Da Pietro al Papato
di Fausto Salvoni

CAPITOLO TREDICESIMO

ILPOTERE TEMPORALE DEI PAPI (parte seconda)


Innocenzo III

Quanto teoricamente era stato asserito da Gregorio VIII fu attuato con risultati insperati da Innocenzo III (1198-1216), che condusse all'apogeo le idee teocratiche del suo predecessore(29) Lotario di Segni eletto papa a soli 37 anni aspirò al potere assoluto del papato sul mondo intero. Molti sovrani si dichiararono vassalli della sede papale (Castiglia, Aragona, Portogallo, Polonia; anche l'Inghilterra gli si sottopose nel 1213 con Giovanni Senzaterra). Innocenzo rinsaldò l'autorità papale sul comune di Roma e sulle città dell'Umbria e delle Marche; Costanza d'Altavilla, vedova di Enrico VI, gli prestò giuramento feudale per la Sicilia. Il papa fu tutore del piccolo Federico alla morte della madre Costanza, ed ebbe come obiettivo continuo quello di tenere separate le corone di Sicilia e dell'Impero e di imporre il suo arbitrato in Germania a favore del candidato guelfo.

Riprendendo l'immagine delle «due celesti fiamme», presentate da Gregorio VIII, Innocenzo III la sviluppò dicendo che il papa è il sole, il re la luna, ma come la luna riceve la luce dal sole, così il re riceve la luce e il potere dal papa:

« Il Creatore dell'universo pose due grandi luminari nel firmamento: il maggiore per rifulgere di giorno, il minore per rifulgere di notte. Alla stessa maniera per il firmamento della Chiesa universale Dio fece due grandi dignità: la maggiore per dirigere le anime (come se fossero giorno) e la minore per dirigere i corpi (come se fossero notte). Queste dignità sono l'autorità pontificia e il potere regale. Perciò la luna riceve la sua luce dal sole, ed è quindi inferiore al sole sia nella grandezza che nel calore, sia nella sua posizione che nei suoi effetti. Allo stesso modo il potere regio deriva la sua dignità dalla autorità pontificia e quanto meno si sottopone ad essa, tanta minor luce ne riceve. Ma quanto più le si sottomette, tanto più aumenta il suo fulgore »(30) .

In un sermone tenuto la festa dei ss. Pietro e Paolo, applica al papa la profezia di Geremia (1, 10), già utilizzata da Nicolò I:

« Ecco ti ho costituito sulle nazioni affinché tu sradichi, dissipi, edifichi e pianti» . L'episodio di Abramo che offre le decime al sacerdote Melchisedec, è presentato sottilmente come prova che il papa è superiore al sovrano. I re ricevono l'unzione e l'incoronazione dai sacerdoti: chi dona è dunque superiore a chi riceve!

Rispondendo all'imperatore d'Oriente Alessio, che gli citava la frase con cui Pietro raccomandava la sottomissione al re, egli scrive:

« Non neghiamo che l'imperatore sia superiore al papa per le cose temporali... ma il pontefice è superiore per le cose spirituali »

Di fatto egli causò molte turbolenze in vari stati: suscitò guerre prolungate, abusò della censura ecclesiastica a scopi politici; odiò i pisani e il marchese Anweiler, promosse la crociata contro gli Albigesi, fece delle leggi contro i Giudei, protestò altamente contro la conquista di Costantinopoli da parte dei crociati; Giovanni Capocci, politico romano, uscì a suo riguardo in queste parole: «Le vostre parole sono parole di Dio, ma le vostre opere son opere del demonio »(31) .

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Bonifacio VIII

L'idea precedente trovò la sua espressione più completa con Bonifacio VIII (1294-1303), che sancì la supremazia del papa non solo sopra la Chiesa ma anche sopra i re, in quanto nel papa è lo stesso Cristo che opera. Ciò fu espresso nella famosa bolla papale Unam Sanctam del 18 novembre 1302.

« La Chiesa non è un mostro a due teste, ma ha un solo capo, cioè Gesù Cristo e il suo vicario Pietro con il suo successore, poiché il Signore disse a Pietro: Pasci le mie pecore ».
« Dalle parole dei Vangeli siamo istruiti che a questa potestà appartengono due spade. Infatti agli apostoli che dicevano: ecco qui vi sono due spade, il Signore non rispose che erano troppe, ma che bastavano. Certamente chi nega che la spada temporale sia nella potestà di Pietro, mal interpreta le parole del Signore che dice: Riponi la tua spada nel fodero. Tutte e due sono in potere della Chiesa, cioè la spada spirituale e quella temporale, ma la seconda deve essere esercitata in difesa della Chiesa, la prima invece deve essere esercitata dalla Chiesa: quella spirituale è in mano del sacerdote, l'altra è in mano del re e dei soldati, ma deve essere esercitata a discrezione del sacerdote ».
« E' necessario che una spada sia sotto l'altra spada e l'autorità temporale sia soggetta all'autorità spirituale... Occorre poi che la potestà spirituale abbia la precedenza e per dignità e per nobiltà su qualsiasi potere terreno, così come le realtà spirituali sono al di sopra di ogni realtà materiale. Come dice la Verità, è il potere spirituale che ha autorità di stabilire la potestà terrena e di giudicarla. Se non è buona... se il potere terreno devia, sarà giudicato dal potere spirituale »(32) .

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I canonisti

La dottrina di papa Bonifacio VIII non costituiva una novità in quanto si inseriva nella linea dei giuristi del suo tempo(33) presentando notevoli affinità con l'omonimo trattato De regimine principum falsamente attribuito a Tommaso d'Aquino(34) e specialmente con l'insegnamento dell'agostiniano Egidio Colonna (+1316) detto anche Egidio Romano – divenuto poi arcivescovo di Bourges – nel suo trattato De Ecclesiastica sive de Summi Pontificis Potestate. Secondo costui il papa ha il pieno diritto spirituale e non può essere giudicato da un concilio. Al pontefice appartiene pure la giurisdizione temporale poiché la spirituale, essendo superiore, deve stabilire i poteri inferiori. Non è bene tuttavia che il papa, dopo aver fondato la potestà temporale, la esercita da sè.

Anche il domenicano Giovanni Quidori (= l'addormentato, perché sordo, m. 1306), pur affermando che i due poteri civile e spirituale vengono immediatamente da Dio, ammetteva la preminenza del potere spirituale su quello temporale (35) Bonifacio VIII non fu, anzi, così esagerato come Enrico da Cremona che condannò gli «empi ghibellini » i quali osavano negare al papa « la giurisdizione sulle proprietà materiali del mondo intero »(36) o del domenicano Agostino Trionfo di Ancona, il quale osava dire che nemmeno il papa conosce la vastità della sua supremazia (37) .

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Il Vicario di Cristo

In corrispondenza con il nuovo potere si accrebbero pure i titoli del papa, tra i quali primeggia quello di Vicario di Cristo che andò sostituendo il precedente Vicario di Pietro (38) .

Il titolo di « Vicario di Cristo» si trova per la prima volta nella Bolla del 10 aprile 1153 scritta da Eugenio III (1145-1153). Innocenzo III (1198-1216) ne fece uso e Innocenzo IV (1243-1254) ne dedusse che il papa come Gesù Cristo, è re anche dei regni terrestri. Tuttavia Tommaso d'Aquino insegnò che i poteri concessi da Cristo al papa devono essere dedotti dalla S. Scrittura e non dall'analisi del titolo di « Vicario ».

Bonifacio VIII (1294-1303) lo usò nella Bolla Unam Sanctam , ma il canonista Giovanni di Parigi, suo contemporaneo, suggerì che il potere del papa «si deve limitare ai beni spirituali». Il Concilio di Firenze (Ecumenico XVII, 1438-1445) decretò:

« Noi decidiamo che il papa di Roma è successore di Pietro, il capo degli apostoli, vero vicario di Cristo e capo di tutta la Chiesa » (Denz. B. 694).

Tale epiteto, omesso dal Concilio di Trento, fu riaffermato al Concilio Vaticano I (1870).

Siccome la concezione cattolica ammette che Gesù Cristo sia vero Dio, alcuni teologi e canonisti del XIII secolo, con esagerazione retorica, diedero al papa addirittura l'epiteto di «quodammodo Deus » o di «Dominus Deus noster papa »; ancora nel Concilio Lateranense V del 1512 Giulio II fu apostrofato come « alter Deus in terra ». On seguito tale titolo fu eliminato, restandovi solo quello di Vicario di Cristo (39) .

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La Coronazione

Nel Medio Evo cominciò ad essere celebrata la festa della « Coronazione » nella quale il pontefice riceve al « tiara » o il « triregno ». E' difficile tracciare la storia di tale rito e dei significati ad esso concatenati.

Una leggenda – riportata dalla «Constitutum Constantini » o «Donazione » – narra che lo stesso imperatore Costantino avrebbe imposto al papa Silvestro una speciale mitra di forma conica – un frigium – come simbolo della ottenuta sovranità. Il papa coprendosi il capo di questa insegna, avrebbe assunto il potere temporale di cui l'imperatore lo aveva investito.

Si può invece supporre che lo speciale copricapo « frigio » pure detto « cameleuco » sia stato importato dai sette papi orientali che dalla metà del VII secolo alla metà dell'VIII salirono al soglio pontificio. Di esso si parla per la prima volta in una relazione dell'ingresso di papa Costantino (708-715) a Costantinopoli, che lo portò « come era solito fare quando andava per Roma ». La Donazione lo descrive « di un bel colore bianco » (candido nitore) e aggiunge che il papa ha diritto di arricchirlo con la corona imperiale «d'oro purissimo e di gemme preziose ».

Si vede, quindi, che ben presto al cameleuco di papa Costantino si aggiunse un «regnum» o tiara simile a quella dei re terrestri di cui parla un documento da attribuirsi forse a Leone IV (847-855) o a Leone V (903). Di papa Sergio III (904-911) abbiamo alcune monete recanti l'immagine di s. Pietro coronata con il «regnum». Innocenzo II (1198-1216) in un sermone su s. Silvestro spiega che « Romano Pontefice per insegna dell'impero usa il regnum e per insegna del pontificato la mitra»

Si giunge così al secolo XIV quando ad opera di alcuni pontefici – specialmente Bonifacio VIII – il «regnum» venne prima duplicato e poi triplicato. In tal modo la tiara pontificia fu arricchita di tre corone come segno della più alta potestà del mondo, come ne fanno fede le parole che accompagnano il rito della Coronazione:

« Eccoti la tiara ornata delle tre corone: sappi di essere il Padre dei Principi e dei Re: il Rettore di tutta la terra; Il Vicario di nostro Signore Gesù Cristo Salvatore, a cui solo è dovuto onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen»

Sembra che con Giulio II (1303-1313) la festa della «Coronazione » distinta dalla presa di possesso del vescovado di Roma nel Laterano, si attuasse in Vaticano, preceduta nella veglia e al mattino della festa da elargizioni di oboli(40) .

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Il governo civile alla rivincita

L'autorità del papa nel campo civile suscitò una violenta reazione da parte delle società civili, che andavano acquistando sempre più la coscienza del proprio potere e della propria autonomia. Naturalmente nelle fazioni del tempo la lotta giunse a conclusioni esagerate, che pretesero in un primo tempo esaltare i re e l'imperatore al di sopra dello stesso papa (41) .

Tale idea apparve timidamente in due scritti anonimi di cui uno è intitolato « Conversazione tra un chierico minore e un prete » e l'altro «Rex pacificus » (pur esso anonimo): la Chiesa è paragonata al capo e il governo civile al cuore, affermando contemporaneamente la superiorità del secondo sul primo, delle leggi dei sovrani e dell'autorità creata dal popolo sull'autorità papale(42) .

Anche Gugliemo d'Occam (ca, 1342) attaccò la deviazione del papato che volle acquistarsi un potere coercitivo e temporale. Il filosofo non giunse a negare l'istituzione divina del papato, ma ne negò la presunta pienezza d'autorità. Occam era un costituzionalista e voleva che ogni potere avesse a mantenersi entro giusti limiti. I decreti papali e le leggi umane sono valide, ma solo se si possono armonizzare con la verità cattolica, altrimenti si devono rifiutare(43) Nè il papa nè l'imperatore hanno il diritto di agire come supremi giudici verso i fedeli.

Cristo non ebbe nè servi nè giurisdizione temporale; godette solo di un potere spirituale dedicato al bene dei credenti. Con le parole «Tu sei Pietro», egli intese conferire all'apostolo un incarico puramente spirituale, vale a dire l'autorità sacramentale(44) Egli è ministro, non guida di questo mondo (45) .

Nel suo De imperatorum et pontificum potestate indica tre norme direttive: le realtà spirituali sono superiori alle materiali; bisogna rispettare la legge della libertà che è inviolabile; è necessario compiere tutto il possibile per beneficare i fedeli (46) . Occam fu invitato ad Avignone per dare spiegazione di 51 proposizioni tratte dalle sue opere e che furono censurate nel 1326 (47) .

Ma fu specialmente ad opera del filosofo Marsilio di Padova, che tale idea andò diffondendosi. Nella sua opera principale dal titolo Defensor Pacis(48) egli sostiene che:

« Cristo e gli apostoli vissero poveri, i loro poteri sono spirituali non materiali. Dinanzi a Pilato Gesù Cristo disse che il suo regno non era di questo mondo (49) La chiesa primitiva non esercitava alcun potere coercitivo ed aveva solo i due ordini dei sacerdoti e dei diaconi (50) Tutti gli apostoli erano tra loro uguali sotto Cristo, la posizione di Pietro tra gli apostoli era solo legata alla sua persona(51) Il suo primato non passò ad alcun altro vescovo, ogni vescovo è indifferentemente successore degli apostoli e riceve il suo potere direttamente da Cristo (52) La roccia non è Pietro ma Cristo, poiché lui solo è impeccabile e infallibile (53) La Chiesa – moltitudine di fedeli – è sotto Cristo e non abbisogna di un suo vicario (54) Il papato è una istituzione puramente umana, e acquistò valore con il decreto di Costantino al Concilio di Nicea che voleva così esaltare la grandezza di Roma (55) Ne deriva quindi che la gerarchia ecclesiastica creata da uomini e da concessioni imperiali, deve stare sottoposta ai governi civili» (56) .

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Le tesi odierne

Tra i cattolici prevalse una tesi più moderata che risale allo spagnolo Vincenzo (m. 1248) il quale commentando la sentenza di Innocenzo III « noi non vogliamo giudicare le realtà terrestri » vi aggiunse la clausola «direttamente, ma solo indirettamente a motivo dei peccati » (57) .

Tra i governi civili si andò invece diffondendo sempre più l'idea che i due regni, spirituale e civile, devono essere tra loro indipendenti e liberi. Motto espressivo di questa idea fu quello di Cavour: « Libero stato in libera chiesa». così come di fatto si attua in America. Biasimato dai cattolici, ora viene riconosciuto ed auspicato anche dai cattolici più avanzati. Con l'indipendenza del governo civile da quello religioso va messa in rapporto la caduta benefica del potere temporale.

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Caduta del potere temporale

Sotto Pio IX il desiderio di un'Italia unita e indipendente, le brame degli ideali portati dalla Rivoluzione francese sollevarono il cuore degli italiani che nel 1848, in seguito a una rivolta, occuparono Roma mentre il papa si rifugiava a Gaeta. L'Assemblea Costituente (tra cui il Mazzini) nel 1849 tra il tripudio generale proclamò a Roma la «Repubblica Democratica » e dichiarò decaduta la sovranità temporale del papa (143 voti contro solo 11). Ma un corpo di spedizione francese, chiamato dal cardinale Antonelli, sbarcò frattanto a Civitavecchia: sotto la direzione del generale Oudinot bombardò Roma e malgrado la difesa di Garibaldi, la fece capitolare (5 luglio). La repressione ad opera del cardinale fu dura e diede luogo a rappresaglie e vendette crudeli.

E' bene leggere un documento contemporaneo ora dimenticato, scritto dal generale dei teatini, p. Gioacchino Ventura di Raulica, che per tale sua lettera fu costretto a stare in esilio a Montpellier e poi a Parigi e a perdere il cappello cardinalizio che gli era stato promesso(58) .
 

Civitavecchia, 12 giugno 1849


  Vi scrivo con le lacrime agli occhi, ed il cuore spezzato per il dolore. Mentre scrivo queste linee, i soldati francesi bombardano Roma, distruggono i suoi monumenti, uccidono con la mitraglia i suoi cittadini, ed il sangue scorre a torrenti. Ruine si accumulano sopra ruine, e Dio sa quale sarà la fine di questa terribile lotta. Si teme che se i francesi entrano a Roma per assalto, il popolo nella sua rabbia non si lasci trascinare a massacrare tutti i preti e frati e monache; ed in questo caso che bella vittoria avrebbe ottenuto la Francia! che bella restaurazione avrebbe fatto dell'autorità papale! La storia ci insegna che generalmente parlando le restaurazioni operate dalla forza non sono durevoli, e i troni rialzati sopra i cadaveri e nel sangue, finiscono per essere ben presto rovesciati di nuovo per scosse più violente. Fra tutte le combinazioni discusse a Gaeta per rimettere il papa sul trono si è scelta la più deplorabile e funesta.

Ma quello che maggiormente affligge ogni anima cattolica è che se questa restaurazione ha luogo, essa senza ristabilire il potere del principe percuoterà e forse distruggerà l'autorità del pontefice. Ogni colpo di cannone lanciato contro Roma distrugge a poco a poco la fede cattolica nel cuore dei romani. Io vi ho già detto l'orribile impressione che han fatto sul popolo di Roma i «confetti di Pio IX» – in carnevale si gettano i confetti sugli amici; qui si gettano le bombe...! – mandati ai suoi figli e l'odio che questi avevano eccitato contro i preti. Ma tutto ciò è nulla in paragone della rabbia che le bombe francesi hanno eccitata sul popolo contro la Chiesa e contro il Cattolicesimo. Siccome la maggior parte di quelle bombe sono cadute in Trastevere e hanno rovinato le case dei poveri e ucciso le loro famiglie, così i Trasteverini in particolare, quella porzione della popolazione romana che era la più cattolica, ora maledice e bestemmia il papa e i preti a nome dei quali vede commettere così orribili stragi.

Io sono lungi dal credere che Pio IX voglia tutte queste cose, anzi credo che neppure le conosca. Io so che egli è in tale stato di isolamento che la verità dei fatti non può giungere fino a lui, o se vi giunge vi perviene assai alterata. Io so che il povero papa circondato da gente cattiva ed imbecille, relegato nel fondo di una cittadella e poco padrone di se stesso, è quasi prigioniero. Io so che si abusa della sua debolezza di carattere, della delicatezza di sua coscienza e della sua malattia nervosa che lo sottomette all'influsso di quanti lo circondano.

Ma questo io credo e so, che cioè il popolo romano non lo sa e non lo crede. Il popolo sa e crede quel che vede e soffre. Egli vede gli Austriaci che, guidati da un prelato del papa (mons. Bedini) portano la desolazione e le stragi nelle legazioni, bombardano la città, impongono contribuzioni enormi ai più pacifici cittadini, fucilano ed esiliano i migliori patrioti e ristabiliscono ovunque il despostismo clericale. Il popolo vede che i Francesi a nome del papa fanno scorrere il sangue romano e distruggono la loro bella città. Il popolo vede che è il papa, il quale ha sguinzagliato quattro potenze armate di tutti i mezzi di distruzione contro il popolo romano come si sguinzagliano i mastini contro una bestia feroce: e vedendo tali cose, egli non sente più nulla e si leva contro il papa e contro la Chiesa in nome della quale il papa proclama essere suo dovere riacquistare con la forza il dominio temporale.

Il Sig. D'Harcourt scriveva da Gaeta «la ragione e la carità sono bandite da Roma e da Gaeta». In queste parole vi è tutta la storia dei sette ultimi mesi. Gli eccessi di Roma, che nessuno intende approvare, sebbene inevitabili in tempo di rivoluzione, sono stati superati dagli eccessi di Gaeta. Non una parola di pace, di riconciliazione, di perdono; non una promessa di mantenere le pubbliche libertà che si aveva diritto di attendere dalla bocca del papa e di un papa come Pio IX. Nessuna di queste cose è venuta fuori da quel rifugio dell'assolutismo, da quella accozzaglia di sciocchezze e malignità congiurate insieme, per soffocare nella bell'anima di Pio IX ogni sentimento di carità e di amore.

Si è letta l'ultima allocuzione del papa ai cardinali. Quale imprudenza quale sciocchezza mettere sulla bocca del papa i più pomposi elogi dell'Austria e del re di Napoli, che sono i più grandi nemici dell'indipendenza italiana e i cui nomi fanno orrore ad ogni italiano!

Quale imprudenza aver fatto dire al papa che lui stesso ha fatto appello alle potenze per essere ristabilito su quel trono che egli stesso aveva abbandonato! E' come se egli avesse detto: «Io voglio fare al mio popolo quella guerra che l'anno scorso dichiarai di non voler fare ai Croati ed agli Austriaci oppressori dell'Italia»; le donne stesse fanno questo ragionamento e vedendo gli effetti di questa guerra brutale e selvaggia di quattro potenze contro un piccolo stato, vedendo i loro mariti, i loro figli uccisi o feriti, non potete farvi un'idea della rabbia di queste donne, dei sentimenti energici che esse manifestano, delle grida di furore e della maledizioni che mandano contro il papa, i cardinali e i preti. Comprendete quindi bene perché le chiese sono state devastate; non si vuol più nè confessione nè comunione, nè messa, nè prediche. In Roma non si predica più perché mancano gli uditori. Non si vuole più nulla di quello che è presentato dal prete o che in qualche modo è di prete.

Per me Pio IX è sempre il Vicario di Gesù Cristo, il capo della Chiesa, il maestro, il dottore, l'interprete infallibile della regola della fede e dei costumi. Le debolezze ed anche gli errori dell'uomo, non mi fanno dimenticare in lui le sublimi prerogative del pontefice. Ma il popolo può comprendere tali cose? può sollevarsi e fermarsi a queste distinzioni teologiche? disgraziatamente nello spirito del popolo i delitti e le crudeltà dell'uomo sono i delitti e le crudeltà del prete; gli errori del re sono gli errori del papa, le infamie della politica sono gli effetti della dottrina della religione.

I miei amici di qui mi nascondono tutto quel che si fa e si dice a Roma in questo senso: essi vogliono risparmiarmi l'immenso dolore che mi cagionerebbero tali notizie. Malgrado queste cure delicate io ho saputo che in Roma tutta la gioventù, e tutti gli uomini istruiti sono venuti a questo ragionamento: «Il papa vuole regnare per forza su di noi, vuole per la Chiesa e per i preti la sovranità che non appartiene se non al popolo; egli crede e dice che è suo dovere agire in tal guisa perché noi siamo cattolici, perché Roma è il centro del cattolicesimo. Ebbene chi ci impedisce di finirla con il Cattolicesimo, di farsi Protestanti se occorre. Ed allora qual diritto politico potrà vantare su di noi? non è cosa orribile il pensare che dal momento che siamo cattolici e figli della Chiesa dobbiamo essere spadroneggiati da essa, abdicare tutti i nostri diritti, aspettare dalla liberalità dei preti, come una concessione, ciò che ci è invece dovuto per giustizia, ed essere condannati alla sorte più miserabile dei popoli?»

Ho saputo ancora che tali sentimenti sono divenuti assai più comuni di quanto io pensassi, e che sono penetrati persino nel cuore delle donne. Così vent'anni di fatiche apostoliche che ho sopportate per unire sempre più il popolo romano alla Chiesa sono state perdute in pochi giorni. Ecco verificato disgraziatamente anche al di là delle mie previsioni tutto quanto avevo predetto nelle mie lettere. Il Protestantesimo si trova piantato di fatto in gran parte di questo popolo romano così buono e così religioso; e, cosa orribile a dirsi, tutto ciò è avvenuto a cagione dei preti e per la cattiva politica nella quale hanno trascinato il papa.

 Ah, mio caro amico, l'idea di un vescovo che fa mitragliare i suoi diocesani, di un pastore che fa scannare le sue pecore, di un padre che manda sicari ai suoi figli, di un papa che vuol regnare ed imporsi a tremilioni di cristiani per mezzo della forza, che vuol ristabilire il suo trono sulle ruine, sui cadaveri e sul sangue; quest'idea, dico, è così strana, così assurda, così scandalosa, così orribile, così contraria allo spirito ed alla lettera dell'Evangelo, che non vi è coscienza che non ne sia stomacata, non vi è fede che possa resistere ad essa, non vi è cuore che non ne frema, non vi è lingua che non si senta spinta a maledire a bestemmiare! era mille volte meglio perdere tutto il temporale e il mondo intero se fosse bisognato, piuttosto che dare un tale scandalo al popolo.

Oh! se Pio IX fosse stato lasciato a se stesso! se avesse potuto agire non consultando altro che il suo cuore. In primo luogo egli non avrebbe mai abbandonato Roma; e se fosse stato obbligato a lasciarla, non avrebbe abbandonato lo stato romano; egli sarebbe andato a Bologna, o ad Ancona, o a Civitavecchia, e vi sarebbe stato accolto come un inviato dal cielo. I Romani si sarebbero affrettati ad indirizzargli tutte le possibili onorevoli soddisfazioni. Egli non sarebbe andato a Gaeta: di là non avrebbe respinta la deputazione che gli mandava la città di Roma; non avrebbe fulminata quella scomunica che allontanò dalla costituente tutti gli uomini di coscienza timorata, tutti i suoi amici. Consigliato di provocare l'intervento armato delle potenze, avrebbe risposto che quello che è indifferente per un re, è scandaloso per un padre; e che non si sarebbe mai detto che Pio IX avrebbe fatto la guerra al suo popolo. Avrebbe detto che egli non voleva riconquistare con la forza quel che più non poteva possedere con l'amore. Avrebbe detto: «L'esilio, mille volte l'esilio, piuttosto che versare una sola goccia del sangue dei miei figli, piuttosto che appellarmi alle baionette e ai cannoni, che sottomettendo per forza il mio popolo mi farebbero perdere il suo amore e lo allontanerebbero dalla Chiesa e dalla religione». Se Pio IX avesse tenuto un tale linguaggio, se avesse fatto delle allocuzioni in questo senso, il popolo romano si sarebbe levato in massa, sarebbe andato a cercare il suo pontefice, lo avrebbe ricondotto in trionfo e sarebbe stato felice di vivere sotto l'ubbidienza di un tal principe. Quello sarebbe stato il mezzo più sicuro, il più efficace di risvegliare la reazione e renderla potente. Ma l'appello alla forza e alla guerra, la presenza e il terrore del combattimento, invece di determinare la reazione, l'hanno indebolita, disarmata, annientata. Anche coloro che una volta erano per il papa, hanno trovato giusto e onorevole che si rispondesse alla guerra con la guerra; hanno ripudiato Pio IX come re, e cominciano già a respingerlo anche come pontefice.

E' probabile che Roma soccomba sotto l'attacco delle armi francesi: come infatti poter resistere alla Francia? E' possibile che il papa rientri in Roma portando in mano la spada anzichè la croce, preceduto dai soldati e seguito dal carnefice, come se Roma fosse la Mecca e il Vangelo il Corano. Na egli non regnerà più sul cuore dei Romani; sotto questo aspetto il suo regno è finito, finito per sempre egli non sarà più papa che sopra un piccolo numero di fedeli.

L'immensa maggioranza resterà protestante di fatto, perché essa non praticherà più la religione, tanto sarà grande il suo odio contro i preti. Le nostre predicazioni non potranno più far nulla, ci sarà impossibile di far amare, o almeno tollerare la Chiesa cattolica da un popolo che avrà imparato ad odiarla e a disprezzarla, in un papa imposto dalla forza, e in un clero dipendente da quel papa. Ci sarà impossibile di persuadere che la religione cattolica è loro felicità. I più belli argomenti, i più sensibili ai nostri giorni i soli che siano gustati dai popoli, i più efficaci, quegli argomenti di fatto, in forza dei quali due anni or sono facevano trionfare la religione negli spiriti più ribelli, nei cuori più duri, quegli argomenti ci sono ora strappati di mano, il nostro ministero è divenuto sterile, e noi siamo fischiati, disprezzati e forse ancora perseguitati e massacrati.

Ringraziate dunque a nome della Chiesa di Roma i vostri sedicenti cattolici, i vostri pretesi giornali religiosi. Essi possono andar fieri d'aver incoraggiato e sostenuto l'attuale governo francese in questa lotta fratricida... che non lascerà nella storia se non una di quelle pagine sanguignolente che l'umanità e la religione debbono espiare per lunghi secoli. Sono riusciti ad estinguere la fede cattolica nel suo centro, ad uccidere il papa ostinandosi a restaurarne il trono. L'immenso male che hanno fatto lo comprenderanno un giorno, ma sarà troppo tardi.

Fate di questa lettera quell'uso che vorrete: se la pubblicate essa avrà il vantaggio di predicare a un clero stordito, e con questo terribile esempio insegnargli che non dobbiamo lasciarci dominare dagli interessi temporali altrimenti a somiglianza dei Giudei, non solamente non potremo salvare il temporale, ma perderemo anche i beni eterni. Il clero deve prendere seriamente a difendere la causa del popolo, non quella del potere; deve farsi il tutore delle libertà pubbliche, non deve mai invocare la forza del potere per sottomettersi i popoli, ma deve unirsi ai popoli per ricondurre il potere sulle vie della giustizia e della carità del Vangelo. E' tempo altresì che il clero di Francia smetta di combattere imprudentemente e sistematicamente tutto quello che si indica con il nome di socialismo. In ogni sistema vi è del buono, perciò S. Paolo ci dice: «Omnia probate, quod justum est tenete», altrimenti la questione socialista, lasciata a se stessa o perseguitata dal clero, ucciderà il Cattolicesimo in Francia, come la questione della libertà e indipendenza italiana, combattuta dal clero romano e dal suo capo, ha ucciso il Cattolicesimo in Italia e nella stessa Roma.

P. Ventura
Di fatto la legittima aspirazione italiana all'unità non potè essere soffocata e Vittorio Emanuele II nel 1859 riuscì ad annettersi la Romagna, iniziando così la conquista del regno pontificio finché il 20 settembre 1870 l'esercito italiano entrò definitivamente in Roma ad opera del generale Cadorna, attraverso la breccia di Porta Pia. Le Guarentigie del 13 maggio 1871, n. 214 in 19 articoli riguardanti le « Prerogative del Sommo Pontefice e della S. Sede » (Titolo I) e le «Relazioni dello Stato con la Chiesa» (Titolo II) cercarono di garantire al papa quella libertà di lavoro indispensabile come Capo della Chiesa Cattolica Universale,, ma furono respinte dal papa, come legge unilaterale e inadeguata. Finalmente dopo laboriose trattative durate qualche anno di addivenne ai Patti del Laterano e del Concordato tra l'Italia e la S. Sede (Pio XI rappresentato dal card. Gasparri) e Mussolini l'11 febbraio 1929, accogliendo in gran parte le aspirazioni del vescovo Bonomelli e del P. Semeria(59) .

Sorse così la Città del Vaticano , una piccola oasi indipendente nel Centro di Roma, con varie diramazioni in edifici esentati dal controllo italiano, usati per dicasteri papali e per istituti culturali. Il governo si impegnò a risarcire i danni economici del papa con una forte liquidazione in denaro (750 milioni anteguerra depositati in banche svizzere e americane!). Così il papa si assicurò una completa indipendenza nell'esercizio della sua attività religiosa (60) .


NOTE A MARGINE

29. Cfr M. Pacaut , Alexander III, Etude sur la conception di pouvoir pontifical dans sa pensée , Paris 1956; M. Maccarone , Chiesa e Stato nella dottrina di papa Innocenzo III, in «Lateranum», 6, 1940; P. Kempt , Regestum Innocentii III, super negotio Romani Imperii , Roma 1947. torna al testo

30. Innocenzo III , Sicut Universitatis conditor , Epistolarium I, 401, ottobre 1198 in PL 214,377; cfr pure « Il Signore affidò a Pietro non solo tutta la Chiesa, ma anche il governo di tutto il mondo» (Ad patr. Constantinum PL 214, 760). torna al testo

31. Cfr Hélène Tillmann , Papst Innocenz III, Bonner Historische Forschungen , vol. 3, Bonn 1954. torna al testo

32. Su Bonifacio VIII cfr P. Tosti , Storia di Bonifacio VIII ed i suoi tempi , Milano, 1848. Per i passi qui citati della Bolla Unam Sanctam cfr Denz. Bannw, pp. 468-469. torna al testo

33. Basti ricordare Giordano da Onasbrück , canonico di questa città, che tra il 1256 e il 1273 stese un trattato dal titolo De Praerogativa imperii (l'impero civile spetta ai Germani, quello spirituale ai Romani); i due imperi derivano da Dio, ma quello temporale per mezzo dello spirituale). Lo stesso dicasi di Alessandro von Roes , canonico di Colonia, nel suo scritto dal medesimo titolo: « Come l'aquila romana non può volare con un'ala sola, così anche la navicella di Pietro non può essere governata con un solo remo fra le procelle e i turbini di questo secolo. La colomba che avesse solo un'ala cadrebbe preda non solo degli uccelli del cielo, ma anche delle belve della terra, poiché nessun animale mostruoso può avere vita ordinata che duri a lungo». torna al testo

34. De Regimine principum c. X. Anche il potere temporale è voluto da Dio ed è stato conferito da Cristo a s. Pietro, che lo esercita tramite i re. La superiorità del potere temporale si deduce dal fatto che l'anima è superiore al corpo, il quale dipende dall'anima nell'esercizio delle sue funzioni. torna al testo

35. Citato da Rivière , Le probleme de l'Eglise et l'Etat au temps de Philippe le Bel, Paris 1926, pp. 138-141; 165-170; 180 ss. torna al testo

36. Summa de potestate ecclesiastica , scritta verso il 1322 (citazioni in Rivère, o. c., pp. 155-157; 350-397; 375 ss. U. Mariani, Scrittori politici agostiniani del sec. XIV, Firenze 1927. Sulle dottrine politiche dei teologi del 500 cfr. S. Quadri, Dottrine politiche dei teologi del 500, Roma, Editrice Studium. torna al testo

37. De regia potestate et papali 1. 1 c. 15. Sul Quidort cfr J. Leclercq, Jean de Paris et l'ecclésiastique du XIII siècle . Identica l'opinione di Dante Alighieri nel suo De Monarchia (scritta verso il 1300); il libro incluso nei libri proibiti del secolo XVI, vi fu rimosso nel sec. XIX da Leone XIII. Cfr E.G. Parodi, L'ideale politico di Dante, in «Dante e l'Italia», Roma 1921, pp. 95-131; F. Ercole ,Il pensiero politico di Dante , Milano 1927-1928, e voll; F. Battaglia , Impero, Chiesa e Stati particolari nel pensiero di Dante, Bologna 1944; A. Passerin d'Entrèves, Dante politico e altri saggi, Torino 1955; U. Mariani, La posizione di Dante fra i teorici dell'imperialismo ghibellino , in «Giornale Dantesco» 30 (1927), pp. 111-117; C. T. Davis, Dante and the Idea of Rome, Oxford 1957. torna al testo

38. Cfr M. Maccarone , Vicarius Christi, Storia del titolo papale (Lateranum N.S. XVIII), Roma 1952. torna al testo

39. Per questa espressione cfr F. Gillmann , «Achiv für Katholischen Kirchenrecht », 95 (1915), pp. 266 ss; J. Rivière , in «Revue de Sciences Religeuses» 2 (1922), pp. 447-451; Idem in Miscellanea F. Ehrle II , Roma 1924, pp. 276-289. In qualche caso l'appellativo «Deus» fu usato anche verso l'imperatore; voleva solo raffigurare che il papa e l'imperatore, rappresentando Dio su questa terra, in un certo senso si potevano identificare con lui. torna al testo

40. Duchesne, Origine du cult chrétien, Paris 1920, ed. 5, cap. XII; E. Eichmann , Weihe und Krönung des Papstes in Mittelalter , München 1951; F. Wasner , De consacratione, inthronisatione, coronatione Summit Ponteficis , Roma 1936. torna al testo

41. G. Lagarde, La naissance de l'esprit laique au declin du moyen age , vol. IV; cfr Ockham et son temps , Paris, 1942. torna al testo

42. Cfr J. Rivière , Le probleme de l'Eglise et de l'Etat aux temps de Philippe Le Bel, Louvain- Paris 1926, pp. 135-138; 262-271 (con un riassunto dei due scritti). torna al testo

43. Octo quaestiones de potestate papae , in «Opera politica» I (Manchester 1940), pp. 26 s. Cfr Breviloquium, ed. R. Scholz, Wilhelm von Ockham als Politischer Denker, Leipzig 1944; secondo la tradizione medievale il potere è concesso da Dio direttamente al popolo e da esso poi al sovrano; cfr Fr. Suarez , Defensio fidei III. Principatus politicus e la soberania popular , ediz. E. Elourdy y L. Perena (Madrid) 1965. torna al testo

44. Cfr A. Pelzer, Les 51 articles de Guillame d'Ockham censurés en Avignon ne 1325 , in «Rev. Hist. Ecclés.» 18 (1922), pp. 240-270. torna al testo

45. De imperatorum , pp. 473-478. torna al testo

46. Octo quaestiones , o. c. p. 104; An Princeps in Opera politica I, pp. 223-248; De Imperatorum et pontificum potestate , ed. R. Scholz , Unbekannte Kirchenpolitische Streitschriften II (Roma 1914), pp. 460-466. torna al testo

47. Opera politica I , pp. 243-251. Questa posizione è simile a quella di Giovanni di Parigi ; De potestate regia et papale , pp. 188 s. Cfr J. Leclercq , Jean de Paris et l'Ecclésiologie du XII siècle, Paris 1942. torna al testo

48. Su Marsilio cfr G. De Lagarde , la naissance de l'esprit laique , p. 11; Marsile de Padoue ou le premier théoricien de l'esprit laique (ed. 2°) Paris 1948; Marsilio da Padova, Studi raccolti nel VI centenario della morte, a cura di A. Cecchini e N. Bobbio, Padova 1942; G. da Simone , Le dottrine politiche di Marsilio da Padova , Roma 1942; N. Rubinstein , Marsilius of Padova and the Italian Political Thought of his Time, in  J.R. Hale, J.R.L. Highfield, B. Smalley, Europe in the Latter Middle Ages (london 1965), pp. 44-75; J.K. Hyde , Padua in the Age of Dante , Manchester 1966; Gordon Left , The Apostolic Ideal in the Later Medieval Ecclesiology, in «The Journal of Theological Studies» 18 (1967), pp. 58-82. Contro W. Ullmann ( A History of Political Thought. The Middle Age , Penguin 1965, pp. 184-185) e M.H. Wilks (The Probleme of Sovereignity on the Later Middle Ages, Cambridge 1963) che vorrebbero sostenere l'influsso di Aristotele su Marsilio, Ficino e Occam. L'autore sostiene, a ragione, che vi influì assai più l'ideale apostolico del cristianesimo presente nel Nuovo Testamento. torna al testo

49. Defensor pacis , c. 5 pp. 160-161 (ediz. R. Scholz, Hannover, 1932). torna al testo

50. Ivi c. 15, pp. 329-336. torna al testo

51. Ivi c. 15 e 16, pp. 336 ss. torna al testo

52. Ivi c. 15 e 16, pp. 347-349. torna al testo

53. Ivi, c. 28, pp. 532-534. torna al testo

54. Ivi, c. 28, pp. 547-549. torna al testo

55. Ivi, c. 16, pp. 544.553.558. torna al testo

56. Queste proposizioni del rettore dell'Università di Parigi furono condannate da papa Giovanni XXII (Denzinger B. 495-500). torna al testo

57. La dottrina del potere indiretto ebbe notevole fortuna e fu accolta anche dal Codex Iuris Canonici : «La Chiesa ha il diritto di giudicare... la violazione delle leggi ecclesiastiche e tutte le cose in cui vi sia una qualche ragione di peccato» (Can. 1553, 1 e 2). Cfr Ch. Journet , la pensée sur le «pouvoir indirecte» , in «Vie intellectuelle» 1929, pp. 630-682 (specialmente pp. 645-655); sull'opera di Vincenzo Ispano (m. 1248) cfr F. Gillmann, Der Kommentar des Vincentius Hispanus zur den Kanons der vierten Lateroconcils (1215) , in «Archiv. für Katholiches Kirchenrecht» 1929, pp. 223-274. Sull'idea della «regalità di Cristo» nel sec. XIII cfr F. Leclercq , L'idée de la Seigneurie du Christ au moyen age , in «Revue Histoire Ecclésiastique» 53 (1958) pp. 57-68. torna al testo

58. P.G. Ventura nato a Palermo l'8 dicembre 1792, discepoli dei gesuiti, entrato nell'ordine dei teatini nel 1818, pubblicista, oratore e filosofo, morì a Versailles il 2 agosto 1861. torna al testo

59. G.E. Curatolo , la questione romana da Cavour a Mussolini , 1928. E. Devoghel , La Question Romain sous Pio XI et Mussolini , Paris 1929. torna al testo

60. Sul valore economico dello Stato Pontificio cfr Time del 26 febbraio 1965, p. 61 (diretto da Henry Luce); dalle stime bancarie più attendibili le ricchezze del Vaticano (secondo tale rivista) ammontano a 10-15 miliardi di dollari, cioè fra 6200 e 9300 miliardi di lire. Eppure il corsivista vaticano scriveva il 9 luglio 1965 in «L'Osservatore Romano»: «E' chiaro che se la chiesa chiede è per donare. Se il papa raccoglie non lo fa per sé». torna al testo