Da Pietro al Papato
di Fausto Salvoni

CAPITOLO UNDICESIMO

REAZIONI EPISCOPALI ALLE PRETESE ROMANE


INDICE PAGINA

Controversia pasquale e papa Vittore
Controversia penitenziale sotto Callisto
Cipriano e il primato romano
Teoria
Il Comportamento di Cipriano


Controversia Pasquale e papa Vittore

Mentre la chiesa di Roma e più tardi lo stesso vescovo romano cercavano di elevare sempre più la loro posizione, i vescovi contemporanei eressero la propria protesta in svariate circostanze.

La Pasqua, solennità d'origine incerta celebrata sin dal tempo di Mosè il plenilunio primaverile (o 14 Nisan) a ricordo della liberazione israelitica dalla schiavitù egizia, nel cristianesimo assunse il nuovo significato di liberazione dalla colpa tramite la morte e la resurrezione del Cristo (1) Nel II secolo dell'era cristiana due correnti si contrastavano tra di loro: una rifacentesi a Giovanni la celebrava assieme ai Giudei il 14 Nisan, qualunque fosse il giorno della settimana in cui cadeva; L'altra, attestata a Roma e ad Alessandria, se già non cadeva di domenica la trasferiva a quella successiva (2) .

Un primo tentativo per raggiungere l'accordo fu attuato dal vescovo romano Aniceto (157-168) il quale però non riuscì nell'intento; di conseguenza Roma continuò a mantenere la sua usanza, mentre Policarpo , vescovo di Smirne, persistette nel celebrarla il 14 Nisan, senza che la comunione delle chiese ne subisse alcun danno (3) .

Più aspra fu la discussione quando, più tardi, il vescovo di Roma Vittore (189-198), dopo aver interrogato i vari vescovi dell'orbe e visto che erano in maggioranza d'accordo con lui, pretese imporre a tutte le chiese, sotto minaccia di scomunica, l'uso romano-alessandrino. Ecco come ne parla nel suo canone pasquale Anatolio da Alessandria, vescovo di Laodicea:

Tutti i vescovi asiatici – i quali ricevettero la regola da un Maestro assolutamente irreprensibile, ossia da Giovanni l'Evangelista – il quale riposò sul petto del Signore per bevervi indubbiamente dottrine spirituali – seguendo l'esempio di costoro, tutti gli anni infallibilmente, passato l'equinozio, occorrendo la luna XIV e immolandosi dai Giudei l'Agnello celebrano la Pasqua; non sottoponendosi all'autorità di alcuni, ossia dei successori di Pietro e Paolo, i quali insegnarono a tutte le chiese, spargendo il seme spirituale, che solo in domenica era possibile celebrare la solennità della Resurrezione del Signore. Donde è nata anche disunione tra i loro successori, ossia tra Vittore in quel tempo vescovo della città di Roma e Policrate il quale sembrava esercitasse allora il primato tra i Vescovi dell'Asia. Ma la questione fu ottimamente sopita da Ireneo, vescovo nella Gallia, l'una e l'altra parte rimanendo ferme nella propria regola (4) .

Infatti contro l'imposizione di Vittore, Policrate , vescovo di Efeso, protestò energicamente a nome dei vescovi asiatici riuniti a concilio, il quale affermò chiaramente di non essere per nulla intimorito da «spauracchi» (scomunica di Vittore), in quanto era sicuro di seguire Dio. Eccone la energica protesta:

Siamo noi che celebriamo il vero e genuino giorno (della Pasqua) senza aggiungere ne togliere niente. Nell'Asia infatti si sono estinti i grandi luminari che risorgeranno nel giorno della Parusia del Signore, quando il Signore verrà con gloria dal Cielo, e risusciterà i santi (5) ...  Tutti quanti tennero per la celebrazione della Pasqua il giorno quattordicesimo, in conformità al Vangelo, senza variar nulla, ligi alla regola della fede. Io pure Policrate, di voi tutti il più piccolo, osservo la tradizione dei miei parenti, alcuni dei quali furono anche miei predecessori; sette dei miei parenti, infatti, furono vescovi, io sono l'ottavo. Essi sempre celebrarono il giorno della Pasqua, quando il popolo giudaico si astiene dal pane fermentato.
Io, fratelli miei, sono vissuto sessantacinque anni nel Signore; sono stato in rapporto con i fratelli di tutto il mondo; ho letto tutta la Sacra Scrittura, e non mi lascio intimorire da spauracchi perché uomini più grandi di me hanno detto: Bisogno ubbidire prima a Dio che agli uomini (6) .
Potrei ricordare dei vescovi che sono qui meco, perché voi mi chiedeste di convocarli e io li ho convocati. A scrivere i loro nomi sarebbero una vera moltitudine. Hanno conosciuto la mia piccolezza, consapevoli che non porto invano queste mie canizie, e che sono sempre vissuto in Gesù Cristo (7) .

Eusebio continua poi dicendo:

Dopo aver verificato queste cose (si riferisce alla lettera di Policrate), Vittore, vescovo di Roma, si impegnò a togliere la comunione a tutte le chiese di Asia e delle province vicine come se pensassero qualcosa di contrario alla vera fede, e in lettere inviate loro prescrisse a tutti i fratelli che stavano quivi e pronunciò la sentenza che erano totalmente al di fuori della verità della Chiesa. Però tale fatto non piacque a tutti i vescovi. Quindi costoro lo esortarono a pensare di più alla pace, all'unità e alla carità con il prossimo. Esistono tuttora lettere di alcuni che rimproverarono aspramente Vittore. Tra costoro, Ireneo, nella lettera che scrisse a nome dei fratelli che governavano la Gallia, difese come certo che il mistero della resurrezione vada celebrato solo di domenica, però rispettosamente ammonisce Vittore a non togliere la comunione a tutte le chiese di Dio che osservano il costume ricevuto dagli antenati (8) .

Anche lo storico Socrate dice che Ireneo « attaccò nobilmente » Vittore « rimproverandolo per la sua precipitosa decisione » e per la « sua collera smisurata » (9) Girolamo parla di Policrate come quegli che «con autorità e abilità» scrive una lettera sinodale contro Vittore, vescovo di Roma (10) Le cose rimasero quindi come prima e fu solo gradatamente che l'uso romano - alessandrino s'andò diffondendo sino a che fu imposto a Nicea con decisione imperiale:

« Dopo aver diligentemente esaminato se fosse conveniente che nella Chiesa Universale si celebrasse con unanime consenso la Pasqua, e trovato che tre parti dell'Orbe convengono con i Romani e gli Alessandrini, e solo dissentirne una parte, ossia la regione orientale, è sembrato opportuno che agissero nella stessa maniera i fratelli dell'Oriente, come agiscono i Romani e gli Alessandrini, e tutti gli altri, affinché tutti unanimemente in quel giorno santo della Pasqua elevino le loro preci » (11) .

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La controversi penitenziale sotto Callisto

La Chiesa antica quale «comunità di santi » esigeva dai suoi membri un alto tenore di vita morale. All'inizio i colpevoli di idolatria, di assassinio, e d'adulterio non erano ammessi alla penitenza, per cui tali peccatori erano definitivamente esclusi dalla Chiesa (12) Ma nel corso del III secolo Callisto (217-222) per la prima volta concesse il perdono anche all'adulterio. Però gli si oppose duramente Ippolito esigendo da lui un rigore più grande sia nel trattamento dei vescovi meritevoli di sanzione, sia nell'ammissione dei bigami alle cerimonie religiose.

Callisto per primo pensò d'autorizzare la sensualità dicendo di voler rimettere tutti i peccati. Per questo – dice Ippolito – i peccatori affluiscono alla sua scuola (13) Egli decretò pure che un vescovo reo di colpa capitale non potesse venire deposto (14) e permise alle donne nobili di contrarre matrimonio con uomini di condizione inferiore senza il vincolo legale. Di qui l'uso di pratiche anticoncettive perché il loro connubio non divenisse palese.
« Si sono quindi viste delle donne, che si dicono fedeli, impiegare ogni sorta di mezze per far perire anzitempo il bambino che avevano concepito, sia da uno schiavo, sia da un marito indegno di esse; la loro condizione e la loro fortuna imponevano ciò. In tal modo Callisto ha insegnato nello stesso tempo il concubinaggio e l'adulterio. Al suo tempo per la prima volta quelli del suo partito osarono ammettere un secondo battesimo (15) Questa è l'opera del famoso Callisto» (16) .

Anche Tertulliano, che ne era contemporaneo, senza nominarlo, lo chiamò con gli epiteti di pontifex Maximus , di episcopus episcoporum , e ne ricordò l' edictum pèrentorium , che estese il beneficio della penitenza anche ai colpevoli di moechiae , vale a dire agli «adulteri» che prima ne erano esclusi. Il tentativo del Galtier e del Bardy di riferire tale brano al vescovo africano Agrippino non è riuscito; solo al vescovo di Roma si adattano i titoli sopra riferiti; su tale decreto Tertulliano ritorna in seguito con affermazioni che indirettamente si riferiscono la vescovo di Roma, dato che vi si parla di una chiesa « vicina a Pietro » (17) .

« Anche se tu credi di basare questo tuo diritto sulle parole di Cristo a Pietro: Sopra questa chiesa edificherò la mia chiesa, pensando che tale diritto di sciogliere o legare sia passato alla chiesa "vicina a Pietro " (ecclesia Petri propinqua), ti sbagli in quanto Gesù disse questo personalmente al solo Pietro e tu quindi usurpi tale diritto » (18) .

Secondo Tertulliano, i «vescovi » sono «puri testimoni storici degli insegnamenti apostolici » e non organi viventi della tradizione e del suo sviluppo; essi non hanno autorità dottrinale la quale spetta, secondo lui, alla « Chiesa dello Spirito ». « Che ha dunque a vedere tutto ciò con la Chiesa, specialmente la tua, o psichico? In accordo con la persona di Pietro, è agli uomini dello Spirito che appartiene questo potere » (19) .

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Cipriano e il primato romano

Cipriano, vescovo di Cartagine, dal 249 al 258, merita una considerazione a parte sia per l'influsso che esercitò sui suoi contemporanei sia per l'importanza dei suoi scritti (20) Ne vedremo prima la teoria e poi la sua attuazione pratica.

La Teoria

Possiamo suddividerne l'analisi in due parti riguardanti la collegialità episcopale e il primato di Pietro

a) La collegialità dei vescovi

Pur non essendovi ancora stato un concilio generale, egli difese l'unicità di tutti i vescovi: la Chiesa universale, pur essendo dispersa per il mondo, è una come è uno il sole nonostante i suoi molti raggi, uno l'albero nonostante i suoi vari rami e una la sorgente pur dividendosi in molti ruscelli.

« Strappate un ramo a un albero e il ramo spezzato non potrà più germogliare. Tagliate un ruscello dalla sua fonte, e subito la parte staccata dissecca. Così è pure per la Chiesa del Signore... Essa stende i suoi rami su tutta la terra con una vitalità potente, essa porta lontano le sue acque abbondanti. Tuttavia non v'è che una sorgente, che una sola origine, che una sola madre con molti successivi parti fecondi. E' essa che ci genera, è il suo latte che ci nutre, è il suo spirito che ci anima » (21) .

Secondo Cipriano:

« La Chiesa che è una e cattolica non risulta da pezzi separati, ma si tiene unita mediante l'efficace legame costituito dall'unione mutua dei vescovi» (22) Con i vescovi « suoi colleghi e coepiscopi» egli mantiene «l a divina concordia e la pace del Signore » (23) .
Se alcuno cercasse di fare una chiesa a sè, separata dal resto «devastando e spezzando il gregge di Cristo, gli altri (vescovi) vengano in suo soccorso, e, da pastori equi e misericordiosi ricondurranno al gregge le pecore del Signore » (24) .
Novaziano si è visto « respinto, confuso, scomunicato dai vescovi del mondo intero (25) .     e Marciano – discepolo del primo – "che volle" giudicare il collegio episcopale, fu giudicato lui da tutti i vescovi » (26) .   I vescovi non possono essere « d'avviso differente perché noi tutti non abbiamo che uno stesso Spirito. E' quindi chiaro che chiunque ha dei sentimenti contrari a tutti gli altri, non partecipa alla verità del Santo Spirito » (27) .

b) Il primato romano

Le affermazioni precedenti lasciano ben poco posto al primato papale, ma siccome alcune espressioni sono spesso addotte a suo favore, occorre esaminarle più a fondo, tanto più, poi, che in alcuni codici mancano proprio i passi più significativi. Si tratta d'interpolazione fatta ad arte dei fautori del primato papale?

1. La questione critica riguarda in modo particolare il De Unitate Ecclesiae , che è presentato in due forme diverse, come si vede dal prospetto che segue:
 

Dopo la citazione di Mt 16, 18-19 continua:

«E al medesimo (Pietro) dopo la sua resurrezione (il Signore) dice: Pasci le mie pecore. Su di lui egli edifica la Chiesa; a lui affida le pecorelle da pascere. E sebbene conceda un potere simile a tutti gli altri apostoli, stabilisce tuttavia una sola cattedra , e fonda la sua autorità d'origine e il carattere della unità. Gli altri erano quello che Pietro fu; ma il primato è concesso a Pietro , e viene così fatto conoscere che la Chiesa è una , che la cattedra è una . E tutti sono pastori, ma si vede che vi è un sol gregge, che tutti gli apostoli pascono in unanime accordo.
Colui che non è più legato a questa unità della Chiesa può credersi ancora legato alla fede? Colui che abbandona la cattedra di Pietro, su cui fu fondata la chiesa, può ancora sperare di rimanere nella Chiesa?» (28)

Dopo la citazione di Mt 16, 18 s si legge:

Su di uno solo egli edifica la Chiesa (segue la citazione di Gv 20, Pasci le mie pecore)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Chi non è più legato a questa unità della Chiesa, si può credere ancora legato alla fede? Chi si oppone e resiste alla Chiesa, può credere di essere ancora nella Chiesa? (29)

Alcuni studiosi, vedendo un contrasto tra la concezione collegiale del De Unitate e queste affermazioni, le ritengono opera di un falsario.

Secondo Ugo Koch ciò sarebbe avvenuto verso l'epoca del Concilio di Calcedonia, nel V secolo, quando preoccupazioni dello stesso genere fecero aggiungere al 6° canone di Nicea le parole « Ecclesia Romana semper habuit primatum » (30) .

Oggi entrambe le recensioni si attribuiscono allo stesso Cipriano che personalmente avrebbe rimaneggiato il testo originario del De Unitate (31) . Tale fenomeno è però interpretato in senso opposto, per cui secondo alcuni sarebbe originaria la recensione corta che il benedettino Dom. Chapman (32) suppone sia stata redatta contro lo scismatico Felicissimo, e poi accresciuta, con parole più favorevoli al primato romano, durante la opposizione che il rivale Novaziano elevò contro il vescovo romano Cornelio.

Secondo altri sarebbe invece originaria la recensione lunga che Van Den Eynde, seguito da Maurice Bévenot(33) ritiene sia stata scritta durante lo scisma di Novaziano a Roma e di Felicissimo a Cartagine (a. 251), ma poi più tardi, in occasione della controversia battesimale, vedendo che alcune sue frasi erano malamente intese e applicate a favore di Roma, le avrebbe eliminate, affinché il suo scritto non si prestasse a tale errata interpretazione.

Qualunque sia l'ipotesi adottata va ricordato che le frasi della recensione più lunga non hanno affatto il senso che si vuol loro attribuire. Il «primato» conferito a Pietro non è un primato di superiorità, bensì di pura cronologia. Il termine «primato» indicava allora una qualsiasi priorità, come il diritto di primogenitura che Esaù cedette per un piatto di lenticchie. Pietro ha il «primato» perché a lui per primo furono concessi i poteri di rimettere i peccati (Ep 73, 7), per cui di fronte a lui Paolo non è che un neonato (34) Tuttavia anche gli altri apostoli hanno gli stessi privilegi di Pietro.

« Anche gli altri erano ciò che fu Pietro, dotati di medesimo onore e di potere, ma l'origine procede dall'unità »(35) .

Se tutti gli apostoli sono uguali ne viene che l'unità della Chiesa non è sostenuta da una pretesa superiorità di Pietro, bensì dal fatto che lui solo è all'origine di tutto: è il primo in senso cronologico.

« Colui che abbandona la cattedra di Pietro su cui la Chiesa è stata fondata, può vantarsi d'essere nella Chiesa? »

Si è facilmente portati a vedere qui la Chiesa di Roma ed a trovarvi l'asserzione di una sua superiorità. Eppure nella lettera 59 afferma che « ai singoli pastori viene conferita una porzione di gregge e ciascuno lo governa e deve rendere conto dei suoi atti al Signore ». Se anche Pietro, secondo Cipriano, non era gerarchicamente superiore agli altri apostoli, anche la Chiesa di Roma non può pretendere di possedere una giurisdizione sugli altri vescovi.

Il vescovo di Cartagine vuole solo dire che la «cattedra di Pietro », simbolo di unità e « dalla quale era nata la unità sacerdotale (= episcopale) », è stata trasferita a Roma (36) Perciò ora la chiesa romana è simbolo di unità, senza avere per questo potere superiore a quello degli altri vescovi.

« Colui che si separa dalla cattedra di Pietro », vale a dire colui che si rivolta contro il proprio vescovo, che trova la sua origine da Pietro (si noti che il contesto riguarda lo scisma di una chiesa particolare!), automaticamente si trova dalla chiesa universale. Non vi è qui alcun accenno alla superiorità della Chiesa di Roma su tutte le altre.

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Il comportamento di Cipriano

La teoria sopra riferita trovò la sua applicazione pratica nel modo con cui Cipriano si oppose a papa Cornelio a proposito del battesimo amministrato dagli eretici. Tertulliano aveva già sostenuto l'invalidità di tale battesimo poiché gli eretici, essendo privi dello Spirito Santo, non possono donarlo ad altri (37) . Verso il 220 settanta vescovi africani riuniti in concilio sotto la direzione del vescovo Aurelio di Cartagine ripeterono la medesima opinione. In Asia Minore i sinodi di Iconio e Sinnada ratificarono la decisione africana. Cipriano nel 255 in un altro sinodo, riunitosi per raccogliere il parere di tutte le chiese dell'Africa settentrionale, ratificò l'idea precedente e notificò la sua conclusione, come era d'uso mutuamente tra i vescovi, al vescovo di Roma Stefano (254-257).

Cipriano scrive di ritenersi certo che lo stesso vescovo romano avrebbe approvato le decisioni africane, anche «se – alcuni (tra cui naturalmente il vescovo romano) – non abbandonano ciò che si è infiltrato tra di loro, né cambiano facilmente le loro idee, ma si tengono saldi a certi usi particolari una volta che si siano introdotti, pur salvando il vincolo delle fede e la concordia con i colleghi.
Perciò non intendiamo premere nè dare una legge ad alcuno, dato che nel governo della sua chiesa ogni capo è libero secondo la sua volontà, in quanto egli deve rendere conto dei suoi atti solo al Signore» (38) .

Si vede qui il concetto di indipendenza che le singole chiese, Roma compresa, avevano tra di loro e che del resto corrisponde al pensiero biblico (At 20, 28). Il comportamento di Cipriano, che pur bramava tanto l'unità della Chiesa, dimostra che per lui il primato della Chiesa romana « era un primato d'onore e il vescovo di Roma un primus inter pares » (39) . Tale non fu invece il parere di Stefano che, pretendendo imporre la sua idea, ruppe la comunione con l'Africa e l'Asia Minore.

Allora Cipriano il 1° settembre del 256 riunì a Cartagine il più grande sinodo africano, in cui furono presenti ottantacinque vescovi, due rappresentanti della Mauritania e della Numidia, moltissimi presbiteri, diaconi e laici. Essi riaffermarono la loro idea di non voler scomunicare che la pensasse diversamente, e continuarono a sostenere il loro pensiero precedente. Cipriano in una lettera a Pompeo, vescovo di Sabrata in Tripoli, parlando dell'opinione di Stefano, così si esprime:

« Succede che per presunzione e ostinazione uno preferisce difendere le proprie idee equivoche e false, anzichè aderire alla giusta verità altrui. Prevedendo ciò, il santo apostolo Paolo scrive e avvisa Timoteo che il vescovo non dev'essere litigioso nè disputatore, ma mansueto e docile (cfr 2 Ti 2, 24). E' docile colui che è paziente e gentile e ha la volontà di apprendere. E' infatti necessario che i vescovi non solo insegnino, ma sappiano che insegna meglio colui che ogni giorno cresce e progredisce imparando il meglio. E' ciò che ci insegna lo stesso Paolo quando ci previene che se a un altro che sta nell'assemblea sarà rivelata una cosa migliore, il primo si taccia » (40) (cfr 1 Co 14. 30) .

Al sinodo del 256 egli si rivolse contro il vescovo romano con parole assai dure:

« Ciascun vescovo dovrebbe esporre il suo pensiero senza giudicare gli altri... nessuno di noi si erge a vescovo dei vescovi o cerca di costringere con terrore tirannico i suoi colleghi ad ubbidirgli, poiché nessun vescovo può essere giudicato da un altro... Noi tutti attendiamo il giudizio del nostro Signore Gesù Cristo, ché lui solo ha il potere di preporci al governo della sua Chiesa e di giudicare l'atto nostro » (41) .

M. Bévenot per difendere implicitamente l'autorità di Roma sulle altre chiese ricorda il fatto che Cipriano non s'è mai spinto tanto oltre da scomunicare papa Stefano, come fece Firmiliano (42) Riferisce pure la lettera di Cornelio a Cipriano, nella quale, dopo aver ricordato che a Cartagine venticinque vescovi scismatici avevano consacrato vescovo Fortunato , egli chiede: « Perché non me ne avete scritto alcunché? » Il vescovo cartaginese gli risponde che non lo aveva ritenuto necessario, dato che non si trattava di un fenomeno di grande importanza.

« Io non ho scritto immediatamente, o fratello carissimo, a motivo di Fortunato questo pseudo-vescovo stabilito da qualche eretico testardo. L'affare non era tale da dover essere portato in fretta a vostra conoscenza, quasi fosse importante e temibile...
Io mi dicevo che tutto ciò era noto a voi, ed ero sicuro che la vostra memoria e il vostro senso di disciplina non avrebbe dimenticato nulla (43) non ho quindi giudicato che si dovesse in tutta fretta e con urgenza, comunicarvi le follie di questi eretici ».
« Io non vi ho scritto queste nuove, poiché noi non ne facciamo caso e, d'altra parte, io vi ho recentemente inviato la lista dei vescovi nostri, che sono a capo dei nostri fratelli e che non sono stati toccati dall'eresia ».
Anzi Cipriano termina dicendo che un messo era stato inviato a Roma per avvertirlo del caso Fortunato, ma che il messaggio aveva dovuto ritardare e che perciò le due lettere si erano incrociate (44) .

Questo fatto fa dire al Bévenot che la pratica di Cipriano era diversa dalla teoria; teoricamente il vescovo di Roma non è superiore, ma praticamente gli riconosce la supremazia e gli rende conto del suo operato. Quindi Roma era da lui riconosciuta superiore a Cartagine; il vescovo quindi non è responsabile solo a Dio, ma anche a Roma (45) .

Tuttavia occorre osservare che Roma si è sempre considerata come l'unica chiesa di origine apostolica dell'Occidente, per cui le chiese occidentali erano in tal modo sottoposte in un certo senso al suo controllo.

Si trattava di una specie di «patriarcato» occidentale quale sarà poi sancito dal Concilio di Nicea. Per cui è strano sostenere il disaccordo tra teoria e pratica in Cipriano, quando anche la pratica fu assai rude nel caso di papa Stefano! In teoria e in pratica egli non attribuisce alla Chiesa di Roma alcuna supremazia gerarchica sulle altre chiese. Tuttavia – in quanto vescovo di Cartagine sottoposto al patriarcato di Roma – riconosce un certo suo dovere di comunicare a Roma i fatti più importanti che si avveravano in Africa(46) .

In Asia Minore Cipriano trovò un valido appoggio in Firmiliano , vescovo di Cesarea (+ circa il 268), che in una lettera indirizzata al vescovo cartaginese esprime la sua solidarietà e adesione emettendo un giudizio assai severo e duro contro il vescovo di Roma, Stefano. Ecco alcuni brani assai forti della lettera di questo vescovo molto apprezzato in oriente per la sua « dottrina e santità », e per essere stato un efficace baluardo contro l'eretico Paolo di Samosatra (47) :

« Possiamo ringraziare Stefano per il fatto che con la sua inciviltà ci ha procurato una prova della vostra fede e sapienza (di Cipriano). Se per causa di Stefano abbiamo avuto la grazia da meritare tale favore e tale grazia. Nemmeno Giuda può apparire meritevole per la sua perfidia e tradimento con cui agì malvagiamente contro il Salvatore, anche se tale mezzo divenne causa di tanti benefici e per lui il mondo e i popoli sono stati redenti con la parola del Signore...
In quanto poi alle affermazioni di Stefano che gli apostoli proibirono di battezzare coloro che venivano dall'eresia e trasmisero questa osservanza ai loro successori, nessuno è così stupido da accogliere questa tradizione come apostolica, dato che le eresie esecrabili e detestabili sorsero molto più tardi. Approvare il battesimo di costoro non è altro che unirsi al loro giudizio e partecipare con loro alla stessa condanna. Chiunque può osservare che i Romani non osservano tutta la tradizione originale a vanamente adducono l'autorità apostolica, se guarda ad esempio la data della celebrazione del giorno di Pasqua e molte altre questioni e riti religiosi in cui essi agiscono in nodo diverso e non osservano in tutto la stessa forma dei cristiani di Gerusalemme (48) .
Paolo poi sarebbe stato inferiore a questi vescovi odierni, in quanto costoro possono conferire lo Spirito Santo con la semplice imposizione delle mani agli eretici che vengono alla Chiesa, mentre Paolo non fu capace di conferirlo ai battezzati di Giovanni (49) Chiunque approva il battesimo degli eretici ammette che con questi battezzati si forma la Chiesa e non capisce in tal modo di oscurare e quasi quasi di sopprimere la verità della pietra di Cristo... Stefano che si gloria di tenere la cattedra di Pietro per successione, non è mosso da alcun zelo contro gli eretici, concedendo loro non poca cosa, bensì lo stesso grande potere di conferire la grazia » (50) .

Alla fine così lo apostrofa:

« Quali dispute e quali dissensi hai provocato nelle chiese del mondo intero! Di quale peccato ti sei reso colpevole, quando ti sei separato dai tanti greggi! perché ti sei separato tu stesso, se è vero che il vero scismatico è colui che si mette fuori dalla comunione e dalla unità della Chiesa. Hai creduto di poter scomunicare tutto il mondo e hai invece scomunicato te solo! » (51) .


NOTE A MARGINE

1. I principali documenti si trovano presso Eusebio , Hist. Eccl. 5, 23-25 , cui si aggiunga l'Epistola Apostolorum c. XV del testo etiopico (VIII del copto).
Per gli studi cfr L. Duchesne , La question de la Pâque au Concile de Nicée, in «Revue de questions historiques» 28 (1880), pp. 5-42); Histoire ancienne de l'Eglise t. I pp. 285-291; C. Schmidt , Gespräche Jesu mit seinen Jüngern , Leipzig 1919, Exkursus III, Die Passahfeoer in der klein asiatischen Kirche , pp. 577-725; A. Casamassa , Scritti patristici II , Roma 1956, pp. 19-24; Fliche-Martin , Storia della Chiesa , trad. ital., vol II (Torino 1959), pp. 111-119; K.A. Strand, John as Quartodeciman: a reprisal , in «Journal Bibl. Lit.» 84 (1965), pp. 251-258. Per la solennità della Pasqua cfr A. Vaux , Le istituzioni dell'Antico Testamento , Torino, Marietti 1964, pp. 466-475. torna al testo

2. In Oriente la Cena insisteva non tanto nella Resurrezione del Cristo quanto piuttosto sulla sua morte intesa però in senso giulivo, come il natale (= morte) dei martiri, in quanto segnava il trionfo di Gesù sulla morte e sull'Averno. L'Occidente invece esaltava di più la resurrezione del Cristo che accade proprio di domenica. Siccome con la Pasqua terminava il digiuno quaresimale vi erano chiese ancora in duolo, mentre altre (Asia) erano già in festa; di qui il desiderio di maggiore uniformità. Era poi facile che, accogliendo la data ebraica se ne seguisse pure l'uso liturgico dell'agnello pasquale (un ricordo è ancor oggi l'uso dell'agnello per la Pasqua). torna al testo

3. I fautori della celebrazione pasquale al 14 Nisan erano detti Quartodecimani. Nel II secolo Anatolio di Alessandria, per facilitare il computo, fissò l'equinozio di primavera al 25 marzo (data Giuliana), che non corrisponde alla realtà astronomica (ora è il 21 marzo). V'erano poi i vescovi del patriarcato di Antiochia che celebravano la Pasqua anche nella domenica precedente tale equinozio qualora essa cadesse nei tre giorni anteriori, e venivano perciò chiamati Protopaschiti. Di qui il vario termine della quaresima: alcuni erano ancora nel lutto e nel digiuno, mentre altri erano già nella letizia pasquale. torna al testo

4. Anatolio, Canon Paschalis, par. 9-10. Egli respinge l'uso di coloro che pretendevano includere nella celebrazione pasquale anche i tre giorni precedenti l'equinozio. torna al testo

5. Tra costoro ricorda l'apostolo Filippo, Giovanni « che riposò sul petto del Signore, fu sacerdote, portò la lamina (d'oro) e fu martire e dottore. Egli s'addormentò in Efeso »; Policarpo di Smirne, Trasea vescovo di Eumenia, Sagari vescovo di Laodicea, il beato Pairio, l'eunuco Militone, « che giaceva a Sardi, nell'attesa della visita celeste, donde risorgerà dai morti » (Eusebio, Hist. Eccl. 5, 24, 2-5). torna al testo

6. At 5, 23. torna al testo

7. Eusebio, Hist. Eccl. 5, 24, 1-8. Edizione Desclée, Roma 1964, p. 413. torna al testo

8. Eusebio, Hist. Eccl. 5, 23, 24. torna al testo

9. Socrate, Historia Ecclesiastica, 5. torna al testo

10. De Viris illustribus PL 23, 695. torna al testo

11. Il decreto è autentico, anche se erroneamente l'Assemani e il Pitra l'hanno presentato come emanato dal Concilio di Nicea, anziché dall'imperatore Costantino. torna al testo

12. Si noti che la penitenza per i peccati pubblici era concessa una sola volta in vita; su ciò cfr il mio studio su i «Sacramenti» (Firenze 1962). torna al testo

13. Ippolito era un vescovo d'alto livello, sia intellettuale che spirituale, che ad un certo punto si eresse come antipapa contro Callisto. Morì martire ed è perciò venerato come santo anche dai cattolici. torna al testo

14. Forse ciò doveva prevenire ipotetiche opposizioni contro lo stesso Callisto che aveva avuto un passato torbido; infatti aveva sperperato del denaro altrui, quando era servo, in affari mal riusciti per cui i creditori lo avevano denunciato come cristiano e fatto condannare per un po' di tempo alle miniere (così Ippolito). torna al testo

15. Il secondo battesimo è la penitenza che fungeva per questi peccati – che prima ne erano esclusi – come da secondo battesimo. torna al testo

16. Ippolito , Philosophumena 9, 12 PG 16, III coll. 3379-3387. torna al testo

17. P. Galtier , Le veritable édit de Calliste , in «Revue d'Histoire Ecclésiastique» 23 (1927), pp. 465-488; Idem , Ecclesia Petri propinquam, à propos de Tertullien , ivi 1928, pp. 40 ss; Idem , L'Eglise et la remission des péchès aux premiers siècles , Paris 1932, pp. 141-183; G. Bardy , L'édit d'Agrippinus , in «Revue des Sciences Religieuses» 1924, pp. 1ss. Il Goguel è incerto; sono invece favorevoli a Callisto P. Batiffol , Princeps apostolorum , in «Rech. Science Religeuse» 18 (1928), pp. 38 ss; A. D'Ales, Zephirin, Calliste ou Agrippinus? , ivi 19 (1920), pp. 254 ss; H. Koch , Kallist und Tertullian , Heidelberg 1920; Cathedra Petri, Giessen 1930, p. 6; E. Gaspar , Geschichte des Papstums 1 , Tübingen 1930, p. 26; O. Cullmann , S. Pierre , o.c. p. 145, n. 5. torna al testo

18. De Pudicitia, 21 PL 2, 1078 ss. torna al testo

19. J.K. Stirnmann , Die Praescriptio Tertullian im Lichte des römischen Rechtes und der Theologie , coll. «Paradosis», 3 Freiburg 1949. torna al testo

20. Cfr M. Bévenot , Episcopat et Primauté chez s. Cyprien , in «Ephemerides Theologicae Lovanienses» 42 (1966). pp. 176-185: P. D'Ales , La Théologie de saint Cyprien , Paris 1922. torna al testo

21. De Unitate 5. torna al testo

22. Ep. 66, 8. torna al testo

23. Ep. 73, 26; cfr Ep. 67, 7. torna al testo

24. Ep. 68, 3. torna al testo

25. Ep. 68, 2. torna al testo

26. Ep. 68, 4. torna al testo

27. Ep. 68, 5. torna al testo

28. Troves , Bibliot. Civica, Ms. 516 , sec. VIII-IX, n. 182, 371; cfr Fliche-Martin , Storia della Chiesa , vol. II, tav. VIII. torna al testo

29. Paris , Bibliot. Naz. Ms lat. 10592, fol. 34 ; sec. VI, n. 192, 371. torna al testo

30. H. Koch , Cyprian und der Römische Primat , 1910; Idem , Cathedra Petri, Beiheft für die Neutestamentliche Wissenschaft , Giessen 1930. Tale opinione è in genere seguita dai protestanti, come Benson , Cyprian, his Life, his Time, his Work , London 1897, p. 180; Loofs , Dogmengeschichte , Halle a.s. 1906, p. 209, ma è pure accolta da studiosi cattolici come lo Ehrhardt , Die Altkritische Literatur und ihre Erforschung von 1884 bis 1900 , Freiburg i. Br. 1900, p. 476; Tixeront , Histoire des Dogmes , 11° ediz., Paris 1930, pp. 381 ss: Le Moyne , in «Revue Benedectine» 1953, pp. 70-115. torna al testo

31. Cfr O. Ritschl , Cyprian von Carthago und die Verfassung des Kirche , Göttingen 1885, pp. 92 ss che nota il medesimo stile ciprianeo in entrambe le recensioni. torna al testo

32. J. Chapman , Studies on the Early Papacy , London 1928, pp. 28, 50; Les interpolations dans le traité de S. Cyprian sur l'unité de l'Eglise , in «Revue Benedectine» 19 (1902), pp. 246 ss, 357 ss, 20 (1903), 36 ss. Così pure H. Harnack e J. Lebreton , La double édition du De Unitate Ecclesia de St. Cyprien , in «Recherches Religeuses» 24 (1934), pp. 456-467. torna al testo

33. D. Van Den Eynde , La double édition du De Unitate Ecclesia de St. Cyprien , in «Revue d'Histoire Ecclesiastique» 29 (1933), 5, 24; M. Bévenot , St. Cyprien, De Unitate, Chapter 4 in the Light of the Manuscripts , Roma «Analecta Gregoriana», XI, 1938; Idem , Primatus Petri datur , in «Journal of Theological Studies» 1954, pp. 19-35. torna al testo

34. Ep. 71, 3. torna al testo

35. « Hoc erant utique et ceteri quod fuit Petrus; pari consortio praediti et Honoris et potestatis » (Eccl. Unit. 4). Alcuni codici hanno qui interpolate queste parole: « Ma a Pietro fu accordato il primato in modo che fosse così palese l'unità della Chiesa e della Cattedra » torna al testo

36. Si noti il passato exorta est «è nata» quando Pietro era vivente. Sulla parete della basilica di S. Pietro a Roma vi è scritto a caratteri cubitali il detto di Cipriano, ma ad arte modificato: « Hinc Sacerdotii unitas exoritur » (presente). Ma il senso è stato così del tutto deformato. torna al testo

37. Tertulliano, De Baptismo, 15. torna al testo

38. Ep. 71,1,3. torna al testo

39. Così il cattolico J. Quasten , Patrology , o.c., II, p. 376: « Da queste parole è evidente che Cipriano non riconosce un primato di giurisdizione del vescovo di Roma sopra i suoi colleghi ». torna al testo

40 Cipriano, Epist. 73 (secondo altri 73), 10 Antenicene Fathers V, p. 389. torna al testo

41. Ep. 72, 3 (secondo altri 71, 3). Cfr B. Altaner, Patrologia, 6° ediz. Torino 1960 n. 140, 2. La traduzione segue appunto lo Altener che trae il testo da Hartel I, 436. torna al testo

42. Firmiliano trattò Stefano da apostata nell'Ep. 75, 24. Va tuttavia notato che Firmiliano era un orientale indipendente da Roma, mentre Cipriano doveva riconoscere che secondo i canoni di Nicea tutto l'Occidente era stato affidato al patriarca d'Occidente. Ci sarebbe quindi dovuto essere un concilio di tutto l'Occidente per trattare questi casi.. Cipriano si accontenta di difendere il suo diritto a pensarla diversamente. torna al testo

43. L'anno precedente Fortunato era già stato scomunicato e una lettera ufficiale di questo fatto era stata inviata a Stefano. torna al testo

44. Ep. 59, 9 Tutta la lettera tratta di questo argomento. torna al testo

45. Cfr M. Bévenot , A Bishop is Responsible to God Alone. St Cyprian in «Melanges Lebreton I = Rech. de Sc. Rel.» 39 (1951), pp. 399-415. torna al testo

46. Lo stesso Bévenot in una nota a p. 185 riconosce la possibilità di questa soluzione che farebbe cadere il suo precedente ragionamento: « Dire d'une doctrine est implicite ne veut pas dire que les faits qui l'impliquent ne pourraient pas, de soi, s'expliquer autrement par la suite. De soi, l'example cité ici s'accomoderait à une doctrine de Patriarcat occidental. L'implicite est, da sa nature, ambivalent ». L'épiscopat et la primauté chez Cyprien , a. c., p.185, n. 6. Ma vi è questa differenza che nel caso del « patriarcato occidentale » non resta più alcuna contraddizione tra teoria e pratica in Cipriano, mentre questa vi sarebbe nel caso di una superiorità di Roma sulla Chiesa. Una contraddizione bisogna ammetterla solo quando non vi sono altre soluzioni più semplici e armonizzanti. torna al testo

47. Così il cattolico J. Campos , Obras de S. Cipriano (BAC, Madrid 1964), p. 703. Cfr il lusinghiero giudizio di questo vescovo da parte di Dionigi di Alessandria ed Eusebio ( Hist. Eccl. 7, 28,1 ). torna al testo

48. Ivi  75, 5 (secondo altri 74, 5.6), Antenicene Fathers V, p. 390. torna al testo

49. Ivi 75 (74) (AF p. 392). Paolo infatti dovette battezzarli di nuovo perché scendesse su di loro lo Spirito Santo (At 19, 1-6). torna al testo

50. Ivi 75, 16-17 (altri 74, 16.17), vol. V, p. 394. torna al testo

51. Epist. 75 (74) 24, p. 376. Questa lettera scritta in greco ci è pervenuta in una traduzione latina dovuta senza dubbio a Cipriano e perciò conservata nel suo epistolario (Edizione Lipsia). Cfr Fliche-Martin, Storia della Chiesa, vol. II, p. 266 (purtroppo non è riprodotta dal Migne). torna al testo