luce e di tenebre,
stabilita da Dio appena creata la luce (v. 4), incomincia
a funzionare. Così dopo un certo tempo dalla creazione
della luce viene sera e quindi si fa notte fin quando comincia ad
albeggiare. Si ha così la prima coppia giorno-notte e cioè
il primo giorno di 24 ore. Giorno ha quindi significati diversi:
qui 24 ore ed al v. 5 12 ore. Si noti inoltre come il sistema di computare
i giorni sia qui da una mattina all'altra e non dal tramonto, come
avviene invece nei testi liturgici (Es 12, 18; Lv 23, 32; Nm
13, 19) .
Secondo giorno, seconda opera (vv. 6 ss.)
La creazione del firmamento separa il mare
dal cielo. Firmamento vuol significare qui uno strato solido.
Il termine ebraico indica qualcosa come una lamina, e i LXX, non
avendo altra parola, tradussero con il termine greco
steréoma
che significa
solidità
,
punto di appoggio
e che Gerolamo nella Vulgata tradusse fedelmente con il termine
latino
Firmamentum
, che in latino classico significa solo fermezza
e sostegno, e mai serve ad indicare il cielo. Questo termine
fu adottato invece nelle lingue neolatine per indicare la volta
celeste, il cielo.
Il firmamento è dunque concepito
come una lamina che trattiene al di sopra si sé le acque
superiori, quelle che precipitano talvolta sulla terra in forma
di pioggia (Gen. 7, 11). Sembra dunque dire che dapprima nella massa
delle acque si formò una lamina, la quale poi innalzandosi
sollevò con sé le acque che stavano sopra.
L'imposizione del nome, che significa l'ingresso
di questa creatura nella realtà delle cose esistenti,
sottolinea che solo a questo punto comincia ad esistere un cielo
distinto dal mare.
Si noti che la formula di esecuzione così fu si trova nel Testo Masoretico alla fine del v. 7, ma i critici, seguendo in questo la versione dei LXX, preferiscono porla alla fine del v. 6, per analogia con i vv. 9, 11, 15, 24, 30. A differenza delle altre opere manca poi la formula e Dio vide che questo era buono
Terzo giorno, terza opera (vv. 9 ss.)
Divisione dell'acqua dalla terra asciutta:
Qui abbiamo alcune divergenze fra il Testo Masoretico
e la traduzione dei LXX. Per il Testo Masoretico, seguito dalla
Vulgata di Gerolamo, le acque si raccolgono in un unico
luogo
, mentre per i LXX, le acque si raccolgono in una sola
massa
(in greco sinagoghé), in accordo anche con
il v. 10 che parla appunto di
raccolta
delle acque. Questo fatto non cambia molto il senso
del passo. Per la precisione aggiungiamo che le acque marine
sono considerate una sola massa (congregazione per usare il termine
greco dei LXX) in quanto sono comunicanti fra loro, mentre la terra
ferma ne emerge come un'isola. Dopo la formula
e
così fu
, la versione dei LXX riporta la descrizione dell'esecuzione
che molti critici inseriscono nel testo: «
Le acque che sono sotto il cielo si ammassarono
nelle loro masse (congregazioni) ed apparve l'asciutto
».
Nell'imposizione del nome il
mare
è al plurale «
mari
», che alcuni traducono anche «
il grande mare
» (Ge 49, 13) indica con questo nome il
Mediterraneo) in contrapposizione ai laghi pure chiamati
con il nome di «
mare
» (cfr. il mare di Galilea, Mt. 4, 18).
In questa terza opera manca la formula
conclusiva, perché prima che finisca il terzo giorno
viene eseguita un'altra opera.
La creazione della vegetazione è
presentata come operata dalla terra per ordine di Dio:
Poi Dio disse: «
Faccia la terra germogliare la verdura....
»
(v. 11)
E la terra produsse verdura.....
. Ciò però indica piuttosto
il luogo che non l'elemento costitutivo o la causa efficiente,
come appare dal confronto col v. 20 s., dove un'espressione
simile si usa per le acque, le quali producono un
brulichio
di esseri viventi che tuttavia sono detti esplicitamente
creati da Dio: «
Così Dio creò i grandi animali
acquatici e tutti gli esseri viventi che si muovono, di
cui brulicano le acque
».
La vegetazione è distinta in tre
categorie: La verdura o erba dei campi, di cui non appare evidente
la semenza, le erbe produttrici di semenza, cioè i cereali
tanto utili per l'alimentazione, e gli alberi da frutto. L'autore
ispirato classifica i vegetali dal punto di vista dell'alimentazione
che verrà poi presa in considerazione nei vv. 29 e 30.
La versione della Vulgata non ha molto
chiara questa divisione perché identifica le prime
due categorie di erbe; la divisione tripartita si basa sull'accentuazione
del Testo Masoretico e sul confronto con i vv. 29 e 30, dove la
prima categoria è considerata come nutrimento degli animali,
mentre la seconda, assieme agli alberi da frutto, è considerata
l'alimento degli uomini.
Con questa quarta opera viene terminata la prima fase della creazione in cui vengono preparati gli spazi o meglio gli ambienti in cui verranno collocate le creature semoventi della seconda fase.
Quarto giorno, quinta opera (vv. 14-19)
S
i tratta del completamento della prima
opera a cui questa è parallela: negli spazi della
luce e delle tenebre si collocano rispettivamente gli oggetti
luminosi del giorno e della notte.
«
Vi siano dei luminari nel firmamento dei cieli per separare
il giorno dalla notte
». Essendo già avvenuta la separazione del
giorno dalla notte nella prima opera, l'autore con l'espressione
"
separare il giorno dalla notte
" intende che gli astri relativi contraddistinguono
il tempo luminoso dal tempo tenebroso. Infatti aggiunge subito
«
siano per segni per stagioni, e per giorni e per anni
». Solo all'ultimo mette la funzione
che dovrebbe essere quella principale «
e servano da luminari nel firmamento dei cieli per
far luce sulla terra
». Forse per la concezione che il succedersi della luce
e delle tenebre non è fatto dipendere dalla luce solare.
Da notare che il sole è designato
come «
Il luminare maggiore
» e non con il suo nome proprio perché
corrispondente al nome della relativa divinità
pagana. A scanso di equivoci si
tratta di un fanale e non di un dio! Allo stesso modo «
Il luminare minore
», cioè la luna, il cui nome è
evitato per non confonderlo con il dio Luna.
Le espressioni « per governare il giorno » « per governare la notte » sono delle metafore evidenti per indicare la posizione preminente di questi astri nel tempo a loro assegnato
Quinto giorno, sesta opera (vv, 20-23)
Si tratta di procurare gli abitanti al
regno delle acque: gli uccelli per le acque superiori i i
pesci per le acque inferiori. Questa è dunque un'opera
parallela alla seconda. «
I grandi animali acquatici e tutti gli esseri che
si muovono, di cui brulicano le acque
»: non si tratta soltanto dei pesci, ma comprende
tutta
la svariata fauna marina. Con il termine «
ogni volatile
» si indicano non solo gli uccelli, ma tutti i vertebrati
e gli insetti provvisti di ali.
L'accenno alla «
specie
» non significa necessariamente che Dio abbia fatto
esistere già distinte all'inizio tutte queste specie,
ma semplicemente che tutte le specie nella loro varietà
sono opera di Dio.
Sesto giorno, settima opera (vv. 24 ss.)
In corrispondenza della terza opera che
aveva messo allo scoperto la terra asciutta, ora si fornisce
la terra di abitanti: gli animali terrestri, per i quali non
si ripete la benedizione, perché a questo punto i viventi
non sono più una novità. Con l'espressione «
la terra produca
» non sembra che si alluda alla terra come elemento
materiale da cui furono tratti gli animali, come in Gen. 2, 19,
perché un'espressione simile viene detta anche a proposito
delle acque al versetto 20.
Gli animali terrestri sono divisi in tre categorie: Bestiame, cioè animali domestici, come indica il termine ebraico; i rettili, cioè tutti gli animali che strisciano o anche camminano rasente terra, come gli insetti ed i piccoli mammiferi; le fiere della terra, cioè gli animali selvatici e feroci. Non si tratta di una classificazione scientifica, ma di una classificazione che bada più all'utilità degli animali ed al loro comportamento esteriore.
Come dopo la terza opera, anche qui manca
la formula conclusiva perché, prima che termini il giorno,
avrà luogo l'ultima e la più splendida creazione.
A differenza di quanto è avvenuto
finora, l'autore presenta Dio che prima di creare l'uomo
si consulta con sé stesso e in un certo senso invita
sé stesso a compiere quest'opera. In una narrazione così
uniformemente schematica ogni piccola variazione prende grande
rilievo. Il lettore o colui che ascolta questa narrazione, abituato
all'uniformità degli schematismi delle formule che si
ripetevano da un'opera all'altra, viene scosso dal variare del ritmo
e la sua attenzione viene maggiormente impegnata. L'autore, consapevole
dell'importanza del messaggio che sta per dire, rompe volutamente
il ritmo della narrazione per attrarre maggiormente l'attenzione ed
allo stesso tempo per sottolineare la grandiosità dell'opera
che sta per compiersi. In quest'opera infatti le variazione sono molteplici
e significative.
«
Facciamo l'uomo
». La forma plurale del verbo in prima persona
nella bocca di Dio appare solo qui e in Ge 3, 22; 11, 7; Is.
6,8; in tutti questi casi si tratta di un plurale deliberativo,
esprimente il fatto psicologico che una persona nell'atto di prendere
una decisione si sdoppia mentalmente in due, una che dà il
consiglio o l'esortazione e l'altra che lo rceve.
«
L'uomo
» (adàm) è qui come un collettivo
esprimente il genere umano. L'uomo deve essere creato a «
nostra immagine
» e cioè l'essere risultante da
questa nuova creazione sarà una immagine, una statua
vivente della Divinità.
L'espressione «
a
nostra somiglianza
», a differenza della precedente vuol
significare il rapporto intimo ed astratto che deve sussistere
tra l'immagine ed il modello perché l'immagine sia
veramente tale. In cosa consiste questo rapporto di somiglianza
fra l'uomo e Dio? La spiegazione più naturale sembra quella
di identificare questa somiglianza con la natura spirituale dell'uomo.
Poiché gli antichi Israeliti non avevano un vocabolario adatto
per esprimere il concetto di questa spiritualità, essi avevano
la possibilità di farlo solo attraverso gli effetti. La
somiglianza con Dio è quindi quella tal cosa che è nell'uomo,
per cui egli è superiore agli animali, ha diritto a dominarli,
e, diversamente da loro, ha diritto all'inviolabilità della
propria vita (Ge 9, 6). Il testo che segue immediatamente dopo ne è
una esplicita conferma: «
abbia dominio sui pesci del mare, sugli
uccelli del cielo, sul bestiame e su tutta la terra, e su tutti
i rettili che strisciano sulla terra
». Nella versione dei LXX ed in quella
Siriaca, in accordo con la precedente divisione degli animali,
troviamo: «
su tutte le fiere della terra
» al posto della generica espressione
«
su tutta le terra
».
A questo punto la narrazione si stacca
nettamente dal solito stile e prende un andamento poetico
e solenne che si manifesta in tre parti, in ognuna delle quali
ricorre per la terza volta il termine "
barà
" (=creò): «
Così creò l'uomo a sua immagine,
lo creò ad immagine di Dio, li creò maschio
e femmina.
». Poiché l'uomo è un collettivo, non
è necessario tradurre «
un maschio e una femmina
». Questo concetto risulta chiaramente
dal cap. 2, ma qui la narrazione si mantiene sulle generali
e vuol significare che la differenza dei sessi nella specie umana
è opera di Dio e corrisponde al suo disegno. Viene così
introdotta la successiva benedizione del genere umano: «
E Dio li benedisse, e Dio disse loro: -
Siate fruttiferi e moltiplicatevi, riempite la terra
». L'espressione è del tutto simile
a quella del v. 22 per la benedizione delle prime creature
viventi: i pesci e gli uccelli. Come non è pensabile che
Dio abbia parlato ai pesci ed ai volatili, così non è
altrettanto necessario intendere che Dio si sia rivolto direttamente
agli uomini con questa locuzione. Si tratta piuttosto della benedizione
nuziale data a tutto il genere umano per mezzo della quale si ha la
conservazione della specie attraverso la generazione che in definitiva
altro non è che un prolungamento della creazione stessa..
Tuttavia, il genere umano, a differenza degli animali che seguono
il loro istinto, è stato reso consapevole dei disegni di
Dio in virtù della sua somiglianza con Lui.
All'uomo viene assegnato il nutrimento:
si tratta della seconda e terza categoria dei vegetali ricordati
nell'opera quarta (v. 11 s.), in quanto i frutti e specialmente
i cereali sono un cibo appropriato per l'uomo. C'è da notare
che in questo accenno al cibo degli uomini ed anche in quello successivo,
al cibo degli animali, viene stabilito un chiaro parallelo concettuale
fra la quarta e l'ottava opera. Nella quarta opera vengono creati
i vegetali, mentre nell'ottava ne viene fissata la destinazione.
A tutti gli animali invece viene assegnata come cibo la prima categoria
di vegetali: l'erba
verde che sembra apparentemente non avere seme.
Abbiamo qui anche una presentazione vegetariana
dei viventi all'inizio della creazione che costituisce un
tratto caratteristico della visione paradisiaca del mondo in
cui non esiste ne male ne violenza. L'assenza del male morale viene
espressa mediante l'assenza del male fisico, come avviene nella descrizione
simbolica di Is. 11, 6 s. «
Il lupo abiterà con l'agnello e
il leopardo giacerà con il capretto....e il leone si
nutrirà di paglia come il bue....Non si farà ne
male ne distruzione
». Se noi ammettiamo che il male abbia trasformato
profondamente anche il mondo fisico che non ha rapporti diretti
con l'uomo, come ci viene descritto da Paolo in Rom 8, 20-22, ,
si comprende come l'autore di Ge 1 ci presenti qui un quadro simbolico
del mondo non ancora contaminato dal male, come farà Isaia
per il mondo governato dal Messia.
La narrazione termina con la solita formula: « Allora Dio vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono ». La piccola variante "molto" è molto significativa se si pensa che l'autore ha nella mente in primo luogo la creazione dell'uomo.
Conclusione, il settimo giorno (v. 2, 1 s)
«
Così furono terminati i cieli e la terra, e tutto
il loro esercito » La
parola " esercito
" viene resa dalla Vulgata con il termine latino "
ornatus " che indica
si l'ornamento degli spazi celesti e terrestri, ma sopratutto vuole
metere in evdenza che si tratta di quache cosa che
vi si sposta dentro,, che guizza, vola, striscia o cammina.
«
Pertanto il settimo giorno , Dio terminò l'opera
che aveva fatto ». Il
termine ebraico " settimo
", reso dalla Vulgata con "
septimo " non sembrava esatto,
per cui il testo Samaritano, i LXX e la versione Siriaca lo sostituiscono
con " sesto
", seguiti in questo anche da molti critici moderni. Ma
il giorno "sesto" è già stato eliminato in 1, 31, mentre
l'idea del completamento dell'universo si trova espressa in 2,
1. Ormai si tratta del giorno settimo in quanto non è senza
motivo che viene data un'enfasi particolare a questa espressione
ripetendola per ben tre volte. Si può quindi intendere la
frase che Dio ha terminato la sua opera nel settimo giorno in senso
dichiarativo: Dio dichiarò terminato il suo lavoro. Con ciò
si vuol dire che il mondo era stato si terminato nel sesto giorno,
ma non era stata esaurita la potenza di Dio, il quale nel settimo
giorno giudicò di non volere creare più oltre. Il testo
infatti continua dicendo: « e nel
settimo giorno si riposò da tutta l'opera che aveva fatto
» (v. 2, 2). Se si considera che l'idea del
verbo ebraico " sabat
" non è quella del riposo, ma della cessazione,
si comprende come il testo su menzionato dovrebbe correttamente
essere tradotto: «
cessò da tutta l'opera che aveva fatto
». Infatti Dio non continuò più
a creare. In Es. 20, 11: «
L'Eterno (Jahvé) ....riposò nel settimo
giorno » è
espressa in modo antropomorfico l'idea del riposo divino, presentato
come modello del riposo umano.
«
E Dio benedisse il settimo giorno
», lo rese cioè un giorno pieno di favori
divini «
E lo consacrò
» cioè lo separò dagli altri giorni dandogli
una destinazione sacra.
La legge del riposo festivo qui non è esplicitamente proposta, ma ne viene posto soltanto il fondamento
Il contenuto di Gen. 1, 1 -
2, 4a , dal punto di vista letterario,
è di natura storico-artistica. Storica in quanto, pur non
rappresentando degli avvenimenti umani, espone una dottrina attraverso
dei fatti che si sono svolti nel tempo. Artistica in quanto si
serve di una determinata forma per presentare questa dottrina. L'elelento
artistico non rappresenta quindi l'oggetto della dottrina, ma ne
è semplicemente il mezzo.
L'elemento dottrinale consiste nei seguenti punti:
1.
Dio esiste prima e al
difuori del tempo
2.
Il mondo in tutti i suoi
aspetti è creato da Dio, pertanto non è una parte
di Dio, e nessuna cosa creata può avere dignità divina,
non il sole e la luna, adorati dai Babilonesi, non gli animali sacri
agli Egiziani.
3.
Il monoteismo è
espresso in modo equivalente, perché riferendo l'origine
di tutte le cose, l'autore sacro non accenna a nessun concorrente
o aiutante o avversario del Creatore. Forse è per rendere
più semplice l'esposizione del monoteismo che l'autore non
parla esplicitamente della creazione degli angeli. Ciò può
tuttavia spiegarsi per il fatto che qui si intende parlare solo del
mondo visibile.
4.
La creazione operata
col solo comando della parola, senza sforzo, esprime l'infinita
potenza di Dio.
5.
L'ordine della creazione
esprima la sapienza di Dio.
6.
Tutte le crature sono
b u o n e, in quanto corrispondono al disegno divino che è
la norma del bene. E' così escluso in antecedenza l'errore
del dualismo dei Manichei e di altre sette; la materia non si contrappone
a Dio come un male.
7.
L'uomo è la più
sublime delle creature visibili, in quanto in lui risiede una
somiglianza con Dio, che lo rende immagine vivente della divinità.
8.
Per questo l'uomo è
il sovrano della terra e di quanto essa contiene; egli ha il
diritto di disporne per la sua necessità.
9.
La distinzione dei sessi
è opera di Dio; e la generazione è l'adempimento
di un disegno stabilito da Dio per la moltiplicazione degli esseri
umani.
10.L'assestamento del mondo creato è avvenuta
progressivamente, secondo l'ordine richiesto dalla sapienza
divina. Anche il fatto, scientificamente certo,
che l'uomo è apparso per ultimo,
è insegnato qui da un punto di vista religioso, piuttosto
che storico scientifico: tutte le altre creature precedono l'uomo,
affinché venendo egli non trovi nulla mancante di quello che
gli deve servire. In questa visione religiosa dell'universo, gli stessi
astri sono al servizio dell'uomo.
11.L'azione creatrice di Dio, in quanto nel tempo
ha avuto un effetto di una certa durata, deve essere il modello
sublime del lavoro umano; come pure la cessazione dell'apparire
di nuovi effetti creati, presentata antropomorficamente come la
cessazione dell'azione divina, deve essere il modello del riposo
sabatico.
12.La creazione è l'inizio della storia
della salvezza. Questo punto essenziale, messo forse poco in
evidenza dagli studiosi fino ad epoca recente, si fonda sul contesto
e su altri passi biblici che collegano strettamente il concetto
di Dio creatore e di Dio salvatore. Questo secondo concetto apparve
per primo nella coscienza religiosa di Isarele, perché
rivelato attraverso l'esperienza della storia: la liberazione dall'Egitto
principalmente, e, in epoca di maggiore riflessione teologica, l'improvvisa
cessazione dell'esilio babilonese. Questa liberazione, che si trova
trasfigurata con i colori della salvezza operata nel passato e
della futura era messianica, si trova altresì congiunta con
la menzione del Dio creatore, come per esprimere che ogni salvezza
operata nella storia è come l'inizio di una nuova creazione,
e che l'antica creazione è da considerarsi come il primo atto
della volontà divina di portare il popolo di Dio alla salvezza
definitiva (Cfr. Is. 40, 12-31;41, 4; 44, 24-28; 45, 11-14; ecc). Il
fatto che alla stessa epoca di riflessione teologica si trovi all'inizio
della storia sacerdotale una così grandiosa composizione
sulla creazione del mondo e dell'uomo, ci assicura che tale è
appunto il significato che le si voleva attribuire. Del resto anche
la più antica storia jahvista aveva già collegato l'origine
dell'umanità (Ge 2, 4b ss.) con il filo d'oro delle promesse
divine di salvezza.
La forma artistica che è semplicemente
il mezzo od il modo di espressione non va assolutamente confusa
con l'insegnamento dottrinale contenuto nel brano di Ge 1, 1
- 2, 4a.. Questa forma artistica consiste in:
1.
La concezione ideale del mondo fisico.
L'autore ispirato descrive il mondo secondo l'immagine
ideale che ne avevano i suoi contemporanei: la terra pianeggiante
posta sopra l'abisso acquatico e circondata dal mare, sormontata
da una volta o cupola solida che sostiene le acqua celesti; lungo
la volta celeste si spostano i corpi luminosi,la cui grandezza è
giudicata da quanto appare agli occhi.
2.
La disposizione schematica delle otto opere
, la quale corrisponde ad un criterio artistico
e quindi non oggettivo. Il criterio, come abbiamo già
detto, è di disporre le opere in due serie parallele il
cui principio distintivo è quello della stasi e del movimento:
una serie che costituisce lo scenario fisso e un'altra serie che
comprende gli esseri che si muovono in tale scenario. Questa ragione
di simmetria è l'unico motivo della inserzione dei vegetali
prima degli astri. Se noi consideriamo le otto opere come otto strofe
di un poema scritto per esaltare la creazione, non ci meraviglieremo
di trovare tra le opere un ordine e un nesso ideale, poetico, rispondente
ad esigenze d'arte e di espressione. Vi è qui qualcosa di
simile, pur non trattandosi versi ritmati.
3.
La menzione dei sei giorni più il settimo
. Questo modo di presentare l'azione e il riposo
divino ha lo scopo di insegnare il fondamento della settimana,
con la sua alternanza di sei giorni lavorativi e di un giorno
festivo. Anche se in realtà Dio non ha portao a termine la
creazione in sei giorni o periodi, rimane pur sempre l'insegnamento
sul fondamento della settimana. Non si può qui prendere
alla lettera questa distribuzione del lavoro divino. Si tratta
evidentemente di un antropomorfismo in quanto tutto l'insegnamento
biblico sta ad insegnare che Dio non agisce come l'uomo. Contro
una tale interpretazione troppo materiale del riposo divino nel
settimo giorno sta anche l'espressione di Gesù, accusato di
guarire il giorno di Sabato: «
Il Padre mio opera fino ad ora, ed anch'io opero
» (Gv. 5, 17). In conclusione Dio ha voluto
che la terra assumesse ad un certo punto un aspetto definitivo,
e quindi, dal punto di vista della terra, che non apparissero nuovi
generi di creature. Inoltre Dio ha voluto che fosse il settimo giorno
quello che gli uomini dovevano dedicare al riposo. Per questo ha voluto
che l'autore umano del libro della Genesi presenta l'inscrutabile
azione divina come divisa in sei giorni, seguiti da una cessazione nel
settimo.
Clemente Alessandrino (m. ca. nel 215) introdusse
il concetto che la creazione fu istantanea, ma la parola divina
la descrive come successiva, per motivi didattici.
Perfino Agostino nella sua opera "De Genesi ad
litteram", che mira a dare delle interpretazioni il più
possibile aderenti alla lettera, sostiene che la successione e
la disposizione delle opere in sei giorni va intesa in senso allegorico.
Con lui è d'accordo anche Tommaso d'Aquino.
Osserviamo inoltre che l'intezione didattica e
legistativa dell'autore ispirato ha suggerito uno schema di
sei giorni che non coincide con lo schema delle otto opere richiesto
dalla diversità delle opere stesse. Quindi la successione
dei sei giorni più un settimo ha esclusivamente una motivazione
artistica.
4.
Alcuni antropomorfismi
, già segnalati più sopra, appartengono
al modo di espressione e non alla realtà oggettiva in se
stessa, che, essendo una realtà divina, non può
essere espressa in modo adeguato. Essi sono le espressioni: «
Dio disse
»; «
Dio vide che era un bene
»;«
Dio chiamò...
»;«
Dio benedisse dicendo
»; così pure il cosulto con se stesso prima
della creazione dell'uomo (Ge 1, 26) e l'immagine di una cessazione
nel settimo giorno (Ge 2, 2).
Rapporti con la cosmogonia babilonese
Il fatto che l'autore abbia preso a prestito dalla
cosmogonia babilonese preesistente qualche elemento secondario
non compromette l'ispirazione dello scritto sacro, in quanto,
come abbiamo visto più sopra, si tratta del mezzo espressivo
e non del contenuto della sua opera.
Anzitutto vi è la stessa concezione della
struttura dell'universo: Questo significa soltanto che tale
concezione, essendo un fatto comune all'epoca dello scrittore,
fu usata tanto da lui che dai Babilonesi
Altri punti di convergenza li troviamo: nell'imposizione
del nome; nella fissazione del destino delle singole creature
(nel racconto biblico, però, non si parla di un fatto
magico, ma di una semplice destinazione o scopo); nel consulto
prima della creazione dell'uomo; nell'idea dell'acqua primordiale,
espressa con la stessa parola "
Tehom " con la
differenza, però, che nella cosmogonia babilonese la "
Tiâmat
" era considerata una dea femminile, mentre nella Bibbia la
" tehom
", pure femminile, significa solo l'acqua sotterranea.
Accanto a queste piccole convergenze c'è
un'enorme differenza delle concezioni religiose. A parte il politeismo
di cui sono permeate le cosmogonie babilonesi, esse fanno derivare
l'universo dagli stessi progenitori degli dei. Tali progenitori
da vivi generano gli dei e da morti servono da materiale per la costruzione
dell'universo.
La più importante cosmogonia babilonese
è chiamata Enûma elîsh (=Quando in alto)
dalle parole con cui inizia. Essa fu scoperta nel 1876, tra i documenti
dissepolti (1846-1851) nella biblioteca di Assurbanipal (669-626
a.C:) e gettò molto scalpore tra i biblisti che vi videro
il modello da cui poteva dipendere il racconto biblico. In realtà
se esaminiamo anche solo un breve riassunto di quest'opera ci rendiamo
subito conto dell'abissale differenza che esiste rispetto allo scritto
sacro del lbro della Genesi.
Il racconto dell'Enûma elîsh si può
brevemente riassumere così: Quando ancora non esistevano
il cielo e la terra, due esseri divini, Apsû (l'abisso,
l'oceano sotterraneo) e Tiâmat (il mare, principio femminile)
si congiunsero e da questa unione nacquero successivamente tutti
gli altri dei. Siccome costoro disturbavano il sono di Apsû,
il progenitore decise di distruggerli tutti. Se non che il sapiente
Ea, che sapeva ogni cosa, essendo venuto a conoscenza delle intenzioni
di Apsû, lo addormentò con formule magiche e lo uccise.
Con il suo corpo costruì l'Apsû, cioè il mondo sotterraneo
con l'oceano di acque dolci; così Ea divenne la divinità
del sottosuolo, delle fonti e dei fiumi. Tiâmat, da parte sua,
per vendicare il marito, genera un esercito di mostri. che spaventa
gli dei, i quali dopo molte discussioni eleggono come loro eroe e difensore
Marduk, figlio di Ea. Costui accetta l'incarico purché gli vengano
conferite tutte le prerogative degli altri Dei, il che venne fatto con
grande solennità. Così il poema celebra in modo mitico
il colpo di stato del Dio Marduk, il quale, da protettore della città
di Babilonia, salì al vertice del pantheon sumero-accadico,
quando la prima dinastia di Babilonia ebbe acquistato l'egemonia di
tutto il paese. Marduk, armato di tutto punto, prende Tiâmat in
una rete, le spacca il cranio con la sua picca, poi. fendendone il cadavere
in due parti come un'ostrica, con la parte superiore forma il cielo,
mettendo dei chiavistelli per trattenere le acque. Si tratta del mare
celeste, che sembra far riscontro al mare terrestre qui non nominato.
Ciò fatto Marduk forma gli astri e le altre
creature che non si possono specificare, data la grande lacuna
che vi è nel testo. Le circostanze della creazione dell'umanità
sono queste: gli dei partigiani di Tiâmat dovrebbero essere
schiavi degli altri, ma in un consesso gli dei vittoriosi decidono
di sacrificarne uno, il loro condottiero Qingu. Lo uccidono e con
il suo sangue Marduk costruisce l'umanità, alla quale impone
il servizio degli dei al posto dei vinti. Dopo di che gli dei, per
riconoscenza verso il loro sovrano, gli costruiscono una Babilonia
celeste con un tempio per la sua abitazione. Il poema termina con la
celebrazione dei cinquanta nomi di Marduk.
Alcune reminiscenze della lotta del Dio Creatore con l'elemento acquatico, totalmente assente nel racconto della creazione di Genesi 1, le troviamo in alcuni passi poetici della Bibbia a dimostrazione di come i saggi ed i profeti di Israele abbiano particolarmente apprezzato la forza che tiene il mare entro i suoi limiti e gli impedisce di sommergere la terra. Abbiamo queste reminiscenze ad esempio nel Sal. 104: 6-9, dove non troviamo tuttavia la personificazione degli elementi acquatici, come invece avviene in Sal. 74, 13 s., e, in un contesto escatologico anche in Is. 27, 1. In Giob. 38, 8-11 la personificazione del mare è quella di una creatura che nasce, riceve da Dio le cure di un neonato e l'ordine di non oltrepassare il limite. Come appare evidente dal loro contesto queste espressioni non vanno intese in senso mitologico. Si tratta qui di espressioni prese dalla mitologia per celebrare in maniera poetica la potenza del Dio Creatore.