Da Pietro al Papato
di Fausto Salvoni

CAPITOLO SETTIMO

LA PERSONA DI PIETRO NEI PRIMI SECOLI DELLA CHIESA


INDICE PAGINA

Introduzione
Il partito di Giacomo
Il partito giovanneo
Il gruppo petrino
Letteratura Clementina
Opposizione dei petrini alle altre correnti
Il gruppo dei paolini


Introduzione

Contro la scuola di Tubinga che attribuiva la nascita del cristianesimo a un compromesso tra due opposte correnti estremiste risalenti a Pietro e a Paolo, dai cattolici si era sostenuto la più completa uniformità di idee nel cristianesimo primitivo. Gli studi più recenti hanno invece mostrato che la segnalazione della scuola di Tubinga – pur prescindendo dalle sue esagerazioni – corrispondeva ad una reale situazione di fatto; hanno anzi documentato che le correnti del cristianesimo primitivo erano ben più di due, in quanto si rifacevano, oltre che a Paolo, alle tre persone che erano ritenute le tre colonne del cristianesimo apostolico: Giacomo, Cefa e Giovanni (Ga 2, 9). Proprio a tali uomini risalivano i vari partiti, nei quali si andò frazionando la Chiesa subapostolica. Anche se la loro individuazione inizia ad apparire negli scritti biblici, dove alcuni credenti esaltano il loro capo a scapito di altri (1 Co 1, 12); Ga 2, 12), di fatto la loro mutua opposizione andò evolvendosi negli anni successivi fino ad assurde posizioni eretiche. Ecco la loro enucleazione espressa in tratti assai generali (1) .

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Il partito di Giacomo

Raccoglie un gruppo di giudeo-cristiani assai fanatici che, pur ricollegandosi a Tommaso e a un certo Addai ritenuto uno dei settanta discepoli, fanno capo a Giacomo. La forte personalità di Giacomo con le sue diuturne orazioni, i suoi digiuni e la sua fedeltà alla legge mosaica si era imposto anche agli Ebrei, i quali attribuivano la caduta di Gerusalemme alla punizione divina per il suo martirio (2) Ma anche presso i cristiani Giacomo appare come la prima colonna dei credenti (Ga 2, 9), stimato e ascoltato nelle sue decisioni, come avvenne nella assemblea di Gerusalemme (50 d.C.; cfr At 15, 19-21). Quando arrivarono ad Antiochia alcuni emissari di Giacomo, persino Pietro per loro timore cessò di frequentare il Gentili (Ga 2, 11). Però nel Nuovo Testamento Giacomo non appare ancora un vero capo monarchico della Chiesa, in quanto non agisce da solo, ma assieme ai «presbiteri» di Gerusalemme (At 11, 30).

Tuttavia i suoi seguaci, chiamati «Giudei» (At 21, 20), «Ebrei» (At 6, 1). «Nazzareni» o «Iessei» dal padre di Davide, esaltarono sempre più il loro maestro facendone un vero capo della Chiesa, anzi lo stesso «vicario» di Cristo. Giacomo si trasformò così in una figura leggendaria, successo al fratello di Gesù sul «trono di Davide», come sommo sacerdote (3) e re(4) Consacrato vescovo dallo stesso Cristo anteriormente ad ogni altro apostolo (5) il figlio di Giuseppe ebbe pure la prima visione del Cristo risorto (6) A lui il Cristo affidò la Chiesa con gli stessi apostoli:

I discepoli dissero a Gesù: sappiamo che tu non ci abbandonerai; chi sopra di noi, sarà allora il più grande? Gesù rispose loro: Là dove andrete, ubbidirete a Giacomo il Giusto, colui a causa del quale il cielo e la terra sono stati creati (7) .

Per tale motivo Giacomo fu chiamato «vescovo dei vescovi», «il principe dei vescovi», «capo della santa chiesa degli Ebrei» e delle chiese fondate ovunque dalla provvidenza di Dio (8) e capo dei Dodici(9) . L'amministrazione della Chiesa di Gerusalemme fu affidata a Giacomo unitamente agli apostoli(10) lo stesso Pietro doveva render conto delle sue parole a Giacomo «il Vescovo della Chiesa» (11) Egli oltre che «giusto» fu pure chiamato «Oblias», vale a dire fortificazione, presidio del popolo (12) Gerusalemme, da lui governata, è il centro della Chiesa.

Per esaltare l'importanza dei «parenti» del Signore, costoro – che possedevano il Vangelo di S. Matteo in ebraico(13) e diffondevano le lettere di Giacomo e di Giuda – iniziarono a glorificare Maria e Giuseppe. Come uomo Gesù discendeva dalla tribù di Davide, al pari di sua madre e di suo padre putativo Giuseppe, il quale era pure sacerdote (!). Perciò il Cristo riuniva in sé tanto la regalità quanto il sacerdozio veterotestamentario (14) Di Maria esaltarono la miracolosa verginità anche dopo il parto comprovata dall'incredulità delle levatrici; si dilettarono a colmare l'infanzia di Gesù con fatti prodigiosi, e, sottolinearono la necessità della astinenza e dell'ascesi (15) Essi perciò veneravano la grotta della natività di Betlemme, la casa di Giuseppe a Nazaret, e il trono di Davide sul Sion. Con tale glorificazione di Maria e Giuseppe, ponevano la base per la esaltazione dei rispettivi parenti.

Perciò a Gerusalemme si attuò la successione dinastica di vescovi, tra i «parenti» di Gesù» (Desposùnoi o Dominici, appartenenti cioè al Signore, Dominicus). Infatti dopo il martirio di Giacomo la direzione della Chiesa di Gerusalemme passò in mano di Simone, un cugino di Gesù; anche Giuda, fratello di Gesù, e i suoi discendenti, ancora vivi al tempo di Traiano, si misero a presiedere le chiese «come parenti del Signore»(16) Lo stesso Domiziano fu per un certo tempo inquieto per l'ascendente assunto dai «Messia» di questa dinastia episcopale (17) .

I giacobiti, nel desiderio di esaltare Giacomo, deprezzarono Pietro che, dando ascolto a un sogno, aveva introdotto i Gentili nel cristianesimo senza farli passare per la circoncisione e senza obbligarli a seguire le norme mosaiche. Di Pietro che aveva svolto una notevole attività a Gerusalemme, si fissò solo il ricordo del luogo dove egli aveva rinnegato il Cristo. Nulla si conservò del luogo dove guarì lo storpio elemosinante alla porta Bella del Tempio, nulla del Cenacolo o «Camera alta» dove aveva diretta l'elezione di Mattia, nulla del luogo dove aveva punito di morte Anania e Saffira. La sua memoria fu del tutto oscurata dall'importanza assunta da Giacomo, fratello del Signore, rimasto sempre fedele a Cristo, secondo la tradizione giacobita. Si fissò, quindi, nel tempio il luogo dove questi si dedicava alla preghiera e dove subì il martirio; nel Cenacolo si tramandò il ricordo del «trono di Davide» quale emblema della dinastia davidica continuata nella famiglia del Signore, vale a dire da Giacomo e dai parenti di Gesù Cristo. Nessuno – nemmeno da parte dei cristiani provenienti dal gentilismo – ha mai pensato di collocarvi una cattedra di Pietro (18) perché sin dalle origini «il trono episcopale» vi fu riservato a Giacomo.

Come è ovvio, gli strali dei giacobiti si appuntarono particolarmente contro Paolo, come ce ne fanno fede le sue stesse lettere. Egli non dovette solo combattere contro i «cani», vale a dire contro gli Ebrei non convertiti (Fl 3, 2), ma anche contro gli emissari di Giacomo che con la pretesa di imporre la circoncisione e la Legge, l'obbligatorietà dei vari giorni di riposo e dall'astensione di certi cibi (1 Ti 4, 1-5; Cl 2, 16; Rm 14, 2), volevano di fatto assoggettare i cristiani al giudaismo (Rm 14, 5; Cl 2, 16). Per costoro Paolo era l'anticristo, che si opponeva alla legge divina esistente in cielo prima ancora di essere dettata a Mosè (19) .

Evidentemente questo movimento religioso non riconosceva alcuna superiorità gerarchica a Pietro, che era anzi ritenuto subordinato allo stesso Giacomo.

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Il partito giovanneo

Contro l'importanza che Giacomo e Pietro andavano assumendo nei primi anni del cristianesimo, il partito che si rifaceva a Giovanni, cercò al contrario di esaltare il proprio apostolo. Già nel primo Vangelo appare l'inizio di questa glorificazione, contenuta però nei giusti limiti e solo per opporsi alle pretese delle altre due correnti cristiane. Giovanni, l'unico apostolo rimasto fedele a Gesù nel momento cruciale della crocifissione, è il «prediletto» dal Signore, che pone il suo capo in grembo a Gesù(19bis) Ma i suoi discepoli andarono oltre raccontando che sul monte Tabor durante la trasfigurazione, Gesù parlò a lungo con lui, suscitando la reazione gelosa di Pietro e Giacomo i quali finalmente adiratisi imposero a Giovanni di lasciare in pace Gesù e di tornare da loro (20) Essi pensarono persino che fosse un essere «immorale», per cui il quarto Vangelo dovette rettificare tale pensiero dicendo che Gesù non gli aveva affatto promesso l'immortalità (21) .

I discepoli di Giovanni cercarono di opporsi alla corrente sia giacobita che petrina. Contro Giacomo insistettero sul fatto che « anche i fratelli di Gesù», compreso quindi lo stesso vescovo di Gerusalemme « non credevano in lui» prima della resurrezione (Gv 7, 7). Essi sottolinearono pure il fatto che al momento della crocifissione la «madre» di Gesù sfruttata dai Giacobiti per accrescere la loro importanza, era stata affidata al discepolo «amato» anziché ai suoi fratelli (Gv 19, 26s). Quindi la pretesa giacobita non aveva alcun valore. Contro di essi, fanatici assertori della legge mosaica, i giovanniti esaltarono l'importanza del sigillo che lo Spirito Santo conferisce a tutti i cristiani, e che fu posto in risalto, persino eccessivo, dai Montanisti di origine giovannea. I discepoli di Giovanni presentarono poi la caduta di Gerusalemme come il crollo definitivo del giudaismo (e quindi anche dei Giacobiti) come il momento nel quale il Cristo iniziò davvero a regnare (Ap 12).

Contro i petrini, che esaltavano l'apostolo Pietro, i giovanniti sottolinearono che questi dovette più volte dipendere da Giovanni sia per conoscere il nome del traditore, sia per entrare nell'atrio della casa di Caifa (Gv 13, 24; 18, 15). Pietro, il rinnegato dovette piangere amaramente la sua colpa (Gv 19, 26) ed essere ristabilito nella sua funzione di apostolo, dalla quale era decaduto con il suo triplice rinnegamento (Gv 21), mentre Giovanni rimase fedele a Cristo durante la seduta del Sinedrio e ai piedi della croce. A Pietro non fu affidato tutto il gregge, bensì solo «gli agnellini» e «le pecorine», vale a dire i cristiani immaturi (21bis) . Anche se Pietro impulsivo entrò prima di Giovanni nel sepolcro e si gettò nel lago di Tiberiade per raggiungere per primo il Maestro sulla spiaggia della Galilea, di fatto Giovanni fu quegli che « vide (il sepolcro) e credette » anche senza entrarvi e che individuò tosto nello straniero della spiaggia deserta il Cristo risorto (Gv 20, 8; 21, 7).

Contro le pretese dei petrini, i giovanniti sostennero pure che il «Tu sei Pietro» non riguardava solo l'apostolo, bensì tutti i cristiani spirituali, i quali sono i veri successori di Pietro. Tertulliano scrive:

« Il potere di Pietro passa agli spirituali ossia a un apostolo, a un profeta... La Chiesa (gerarchica) può anche avere dei delitti, ma la Chiesa dello Spirito si valuta dall'uomo spirituale e non dal numero dei vescovi »(22) .

Simile la posizione di Origene dal quale le parole di Cristo a Pietro, si applicano ad ogni credente che per fede diventa simile a Pietro:

« Da Pietro costoro vanno chiamati pietra, perché su ogni fedele perfetto la Chiesa è edificata da Dio » (23)

Come si vede anche i giovanniti non hanno riconosciuto Pietro come capo della Chiesa universale o del collegio apostolico(24) .

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Il gruppo petrino

Il libro degli Atti, che tende ad occultare le divergenze tra le primitive correnti cristiane, mostra un Pietro che sta in bilico tra la missione giudaica e quella pagana (At 11, 19-26). Amico di Paolo che lo visita con rispetto (2 Pt 3, 15; Ga 1, 18), è in accordo anche con Giacomo il Giusto (At 12, 17), e con Giovanni dal quale è accompagnato nei suoi viaggi, quasi ne fosse l'ombra (At 3, 1; 8, 14).

Tuttavia i discepoli di Pietro, i cosiddetti Ebioniti, cercarono di esaltare sempre più l'apostolo stabilendo un parallelismo tra lui e Paolo e lo stesso Gesù (25) In questa linea direttiva si innestano le lezioni occidentali del libro degli Atti e la molteplice letteratura petrina (26)

a) Le lezioni occidentali del libro degli Atti mettono in miglior luce l'apostolo Pietro.
Si tratta di una ventina di aggiunte al libro canonico degli Atti (27) le quali si leggono nel codice D ossia nel «Codice di Beza» o di Cambridge, cosiddetto perché prima appartenente a Teodoro Beza e poi passato all'Università di Cambridge, e in vari testimoni latini, per cui dette «occidentali».

La questione non è ancora stata esaminata bene: vi accennò indirettamente il Chase nel 1893 segnalando il curioso parallelismo esistente tra alcune lezioni petrine siriache nel codice di Beza e la parte paolina degli Atti (28) Ma tale fenomeno fu trascurato nello studio amplissimo di B. Weiss (29) e da J. H. Ropes nella sua vasta introduzione agli Atti che supera le 340 pagine. Dopo un accenno del Menoud nel 1951 (30) vi si dedicarono gli articoli di J. Crehan (31) e di Carlo M. Martini(32) Lo studio più esauriente delle varianti del codice di Beza si trova in una recente pubblicazione di E. J. Epp (33) .

In queste lezioni si afferma che solo Pietro anziché il gruppo degli apostoli, designò i due nomi dei candidati destinati a prendere il posto di Giuda (1, 23). Dopo la Pentecoste fu Pietro il primo a parlare alla folla (2, 14), universale è l'efficacia dell'azione guaritrice di Pietro (5, 15). Cornelio attende con impazienza l'arrivo di Pietro (10, 24), uno schiavo ne preannuncia l'arrivo (10, 25); Pietro parlò nello Spirito all'assemblea di Gerusalemme (15, 7); o presbiteri approvarono il discorso di Pietro che fece ammutolire la folla(34)

In genere tali passi vogliono presentare in modo più vivido e marcato la figura e l'attività di Pietro, per cui ampliano le gesta dell'apostolo, precisano particolari cronistici e topografici della sua opera, e cercano di far pendere in favore di Pietro il parallelismo esistente tra Pietro e Paolo nel libro degli Atti. Non giungono però a presentare Paolo come «il nemico» di Pietro: vi è solo un petrinismo, ma non ancora un antipaolinismo (35) La stessa lingua, che risente dell'influsso lucano, mostra che tali lezioni dovettero sorgere tra il primo e il secondo secolo (certamente prima del 150) in zone vicine all'ambiente lucano (antiocheno?) ad opera di cristiani penetrati di maggior venerazione verso i due apostoli Pietro e Paolo, ma specialmente verso Pietro, e che volevano sottolineare l'aspetto antigiudaico del messaggio cristiano e l'importanza dello Spirito Santo nelle comunità primitive (36) .

b) Letteratura petrina apocrifa

Molti libri di tendenza petrina esaltano l'importanza di Pietro, facendone un capo (ad eccezione di alcuni brani d'intonazione giacobita, penetrati in questi libri compositi), che si interessa del denaro da distribuire ai poveri e cerca di inculcare la verginità. Sono gli elementi che, caso strano, saranno poi esaltati dalla Chiesa romana. Eccone gli scritti più importanti:

c) Atti di Pietro

Di questo libo apocrifo, sorto verso il 200 in Asia Minore, in quanto poco conosce Roma, possediamo un frammento copto, che parla della figlia di Pietro (IV - V secolo) e una parte assai estesa e conservata del manoscritto latino di Vercelli. Atri frammenti ci sono stati conservati in alcuni papiri. Gli «Atti di Pietro» scritti indubbiamente da discepoli di Pietro, tradiscono degli influssi gnostici.

d) Frammento copto riguardante la figlia di Pietro

La moltitudine vedendo Pietro compiere molti miracoli, lo pregò di guarire anche sua figlia (di nome Petronilla, secondo gli Atti di Nereo e Achileo) che era paralizzata. L'apostolo cercò di spiegare loro che tale malattia era provvidenziale, a motivo di un certo Tolomeo, innamorato pazzo di lei. Tuttavia per accrescere il numero dei convertiti il padre compì il miracolo, ma solo per un breve tempo, facendo poi ritornare inferma la figlia. Tolomeo tentò di rapirla ugualmente, ma in seguito a una visione, si recò dall'apostolo che gli spiegò il motivo di tale paralisi. Egli allora si convertì e alla morte lasciò una cospicua eredità a Pietro che ne distribuì il denaro ai poveri(37) L'intento presentato dal racconto è evidente: esaltare la verginità a scapito del matrimonio.

e) Pietro e Simon Mago (Atti di Vercelli). – Un episodio riguardante la Palestina (c. 17), tutti gli altri invece Rima (1-16; 18-32)(38)

Simon Mago avido di ricchezza, rubò molti gioielli alla matrona Eubola, che ne sospettò i propri schiavi, ma Pietro, consolata la donna, le fece recuperare la refurtiva e individuare il ladro, il quale, intuito il pericolo, scomparve dalla Giudea, mentre la matrona disponeva che il suo ingente patrimonio venisse distribuito ai poveri (c. 17).

Dopo la patetica scena di Paolo, che lascia i Romani per recarsi in Spagna (cc. 1-3), ecco giungere a Roma il Mago Simone, che con i suoi prodigi ingannò la comunità cristiana attirando al suo seguito gran parte dei cristiani. Per fortuna, dodici anni dopo l'ascensione, il Cristo apparve a Pietro, il quale si trovava allora a Gerusalemme, per annunciargli quanto accadeva nella Chiesa romana. Pietro allora si imbarcò in tutta fretta, convertì il comandante della nave e fu accolto a Roma da un'ingente folla (39) Pietro esortò i cristiani alla resipiscenza e, all'udire che perfino Marcello il benefattore dei poveri era diventato patrono dell'eretico, si recò a casa dell'apostata dove dimorava il mago. Il portinaio gli confessò candidamente di aver ricevuto l'ordine di dirgli che Simone non era in casa, ma Pietro incaricò il cane di annunciargli il suo arrivo. All'udire il cane che apostrofava la pretesa «Potenza di Dio», Marcello si ravvide, corse ai piedi di Pietro e gli chiese perdono dei suoi peccati, tra i quali vi era l'erezione di una statua in onore del mago con l'iscrizione «A Simone, nuovo Dio» (40) Il cane preannunciò all'apostolo che la sua missione sarebbe stata dura: «Pietro, tu avrai una grave lotta con il nemico di Cristo e dei suoi servi, tu farai tornare alla fede molti che furono ingannati da loro, perché tu riceverai da Dio la ricompensa della tua opera». La moltitudine impressionata chiese altri prodigi all'apostolo che, gettata nell'acqua un'aringa secca, la fece ridiventare viva (cc. 4-13).

Marcello, convertito, scacciò di casa Simon Mago, il quale presentatosi a Pietro, lo assicurò che avrebbe ben presto palesato quanto stupida fosse la sua fede in «un uomo, figlio di un falegname». L'apostolo lo fece rimproverare da un bimbo di sette mesi, che gli intimò di starsene lungi sino al prossimo sabato quando avrebbe avuto luogo la lotta finale: il mago non potè rispondere per aver perso improvvisamente la favella. In una visione notturna Gesù confortò Pietro, manifestandogli che la futura lotta avrebbe attirato molti pagani alla verità (cc. 14-16.18). Marcello, purificata la propria casa con acqua benedetta, invitò Narciso e altri fratelli perché distribuissero tutti i loro beni ai poveri. L'apostolo restituì la visita ad una vedova, poi entrò nell'assemblea riunita per leggere il vangelo (41) Pietro, interrotta la riunione, spiegò loro «come si dovesse interpretare la S. Scrittura», e, ricordando l'episodio della Trasfigurazione, narrò com'egli fosse rimasto cieco fino a quando Gesù non lo ebbe preso per mano (42) quindi passò a descrivere il carattere soprannaturale di Gesù con espressioni non sempre ortodosse. All'ora nona l'assemblea iniziò la preghiera, e molte vedove cieche ottennero miracolosamente la guarigione: Marcello suggerì a Pietro di riposarsi un po' e gli narrò la visione da lui avuta di una donna nera, personificante la potenza diabolica di Simone, che veniva uccisa da un personaggio misterioso simile a Pietro (cc. 19-22).

Pietro recatosi nel foro per il supremo incontro, arringò gli idolatri ricordando loro il furto compiuto da Simon Mago e la sua richiesta fatta a Pietro e Paolo (sic ?!) di ottenere il dono dei miracoli (cfr At 8, 19), poi con testi profetici dimostrò la divinità di Cristo, citando anche un Ezechiele apocrifo e l'Ascensione di Isaia (cc. 23-24). Il prefetto scelse allora la prova: Simon Mago dovrà far morire un ragazzo e Pietro risuscitarlo: «Tosto Simone parlò all'orecchio del fanciullo che divenne muto e poi morì». Pietro fece condurre qui anche il cadavere del figlio unigenito di una vedova e risuscitò entrambi i ragazzi, mentre la folla erompeva nel grido: «Uno è l'Iddio, uno è l'Iddio, quello di Pietro... Tu sei l'Iddio Salvatore: Tu l'Iddio di Pietro, sei il Dio invisibile, il Salvatore».

Allora anche la moglie di un senatore impetrò la resurrezione del figlio il cui cadavere fu portato nel Foro. L'apostolo sfidò Simone a ridonare la vita al cadavere e il mago gli fece muovere la testa e gli occhi. Il popolo esultò commosso, ma Pietro disse che questi erano dei puri gesti meccanici non una vera resurrezione, dal momento che il cadavere era tosto ripiombato nella sua inerzia. Ottenute alcune promesse dalla madre, tra cui quella di aiutare i poveri, l'apostolo restituì la vita al giovane e, dinanzi all'entusiasmo popolare, si ritirò nella casa di Marcello (cc. 25-29).

Una donna in seguito ad una visione regalò a Pietro 10.000 pezzi d'oro; ma l'assemblea criticò l'apostolo dicendo che quel denaro era stato raccolto da Criseide mediante i suoi molti adulteri. Pietro si difese dicendo che a lui poco importava sapere che cosa fosse stata quella donna, a lui interessava solo il fatto che Cristo stesso aveva provveduto del denaro per i suoi santi.

Il Mago Simone promise di voler dimostrare il giorno dopo che non l'Iddio di Pietro, ma il suo dio, del quale egli incarnava la potenza «essendo figlio di Dio Padre», era il solo vero dio. Nella prova finale Simone entrò in città volando per il cielo e sfidando l'Iddio di Pietro e mostrare la sua potenza impedendogli di sollevarsi in aria. Il mago si innalzò allora «sopra tutta Roma, i templi e le montagne»; però alla preghiera dei fedeli e di Pietro egli precipitò a terra e la sua gamba si ruppe in tre punti proprio secondo il desiderio dell'apostolo. Il mago poco dopo venne ucciso in Terracina (43) .

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Letteratura Clementina

I petrini, specialmente nella parte più antica della letteratura clementina, cercarono di mettere in cattiva luce anche l'apostolo Paolo. Il «romanzo» dello pseudo - Clemente accoglie elementi eterogenei. Secondo il Waitz alla base vi starebbe un'opera di carattere dottrinale composta verso il secolo II dalla setta degli Elcesaiti, con elementi anche anteriori (44) e che si chiama Kerygmata Petri o «Predicazione di Pietro» (45) Nel III secolo essa si fuse con gli Atti di Pietro (di origine palestinese e distinti dagli Atti di Vercelli) e con le Avventura di Clemente .. Ne risultò così nel IV secolo un'opera dottrinale e romanzesca, distinta in due sezioni: Le Recognitiones e le Omelie : delle prime abbiamo solo la versione latina di Rufino e una versione siriaca, delle seconde anche il testo greco con riassunti in greco e in arabo (46) .

a) Omelie

Contengono le pretese prediche di Pietro, alle quali precedono due lettere inviate (con tendenze talora giacobite), da Pietro e da Clemente a Giacomo il Minore, vescovo di Gerusalemme. La narrazione è solo una tenue cornice per inquadrarvi degli insegnamenti teologici di carattere giudaico-gnostico: Il Cristo è qualcosa di divino, già manifestatosi in Adamo e Mosè. Il cristianesimo vi è dipinto come un giudaismo depurato, con centro a Gerusalemme dive dimora Giacomo «il vescovo dei vescovi» (Lettera di Clemente). Si tratta di un brano giacobita.

b) Recognitiones

La parte narrativa, pur non raggiungendo una trama vera e propria, è assai più movimentata e ricalca motivi già noti nell'antichità profana, il suo nome proviene dai molti racconti «nei quali Clemente riconosce i suoi cari».
Questi, rimasto con il padre a Roma, s'incontrò con Barnaba e, recatosi con lui a Cesarea, vi fu battezzato da Pietro al cui seguito egli passò per andare alla ricerca di Simon Mago a Cesarea prima, poi a Laodicea; in altre città della Fenicia e della Siria il mago fuggì precipitosamente appena si spargeva la notizia dell'arrivo dell'apostolo.
In questi suoi viaggi Clemente ritrovò prima la madre e i fratelli, che si ritenevano periti in un viaggio marittimo, poi il padre che era partito da Roma per ricercare la moglie e i figli.

c) La predicazione di Pietro

Costituisce la parte più antica di origine ebionitica e di tendenza antipaolina, su cui torneremo più tardi. In questa ultima parte, che tratta dell'attività di Pietro tra gli anni 51-54, l'apostolo appare il fondatore della Chiesa, che percorre nei suoi viaggi apostolici la costa siro-palestinese, da Cesarea ad Antiochia. In tutte le città da lui attraversate l'apostolo istituisce una gerarchia composta da un vescovo, da dodici presbiteri e da diversi diaconi. Anche a Roma pone come vescovo Clemente da lui battezzato (47) Il suo comportamento è tipicamente giudeo-cristiano: non mangia mai con i non circoncisi, osserva un'astinenza severa cibandosi di pane, olive e legumi(48) La sua brama di purezza l'aveva reso misogino al punto da considerare la sua stessa figlia come sorgente di scandalo (49) .

Vi viene detto il «primo degli apostoli», il «fondamento della Chiesa», «l'apostolo dei Gentili» incaricato di illuminare «l'oscuro occidente». Ma in altri brani, forse aggiunti dai giacobiti, è presentato in contatto con Giacomo, che ha il primato ecclesiastico, tra le varie chiese della Cristianità.

Un altro dato dei petrini è l'assimilazione di Pietro a Gesù. Ciò appare ad esempio nel suo martirio, quando egli fu crocifisso come il Messia, anche se per umiltà volle che il capo fosse all'ingiù.

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Opposizione dei petrini alle altre correnti

a) Contro la corrente giovannita, i petrini cercarono di lasciare nell'ombra un apostolo così importante e che dominava nell'Asia Minore. Qualcuno pensa che la relazione dei primi capitoli degli Atti dove Giovanni fa quasi da ombra e da controfigura per esaltare Pietro, sia di intonazione petrina. Ma forse è meglio pensare all'arte di Luca e al suo desiderio di mostrare l'armonia sostanziale di tutti gli apostoli contro le manovre dei loro seguaci.

b) Contro i giacobiti che insistevano sulla concezione di Gesù ad opera di Maria per sostenere l'autorità dei parenti di Gesù, i petrini sottolinearono invece il battesimo di Gesù, omettendo la sua concezione straordinaria (50) e ricordarono che i parenti stessi di Gesù – compresi i più intimi vale a dire i suoi stessi fratelli, Giacomo compreso – erano ostili all'attività del Cristo(51)

Nei libri ispirati la reazione ai giacobiti si contenne nella giusta misura accontentandosi di omettere ciò che poteva favorire l'esaltazione di Giacomo da parte dei suoi seguaci, ma i petrini successivi andarono oltre sino a sostenere (con gli Ebioniti) che solo nel suo battesimo Gesù ricevette la dignità messianica (e secondo alcuni anche la sua divinità) negandone la stessa concezione verginale (52) .

Lo stesso ebionita Simmaco, lodato da Girolamo per la sua traduzione (53) aderiva a tale idea:

« Convien sapere che uno di questi traduttori e precisamente Simmaco, era un ebionita. All'eresia detta ebionita aderiscono quanti insegnano che il Cristo nacque da Giuseppe e da Maria, riducendolo pertanto a un semplice uomo, e così pretendono imporre l'osservanza della Legge, alla maniera giudaica.
Tuttora sono in giro i commenti di Simmaco, nei quali egli si dimostra premuroso nel puntellare la detta eresia, muovendo aspra critica al Vangelo di Matteo. Origene fa osservare d'aver ricevute questa ed altre interpretazioni elaborate dal Simmaco sopra le Sacre Scritture, da una certa Giuliana, la quale le aveva accolte da Simmaco stesso» (54) .

In tal modo costoro colpivano direttamente la pretesa dei Giacobiti, che appunto per la nascita meravigliosa del Messia da Maria, attribuivano ai di lei parenti una superiorità sugli altri. Se la concezione di Gesù fu come quella di tutti gli altri uomini, se da Maria nacque un puro uomo come tutti gli altri, che poi divenne Cristo solo nel battesimo senza alcun influsso materno, ne consegue che tutte le pretese dei suoi parenti carnali non hanno alcun valore. Tra i petrini va forse incluso quel Tebutis che, alla morte di Giacomo, tentò inutilmente di opporsi alla successione vescovile di Simone, che pretendeva averne diritto in quanto parente del Signore (55)

c) I petrini non solo combattevano di giacobiti, ma la stessa persona di Paolo che si andava imponendo sempre di più fra i Gentili. Essi anzitutto resero Pietro il primo, anzi il capo degli apostoli, attribuendogli una serie di titoli altisonanti, come «corifeo degli apostoli», il «Primo discepolo di Cristo», «duce e primizia degli apostoli», «il pastore per eccellenza», tutoli questi ricorrenti in fonti cristiane e pagane del III secolo, che costituirono la base per il futuro sviluppo del pensiero cattolico (56) .

Contro il gruppo paolino i petrini insistono sull'obbligo della circoncisione e del riposo sabbatico, sulla validità della legge mosaica in quanto Gesù è venuto per adempiere, non per abolire la Legge. Nelle predicazioni di Pietro (Kerygmata Pétrou, parte più antica della letteratura clementina), Paolo pur non essendovi nominato, appare come il «grande avversario», lo «inimicus homo» che si oppone al volere di Cristo difeso da Pietro. Il tono violento della polemica richiama il periodo della epistola ai Galati (ca. 53 d.C.).

In esse Pietro così apostrofa Paolo: «Come ti sarebbe apparso, Lui, a te, quando i tuoi pensieri contraddicono il suo insegnamento? Sei tu divenuto un apostolo? Credi dunque alle sue parole, spiega la sua dottrina, ama i suoi apostoli, cessa di combattere me che sono vissuto con lui. Poiché è contro di me, la solida roccia e il fondamento della Chiesa, che tu ti sei eretto da avversario» (cfr Ga 2, 11).
«Se tu non fossi un nemico, non mi denigreresti affatto, non criticheresti la mia predicazione, perché non mi si creda quando ripeto ciò che ho inteso dalla bocca stessa del Signore, e tu non diresti che sono un uomo biasimevole»(57) .

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Il gruppo dei paolini

Mentre i primi tre gruppi, almeno all'inizio agirono sullo sfondo della cristianità ebraica, la corrente paolina di impose particolarmente nelle chiese della gentilità.

Paolo contro la corrente giacobita, che esaltava la maternità di Maria, cerca intenzionalmente nei suoi scritti di ridurne il ruolo, tant'è vero che la venuta di Gesù su questa terra è espressa con una semplice frase «Iddio ha mandato il Figlio nato di donna» (Ga 4, 4). Contro l'esaltazione della Legge, che i giacobiti ritenevano tuttora obbligatoria, Paolo insiste nel dimostrare che la salvezza viene non dalla Legge, bensì dalla fede; che la Legge era solo un pedagogo per condurre al Cristo; che noi ora siamo figli di Dio, non più servi (58) .

Contro i petrini che esaltavano l'importanza dell'apostolo dei Giudei, afferma che i cristiani appartengono non a uomini, ma a Cristo crocifisso per loro, e sostiene che nessuno deve gloriarsi degli uomini poiché tutti, Pietro compreso, sono ministri dei cristiani (1 Co 3, 21-23). Nella lettera ai Galati Paolo si oppose energicamente a Pietro, lo rimproverò in modo assai aspro «perché non camminava secondo la verità del Vangelo» (Ga 2, 14) e si presentò con la stessa autorità degli altri Apostoli per nulla inferiore a Pietro, poiché presso Dio non v'è accezione di persone (59) Paolo non ebbe invece delle critiche verso i giovanniti, che con lui avevano maggiore affinità di idee.

Presso i Gentili l'autorità di Paolo andò sempre più imponendosi specialmente presso gli gnostici e i loro simpatizzanti. E' questa una storia non ancora scritta e che meriterebbe di essere sviluppata con competenza attraverso l'analisi delle varie fonti. Tra costoro domina la figura di Marcione (II secolo), che, nel desiderio di meglio combattere le tendenze giudaizzanti (giacobite), respinse tutto l'Antico Testamento rifiutandone ogni esegesi allegorizzante. Partendo dal contrasto paolino tra Legge e vangelo tra giustizia divina e grazia, affermò che solo Paolo aveva ben compreso il Signore, che l'Antico Testamento proviene da un altro Dio giusto ma iroso, identico al Creatore (Demiurgo), mentre il Nuovo deriva dal Dio d'amore e di ogni consolazione. E' questo Dio buono che si è manifestato nel Cristo; il suo messaggio si rinviene in Luca (senza però il Vangelo dell'infanzia) e nelle dieci più importanti lettere paoline (60) .

Siccome gli gnostici si richiamavano alle lettere paoline per spulciarvi elementi capaci di essere sviluppati secondo la dottrina gnostica, come l'aspirazione alla libertà, alla conoscenza (gnosi), la Chiesa ortodossa nutrì a lungo diffidenza verso gli scritti di Paolo (61) .

Dal momento che Paolo stesso si presentò come apostolo per nulla affatto inferiore a Pietro, è naturale che la corrente paolina non abbia attribuito all'apostolo degli Ebrei grande importanza, lasciandolo del tutto in disparte. Dal momento che essi erano contro ogni legge, dovevano necessariamente contrariare l'organizzazione gerarchica della Chiesa e l'autorità di Pietro a capo degli apostoli e della Chiesa (62) .

Nessun primato

Si può quindi concludere che nei primi secoli l'autorità di Pietro, cone capo della Chiesa, fu sostenuta solo dalla corrente petrina, ma fu piuttosto contrariata da tutti gli altri tre gruppi; il che conferma la conclusione a cui eravamo già pervenuti con l'esegesi delle parole di Gesù e di Pietro. I gruppi giovannita, giacobita e paolino, che costituivano la maggioranza dei credenti, anche nella loro manifestazione ortodossa, non riconoscevano il primato petrino, tanto meno lo ammettevano nella loro espressione eterodossa.

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NOTE A MARGINE

1. Come a Qumrân vi era un'organizzazione gerarchica di «Dodici» membri e di «tre» sacerdoti, anche bel collegio apostolico dei Dodici appare il gruppo privilegiato dei tre; mentre il numero «dodici» dopo la defezione di Giuda fu ristabilito con la scelta di Mattia (At 1, 12-26), il numero «tre», dopo la morte di Giacomo apostolo, venne reintegrato con l'omonimo fratello di Gesù (At 12, 2 con 12, 17). Cfr J. Danielou, La communauté de Qumrân et l'organisation de l'Eglise, in «Rev. Hist. Phil. Relig.» (35 1955), pp. 104 s. torna al testo

2. Egesippo, Memorie in Eusebio, Hist. Eccl. 2, 23, 19 ed. G. del Ton, Roma, Desclée, 1964, p. 138. Per questo apostolo, che non era uno dei dodici, si veda G. Flavio, Ant. Giud. 20, 197-199.203; S. Giacomo il Minore, primo vescovo di Gerusalemme, in «La Terra Santa», Gerusalemme, 1962. torna al testo

3. Egesippo, in Eusebio, Hist. Eccl. 2,23,6, PG 20, 197 A. torna al testo

4. Epifanio, Haereses (Contro i Nazarei) 29 (secondo altri 9), PG 41, 389.392 s. Haereses, 78 PG 42, 721. torna al testo

5. Epifanio, Haereses, 78 PG 42, 709; cfr Clemente, Epist. ad Corinth. PG 1, 1244 n. 51; 2, 26; Girolamo De viris illustribus, 2. Secondo Clemente Alessandrino fu scelto a vescovo di Gerusalemme a preferenza degli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni (in Eusebio, Hist. Eccl. 2,1,3 PG 20, 136 AB. torna al testo

6. Protov. di Giacomo 18, 1; Epifanio, Haereses 1, 19, PG 41, 393 B; 42, 709. torna al testo

7. Evangelo di Tommaso, n. 13 (secondo altri 12). torna al testo

8. Recognitiones 1, 68.72.73 PG 1, 1244.1247: Epistola Clementis ad Jacobum. torna al testo

9. Cfr O. Cullmann, Le problème litéraire et historique du roman pseudo-clémentin, in «Rev. Hist. Phil. Rél.» 23, 250 ss. In altre parti, meno antiche le Pseudo-Clementine esaltano invece Pietro. torna al testo

10. Egesippo, Memorie, in Eusebio, Hist. Eccl. 2,23,4 PG20, 96. torna al testo

11. Ep. Petri ad Jacobum 1, PG 2, 25-28. torna al testo

12. Egesippo in Eusebio, Hist. Eccl. 2,23,7 «oblias» che in greco va tradotto: «presidio del popolo» (PG 20, 197 B). torna al testo

13. Questo evangelo ebraico, ritenuto l'originale di Matteo, fu tradotto in lingua greca da Girolamo, mentre era ad Aleppo (cfr. In Matt. XII, 13 PL 26, 30); però secondo il codice arabo giudeo-cristiano, scoperto di recente ad Instanbul (fol 71 a), esso avrebbe contenuto solo «i detti» del Signore (cfr Papia) e sarebbe stato consegnato a tradimento dai paolinisti alle autorità romane; in seguito fu rimanipolato. secondo criteri biografici. Cfr S. Pine, The Jewish Christians of the Early Centuries of Christianity according to a New Source, Jerusalem 1966, pp. 14-19. La corrente più fanatica che si rifà a questo codice non ha mai creduto nella divinità del Cristo, che è ritenuto un semplice profeta, scrupoloso osservante di tutta la legge mosaica. Separatisi dalla chiesa di Giacomo questi credenti si ritirarono nella Siria nord-orientale, e precisamente a Jazirat al 'Arab, nel distretto do Mosul. torna al testo

14. Epifanio, Haer. IX o XXIX PG 41, 388-405. torna al testo

15. A loro risale il ciclo apocrifo dei Vangeli dell'infanzia: Protovangelo di Giacomo, lo Ps. Tommaso e lo Ps. Matteo, il ciclo dei Transiti di Maria, cfr. G. Bonaccorsi, Vangeli apocrifi, Firenze 1948, pp. XXI-XXVII e 59.289. Tra gli scritti encratiti (ascetici) ricordo il Vangelo degli Egiziani; tra le opere mistico-essene le Odi di Salomone, il Vangelo di Tommaso, il Vangelo della Verità e il Canto della Perla. torna al testo

16. Così J. Weiss, Urchristentum, p. 558. torna al testo

17. Egesippo in Eusebio, Hist. Eccl. 3,20,1-7; S.G.F. Brandon, The Fall of Jerusalem and the Christian Church, London 1951; J. Hering, Royaume de Dieu, o.c. p. 51. torna al testo

18. La prima cattedra di Pietro fu infatti posta ad Antiochia. Per il «trono episcopale» di Gerusalemme cfr Eusebio, Hist. Eccl. 2,12,1. Sul «trono di Davide» cfr Epifanio, Haer. IX o XXIX PG 41, 392. torna al testo

19. La corrente Giacobita, dopo la distruzione di Gerusalemme divenne una setta sempre più limitata che finì poi col diventare eretica. torna al testo

19bis. Gv 13, 23. Su questo argomento cfr Alv. Klagerud, Der Lieblings Jünger in Johannes-evangelium, Oslo 1959, p. 75. Questi pretende perfino sostenere che in Gv 18, 15-16 il discepolo prediletto vi è presentato come il buon pastore (cfr Gv 10, 11-16), perché vi si usano vocaboli identici come: portiere, seguire, conoscere, entrare, uscire, ecc. Ma si tratta di indizi insufficienti, e la corte del sacerdote non può paragonarsi all'ovile, simbolo del regno dei cieli, come egli suppone. E. Meyer (Sinn und Tendenz der Schlusszene am Kreuz im Johannesevangelium, in «Sitzungbericht der presussichen Akademie der Wissenschaften» 1924. p. 159) pensa addirittura che, con le parole rivolte da Gesù alla sua madre e a Giovanni, Gesù abbia accolto il discepolo amato nella stessa sua famiglia adottandolo come fratello in senso stretto. In questo brano evangelico v'è pure uno spunto apologetico contro la pretesa giacobita di esaltare Giacomo al di sopra degli altri in quanto fratello di Gesù. torna al testo

20. Atti di Giovanni, n. 91 ; in James, Apocraphal N. Testament, Oxford 1924, p. 252. Il libro, scritto verso la metà del II secolo, è di tendenza manichea e costituiva un'opera da essi approvata. torna al testo

21. Gv 21, 22. Forse una coloritura contraria alla corrente giovannea si riscontra nella prima parte del libro degli Atti dove Giovanni è presentato solo come l'ombra di Pietro (At 3, 1-3; 4, 19; 8, 14): a meno che al contrario il nome di Giovanni non sia stato aggiunto dai giovanniti per mettere Giovanni nella stessa posizione di Pietro. torna al testo

21bis. Usualmente vi si legge infatti àrnos (agnello ); mentre arnìon si trova solo in Gv 21 e nell'Apocalisse (c. 5 e 6), dove indica la debolezza dell'agnello sgozzato, significando che dopo questa sua morte come essere debole, esso ottenne il diritto di rompere i suggelli del libro celeste. Il probàtia si trova solo in Gv 21, altrove si legge sempre pròbata (qualche codice, data la stranezza della lezione, vi ha aggiunto anche qui pròbata ). torna al testo

22. Tertulliano , De Pudicitia, 21 PL 2, 1078-1980; Antenicene Fathers IV, 99-100. torna al testo

23. Origene , In Mat. 12, 10-11 PG 13, 993-1005. torna al testo

24. I giovanniti, in cui entrarono a far parte i Samaritani, i Frigiani e i cosmopoliti Efesini, costituirono in Asia una scuola che si rifaceva a Giovanni tramite Ireneo, Policarpo e Papia. I Quartodecimani e i Montanisti – tra cui Tertulliano – rientrano in tale corrente, che viene presentata negli scritti apocrifi di Giovanni, nel Vangelo falsamente attribuito a Filippo, nella esegesi di Papia e nella predicazione di Marco il diacono. Negli scritti di Ireneo e del suo maestro Policarpo se ne conserva l'elemento più genuino, senza le esagerazioni degli scritti apocrifi. torna al testo

25. I discepoli di Tommaso e di Addai lo considerano come capo eletto dal Signore (Patrologia Orient. IV, 372 ss). torna al testo

26. Molti libri si rifanno a questa corrente Petrina-ebionita (in parte ortodossa e in parte eretica): posseggono il Pentateuco e il libro di Giosuè, ma sono contro i profeti. Conservano il Vangelo di Matteo e di Giovanni (Gli Atti degli Apostoli tutti tradotti in ebraico). Possiedono un'abbondante letteratura apocrifa, tra cui uno pseudo-Giacomo, uno Pseudo-Matteo e uno Pseudo-Giovanni, amano l'Apocalisse e gli Atti di Pietro (fine II secolo) e il ciclo Clementino (cfr Epifanio, Haer. PG 41, 405-473). torna al testo

27. Atti 1, 23; 2, 14; 2, 23; 3, 3-5; 4, 14; 4, 24; 5, 15.29 s; 8, 24; 9, 34; 9, 40; 10, 24.25.33; 11, 2; 12, 10; 15, 7.12. torna al testo

28. Chase, The Old Syriac Element in the Text of Codex Bezae , London 1893. torna al testo

29. B. Weiss , Der Codex Bezae in der Apostelgeschichte, Texte und Untersuchungen IV F. II, 1 , Leipzig 1897. torna al testo

30. P.H. Menoud , The Western Text and the Theologie of Acts , in «Bulletin Studiorum N.T. Societatis» 1951, fasc. 2. torna al testo

31. J. Crehan , Peter According to the Text of Act , in «Theological Studies» 18 (1957), pp. 596-603. torna al testo

32. Carlo M. Martini , La figura di Pietro secondo le varianti del Codice D negli Atti degli Apostoli , in «San Pietro», Atti XIX Settimana Biblica, Paideia 1957, pp. 279-290. torna al testo

33. E.J. Epp, The Theological Tendency of Codex Bezae Cantabrigensis in Acts (Society for New Testament Studies, Monograph Series 3), Cambridge 1966. (Tutto si spiega con un antigiudaismo cosciente). torna al testo

34. At 15, 12: vi è qui la prima tendenza – poi accolta in campo cattolico – a mostrare che nell'Assemblea di Gerusalemme fu Pietro a tenere la direzione anzichè Giacomo. torna al testo

35. In alcuni passi vi è persino la tendenza ad esaltare lo stesso Paolo: 13, 8 si sottolinea l'effetto della parola dell'apostolo; 13, 12 stupore per il miracolo prodotto da Paolo; 13, 42 tutti ammutoliscono alle sue parole; 13, 43 risonanza universale del discorso di Paolo. torna al testo

36. Così C. Martini a conclusione dell'articolo già citato. torna al testo

37. James, l. c., 300-302. Il papiro che lo contiene è del IV o V secolo. Il racconto è assai simile a quello dell'apocrifa lettera a Tito (James, o.c. p. 303) dove si dice che la figlia di un giardiniere fu risuscitata da Pietro dietro l'insistenza del padre il quale non volle ascoltare l'apostolo, che gli consigliava essere preferibile la morte; un uomo infatti tosto la rapì e le fece violenza. L'episodio era già noto anche ad Agostino (Contra Adimantum 17, 5 CSEL 25, p. 170). Il nome Petronilla è del tutto insostenibile perché di pretta marca latina. Altri autori si limitano ad attribuire a Pietro più «figli», così Girolamo (Adv. Jovinianum 1, 126 PL 23, 257). torna al testo

38. James, o.c., pp. 304-330. torna al testo

39. Cc 4-6. Strano questo particolare dal momento che quasi tutti i cristiani seguivano Simone il Mago. torna al testo

40. Simone juveni deo. Anche Giustino dice che il mago fu onorato a Roma, dove il Senato gli eresse una statua con l'iscrizione: Simoni deo sancto (1 Apol. 26, 56. Cfr Eusebio, Hist. Eccl. 2, 13, 14). All'origine della leggenda sta la confusione tra il Simone mago e l'iscrizione di una statua eretta nell'Urbe a Semoni deo fidio, il dio sabino Semon, che vi fu ritrovata nel 1574. torna al testo

41. Si noti l'anacronismo: durante la vita di Pietro i Vangeli non esistevano ancora. torna al testo

42. Episodio tratto dalla vita di Paolo, che dopo aver avuto la visione di Cristo rimase cieco (At  9); esso vuole esaltare la superiorità di Pietro su Paolo per essere stato guarito da Gesù e non da Anania. torna al testo

43. Cc. 30-32; questo brano si rinviene pure nel Ms. greco del Monte Athos; seguono i cc. 33-41 (Mss. di Patmos e versioni riguardanti il martirio di Pietro che saranno citati nel capitolo seguente). Sul luogo in cui Pietro si sarebbe inginocchiato per pregare (non lungi dal Foro Romano) sulla via Sacra, nei secoli V e VI si soleva ripetere una speciale genuflessione, fino a che nel 762 Paolo I «fecit ecclesiam intra hanc civitatem romanam in via Sacra iuxta templus Romuli (in realtà templum Romae) in honorem santorum apostolorum Petri et Pauli ubi genua flectere visi sunt» (si noti l'accostamento Pietro e Paolo). Più tardi, scomparso questo tempio, vi fu eretta la chiesa di S. Maria Nova, ora detta di S. Francesca Romana. Il tempio voleva contrapporre i due apostoli, patroni celesti di Roma, al culto pagano di Venere e Roma promosso da Adriano nel grandioso doppio tempio eretto lì vicino con due celle ornate di marmi preziosi e che erano arricchite dalle statue di Venere e Roma. Nel 135 esso non era ancora ultimato perché Adriano fece spostare per tale motivo la statua di Nerone dal vestibolo della Domus Aurea (dove fu eretto il tempio) verso il Colosseo: questa fu trasferita  diritta per mezzo di un'armatura sostenuta sul dorso di 24 elefanti. A questi richiami della paganità (Marte, Rea Silvia, lupa con i gemelli, pastore Faustolo) che ne ornava il tempio i papi del V e del VII secolo, vollero contrapporre i due nuovi apostoli, quali veri tutori della nuova Roma. torna al testo

44. H. Waitz , Die Pseudoclementinen Homilien und Recognitionen (Texte u. UntersuchungenX), Leipzig 1901; O. Cullmann , Le problème literaire et historique du Roman Pseudo-Clémentin , Paris 1930. Sull'importanza di Pietro nelle Pseudo-Clementine, cfr M. Clavier , Le primauté de Pierre d'après les Pseudo-Clementines , in «Rev. Hist. Phil. Rel.» 1956, pp. 298-307. torna al testo

45. Non vanno confuse con il Kerigma petri o «Predicazione di Pietro» ricordato nel capitolo Pietro scrittore. torna al testo

46. Recognitiones (10 libri) PL 1, 1205-1454; Antenicene Fathers, vol. 8, pp. 75-211; per la versione siriaca  cfr P. de Lagarde , Clementis Romani Recognitiones siriacae , Leipzig 1961; Homiliae (20 libri) PL 2, 25-463; Ant. Fathers, vol. 8, pp. 272-346. Per le due epitomi greche cfr A.R.M. Dressel, Clementinorum Epitomae duo, Leipzig 1859; per le due arabe cfr. M.D. Gibson , Recognitions of Clement , in «Studia Sinaitica», V Londra 1896, pp. 15-43 (Testo arabo 14-45). torna al testo

47. Anche il Transito di Maria presenta Pietro come capo. Cfr Bonaccorsi, Vangeli apocrifi, o.c., pp. 260-267. torna al testo

48. Om. 12, 6, Cfr Gregorio Nazianzeno , Orat. 14, 4 PG 35, 861. torna al testo

49. Tale fatto è negato da Epifanio , Haer. 30. 15 CB 1, 353-353; PG 41, 431. Ricorda pure, tra le cose assurde asserite del Petri circuitus, che si asteneva dalla carne, poiché gli animali sono generati tramite il coito. torna al testo

50. Anche Marco, che riporta la predicazione di Pietro, inizia il suo Vangelo con il battesimo di Gesù. torna al testo

51. Una simile attitudine appare già in Mc 3, 21.31 dove Gesù dice ai fratelli (e anche alla madre sua) che non lo comprendevano: « Chi sono i miei fratelli? e chi è mia madre? Chiunque fa la volontà del Padre mio, mi è fratello e sorella e madre ». torna al testo

52. Da qui l'insistenza contraria da parte degli apocrifi, come il Protovangelo di Giacomo, che però per esaltare eccessivamente la verginità di Maria, è costretto a rendere Giacomo un fratellastro di Gesù, anzichè un fratello. In tal modo si trova la Sitz im Leben di questi racconti. torna al testo

53. Comme. Amos III, 11, PL 25, 1019 B « Symmachus qui... solet... intelligentiae ordinem sequi ». torna al testo

54. Eusebio , Hist. Eccl. VI, 17 . Traduzione di Giuseppe del Ton. Cfr H.J. Schoeps, Theologie und Geschichte des Judenchristentums, Tübingen 1949, pp. 350-366; idem Aus frühechristilicher Zeit, Tübingen 1950, pp. 82-119. torna al testo

55. Eusebio , Hist. Eccl. 4, 22, 5 PG 20, 580 A. torna al testo

56. Cfr. A. Rimoldi , Titoli petrini riguardanti il primato nelle fonti letterarie cristiane dalle origini al Concilio di Calcedonia , in «Pietro» o.c. Brescia, Paideia 1967, pp. 501-532. Articolo ben informato, ricco di citazioni, ma presentato in modo sintetico per documentare l'esistenza di un primato, anziché indicare il progressivo sviluppo dell'idea. Sono solo accennati i testi contrari come la lettera dell'apostolo Giacomo il Minore, vescovo di Gerusalemme, che è stranamente definito «Vescovo dei vescovi» (p. 526), mentre si insiste eccessivamente sull'elemento positivo senza ambientarlo nella mentalità del tempo. torna al testo

57. Om. 17, 13-19. torna al testo

58. Cfr Ga 2, 21 s; 3, 21, 24; 4, 4; 5, 4; 2 Co 3. torna al testo

59. Si veda sopra il capitolo riguardante il primato di Pietro negli scritti apostolici. torna al testo

60. Su Marcione cfr R.S. Wilson , Marcion , London 1933; J. Knox , Marcion and the N.T. , London 1942; E.C. Blackman , Marcion and his influence , London 1949; ancora buona la monografia di A. von Harnack , Marcion das Evangelium vom fremden Gott. Eine Monographie zur Geschichte der Grundlegung der Kath. Kirche , T. V. 45, Berlin 1934 (ediz. 2a). torna al testo

61. Essi a lungo furono trascurati nella lettura per i primi cristiani; occorsero più secoli e la caduta dello gnosticismo perché nel IV-V secolo, Paolo fosse meglio valorizzato dagli scrittori ecclesiastici. Cfr F. Salvoni , Il battesimo, morte e resurrezione del credente , in «Ric. Bibl. Rel.» 1 (1966), pp. 319-338 (pp. 326-327). torna al testo

62. Cfr R.M. Grant , Giustinian and Early Christianity , 2a ediz. Harper Torchbook, New York, 1966. torna al testo