Da Pietro al Papato
di Fausto Salvoni

CAPITOLO SESTO

PIETRO SCRITTORE


INDICE PAGINA

Libri apocrifi
Le lettere del Nuovo Testamento


Mi soffermo dapprima su alcuni libri falsamente attribuiti a Pietro e che, pur essendo stati condannati nel decreto detto pseudo-Gelasiano, godettero buona fama in passato

Libri apocrifi (1)

a) Vangelo di Pietro

Già noto ad alcuni scrittori ecclesiastici del II secolo (2) ne fu scoperto da Bouriant un brano ad Akhmin, l'antica Panopolis dell'alto Egitto, su di una pergamena frammentaria risalente ai secoli VII-XII d.C. (3) In essa Pietro parla in prima persona come appare dalla conclusione: « Ma io, Simone Pietro, e mio fratello Andrea, prese le nostre reti ce ne andammo al mare. Ed era con noi, levi, figlio di Alfeo, che il Signore... » (4) La sua composizione deve risalire al 150 circa, certamente prima della morte di Giustino (+ ca. 165) che lo cita quando dice che i Giudei facendo sedere il Cristo su un trono gli dicono: «Giudicaci!» (5) Tale episodio ci richiama l'Evangelo di Pietro 3, 7: «E lo rivestirono di porpora e lo misero a sedere su un seggio di giudizio, dicendo: Giudica giustamente, re  d'Israele»(6) .

Ecco il contenuto del breve frammento: Pilato si lava le mani mentre i Giudei ed Erode si rifiutano di fare altrettanto(7) . Segue il racconto della crocifissione del Salvatore: le tenebre diventano così dense che gli Ebrei pensano che sia già venuta la notte e sono costretti a circolare con lanterne. Il Cristo che sino a quel momento aveva taciuto, «come se non soffrisse affatto » (4, 10), grida: « Mia forza ( dùnamis ), mia forza tu m'hai abbandonato! ». E detto così fu pigliato su (in cielo)(8) .
Il docetismo, qui insinuato, era così larvato da sfuggire a quei molti che fecero largo uso del Vangelo. Dove esso più si scosta dai racconti sinottici è nell'episodio della resurrezione (presentata come l'ascensione di Gesù), che qui riporto e che dà libero sfogo alla fantasia:
8, 28. Intanto, radunatisi insieme gli scribi ed i Farisei e gli anziani dicendo: «Se così gran prodigi sono avvenuti alla sua morte, vedete quant'egli fosse giusto!» 29 si impaurirono e andarono da Pilato pregandolo e dicendo: «Dacci dei soldati, che custodiscano il suo sepolcro per tre giorni che non vengano i suoi discepoli a rubarlo e il popolo pensi che è risuscitato dai morti (cfr Mt 27, 6 s) e ci facciano del male» 31. E Pilato diede loro il centurione Petronio con dei soldati, per custodire la tomba. E con loro, anziani e scribi si recarono al sepolcro 32. E rotolata una gran pietra, tutti quanti che eran là con il centurione e i soldati la posero alla porta del sepolcro, 33 e c'impressero su sette sigilli; e rizzata là una tenda montarono la guardia.
9, 34 Di buon'ora, allo spuntar del Sabato, accorse gente da Gerusalemme e dai dintorni, per vedere il sepolcro sigillato 35. Ma la notte in cui spuntava la Domenica, mentre i soldati a due a due facevano a turno la guardia, una gran voce risuonò dal cielo, 36 e videro aprirsi i cieli, e due uomini scenderne rivestiti di gran splendore e avvicinarsi alla tomba. 37 Quella pietra che era stata appoggiata alla porta, rotolandosi via da sé si scostò da una parte, e la tomba s'aprì, ed entrambi i due giovani c'entrarono.
10, 38 Come (ciò) videro quei soldati destarono il centurione e gli anziani; ché costoro stavano là di guardia 39. E mentre spiegavano loro quanto avevano visto, di nuovo vedono tre uomini uscire dalla tomba, e i due sorreggevano quell'altro, e una croce li seguiva; 40 e la testa dei due si spingeva sino al cielo, mentre quella di colui che conducevano per mano sorpassava i cieli 41. E udirono una voce dai cieli, che diceva: «Hai predicato ai dormienti?» 42. E una risposta s'udì dalla Croce «Si»
11, 43. Quelli allora si concertavano tra loro d'andar via e di rivelar tali cose a Pilato 44. E mentre stavano ancora divisando, appaiono di nuovo aperti i cieli e un uomo ne discende, ed entra nel sepolcro 45. Al veder ciò il centurione e quei ch'erano con lui s'affrettarono in piena notte a (correr da) Pilato, abbandonando la tomba di cui erano a guardia, e gli raccontarono tutto quanto avevano visto grandemente angustiati e dicendo; Egli era davvero il figliuol di Dio (cfr Mt 27, 54 e paralleli) 46. Pilato rispose: Io sono puro del sangue del figliuolo di Dio (cfr Mt 27, 24); siete voi che avete voluto così 47. Poi fattisi tutti innanzi lo pregavano e supplicavano di comandare al centurione e ai soldati di non dire a nessuno ciò che avevano visto; 48 E' ben per noi – dicevano – d'aver contratto la più grave colpa solo al cospetto di Dio, e non cadere anche nelle mani del popolo giudeo ed essere lapidati 49. Pertanto Pilato comandò al centurione e ai soldati di non dir nulla.

In seguito il frammento riprende la narrazione dei Vangeli canonici: le donne, incoraggiate da Maria Maddalena, vanno alla tomba, che trovano aperta e ricevono il messaggio dell'angelo; gli apostoli lasciarono Gerusalemme per tornare a casa loro. Il racconto s'interrompe mentre Pietro, Andrea e Levi tornano alla pesca sul lago, secondo una scena che si ricollega a quella di Giovanni (Gv 21).

b) Predicazione ( kerygma ) di Pietro

Origene (m. 253/254) dice che tale scritto era utilizzato dallo gnostico Eracleone, di qui la riservatezza del suo giudizio al riguardo, pire seguito da Eusebio: «Questo libro della predicazione non è stato trasmesso fra gli scrittori cattolici e di esso nessuno scrittore moderno se ne è servito» (9) Di fatto ne fece uso solo Clemente Alessandrino, come vedremo.

Sembra che il libro sia stato scritto in greco al principio del II secolo da un autore ortodosso di origine egiziana(10) E' ben difficile stabilire se al medesimo libro risalgono alcuni testi di una Dottrina di S. Pietro o Didascalia riferiti da Origene e da altri autori posteriori (11) e in quali rapporti si trovi con il testo siriaco dal titolo Predicazione di Simone Pietro, in cui oltre all'esortazione antidolatrica, si aggiungono aneddoti sulla vita dell'apostolo, specialmente quelli riguardanti la sua lotta con Simon Mago a Roma.

Si è pensato che alla base del Kerygma ci sia stata la volontà di Pietro di lasciare un ricordo della sua predicazione (2 Pt 1, 15). L'apostolo alludeva quivi alla sua lettera, ma l'autore del Kerygma preferì allargare l'insegnamento di Pietro a modo suo, includendovi il comando di estirpare l'idolatria e di rimanere fedeli alla nuova alleanza con Dio, concludendo che i cristiani formano una razza nuova distinta sia dai pagani che dai Giudei.

Purtroppo di questo libro non abbiamo che scarsi frammenti riportati in citazioni di Clemente Alessandrino (morto poco prima del 215 d.C.), che qui riferisco e dalle quali traspare come tale scritto si possa a ragione definire il primo trattato ortodosso di apologetica:

Nella predicazione di Pietro troverai che il Signore è chiamato Legge e Parola(12) .
I Greci non possono avere una conoscenza diretta di Dio: «Pietro dice nella sua predicazione: Sappiate dunque che vi è un solo Dio che ha fatto il principio di tutte le cose(13) e ha il potere sulla loro fine; è l'Invisibile che vede ogni cosa, l'Incontenibile che contiene ogni cosa, che nulla abbisogna, ma del quale ogni essere ha bisogno e per il cui motivo essi esistono, l'incomprensibile, il perpetuo, l'incorruttibile, l'increato, che ha fatto ogni cosa con la parola della sua potenza, vale a dire, con il Figlio».
«Poi egli aggiunge: Adora questo Dio non come i Greci, significando chiaramente che il più celebre tra i Greci adora lo stesso Dio come noi, ma che egli non ha affatto conosciuto con la perfetta conoscenza che è stata tramandata dal Figlio: Egli infatti non ha detto: non adorare l'Iddio che i Greci adorano, ma non adorare come i Greci l'adorano, cambiando con tali parole la maniera di adorare Dio senza annunciare un altro Dio. Che cosa significhi l'espressione: Non come i Greci, Pietro stesso lo insegna aggiungendo: Poiché essi sono stati trasportati via per ignoranza e non conoscono Dio (come lo facciamo noi secondo la conoscenza perfetta), ma hanno dato forma divina alle cose di cui Egli ha dato loro il potere di usarne, vale a dire i legni, i sassi, bronzo e ferro, oro e argento, e dimenticandone il loro uso materiale, hanno innalzato così delle cose necessarie alla loro sussistenza e le hanno adorate. Le stesse cose che Dio ha dato loro per cibo, gli uccelli dell'aria, i pesci del mare, gli animali che strisciano per terra, le bestie selvagge e i quadrupedi del campo, le donnole e i topi, i gatti e i cani e le scimmie, sì, il loro proprio cibo essi lo sacrificano come offerta agli dei commestibili e offrono cose morte ai morti quasi fossero dei, mostrando in tal modo ingratitudine a Dio e con tali pratiche negano che Egli esista.
«in riguardo poi al fatto che i Greci conoscono lo stesso Dio, ma non nel modo identico, lo deduce così: Né adoratelo come i Giudei perché essi pensano di conoscere solo loro l'Iddio, mentre in realtà non lo conoscono per il fatto che adorano angeli, arcangeli, il mese e la luna. Se la luce, infatti, non è visibile non osservano il Sabato che è chiamato il primo, né osservano il novilunio, né la festa del pane azzimo, né la festa, né il grande giorno (dell'espiazione).
«Perciò egli dà il colpo finale alla questione dicendo: Così voi imparando rettamente e santamente ciò che vi è stato trasmesso, custoditelo, adorando Dio nel modo nuovo, vale a dire per mezzo di Cristo».
Dopo varie citazioni bibliche e di altri apocrifi, Clemente così continua: «Perciò Pietro afferma che Gesù disse agli apostoli: Se qualcuno di Israele desidera pentirsi e credere in Dio nel mio nome, i suoi peccati saranno rimessi dopo dodici anni.  Andate dunque per il mondo, affinché nessuno possa dire: Noi non lo abbiamo udito» (14) .

Clemente ritorna poco dopo a questo comando di Gesù scrivendo:

«Secondo la Predicazione di Pietro il Signore dice ai suoi discepoli dopo la resurrezione: Ho scelto voi dodici apostoli, giudicandovi degni di me: Il Signore li ha voluti apostoli avendoli giudicati fedeli, e li ha mandati per il mondo, agli uomini di questa terra, affinché conoscessero che vi è un solo Dio, e sapessero chiaramente ciò che si attua mediante la fede in Cristo, vale a dire che coloro i quali odono e credono saranno salvati e che coloro che non credono, dopo aver udito ne portino la testimonianza, non avendo da addurre come scusa: Noi non abbiamo udito» (15) .

Circa le profezie riguardanti Gesù così Clemente scrive:

«Perciò anche Pietro parlando degli apostoli nella sua Predicazione dice: Svolgendo i libri dei Profeti che possediamo e che nominano Gesù Cristo ora in parabole, ora in enigmi, ora espressamente e con così tante parole, troviamo che vi si parla della sua venuta e morte, della croce e delle restanti sofferenze che i Giudei gli inflissero, della sua resurrezione e della sua assunzione al cielo prima della fondazione della Gerusalemme (celeste). Come sta scritto, tutte queste cose sono ciò che egli deve soffrire e ciò che avverrà dopo di lui. Riconoscendo tutto ciò noi abbiamo creduto in Dio a motivo di ciò che sta scritto di lui»
«E poco dopo egli trova la conseguenza che le Scritture devono la loro origine alla provvidenza divina così dicendo: Noi conosciamo che Dio ha comandato queste cose e noi nulla diciamo senza le Scritture» (16)

c) L'apocalisse di Pietro

Questo scritto apocrifo ebbe larga diffusione nelle chiese e fa meraviglia che non sia ricordato nel canone pseudo-Gelasiano. Il frammento Muratoriano ne parlò come di un libro ritenute da alcune chiese, ma respinto da altre (17) Metodio di Olimpo (m. ca. 311) lo cita come uno scritto ispirato (18) Macario di Magnesia (ca. 400) combattè un filosofo pagano che attaccava questo libro assieme a tutti gli altri scritti ispirati (19) Secondo Sozomeno (450) al suo tempo l'Apocalisse era ancora letta in certe comunità durante il Venerdì Santo (20) .

Ne respinsero invece l'ispirazione Eusebio (m. 393) che lo pose tra gli scritti « che mai furono messi nell'elenco degli scritti canonici, nessun autore ecclesiastico né passato né contemporaneo ricorse a queste opera per attingervi testimonianze»; essa va quindi elencata tra gli apocrifi(21) Girolamo (+419/20) fece proprio questo giudizio rifiutando qualsiasi credibilità all'Apocalisse petrina(22) .

Dalle citazioni che ne fanno Clemente Alessandrino (m. 215), gli Atti di Tommaso e la Passione di S. Perpetua, si deve conclude che l'Apocalisse, anteriore al 180, risalirebbe forse ad Adriano se un'allusione enigmatica dovesse riferirsi alla persecuzione cristiana attuata dal falso messia Bar-Cooba. Lo scritto, composto forse in Egitto è il primo libro che presenta un'immagine concreta della vita ultraterrena e per questo lasciò un influsso notevole sulla successiva tradizione cristiana. Nonostante la sua enorme diffusione il libro scomparve del tutto dalla circolazione sino a che due codici ce lo ripresentarono in gran parte: alludo ad un frammento greco e ad un testo etiopico.

d) Frammento greco di Akhmin

Tra le pergamene scoperte dal Bouriant. oltre al passo del Vangelo di Pietro, già ricordato, si trovò pure un branco dell'Apocalisse petrina (23) della quale presento qui un breve riassunto:

Incomincia a metà di una frase apocalittica posta sul labbro di Gesù (Mt 24). Poi gli apostoli («noi i dodici discepoli ») salirono sul monte degli Olivi con il Signore e chiesero di vedere « uno dei giusti che sono dipartiti da questo mondo » affinché essendo incoraggiati « noi possiamo incoraggiare » anche gli uomini che ci ascoltano. Tosto appaiono due uomini dallo splendore meraviglioso e dalla bellezza incantevole. Alla domanda di Pietro, Gesù rispose: «Questi sono i vostri fratelli, i giusti di cui avete voluto vedere lo splendore»(24) Quindi il Salvatore mostra a Pietro, sia pure per brevi istanti, gli splendori del Paradiso (1-20).
Si descrivono successivamente i tormenti dei reprobi elencati secondo le varie categorie: ingannatori, omicidi, donne che hanno abortito, calunniatori, falsi testimoni, ricchi malvagi, usurai, sodomiti, idolatri, ecc. Il racconto si interrompe bruscamente in mezzo alla descrizione dei supplizi riservati alle donne e agli uomini «che hanno abbandonato la via di Dio»

e) Il testo etiopico (25)

Inizia con un discorso di Gesù agli apostoli perché si guardino dall'idolatria e applica la parabola del fico (cfr Lc 13, 6-9) alla conversione e al martirio di molti Ebrei, che sarebbero i rami germogliati del fico sterile. Descrive quindi il giudizio finale, durante il quale i morti dovranno attraversare un fiume di fuoco; i buoni ne usciranno illesi per entrare nella beatitudine eterna, gli empi al contrario piomberanno nelle tenebre ove saranno eternamente tormentati. L'angelo Ezrael ha l'incarico di guidare questi disgraziati verso i loro supplizi.
In seguito si torna a ricordare la sorte degli eletti che gli angeli rivestono di « abiti di vita eterna », mentre gli empi, pur essendo costretti a riconoscere la giustizia divina, invano implorano la clemenza di Dio: «E quelli che sono nei tormenti diranno ad una voce: Abbi pietà di noi, perché ora noi conosciamo il giudizio di Dio, che egli ci dichiarò già da tempo, ma che noi non credemmo...Giusto è il giudizio di Dio, perché noi abbiamo udito e compreso che il suo giudizio è buono, perché noi siamo ricompensati secondo le nostre azioni« (26) .
Il libro termina con la vaga promessa che anche i peccatori saranno alfine liberati (27)

Evidentemente da simili libri apocrifi non si possono trarre elementi che ci possono presentare la dottrina di Pietro, al più vi si può trovare qualche indizio riguardante il pensiero di alcune chiese egiziane su alcuni problemi teologici, specialmente riguardanti la vita ultraterrena.

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Le lettere del Nuovo Testamento

Nel Nuovo Testamento sono incluse due lettere attribuite a Pietro, che con parole vibranti, illuminatrici e pratiche, svelano il cuore di un apostolo pieno di zelo per la salvezza umana

a) Prima lettera di Pietro

La maggioranza dei critici moderni, seguendo l'unanime giudizio degli scrittori antichi, è favorevole alla autenticità dell'epistola. Non deve meravigliare il suo greco assai buono, il suo vocabolario assai ricco, la sua grammatica ben curata, quale difficilmente poteva uscire dalla penna di Pietro, se si pensa che l'apostolo ebbe un ottimo collaboratore nel suo compagno di lavoro Silvano. «E' tramite Silvano, che ai miei occhi è un fedele fratello, che vi ho scritto queste poche parole» (28) Allo stesso redattore, che usualmente si identifica con il compagno di Paolo, si dovrebbero attribuire i contatti innegabili esistenti con le lettere paoline(At 15, 22).
Se il ritocco dato da Silvano alla lettera petrina non è posteriore al martirio di Pietro, si deve supporre che la lettera sia stata scritta poco prima della sua morte avvenuta probabilmente nel 64 o forse nel 67 d.C.

La prima lettera petrina è uno scritto circolare inviato ai cristiani residenti nelle cinque provincie dell'Asia Minore: Cappadocia, Galazia, Asia, Ponto, Bitinia, e perciò è priva di riferimenti a persone o a situazioni locali. Dopo l'impostazione datale dallo Harnack, dal Perdelwitz, dallo Streeter e dal Preisker, si pensò che l'epistola fosse semplicemente un discorso liturgico-battesimale, trasformato in lettera, anzi, al dire del Dr Cross un semplice rito liturgico in occasione del battesimo. Ma in seguito alla confutazione di simili idee compiuta da T. Walls, T.C.C. Thornton e da W.C. Unrick, si pensa ora che l'epistola sia un vero scritto pastorale dovuto alla penna dell'apostolo Pietro, che però al dire di P.M.E. Boismard e dal Moule avrebbe incorporato alcune espressioni di un rito assai antico, ben noto ai lettori della lettera (29) .

Fondamentalmente la prima epistola petrina è una esortazione alla speranza poggiata sulla resurrezione del Cristo (1, 3-12), alla santità come si conviene a dei sacerdoti (1, 13 - 2, 10), alla buona condotta soffrendo come il Cristo ha sofferto (2, 11 - 4, 19). L'ultimo capitolo è un'esortazione ai «presbiteri» termine corrispondente al nostro «prete». Una nozione importante di questa epistola è quella del «servo sofferente di Dio» (2, 21-25 da Is 53), che tanto rilievo ha pure nei discorsi petrini riferiti nel libro degli Atti (3, 13; 3, 26; 4, 25). Pietro, che aveva un tempo respinto con fermezza tale idea, ne avrebbe poi fatto il centro della sua predicazione.

L'essenza del messaggio cristiano è così tratteggiato nelle sue linee essenziali:

1. In Cristo si sono adempiute le promesse fatte da Dio al suo popolo nell'alleanza sinaitica:

« Questa salvezza è stata l'oggetto delle ricerche e delle indagini dei profeti, che vaticinarono della grazia a voi destinata. Essi indagavano quale persona o tempo indicasse lo Spirito di Cristo, che era in loro, quando anticipatamente testimoniavano le sofferenze di Cristo e le glorie conseguenti » (1, 10-11)

2. L'atteso Messia è venuto nella persona di Gesù di Nazaret, al quale ci si unisce per fede. Sapendo come molti Giudei, pur vedendo i prodigi di Cristo, siano rimasti sordi ai richiami di Gesù, Pietro non fa opera apologetica, ma insiste sulla necessità della fede, che è principio di salvezza.

« Il quale (cioè Gesù Cristo) benché non l'abbiate visto, voi amate, nel quale credendo, benché non lo vediate, voi gioite di un'allegrezza ineffabile e gloriosa, ottenendo il fine della fede, la salvezza delle anime» (1, 8 s)

3. Gesù, che visse facendo sempre del bene, fu crocifisso per volere di Dio:

« Egli non commise peccato e nella sua bocca non fu trovata alcuna frode. Oltraggiato, non rendeva oltraggi; soffrendo, non minacciava, ma si rimetteva nelle mani di Colui che giudica giustamente; lui stesso ha portato i nostri peccati nel suo corpo, sul legno, affinché, morti al peccato, vivessimo per la giustizia; è mediante le sue lividure che voi siete stati sanati » (2, 23 s)

4. Il Cristo risuscitato dai morti fu esaltato alla destra di Dio; la sue resurrezione è il fulcro del cristianesimo e la radice ultima della nostra salvezza. Dinanzi a tale pensiero il cuore di Pietro trabocca in un inno riconoscente.

« Benedetto sia l'Iddio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, il quale nella sua grande misericordia, ci ha fatti rinascere mediante la resurrezione di Gesù Cristo dai morti, ad una speranza viva in vista di un'eredità incorruttibile » (1, 3 s)

5. Gesù verrà nuovamente alla fine dei tempi, quale giudice glorioso; in quel momento si avrà la rivelazione completa (apokàlupsis) della sua potenza e della sua vittoria universale. I cristiani devono quindi attendere fiduciosamente la grazia che sarà loro recata « nella rivelazione di Gesù Cristo » (1, 13). Le sofferenze, sorrette dalla certezza dell'apparizione del Cristo, diventano in tal modo facilmente superabili.

« In quanto partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevene, affinché anche alla rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi giubilando » (4, 13). Pietro che «è stato testimone delle sofferenze del Cristo » sarà pure «partecipe della gloria che ha da essere manifestata » (5, 1).

La prima lettera di Pietro è pure assai importante per la dottrina del sacerdozio universale di tutti i fedeli, che esclude l'esistenza di una speciale casta sacerdotale nel cristianesimo primitivo.

« Accostandovi a lui – Gesù Cristo – pietra vivente... come pietre viventi, siete edificati qual casa spirituale, per essere un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, accettevoli a Dio per mezzo di Gesù Cristo. Voi siete una generazione eletta, un regal sacerdozio, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato, affinché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalla tenebre alla sua meravigliosa luce » (1 Pt 2, 4 s 9)

Bella è pure la definizione del Battesimo che non è

« il nettamento delle sozzure della carne, ma la richiesta di una buona coscienza fatta a Dio, il quale ora salva anche voi, mediante la resurrezione di Gesù Cristo» (ivi 3, 21)

Interessante è pure il ricordo delle sofferenze «per il nome di cristiano»: « Se uno patisce come cristiano non se ne vergogni, ma glorifichi Iddio, portando questo nome» (ivi 4, 16) (30)

b) La seconda lettera di Pietro

La lettera che si presenta sin dall'inizio come uno scritto petrino, suscita non lievi difficoltà: non è mai ricordata prima di Origene che espresse dei dubbi sulla sua autenticità(31) sicché Eusebio la pose tra gli scritti di contestata canonicità (32 ) .
Si può anzi dire che in genere la Chiesa orientale non la ritenne canonica e che Didimo d'Alessandria giunse ad attribuirla chiaramente ad un falsario (33) D'altro canto si rinviene, già attribuita a Pietro, nel papiro Bodmer, scritto all'inizio del III secolo e più tardi, prima che finisse il IV secolo, fu accolta come ispirata da tutte le chiese.

L'esame critico della lettera accresce ancor più i dubbi precedenti: la lingua è marcatamente diversa dalla prima lettera petrina, il capitolo secondo ripete con una certa libertà la lettera di Giuda, le lettere paoline sono già presentate come un corpus già completo ritenuto sacro, gli apostoli, tra i quali il redattore non sembra che si includa, sono presenti come un gruppo unico contrapposto ai profeti veterotestamentari (3, 2). L'autore sembra poi già conoscere i Vangeli scritti, in quanto il racconto della Trasfigurazione di Gesù è assai vicino a quello di Matteo e la predizione della morte di Pietro sembra riallacciarsi, se non proviene da tradizioni orali, all'ultimo capitolo di Giovanni. Dall'insieme di questi dati si può concludere che la lettera, pur contenendo un nucleo petrino, così come si presenta ora risale alla fine del I o all'inizio del II secolo.

La soluzione di questi problemi potrebbe ricercarsi nel fatto che un discepolo di Pietro ha ripreso uno scritto originalmente petrino – corrispondente grosso modo ai capitoli 1 e 3 della nostra lettera – rifondendo il tutto e completandolo con elementi tratti dalla lettera di Giuda.

Il contenuto dell'epistola si può ridurre alle linee seguenti: Simone Pietro intende salutare i suoi lettori prima della sua prossima morte. Quanto egli dirà è confermato dalla Trasfigurazione di Cristo, di cui egli fu testimone e anche dalla testimonianza profetica (cap. 1). Ma come vi furono falsi profeti in Israele, così vi saranno falsi maestri tra i cristiani, e qui Pietro utilizza la lettera di Giuda per descrivere con maggiore ampiezza la dottrina di questi falsi insegnanti (Cap. 2). In questa sua seconda lettera egli vuole richiamare le parole già dette dai profeti e i comandamenti che il Signore ha dato tramite i suoi apostoli. Contro i falsi profeti che deridono la venuta del Cristo asserendo che tutto rimane come prima, l'autore ricorda che già una volta il diluvio ha sconvolto la terra, che mille anni sono come un giorno dinanzi a Dio e che Dio pazientemente vuole la conversione dei peccatori. Anche Paolo ha affermato la stessa cosa, benché le sue lettere, come le altre Scritture, siano talvolta distorte dal loro vero senso da uomini ignoranti (cap. 3).

La dottrina di Pietro, pur non stagliandosi maestosa come quella di Paolo per ricchezza di contenuto, racchiude insegnamenti meravigliosi e presenta tra l'altro il sacerdozio universale dei credenti come punto di differenziazione nei riguardi del giudaismo precristiano. Nelle epistole petrine si svela il cuore di un apostolo innamorato di Gesù, che vede la vita cristiana come un dono del Salvatore acquistataci con il suo sangue e che deve spronarci all'imitazione del Cristo. Le sue lettere sono quindi di grande valore per farci meglio comprendere la psicologia, la fede e l'entusiasmo sempre giovane del vecchio apostolo di Galilea.


NOTE A MARGINE

1. Sono il Vangelo e gli Atti di Pietro. Girolamo vi aggiunge la Predicazione e l'Apocalisse (De viris illustribus, 1 PL 23, 639). L'Apocalisse ebbe una discreta diffusione e nel II secolo era accettata da alcuni come ispirata (cfr Frammento Muratoriano, in Enchiridium Bibl. 7). Non mi soffermo a ricordare L'Evangile de la jeunesse de Notre Seigneur Jésus Christ, edito a Parigi nel 1894 da Catulle Mendés che traduce in francese il testo latino (edito per la prima volta) e che egli dice provenire dalla Abbazia di S. Volfango, creata forse dallo stesso Mendés. torna al testo

2. Il Vangelo di Pietro è ricordato nella lettera a Serapione, vescovo di Antiochia (ca. 190) riportata da Eusebio (Hist. Eccl. 6, 12, 3-6); vi si legge che Serapione, avendo trovato che tale Vangelo si leggeva nella chiesa di Rossos (città siriaca del golfo di Isso), sulle prime acconsentì alla sua lettura («il rifiutarlo potrebbe sembrare pusillanimità: si legga pure»). Poi procuratosi tale Vangelo trovò che «molte sue idee erano conformi all'insegnamento verace del Salvatore, ma che altre contrastavano con esse» ed erano in accordo con le idee dei Doceti i quali attribuivano a Cristo un'umanità solo apparente (da dokèo = sembrare, apparire). Origene verso il 246 lo nomina e dice che, secondo tale scritto, i fratelli di Gesù «erano i figli che Giuseppe ebbe dalla sua prima moglie» (Comm. In Mat, 10, 17); secondo Teodoreto, la sua affermazione è discutibile potendo forse riferirsi al Vangelo secondo gli Ebrei, che sarebbe stato usato dai Nazarei (Haereticorum fabulae compendium 2, 2 PL 83, 389). torna al testo

3. Il testo fu edito da Bouriant , Le Mémoires publiées par les membres de la Mission archéologique française au Caire , 9,  1892 pp. 91 s; fac-simile. Ivi 1893, fasc. 3 (Reproduction en héliogravure de M.A. Lods; cfr pure M.A. Lods, L'Evangile et l'Apocalypse de Pierre publiés par la première fois , Paris 1893; G.B. Semeria , L'Evangile de Pierre , in «Revue Biblique» 1894, pp. 522-560; A. Bonaccorsi , Vangeli Apocrifi I , Firenze, Fiorentina 1948, pp. 16-29 (testo greco, note critiche e traduzione italiana). I brani sopracitati sono tratti da questa edizione; edizione e traduzione francese in Vaganay , L'Evangile de Pierre , Paris 1930. torna al testo

4. Cfr Bonaccorsi, I Vangeli apocrifi , Firenze 1948, pp. 28-29. torna al testo

5. Apol. I, 35 OG 6, 348 BC. torna al testo

6. Cfr Bonaccorsi, o.c. pp. 18-19. torna al testo

7. Il frammento insiste nel riversare tutte le colpe sui Giudei, giustificando per quanto è possibile Pilato. Dopo la morte i Giudei si mostrano alquanto sconcertati (8, 25). torna al testo

8. Vers 10; cfr Bonaccorsi , o.c., pp. 20 ss. torna al testo

9. Hist. Eccl. 3, 2 PG 20, 217 A; la testimonianza di Origene si legge in Comm. in John, 13, 17 PG 14, 424 e in M.R. James , The Apocryphal New Testament , Oxford 1924, pp. 17.18. torna al testo

10. A. Hilgenfeld ( Novum Testamentum extra canonem receptus, fasc. 4 Leipzig 1884, pp.51-65) propende per una sua origine greca; ma con il Dobschütz penso sia meglio riferirlo all'Egitto a motivo specialmente della idolatria quivi biasimata. torna al testo

11. Cfr E. Dobschütz , Das Kerigma Petri (Texte und Untersuchungen XI, 1), Lepzig 1893, pp. 80-135. torna al testo

12 Clemente Alessandrino, Stromata, 1, 29, 162. torna al testo

13. Il principio, come si vedrà, è lo stesso Figlio di Dio. torna al testo

14. Ivi 6. 5, 39-51; CB, 11, p. 451. Se il brano fosse stato scritto davvero da Pietro, anche i Giudei avrebbero dovuto essere rimproverati per i loro sacrifici cruenti i quali a quel tempo tuttora sussistevano. Questo schema apologetico contro i Greci e i Giudei riappare anche nell' Apologia di Aristide (2, 2 - 14, 4) e nella Lettera a Diogneto (2, 2 - 4, 6) che sono quasi contemporanei, pur avendone la priorità di Kérigma Petri. Cfr J.N. Reagan , The Preaching of Peter, the Beginning of Christian Apologetic , Chicago 1923; C. Vona , L'apologia di Aristide , Roma 1950; H.J. Marrou , A Diognète , Parigi 1951; il richiamo alla zoolatria, sembra suggerire che il Kèrigma abbia avuto origine in Egitto. torna al testo

15. ivi 6,6,48; CB 11, 456. Antenicene Fathers II, p. 491. torna al testo

16. Ivi 6,15,128; CB 11, 496s. Antenicene Fathers II, p. 510. torna al testo

17. Enchiridium Biblicum n. 7. torna al testo

18. Metodio, Convivio , 2, 6. torna al testo

19. Macario di Magnesia , Apocritico , 4, 4.16 Ed. Blondel, Paris, 1876 pp. 164-185. torna al testo

20. Sozomeno, VII, 19. torna al testo

21. Hist. Eccl. III, 3, 2 e III 25, 4 PG 20, 217 A e 269. torna al testo

22. Vir, ill. 1 PL 23, 640. torna al testo

23. Testo in James , o.c., pp. 507-510, torna al testo

24. L'Autore parafrasa in questo punto il racconto della Trasfigurazione di Gesù. torna al testo

25. Si trova nel Ms 51 della collezione di Abbadia, compilazione informe con parti antiche dell'Apocalisse di Pietro, sia pure rimaneggiata tanto per la disposizione generale quanto per la materia. Il Ms. fu edito tra il 1907 e il 1910 da S. Grebau (Littérature éthiopienne pseudo clémentine, in «Revue dell'Orient Chrétien», t. 12-15. Traduzione James, o.c., pp. 510-520. torna al testo

26. James, o.c., p. 517. torna al testo

27. E' la dottrina dell'apocatastasi, dominante negli scritti di Origene, nel II libro degli oracoli Sibillini e nell'Apocalisse di Elia, cfr. James, o.c., p. 521. torna al testo

28. 1 Pt 5, 12. Silvano è abbastanza noto: il suo nome si legge nella intestazione della prima e seconda lettera ai Tessalonicesi; nella seconda epistola ai Corinzi si parla ancora di Silvano (1, 19) che avrebbe predicato l'evangelo a Corinto, per cui si potrebbe pensare un segretario e collaboratore di Paolo. Abitualmente lo si identifica con Sila, chiamato profeta, che fu compagno di Paolo (At 15-18). torna al testo

29. Per una più completa trattazione della lettera cfr F.A, Chase, First Epistle of Peter, in Hastings, Dictionary of the Bible II, p. 780; A.F. Walls , The First General Epistle of Peter , Tyndale's N.T. Commentary, London, pp. 15 ss; tra i vari scritti cfr K.H. Schelke , Die Petrusbriefe, Der Juda's brief , in «Henders Theologischer Kommentar zum N.T. XIII», Freiburg 1961; Ch. Biggs , A Critical and Exegetical Commentary in the Epistles of St. Peter and St. Jude , The International Commentary  2, Edinburgh 1902, ristampa 1946; W. Kelley, The Epistles of Peter, London 1955; J.C. Margot, Les Epîtres de Pierre, Genève 1960; W. Foerster , Peter, First Epistle of, Second Epostle of, in «Dictionary of the Bible», Hastings, 2a edizione a cura di F. G. Grant, H.H. Rowley , pp. 754-759; R.G. Grant , Introduction to the N. testament , Chicago 1963, pp. 224.231; S. Garofalo , Verità, unità e pace nelle lettere di s. Pietro, in «Tabor» 27 (1959), pp. 128-141; S. Zedda , Il messaggio spirituale di Pietro , Roma 1962.
Interessanti i seguenti studi editi in S. Pietro «Atti della XIX Settimana Biblica». Paideia, Brescia 1967: Pietro Dacquino , Il sacerdozio del nuovo popolo di Dio e la prima lettera di Pietro, ivi pp. 291-318; Marco Adinolfi , Temi dell'Esodo nella I Pietro , ivi pp. 319-336; Angelo Penna , Il senato consulto del 35 d.C. e la prima lettera di s. Pietro , ivi, pp. 337-366; Mauro Laconi , Tracce dello stile e del pensiero di Paolo nella prima lettera di Pietro , ivi, pp. 367-394; Giovanni Rinaldi , la «sapienza data a Paolo» (2 Pt 3, 15), ivi, pp. 395-412; Enrico Galbiati, L'escatologia delle lettere di s. Pietro , ivi, pp. 413-424.
Per il luogo di composizione cfr il cap. 8: Pietro a Roma. torna al testo

30. A. von Harmack , Die Chronologie der altchristilichen Literature bis Eusebius , Leipzig 1897; Perdelwitz , Die Mysterienreligion und das problem des I Petrus-briefs , Giessen 1911 (cfr con i misteri pagani); B.H. Streeter , The Primitive Church , London 1929, pp. 115 ss (è una predica battesimale tenuta da Ariston, vescovo di Smirne); H. Preisker , Die Katholischen Briefe , in «Handbuch zum N.T.» di Lietzmann, Tübingen 1951, (1, 3-4, 11 è una cerimonia battesimale; 4, 12 ss è l'esortazione conseguente); F.L. Cross , I Peter. A Paschal Liturgy , London 1957, pp. 37 ss (insiste sul parallelismo tra «paschein» soffrire e «Pascha» solennità pasquale); A.F. Walls, The First General Epistle of Peter, London 1962, p. 60 (le formule usate non sono necessariamente parte di un rito battesimale); T.C.C. Thornton, I Peter. A Paschal Liturgy?, in «Journ. Theol. Studies» 12 (1961), pp. 14-21; W. C. van Unrich, Christianity Accordin to I Peter in «Expository Times» 68 (1956), pp. 79 ss (non v'è rapporto tra Pascha paschein); P.M.E. Boismard Une liturgie baptismale dans al Prima Petri , in «Revue Biblique» 63 (1956), pp. 182-208; 64 (1957), pp. 60-183; C.F. Moule , in «New Testament Srudies» 3 (1957), 1 ss; P. Guido Schembri , Il messaggio pastorale di S. Pietro nella sua prima epistola , in «Antonianum» 42 (1967), pp. 376-398. torna al testo

31. Origene in Joh 5, 3, in Eusebio, Hist. Eccl. 6, 25. torna al testo

32. Sono gli «antilegomena»; cfr Eusebio, ivi 3, 25. torna al testo

33. Didimo, Enarrations in 2 Pt in PG 39, 1774 A. torna al testo