L'ISPIRAZIONE
DELLA BIBBIA
di Fausto Salvoni
CAPITOLO VIII

BIBBIA E SCIENZA
(parte seconda)

( segue dalla prima parte )


4. Bibbia e scienza: due binari diversi

Gli studiosi più recenti poggiano sull'intento prettamente religioso della Sacra Scrittura, sganciando la Bibbia dalla scienza. Seguendo una tesi, già insegnata da Agostino e da Tommaso, accolta in seguito dal Galileo, i teologi più moderni insistono sulla necessità di guardare all'intento dello scrittore. Una nuova realtà può essere vista sotto aspetti e angolature diverse e conseguentemente presentata in forme differenti. Si consideri l'arcobaleno: per lo scienziato è frutto di rifrazione dei raggi di diverse lunghezze d'onda, per cui la luce viene così scomposta nei suoi elementi. Se lo scienziato sbaglia in questa valutazione compie un errore. L'artista ed il romanziere descrivono invece la bellezza incomparabile di tanti colori ed esprimono la piacevole sensazione che ne ricevono. Anche se la loro descrizione non si accorda con la scienza, non vi è alcun errore, in quanto essi non intendono presentare un'opera scientifica, ma solo le proprie sensazioni estetiche. L'errore ci sarebbe solo se sbagliassero nel comunicare le loro sensazioni di gioia o di tristezza suscitate da quei colori. Il teologo non ammira né il lato scientifico, né il lato estetico, bensì la bellezza di Dio che lo ha creato. Egli vi vede un segno di pace tra Dio e l'uomo; vi rinviene come una promessa di non voler più mandare un diluvio devastatore. Vi vede la misericordia divina dopo il pericolo di un temporale. Se sbaglia nella descrizione scientifica non compie un errore. L'errore vi sarebbe solo se errasse nel suo campo specifico, se la presentazione dell'amore misericordioso di Dio non fosse vero. Solo questa valutazione è garantita dall'ispirazione divina.

Giobbe può descrivere goffamente l'ippopotamo (Gb 40, 15), ma non errò scientificamente, poiché da tale descrizione popolare egli voleva trarre lo spunto per esprimere la grandiosa potenza di Dio sapiente (Gb 38).

L'insegnamento religioso della Bibbia non è presentato in forma astratta, come talora facciamo noi oggi, ma è inquadrato nella vita e nel mondo, che vengono descritti come appaiono ai sensi in funzione di una didattica religiosa. Il sole sembra sorgere e tramontare, spostarsi nel cielo, mentre la terra pare starsene immobile. Se l'acqua scende dal cielo deve ben esserci al disopra di esso. Questi dati non sono però ciò che la Bibbia vuole insegnarci, ma costituiscono solo la cornice entro cui il dato religioso si inquadra. Quel che importa è il quadro non la cornice. Per donare un messaggio religioso comprensibile, Dio non poteva fare altrimenti. Doveva ben parlare secondo il linguaggio dell'epoca, secondo le conoscenze scientifiche del tempo, altrimenti non sarebbe stato capito. Il rivelare cognizioni scientifiche moderne in quell'epoca sarebbe equivalso a screditare lo stesso messaggio religioso. Resa inverosimile la cornice scientifica contestabile, sarebbe divenuto incredibile anche l'insegnamento religioso incontestabile.
E' tutto ispirato nella Bibbia? Anche l'espressione scientifica? Si! ma solo indirettamente. Se scelgo un pittore che ha a disposizione certi colori, certi mezzi espressivi, accetto pure questi suoi colori e questi suoi mezzi, altrimenti ne ricercherei un altro più conforme ai miei gusti. Così Dio, ispirando l'autore di quell'epoca, ne accolse pure tutti i mezzi espressivi e tutte le sue cognizioni scientifiche che usa come strumento per un più efficace insegnamento religioso. Se Dio avesse voluto esprimersi scientificamente non sarebbe stato capito! Di più egli non avrebbe potuto esprimersi nemmeno con i dati della scienza attuale, poiché anche questa sarà rettificata da scoperte future. Quindi Dio doveva o accettare l'espressione popolare sempre vera, o parlare in modo da non poter essere mai inteso, poiché la scienza è sempre in continuo sviluppo. Anche noi oggi siamo obbligati a esprimerci secondo le apparenze: Ho incontrato un "povero" e gli ho dato l'elemosina – diciamo – e si tratta forse di un milionario che occulta il suo denaro per avarizia. Sono stato più tranquillo perché con me camminava sulla strada un carabiniere – e magari si trattava di un ladro, così travestito per meglio truffare.

Credeva lo scrittore a questa presentazione della scienza? Certamente! Ma non è rivelato ciò che l'autore pensa, crede, suppone, ma solo ciò che egli insegna. Ora egli non ha insegnato l'astronomia o la scienza, bensì solo il messaggio religioso che vi sta racchiuso.

La Bibbia, descrivendo le realtà come appaiono, non presenta degli errori scientifici, ma solo delle convinzioni arcaiche sorte in un'epoca pseudoscientifica, usate come mezzo espressivo per insegnare verità religiose ispirate da Dio.
«Guardiamoci dunque – scrive il Courtade – dal voler confrontare le assunzioni dei libri sacri con quelle dell'astronomia, della geologia, della biologia. Non vi può essere questione né di opporle né di armonizzarle. A volte esse coincidono materialmente, ma non coincidono sempre e non sono mai dello stesso ordine. Gli scienziati di oggi che si scandalizzassero della Sacra Scrittura sarebbero vittime della stessa illusione dei loro antenati del Medio Evo, che speravano di trovare in esse un aiuto » (1) .

II. Esempi pratici

A. Classificazioni di malattie e animali secondo le apparenze

a) La Bibbia parla della lebbra che guarisce spontaneamente, per cui il guarito, prima di entrare in contatto con gli altri, deve togliere la sua impurità con un sacrificio e ottenere un riconoscimento dal sacerdote (cf Lv 14; Mt 8, 1-4). Ora si sa che la lebbra non guarisce mai spontaneamente, ma va sempre più peggiorando attraverso varie stasi fino a che la carne cade in squame e si giunge così alla morte finale. Ma non vi è opposizione tra i due dati: la Bibbia non parla della "lebbra" in modo scientifico, ma solo di ciò che poteva sembrare lebbra; tutto quello che portava delle macchie sulla pelle (fossero anche semplici abiti o le stesse pareti della casa) era detto «lebbroso» (Lv 14). Evidentemente in tale caso, molti ammalati potevano guarire, in quanto non erano in realtà infetti di lebbra.

b) La lepre è posta tra i ruminanti (Lv 11, 6; Dt 14, 7) mentre non lo è affatto. Anche qui non abbiamo una classificazione scientifica. Nel dare le norme per distinguere il cibo permesso o proibito, l'autore include la lepre tra i ruminanti perché muove il suo labbro dando l'apparenza di un ruminante. Anche la chiesa cattolica, nei pochi giorni di magro tuttora rimasti, permette l'uso del pesce includendovi i batraci (rane), i rettili, i crostacei e i molluschi che non sono pesci. In genere le definizioni bibliche degli animali non sono scientifiche, ma popolari (Gb 39, 40 ippopotamo).

c) Lunatici e indemoniati . In queste indicazioni si rinvengono tracce di valutazioni popolari, che sospettavano in questi "pazzi" l'influsso della luna o dei demoni. La Bibbia non aveva un nome proprio per indicare l'agire del pazzo, ma vi applicava il verbo hitnabbe' che significava " agire da profeta, da ispirato". Si pensi al comportamento di Davide che, per evitare la punizione da parte del re Achis, si finge pazzo e quindi intoccabile perché posseduto da un demone o da un dio secondo i gentili (1 Sm 21, 10-15). Non si nega tuttavia che in alcuni casi vi possa essere stato un vero influsso demoniaco, come nel caso dei demoni che, scagliatesi contro i porci, li sospingono nel lago (Mc 5, 1-20).

d) Alcuni proverbi , quali: «Siate semplici come colombe », «astuti come volpi» e « prudenti come serpenti» vanno presi per detti popolari senza pensare che di fatto questi animali possiedano le predette qualità. La Bibbia non parla scientificamente, ma riporta alcune opinioni popolari relative a questi animali e il loro comportamento (2) .

B. Errori di traduzione : «Fermati o sole» (Gios 12, 12)

Bibliografia:

F. Salvoni, Recenti soluzioni sul miracolo di Gabaon in "Il Seme del Regno", 10 (1963), pp. 25-32.

J. Blenkinsopp , Gibeon and Israele, Cambridge, University Press 1972, pp. 41-52.

L'episodio dell'arresto del sole ha suscitato una letteratura immensa e soluzioni di vario genere, che intendono accordare scienza e fede: Parlando secondo le apparenze – dicono alcuni – Dio avrebbe arrestato la terra, dando quindi l'illusione che il sole si fosse fermato. Tuttavia, siccome appare assai strano che Dio abbia ad arrestare il moto dell'universo (ricollegato all'arresto temporaneo della terra) per un fatto così poco importante come la vittoria di Giosuè (dato che egli permise molte altre sconfitte), si è tentata una soluzione naturalista meno straordinaria, per concordare tale fenomeno con la scienza odierna. Alcuni ricorsero al fenomeno delle "meteoriti", che cadendo nottetempo avrebbero diffuso la luce; oppure alla "rifrazione" dei raggi solari dopo la tempesta che avrebbe permesso di vedere il sole anche dopo il suo tramonto. Oggi dominano altre soluzioni, poggianti sul fatto che la descrizione dell'arresto del sole si trova in un brano poetico e va quindi inteso secondo le leggi della poesia.

a) Puro abbellimento poetico. E' un fatto che la poesia, descrivendo eventi terreni, ama far partecipare anche la natura. Secondo un inno di vittoria gli stessi astri combatterono contro Sisera a favore di Israele (Gdc 5, 20); i monti si sciolsero «nel sangue degli uccisi » (Is 34, 3ss). Al ritorno degli esuli « i monti e i colli danno grida di gioia e gli alberi della campagna battono le mani» (Is 55, 12).

Quando gli Israeliti passarono il Mare dei Giunchi, «al soffio delle narici del Signore si accumularono le acque, e si rizzarono come mucchi le correnti » (Es 15, 8).
Questo "accumularsi " delle acque come mucchi o come muraglie è evidentemente un'iperbole. Non potrebbe anche il «Fermati o sole!» essere una semplice iperbole? E' quanto pensano alcuni biblisti come il Lesêtre che così scrive:

«Anzichè cercare delle spiegazioni fisiche per interpretare questo passo di Giosuè, è meglio vedervi un problema letterario e supporre, con buon numero di esegeti contemporanei, che si è di fronte a una citazione poetica da intendersi secondo le regole della poesia» (3) .

Con questa iperbole l'autore sacro voleva dire che la vittoria di quel giorno fu tale da non potersi concludere in un sol giorno, senza un preciso intervento miracoloso di Dio a favore delle truppe di Israele. Queste poterono ottenere in un giorno un risultato così imponente da essere umanamente impensabile in ventiquattro ore. Il Bressan nota che un procedimento simile non è proprio solo dei semiti, trovandosi pure nella poesia greca del tempo omerico:

«In Odissea 23, 243ss Minerva allunga la notte affinché Ulisse e Penelope abbiano più tempo per le loro effusioni d'amore; In Iliade 18, 239ss Giunone, per salvare i greci premuti dai troiani, fece affrettare suo malgrado l'instancabile sole verso l'oceano; il sole s'immerse e i divi Achei ebbero respiro; secondo Iliade 2, 412ss Agamennone fece una preghiera esattamente parallela a quella posta in bocca a Giosuè: O Zeus, non tramonti il sole e non sopravvengano le ombre prima che si distrugga Troia. Chi crederebbe Omero così ingenuo da prendere alla lettera le sue parole? E allora, perché imprestare tale ingenuità allo scrittore ebreo? » (4)

Questa ipotesi ha accolto il favore di molti autori cattolici, come lo Schulz, il Veronnet, il Clamer, ecc. (5) L'uso di iperboli è assai comune sia presso il mondo orientale che quello occidentale specialmente antico. Tuttavia non sono del tutto convinto che si possa parlare nel caso di Giosuè di una vera iperbole, in quanto l'espressione biblica è ben diversa dal desiderio espresso da Agamennone di poter distruggere i troiani prima del calar del sole; di più il dato poetico su Giosuè è confermato dalla conclusione prosaica: «E il sole si arrestò » al comando di Giosuè. Sembra che si debba concludere che qualcosa di straordinario avvenne per rendere più facile la vittoria di Giosuè.

b) Oscuramento del sole . Secondo una ipotesi, che ora va diffondendosi sempre più, Giosuè non avrebbe chiesto il prolungamento del giorno solare, bensì l'oscuramento del sole. Eccone le ragioni fondamentali:

1) Il bisogno di Giosuè . Giosuè, partendo da Ghilgal, aveva marciato con le sue truppe per tutta la notte (Gs 10, 9) in modo da gettarsi d'improvviso e di buon mattino sull'esercito cananeo accampato a Ghibeon (Vg Gabaon; v. 10). L'innattesa comparsa delle truppe israelitiche gettò lo scompiglio sui nemici che si dettero alla fuga per la salita di Bet-Horon. Quando Giosuè rivolse il suo comando al sole, esso stava ancora su Ghibeon e la luna su Aialon; ora siccome Ghibeon giace a oriente di Bet-Horon si deve concludere che esso era tuttora nella sua fase ascendente e doveva continuare il suo corso ancora per più di mezza giornata. Non si era infatti ancora a mezzogiorno, per cui in quell'istante il sole doveva mandare i suoi dardi infuocati sulle truppe in corsa, le quali grandemente risentivano la fatica e il calore nella salita che stavano percorrendo. Quale ragione avrebbe avuto in quel momento Giosuè per desiderare l'arresto del sole e il perdurare di quel caldo soffocante? Non sarebbe stato più auspicabile un po' di refrigerio e di fresco in tale circostanza?

2) Il senso dei vocaboli . Giosuè, rivolgendosi al sole, così disse: Sole arrestati in Ghibeon e tu luna sulla piana di Aialon. L'imperativo dôm da damam indica lo stroncamento di un'azione già iniziata, che nel caso del sole e della luna, può intendersi sia come moto locale, sia come diffusione della luce. Nella lingua babilonese l'eclissi del sole e della luna sono espresse con il verbo nachu che ha il senso di " fermarsi ", arrestarsi", come l'ebraico damam (6) non potrebbe questo verbo avere il medesimo senso babilonese di " oscuramento"? E' possibile anche se tale senso non appare altrove nella Bibbia. In Am 8, 9 « Farò tramontare il sole a mezzogiorno» si usa il verbo hifil di bo' ( hèbê'tî "farò venire "). Se si intende, quindi, il verbo in tal senso, Giosuè avrebbe ordinato al sole non di "fermarsi" nel suo luogo, ma di " fermarsi" nell'inviare i suoi raggi infuocati, chiedendo l'ombra, non il sereno. E Dio avrebbe esaudito la preghiera di Giosuè con un grandissimo improvviso temporale.

3) Il contesto . Se guardiamo il contesto notiamo che il cap.10 di Giosuè si divide in due sezioni (v. 7-11 e 15-17) e l'altra poetica (12-14).

a) Secondo il brano in prosa, mentre Giosuè insegue i nemici sulla salita di Bet-Horon, un furioso uragano si abbatte sui nemici, e, come conclude il narratore: « più ne ammazzarono le pietre della grandine, che non ne uccise la spada degli israeliti» (v. 11). Dunque Dio intervenne con un grandioso temporale.

b) La stessa cosa si deve trovare nel brano poetico, tratto da un ignoto Libro del Giusto (sefer ha-jashar) da correggere con i LXX in Libro del Canto (Sefer ha-shir), dal quale proviene pure il " lamento" di Davide per la morte di Saul e di Gionata (2 Sm 1, 17-27). Come armonizzare la richiesta di un " arresto del sole " con la tempesta provvidenziale? Non è forse proprio questa la risposta di Dio al comando di Giosuè? Dio non solo arresta i raggi solari con la nube, ma anzi interviene a favore delle sue truppe con la violenta grandinata gettata contro i loro nemici.

c) Che la natura sia al servizio di Dio, risulta spesso nella Bibbia: «Oscurerò il cielo, abbuierò le stelle, coprirò con una nube il sole e la luna non darà più la sua luce» (Ez 32, 7s).

«Nel bisogno invocai il Signore
ed egli dalla sua reggia udì la mia voce.
Si scosse e tremò la terra,
vacillarono le basi dei monti,
traballavano, perché ardeva di sdegno.
Saliva fumo dalle sue nari
e fuoco divoratore dalla sua bocca:
sfavillavano da lui carboni accesi.
Piegò il cielo e discese
con dense nubi sotto i piedi,
cavalcava su un cherubino e volava,
volava sulle ali dei venti.
Delle tenebre faceva suo velo,
lo circondavano, qual tenda,
oscurità d'acque, fitte nuvole.
Dallo splendore a lui dinanzi
fiammeggiavano folgori e scintille di fuoco.
Dio tonava dal cielo
l'Altissimo spandeva il suo grido.
Scagliò le sue saette e le disperse,
fulminò le sue folgori e le scompigliò.
Si videro i canali d'acqua,
le basi della terra inondate,
alle tue minacce, o Signore,
a un soffio dell'ira tua! »
(Sl 18, 7-16)

Questa soluzione suggerita per primo da W. Maunder, fu accettata, sia pure con sfumature diverse, da A. van Hoonacker, J. van Mierlo, Alfrink, J. de Fraine, A. Miller, A. Metzinger e dal Baldi (7) Ecco quindi la traduzione che si dovrebbe dare a questo brano:

«O sole, oscurati (dôm) in Ghibeon
e tu, luna, nella piana di Aialon(8) .
S'oscurò il sole e la luna
finchè la nazione fosse vendicata dai suoi nemici.
Non sta forse scritto nel Libro del Canto:
S'oscurò il sole nel mezzo del cielo
e non s'affrettò a venire quasi un giorno intero?
Mai vi fu un giorno come quello (né prima né dopo)
nell'ascoltare il Signore voce d'uomo.
Davvero il Signore combatteva per Israele!» (9) .

Anche l'Ecclesiastico (Siracide o Ben Sira, deuterocanonico) può intendersi non nel senso di un prolungamento del giorno, bensì come una interruzione della luce ad opera della tempesta, cosicché un giorno fu diviso in due alla sua preghiera. « Dalla sua mano non fu fermato il sole (dal dare la luce)? Un giorno non fu come due? (diviso dalla tempesta). Perché invocò il Dio altissimo, mentre i nemici lo circondavano, e il Dio altissimo lo esaudì, lapidandoli a colpi di grandine» (Sir 46, 4-5).

Interessante anche qui la connessione dei "due" giorni, con la tempesta che " lapidò" i nemici in risposta alla preghiera di Giosuè. Fu la Volgata con la sua aggiunta del "così lungo " al "giorno" che creò la tradizione dell'arresto del sole nel suo viaggio diurno.

Una recente soluzione

Di recente Joseph Blenkinsopp , docente dell'Università di Notre Dame (Indiana), ha analizzato i due verbi damam e camad che qui si usano, ed ha trovato che appaiono riuniti in un episodio di Gionata e assumono il senso di " attendere " senza dare battaglia (damam ) e di " starsene quieti" senza attaccare (camad ). Gionata che vuole attaccare i Filistei dice: « Se essi dicono: Attendete (dommu ), noi ce ne staremo quieti ( camadnù ) al nostro posto ». Anche qui Giosuè farebbe un'invocazione al dio sole, di Gabaon e alla luna, dio di Aialon , di starsene quieti e di non partecipare alla guerra con i loro protetti. E infatti queste due divinità non si mossero in favore degli eserciti delle due città, mostrando in tal modo la loro inferiorità di fronte al Dio di Israele. E' possibile, benchè per ora non sia ancora provato archeologicamente che il sole e la luna fossero degli dei delle due città predette (10) .

C. La creazione: problemi definiti

La parte ormai acquisita riguarda l'ordine della creazione e la interpretazione dei giorni creativi.

a) Tendenze concordistiche

All'inizio del secolo (e ancora oggi alcuni esegeti fondamentalisti) cercarono di accordare la Bibbia con le varie epoche geologiche e con l'idea cosmologica allora in voga. Il vocabolo " giorno" si intese non come un vero giorno di 24 ore, bensì come un "periodo " (cf Ge 2, 3s; Es 10, 6). La luce iniziale corrisponderebbe con la nebulosa originaria del Laplace emanante una luce rossstra prima ancora che esistessero gli astri. La creazione degli astri al quarto giorno (o periodo) corrisponderebbe alla loro visibilità dalla terra dopo che gli strati di vapore, precipitati su di essa in forma di pioggia, li resero visibili.

Ora però tutto ciò è messo in discussione dagli scienziati che al posto della nebulosa iniziale del Laplace, propendono per l'esplosione iniziale di un primitivo nucleo durissimo che spiegherebbe meglio la continua espansione dell'universo (11) Anche l'esegesi naturale del testo biblico ci induce a intendere il giorno nel senso di vero giorno, le acque superiori come vera acqua e non come vapore, gli astri sono veramente creati al quarto giorno e non solo resi visibili. Vegetali e animali sono contemporanei secondo la scienza e non distanziati come dice la Genesi da "un giorno " (o epoca) intermedia. Occorre quindi ricercare altre soluzioni diverse da quella concordista.

b) Espressione didattico-artistica

1. Gli elementi del creato sono elencati secondo l'opinione del tempo
La luce è creata prima del sole, semplicemente perché allora si pensava che essa fosse indipendente dal secondo; non vi è forse luce anche quando non si vede il sole? (cf. Gb 38, 19.24). Dio crea poi il firmamento, concepito come qualcosa di solido in forma di cupola, mentre per noi è solo atmosfera e poi vuoto. Per gli Ebrei era un'entità resistente perché doveva sostenere l'acqua superiore:
«Vi sia una lamina in mezzo alle acque, che divida le acque dalle acque» (Ge 1, 6).
L'erbetta senza seme è distinta dai cereali con seme perché la prima, spuntando per conto suo appena piove, sembrava non aver seme, mentre in realtà pur essa lo ha. Si tratta di una divisione secondo le apparenze, in quanto l'erba non veniva seminata dall'uomo, sembrava spuntare in modo spontaneo nella steppa con le prime piogge.

2. La successione

La successione degli esseri poggia su due principi: il logico procedimento del lavoro umano e la ripartizione artistica delle opere in due grandi classi:

a) l'ambiente;
b) il suo popolamento.

Il primo principio regola le opere dei primi tre giorni; Dio prima fa la luce necessaria per agire; poi divide l'acqua e prepara la terra per l'uomo. Il secondo principio regola le opere degli ultimi tre giorni nei quali si popola l'ambiente prima preparato:

a) la luce è ornata di sole, astri, di luna;
b) il cielo e l'acqua da uccelli e pesci;
c) la terra da animali e da uomini.

La successione qui presentata ha il solo scopo di presentare la grandezza dell'uomo, che giunge come re del creato, dopo che tutto è pronto per accoglierlo (Gn 1). Ma l'ordine cambia nel cap. 2, dove l'uomo appare per primo (è primo nel pensiero di Dio) e tutto il resto, vegetazione e animali (almeno alcuni) sono creati dopo di lui e per lui (12 ) Ne deriva che per lo scrittore biblico la successione non ha importanza in quanto è presentata solo in funzione di una idea teologica che sta in prima linea. Al rovescio molti esegeti moderni, non cogliendo lo spirito del racconto biblico, danno eccessiva importanza alla successione degli atti creativi.

3. Importanza teologica del racconto

Nei racconti mitologici orientali vi è qualcosa di simile, ma con una presentazione politeista: l'acqua primitiva costituita dal dio Apsu e dalla dea Tiamat, i due elementi, maschile fecondatore e femminile fecondato, che univano assieme le loro acque, erano divinizzati e posti in opposizione al dio creatore (Enuma Elish) . Ma nella Bibbia – pur essendoci una successione simile nelle opere – Dio parla e tutto si compie senza lotta alcuna; gli stessi grandi cetacei, che presso i popoli erano considerati degli esseri antidivini in lotta con lui, diventano una sua semplice fattura.

a) Al servizio dell'uomo stanno gli astri e gli animali che invece erano oggetti di culto presso gli antichi orientali. Perciò la Bibbia, pur utilizzando le forme espressive del tempo, esalta la grandezza e la potenza unica del suo Dio che, senza alcun contrasto, crea l'universo cosmico. Ma la concezione biblica del "creare" è diversa dalla nostra: più che creare dal nulla consiste nel modificare delle realtà preesistenti (indicate in Ge 1, 1); «la terra informe e vuota», allora coperta dall'oceano, diviene il mondo di oggi. Con la sua semplice parola Dio fa venire all'esistenza tutti gli esseri creati, traendoli, spesso, da quanto era già esistente e della cui origine l'autore non parla.

b) la descrizione è espressa didatticamente in modo di preparare il riposo del sabato che sarà ripreso nel decalogo (13) Sorge un problema: fu la creazione il punto di partenza del sabato, o fu il riposo sabatico il punto di partenza per descrivere la creazione e farne un preannuncio del riposo sabatico?

Sembra che il racconto sia espresso in modo tale da preparare il riposo del sabato e non che questo riposo sia tratto dalla creazione:

1. Il numero sette è un numero scelto ad arte per indicare la conclusione di un'opera. Nel descrivere il risveglio di Utnapishtun dal suo profondo sonno, che la moglie riesce ad ottenere nonostante le difficoltà, si usa il numero "sette ":

«Mentr'egli dormiva alla parete della sua nave
essa cosse i suoi pani e li collocò presso il suo capo
il suo primo pane è impastato,
il secondo è steso,
il terzo è cosparso.
il quarto è imbiancato,
il quinto è invecchiato,
il sesto è rotto:
il settimo! appena egli lo toccò e quell'uomo si sveglio di colpo» 14 .

Ecco la descrizione di un incendio tratto dalla letteratura ugaritica:

«Ecco un giorno e un secondo
il fuoco divora nella casa,
la fiamma nel palazzo.
Un terzo, un quarto giorno
il fuoco divora nella casa,
la fiamma nel palazzo.
Un quinto, un sesto giorno,
il fuoco divora nella casa,
la fiamma nel palazzo.
Ma nel settimo giorno
uscì il fuoco dalla casa,
la fiamma dal palazzo »

Si tratta di un incendio colossale che per "sette" giorni divora e poi finalmente viene estinto. Ora non v'è un fuoco che duri così tanto senza consumare ogni cosa. Il numero sette indica il grave pericolo corso che finalmente viene domato.

In Genesi 1 il numero sette indica il felice compimento della creazione. Per poter ottenere questo numero sette, si sono raggruppate le varie opere che sono otto in sei giorni, onde farle rientrare nello schema già scelto di 6+1. Si vede da ciò l'intento di voler introdurre tutto nello schema prefissato per sostenere la settimana liturgica.

2. L'artificiosità di tale richiamo al riposo divino appare dal fatto che il riposo divino non cessa mai, mentre quello dell'uomo ha un termine e la settimana di lavoro riprende. Sarà solo al termine della vita che l'uomo potrà entrare nel riposo di Dio (Eb 4, 9).

3. Si veda poi come si parli e « fu sera (=notte) e fu mattina (=giorno), giorno 1, giorno 2, ecc ». Come nelle descrizioni liturgiche si fa iniziare il giorno con la sera: « Celebrate le vostre feste da una sera all'altra » (Lv 23, 32). Così ancora i primi cristiani e tuttora la stessa liturgia cattolica. Ora ciò non collima perfettamente con il racconto genesiaco che inizia con la creazione della luce e dovrebbe quindi dire: « e fu mattina e fu sera: giorno 1». Lo spostamento " sera mattina " del ritornello mostra che l'intento liturgico è stato aggiunto a quello creativo. Lo sfondo ci costringe pure a intendere i giorni biblici nel senso di giorni di 24 ore anzichè di "epoche". Prima sorse la settimana umana con il riposo sabatico, poi la si cercò di legittimare con la descrizione della creazione. Tanto più che altrove il riposo sabatico appare giustificato con l'esodo dall'Egitto e non con la creazione divina (Dt 5, 13-15).

D. La creazione: problemi aperti

1. La Bibbia esclude l'evoluzione oppure no? La Bibbia esclude l'evoluzione casuale, senza scopo finale, senza l'intervento direttivo di una mente ordinatrice divina, perché ciò andrebbe contro al suo insegnamento religioso che fa venire tutto l'universo da Dio. Ma che dire di una evoluzione teista, finalista, che non farebbe altro che esprimere la successione degli esseri da Dio secondo le leggi da lui create?

Da quanto fu detto precedentemente, non credo che essa sia per forza esclusa dal racconto biblico. La successione delle opere della creazione varia nei vari racconti biblici, per cui non è quindi in contrasto con un'eventuale successione diversa presentata dalla scienza. Nemmeno la creazione immediata da Dio delle singole specie è asserita dalla Bibbia. Essa anzi mostra un collegamento sempre meno diretto da Dio a secondo della minore importanza delle singole opere. Gli esseri che i popoli orientali avevano divinizzato, come gli astri e il firmamento, sono fatti sorgere direttamente da Dio. Il verbo bara' indica per sé non la creazione dal nulla, ma un'azione che Dio solo può compiere (cf il parallelismo tra bara' e asa' in Gn 2, 3; 1, 26.27). L'uomo, quale re del creato, viene fatto a sua immagine e dietro uno speciale consiglio divino (Gn 1, 26ss). Gli animali, gli uccelli, i pesci (anche i grandi mostri marini) sono fatti da Dio, ma dietro comando dato alla terra o alle acque e, sembra, con la loro collaborazione (v. 24). Le piante provengono direttamente e chiaramente dalla terra (11s; cf per le zanzare dalla polvere Es 8, 16). La cosiddetta " generazione spontanea ", ossia la possibilità che il vivo potesse svilupparsi dalla materia inanimata, nonostante che il fisiologo inglese Harrey aveva già sostenuto il principio: omne vivum ex ovo , fu ammessa fino al XIX secolo. Il grande embriologo Karl Ernst von Baer insegnava ancora nel 1826 la trasformazione del muco intestinale in vermi sulla base di " osservazioni proprie ". Allo stesso tempo Goethe scrisse al suo principe Carlo Augusto che da trucioli intrisi di orina si svilupperebbero delle pulci entro 24 ore. Questa derivazione degli esseri viventi da materia inorganica sarebbe invece dalla Bibbia attribuita a potere divino. Pertanto a nome del racconto della creazione non possiamo condannare la teoria della evoluzione che sembrerebbe anzi raccomandata, almeno in qualche punto del racconto genesiaco (cap 1: pesci e piante e animali Ge 1, 11.20.24).

Ai collegamenti biblici ora la scienza presenta altri collegamenti che potremo sostituire ai primi. Soltanto occorre stare bene attenti a non presentare come certo ciò che è tuttora discutibile. Nessuno nega oggi una certa evoluzione, il problema sta nei limiti entro cui confinarla. Teillard de Chardin la ritiene una norma generale per tutto l'universo, altri la restringono entro certi gradi. Non sta a noi fissarne i limiti con la Bibbia in mano, ma occorre lasciare alla scienza lo studio di questi problemi. A noi basta dire che la Bibbia non è contraria per il semplice fatto che una certa evoluzione (sia pure concepita secondo la mentalità del tempo) l'ammette anch'essa. Tocca alla scienza – se vi riesce – sostituire all'evoluzione popolare, quella che scientificamente si possa documentare. Non tocca all'esegeta intralciare, per non incorrere nel medesimo sbaglio dei teologi al tempo di Galileo.
Circa l'evoluzione in America si è piuttosto contrari (almeno da parte dei credenti); in Europa la si ammette con maggiore facilità. Gli esegeti non devono sostituirsi agli scienziati, ma da teologi dovranno introdurre nelle conclusioni scientifiche il lievito biblico della volontà divina. Se evoluzione vi fu e nei gradi in cui essa avvenne – il che non è ancora scientificamente stabilito – fu Dio che così volle per ottenere l'universo conforme ai suoi piani divini (15) .

2. Evoluzione e l'uomo

Anche qui dominano tre soluzioni:

a) L'uomo fu creato direttamente da Dio, anima e corpo.

b) L'uomo per il corpo proviene da animali inferiori, ma la sua anima fu ed è creata immediatamente da Dio.

c) L'uomo nella sua totalità viene indirettamente da Dio, in quanto con il graduale sviluppo del corpo, l'animale acquistò l'intelligenza che lo trasformò in uomo. Appena il cervello fu evoluto a sufficienza, sorse l'uomo intelligente e cosciente (Teillard de Chardin).

Anche qui la scienza deve poter dire l'ultima parola non la Bibbia. Secondo Genesi 2, 7 lo " spirito " indica l'alito vitale (concesso pure agli animali) che, venendo da Dio, a lui ritorna con la morte, e " anima " non significa anima in senso filosofico, bensì la persona umana. Se evoluzione vi fu per l'uomo (tocca agli scienziati provarlo e tuttora non lo è ancora), la Bibbia gli insegnerà che se vuole essere credente, deve introdurre nell'evoluzione naturale il valore divino, per cui l'uomo corrisponde al disegno voluto da Dio e quindi fu creato da lui, almeno mediatamente. Di più occorre stare bene attenti e non prendere alla lettera un racconto popolare come il capitolo 2 del Genesi, dove l'autore ispirato intende esprimersi in modo semplice e non scientifico per insegnare che tutto quanto esiste proviene da Dio, e che anche l'uomo, nella sua totalità, viene dal Signore. Si veda la differenza tra il capitolo genesiaco 1 e 2, dove il primo capitolo è meno popolare (proviene dai saggi) del secondo, pur essendo ispirati entrambi.

3. Poligenismo e monogenismo

Vi è discussione tra gli stessi scienziati e anche tra i teologi. L'ominizzazione sarebbe avvenuta contemporaneamente in più luoghi (si pensa oggi in Africa). Adamo ed Eva sarebbero solo dei simboli dell'umanità in genere. Alcuni teologi accolgono questa idea (De Fraine), altri no, come ad esempio Pio XII nell'enciclica Humani generis (1950 AAS p. 576). E' difficile accoglierla per le molte difficoltà teologiche che suscita. Lasciamo che la scienza progredisca; ma che sia vera scienza. Dall'opposizione tra il vecchio ed il nuovo Adamo (in 1 Co 15, 45) pare più logica la presenza di due individui iniziali. Dal momento che il nuovo Adamo (=Gesù) è una persona unica, è logico pensare che tale sia stato pure il primo Adamo. La scienza non ha nulla da opporvi (16) .

4. Eva dalla costa

Forse la spiegazione di tale fatto sta nel simbolismo sumero dove Nin-ti è contemporaneamente dea della costola e della vita. Il racconto biblico vuole dire che Eva provenne da Adamo; il simbolismo della costola fu tratto dal sumero dove il vocabolo "costa" ( til ) indica pure "vita", per cui Eva, " madre dei viventi", era bene presentata come lo sviluppo della " costa" (vita) di Adamo. Fuori simbolismo si vorrebbe dire che Eva proviene in qualche modo dalla "vita" di Adamo, simboleggiata dalla sua costola.

Miracoli

Sul problema dei miracoli cf F. Salvoni, Vita di Gesù , Volume II.

«Non si può discutere con chi confonde problemi scientifici con problemi di fede. La fede è una confessione religiosa, la scienza naturale è una conoscenza scientifica. Questa conoscenza è verificabile da chiunque possegga i metodi adeguati e non ha assolutamente niente a che fare con la fede cristiana »  . . .

«Si possono conseguire dei risultati scientifici solo se si usano metodi scientifici. La scienza naturale è una scienza profana. La fede in questo campo non può svolgere nessuna indagine. Anche uno scienziato che ha fede come scienziato può dire qualcosa soltanto sulla "origine del mondo", ma mai sulla "creazione". Se cerca di farlo egli oltrepassa i limiti della sua competenza e delle sue possibilità di scienziato. E allora la fede (anche la sua propria fede!) dovrebbe richiamarlo all'ordine. Ma prima la fede non dovrebbe entrarci» (17)


NOTE A MARGINE.

1. Courtade , Ispiration DB. S IV, 1949, pp. 520-528, la citazione è a col. 543. torna al testo

2. Nel Medio Evo Gesù era paragonato a un pellicano perchè si pensava che esso si togliesse il sangue dal proprio cuore per nutrire i suoi piccini. torna al testo

3. Lesêtre , Josué et le soleil , In "Rev. Pratique d'Apologétique" 4 (1907), pp. 351-356. torna al testo

4. Gino Bressan , Giosuè il condottiero , in "cento problemi biblici", Assisi 1961, pp. 143-148 (la citazione si legge a pag. 147). torna al testo

5. A. Schulz , Das Buch Josue , Bonn 1924, pp. 37-41; A. Veronnet , L'arret du soleil par Josué , in "Rev. de Clergè Francais", 41 (1905), pp. 585-609; A Clamer , Josué , in "Dict. Theol. Cath." (Paris 1924) coll. 1560-1562). torna al testo

6. Cf F.X. Kgler , Astronomische und Meterriologische Finsterniss , in "Zeitschr der deutschen morgenlandischen Geselleschaft" 56 (1902), pp. 60-70. torna al testo

7. W. Maunder , A Misinterpreted Miracle , in "The Expositor" 10 (1910), pp. 239-272; A. van Hoonacker, Das Wunder Josuas, "Theologie und Glaube" 5 (1913), pp. 454-461 (egli aggiunge che il temporale durò 24 ore, per cui al suo termine il sole apparve proprio allo stesso punto celeste come il giorno precedente, quasi vi si fosse fermato); cf J. Coppens , Le chanoin Albin van Hoonacker , pp. 29-32; J. van Mierlo , Das Wunder Josuas , in "Zeitschr für Katholische Theologie" 37 (1913) pp. 895-911; A.M. Kleber , Josua's Miracle , in "The Ecclesiastical Review" 56 (1917), pp. 477-488; G.B. Alfrink , Het Still Staan van Zon en Maan in Jos 10 , 12-15, in "Studia Catholica" (Nimgn) 24 (1949), pp. 238-268; J. de Fraine , De Miraculo solari Josue , in "Verbum Domini" 28 (1950, pp. 277-286; Hopfl- A. Moller - A. Metzinger , Introductio specialis in V.T. , Roma 1946, pp. 132s; P Baldi , Giosuè , Marietti, Torino 1952 pp. 78-87. torna al testo
 

8. Il sole e la luna sono indicati per parallelismo poetico; non è però raro di vedere contemporaneamente il sole e la luna. torna al testo

9. v. 13 "fermare" non diede più luce (occultato dalle nubi), la luna "ristette" (dal dare luce); il "suo luogo" manca nell'originale. "non s'affrettò a venire" (non halah" andare), ossia, ma non s'affretò "a dare luce" (labo'). "Giorno simile" per la potente intercessione di Dio; solo la Vg aggiunge "lungo" che manca nell'originale; il brano è importante perchè Dio ascolta la preghiera e combatte per Israele (v. 14). torna al testo

10. Cf Bibliografia all'inizio del paragrafo B. torna al testo

11. E' l'ipotesi dell'astronomo belga G. Lamaitre presentata una quarantina d'anni fa; cf G. Lamaitre , l'espansione dell'universo , apparso postumo in "Trevue del Questions Scientifiques", 1967 e in traduzione italiana in "il Fuoco", 1967, n. 5. Si cf pure V. Arcidiacono , Progresso scientifico e pensiero religioso , in Rassegna di Teologia" 12 (1971), pp. 1-20 (questa ipotesi è a favore della creazione, in quanto ammette l'inizio dell'eplosione e non di un universo eterno). torna al testo

12. Altra presentazione in Sal 104 e Giobbe 18. torna al testo

13. Es 20, 8-10. In Dt 5, 12-15 al contrario raffigura l'uscita dall'Egitto. torna al testo

14. Galbiati-Piazza , Pagine difficili della Bibbia , Massimo, Milano. torna al testo

15. E' contro ogni evoluzione il Prof. J. Frisch (docente a Tokio) Die Krise der menschlichen Evolution, Grünewald , Mainz 1968; in Italia si vedano le pubblicazioni della editrice Alfaro. Sono invece favorevoli all'evoluzione il gesuita P. Marcozzi ; Haag-Haar-Hüszeler , ( Evoluzione e Bibbia , Morcelliana, Brescia 1965). torna al testo

16. Paolo VI "Il poligenismo non è scientificamente dimostrato" (Z. Alszeghy, L'evoluzionismo e il Magistero ecclesiastico , Concilium 3 (1967) 99. 40-47 (pp. 44-45). torna al testo

17. Willi Marxen , op. cit. pp. 39-41. torna al testo