Da Pietro al Papato
di Fausto Salvoni

CAPITOLO QUATTORDICESIMO

SVILUPPO DEL POTERE SPIRITUALE DEL PAPATO (parte prima)


INDICE PAGINA

Gregorio Magno
Progressiva diminuzione delle autonomie locali in occidente
Le decretali pseudo-isidoriane
Superiorità sui concili: convocazione e approvazione
Presidenza e direzione
Convalida dei Concili
Separazione dell'Oriente
Declino dell'autorità papale
Dottrina conciliare
Il Concilio di Costanza
Il Concilio di Basilea
Il distacco protestante
La curia papale
Gli uffici


Gregorio Magno

La centralizzazione delle chiese, specialmente occidentali, sotto il primato di Roma, iniziata come vedemmo con Leone Magno, ebbe un forte impulso con Gregorio il Grande.

Nato verso il 540 da nobile famiglia senatoriale, Gregorio, a soli 31 anni, saliva alla carica di pretore, la più alta magistratura di Roma (1) Tuttavia un giorno, deposte le insegne del suo grado, rivestì un umile saio monastico e trasformò il suo fastoso palazzo del Celio in un cenobio di monaci penitenti. Pelagio II lo inviò come « apocrisario», vale a dire suo nunzio, a Costantinopoli dove rimase sei anni. Tornato a Roma ed eletto pontefice, iniziò la sua missione con una grande processione penitenziale alla Basilica Liberiana dell'Esquilino (S. Maria Maggiore) per propiziare la divinità e far cessare la pestilenza per la quale era morto anche il suo predecessore.

Si oppose energicamente all'invasione del Longobardi e con il denaro – di cui teneva la più minuta contabilità – aiutò nobili decaduti, poveri, vergini cristiane profughe e prigionieri di guerra. Il vescovo di Rima seppe così trasformarsi in agricoltore, stabilire pesi e misure, proteggere i coloni da imposte illecite, vigilare i conduttori di fondi: tutto ciò fu l'origine lontana del potere temporale dei Papi e del patrimonio di S. Pietro. Nonostante le sue continue infermità, che lo costrinsero a letto gran parte del suo pontificato (590-604), rivolse il suo pensiero costante ai popoli dell'Occidente che gli diedero grande conforto con la conversione di Agilulfo, re dei Longobardi, sposo della regina Teodolinda, e con la evangelizzazione dell'Inghilterra che divenne quasi una colonia romana.

Il programma di governo, che il Pontefice attuò in pieno, fu quello di legare al papato tutte le chiese d'Italia e d'Europa e quello di perfezionare, accentrandolo a Roma, la direzione dell'immensa proprietà fondiaria che costituiva il patrimonio di S. Pietro(2) .

In Oriente Gregorio Magno ebbe invece crescenti amarezze, tra le quali la contesa con Giovanni il Digiunatore, vescovo di Costantinopoli (m. 595), il quale vestendo poveramente e dormendo sulla nuda terra e digiunando di continuo (di qui il suo nome), volle assumersi il titolo di «Patriarca ecumenico», vale a dire di tutta le ecumene o terra abitata(3) L'epiteto, già prima attribuito sporadicamente al vescovo di Roma o al patriarca alessandrino dal tempo dello scisma di Acario (484-519), era divenuto usuale per il patriarca costantinopolitano. Con tale titolo, che etimologicamente significa «mondiale» ma dall'uso assai vago, Giovanni non intendeva certamente elevarsi sopra Roma e l'Occidente, ma sull'impero Bizantino. Gregorio leggendo l'incartamento di due sacerdoti dell'Asia Minore, s'accorse che, quasi ad ogni pagina, vi si trovava tale epiteto per cui protestò energicamente (ad imitazione di Pelagio II, morto nel 590) in quanto vi vedeva un'espressione assai pericolosa e una orgogliosa manifestazione di grandezza e superiorità. Egli se ne lagnò, pare, con l'imperatore Maurizio, che lo invitò a riconciliarsi con Giovanni; ma il vescovo romano rispose, per mezzo del suo apocrisario, che sarebbe proceduto per la retta via « senza temere altri che Dio» Reg. V, 45). Egli scrisse poi lettere all'imperatore Maurizio Reg. V, 37; Reg. V, 39) e allo stesso patriarca Giovanni il Digiunatore Reg. V, 18).

Nella lettera a Maurizio ricorda che lo stesso Pietro non fu mai chiamato apostolo universale, afferma che se il patriarca universale dovesse errare trascinerebbe con sè tutta la Chiesa, e così apostrofa l'orgoglioso patriarca:

« Le nostre ossa sono disseccate dal digiuno, e tuttavia l'animo nostro è gonfio d'orgoglio; il corpo è vestito di vili panni e intanto con superbia ci innalziamo nel nostro cuore al di sopra della stessa porpora; stiamo nella Chiesa, eppure non miriamo che alla grandezza; siamo i dottori ma i duci della superbia; sotto l'aspetto di agnelli nascondiamo denti di lupo » (Reg. V, 37)

Al patriarca Giovanni così scrive:

« A motivo di questa temeraria presunzione la pace di tutta la Chiesa è turbata e la grazia diffusa su tutti in comune è negata... L'apostolo Paolo intendendo taluni dire: Io sono di Paolo, io di Apollo, io di Cefa (1 Co 1, 12) acceso di grande sdegno a tale lacerazione del corpo del Signore, per cui le sue membra si raccoglievano sotto altri capi, esclamò: E' forse Paolo che fu crocifisso per voi, o foste voi battezzati nel nome di Paolo? Se dunque lui rigettò il fatto che dei membri del corpo di Cristo dovessero attaccarsi ad altri capi, pur essendo apostoli, al di fuori di quello di Cristo, che dirai tu Giovanni a Cristo che è capo della Chiesa universale nel rendimento dei conti il giorno del giudizio finale? Tu che ti sforzi di preporti a tutti i tuoi fratelli vescovi della Chiesa universale e che con un titolo superbo vuoi porti sotto i piedi il loro nome in paragone del tuo? Che vai tu facendo con ciò, se non ripetere con Satana: Ascenderò al cielo ed esalterò il mio trono al di sopra degli astri del cielo di Dio? Vostra fraternità mentre disprezza (gli altri vescovi) e fa ogni possibile sforzo per assoggettarseli, non fa che ripetere quanto già disse il vecchio nemico: Mi innalzerò al di sopra delle nubi più eccelse. Alla penosa vista di tutti questi fatti e nel timore dei segreti giudizi divini aumentano le mie lacrime e il mio cuore più non riesce a contenere e gemiti considerando che il piissimo signor Giovanni, uomo di tanta astinenza ed umiltà, spinti dall'istigazione dei suoi consiglieri, sia montato in tanto orgoglio che, anelando a un titolo, fa di tutto per assomigliare a colui che nella sua alterigia volle assimilarsi a Dio ma che finì, poi, con il perdere la grazia e la somiglianza già posseduta »
« Certamente» continua Gregorio « Pietro è un membro della Chiesa universale; Paolo, Andrea, Giovanni che altro sono se non capi di particolari comunità? Ma tutti sono membri dipendenti da un unico capo, cioè Gesù Cristo. Per sintetizzare tutto in una espressione: i santi avanti la legge, i santi sotto la legge, i santi sotto la grazia formano tutti insieme il corpo del Signore, e sono tutti membri della Chiesa. Ebbene, nessuno di loro si è mai attribuito la qualifica di ecumenico. Possa dunque tua Santità riconoscere quanto sia grande il tuo orgoglio pretendendo un titolo che nessun altro uomo veramente pio di è giammai arrogato» (4) .

Ma poco dopo la politica dell'Oriente cambiò. Foca, ufficiale subalterno e senza istruzione, marciò su Costantinopoli, si fece proclamare imperatore, suppliziò il predecessore Maurizio e i suoi figli. Il suo impero fu caratterizzato da continui complotti repressi con la massima ferocia, per cui si comprende la diffidenza verso il clero costantinopolitano, che non poteva vedere di buon occhio il comportamento dell'usurpatore (5) Al contrario Roma usò con lui rapporti assai cordiali, specialmente ad opera di Bonifacio III, successore di Gregorio; ne derivò il « privilegio » del 19 gennaio 607 con cui l'imperatore riconobbe la supremazia della « Sede Apostolica di Pietro su tutte le chiese (caput omnium ecclesiarum) » e vietò al patriarca di Costantinopoli di usare il titolo di « ecumenico » che da quel momento doveva essere riservato solo al vescovo di Roma (6) . Più tardi papa Adriano I (772-795), scrivendo all'imperatrice Irene, lamentò che Tarasio, vescovo di Costantinopoli, si fosse assunto il titolo di patriarca ecumenico, che di diritto spettava solo al vescovo romano, affermando che con tale comportamento egli

« pretendeva il primato sopra la nostra stessa chiesa, il che appare ridicolo a tutti i cristiani fedeli, poiché per tutto l'orbe terrestre fu dato dalla stesso Redentore il principato e la potenza al beato Pietro; per lo stesso apostolo, del quale immeritatamente facciamo le veci, la Chiesa romana, santa, cattolica e apostolica fino ad ora e per sempre detiene il principato e la autorità del potere » (7) .

In tal modo fu applicato al papa quel titolo che Gregorio Magno aveva rifiutato di usare, come segno di autorità indebita(8) .

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Progressiva diminuzione delle autonomie locali in Occidente

In Occidente a poco a poco scomparve l'indipendenza prima goduta da molte chiese locali, assorbita dal dominio romano, spessi anche con la complicità di governi locali.

Le chiese africane, che avevano difeso a lungo la propria indipendenza dal vescovo di Roma, come già abbiamo visto, fecero tacere la loro voce con la conquista del loro territorio ad opera dei Musulmani.

Le chiese irlandesi, dirette da monaci e senza la organizzazione episcopale (da questo derivò la esenzione attuale dell'abate dalla giurisdizione episcopale) conservarono a lungo i propri riti anche in contrasto con gli usi romani. Per secoli tali chiese rimasero autonome per cui in certi momenti parve che «la vecchia razza celtica, già da tempo sterminata dai Romani e dei Germani, ricomparisse per conquistare i suoi conquistatori e che il cristianesimo celtico fosse sulla via di dettar legge alle chiese d'Occidente» (9) Sarà solo verso il XII secolo che le chiese celtiche, accostatesi a Roma, ne riconobbero il primato e divennero anzi dei forti sostenitori dell'autorità papale.

La chiesa di Spagna godette sempre di completa indipendenza da Roma, nonostante che nessuna sede metropolitana spagnola fosse d'origine apostolica (10) Isidoro di Siviglia in una sua lettera al vescovo di Roma Claudio (11) riconobbe che «al Romano pontefice si deve mostrare una speciale doverosa ubbidienza come al Vicario di Cristo », ma di fatto i sinodi spagnoli conservarono la loro giurisdizione sui vescovi e sui metropoliti, opponendosi a Roma anche in materia di fede. Nel sinodo di Toledo (a. 686) ima lettera di papa Benedetto II fu sottoposta a severa critica e gli fu rimproverato di « contraddire i Padri con grande impudenza» (12) In seguito a una lettera di Adriano I che nel 790 biasimava alcuni abusi, per circa 200 anni i rapporti epistolari con Roma furono bruscamente interrotti (13) . Secondo Diego Almirez, nessun vescovo spagnolo del sec. XI seguiva Roma o le era tributario, bensì si conformava alla legge toledana (14) Fu Gregorio VII che nel 1085 ad opera dei monaci di Cluny, soppresso il rito mozarabico.

La chiesa franca, pur riconoscendo il primato di Roma, conservava una sua propria indipendenza, tant'è vero che al tempo della iconoclastia, nonostante gli sforzi di papa Adriano I (772-795), si oppose al culto delle immagini, le quali potevano essere usate solo per abbellire il locale di culto, senza però che si accendessero candele o si bruciasse incenso o si elevassero preghiere dinanzi a loro.. Così decide il Concilio di Francoforte, che nel 794 rifiutò le decisioni del Concilio II di Nicea e disse che in questioni riguardanti la fede è utile consultare Roma, senza per altro affermarne la necessità. Adriano li confutò con ragioni bibliche senza affatto accampare la sua autorità (15) ma i teologi franchi dichiararono apertamente che i passi patristici da lui addotti erano assurdi e fuori luogo per la questione trattata (16) .

Le chiese della Gallie, dipendenti da Arles, godevano di una vasta autonomia ed Ilario, suo vescovo canonizzato poi dalla Chiesa, agì con indipendenza presiedendo vari concili, deponendo o sostituendo vescovi con persone di sua scelta. Ciò non piacque a molti che se ne lagnarono presso Leone IV; questi colse l'occasione per intervenire forte dell'appoggio di Valentiniano III il quale con un editto, forse dettato dallo stesso papa, sottomise a Roma le Gallie. In tale decreto si sosteneva che la pace ecclesiastica è possibile solo quando tutte le chiese riconosceranno un solo capo. Il documento che espressamente parla soltanto di «chiese Occidentali» e di «ambedue le Gallie» servì di base per le future espansioni papali. L'editto, dopo aver accennato alla resistenza di Ilario e delle chiese transalpine, così continua:

« Non solo condanniamo in delitto sì grave affinché il più piccolo disturbo non sorga tra le chiese e la disciplina della Chiesa non ne venga indebolita, ma decretiamo altresì con questo editto perpetuo che non sia consentito ai vescovi delle Gallie e delle altre provincie, contrariamente all'antico costume (!!), di fare alcunchè senza l'autorità del venerabile papa della città eterna; che anzi tutto ciò che l'autorità della sede apostolica abbia approvato o abbia ad approvare si consideri da esse come legge, di modo che se qualche vescovo si opponesse, in caso che venga chiamato a comparire dinanzi al tribunale del vescovo romano, sia obbligato ad andarvi per mezzo del governatore della provincia, affinché in tutto si presti attenzione a ciò che i nostri divini padri concessero alla chiesa romana » (17) .

L'editto, al dire del cattolico Tillemont, mostra come «gli imperatori aiutarono a stabilire la grandezza e l'autorità dei papi »(18) Naturalmente tale supremazia fu da costoro legittimata con il fatto che in loro era Pietro ad agire per cui essi operavano come suoi « vicari».

I lario fu chiamato a Roma e il papa gli proibì di adunare concili fuori dalla sua provincia, di ammettere ai concili provinciali i vescovi stranieri; sottrasse poi alla sua giurisdizione i vescovi suffraganei della provincia di Vienne, gli proibì di prendere parte ad alcuna elezione episcopale e dichiarò che doveva stimarsi fortunato di non ricevere castighi assai più gravi per quelle che furono chiamate le sue « usurpazioni», mentre di fatto erano dei puri diritti tradizionali.

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Le Decretali Pseudo-isidoriane

Costituiscono la più importante falsificazione medievale (sec. IX), nella quale un certo Isidoro Mercatore, confuso erroneamente con Isidoro di Siviglia (di qui il titolo di Pseudo-isidoriane), compilò probabilmente a Reims, falsificandole, una sessantina di decretali pontificie (ossia leggi papali) che vanno da Clemente I a Gregorio II (a. 90 - 731)(19) .

I forgiatori avevano il lodevole intento di difendere i vescovi locali contro i soprusi dei principi secolari e dei metropoliti sottoponendoli al potere del vescovo romano; ma di fatto tali falsi inescusabili, ottennero il risultato di accrescere a dismisura il primato romano e di porre le basi della sua straordinaria esaltazione. Il loro pensiero si può riassumere in queste poche righe: i vescovi posti sotto accusa hanno il diritto di appellare il papa; tutte la cause principali («majores») riguardanti i vescovi vanno riservate in suprema istanza al foro romano, le leggi statali che fossero in contrasto con i canoni o decreti papali diventavano nulle ipso facto.

Tali falsi furono ritenuti autentici e applicati per tutto il Medio Evo; seri dubbi circa la loro autenticità sorsero solo nel XV secolo ad opera di Nicolò Cusano e Giovanni di Torquemada tra i cattolici. La difesa tentata inutilmente dal gesuita Francesco Torres (m. 1572) fu frantumata dal calvinista David Blendel (m. 1628).

Da esse risulta che il papa ha la «piena potestà» (plena potestas) sulla Chiesa secondo un'espressione forse coniata già da leone il Grande, Essa divenne strumento efficace contro l'egemonia civile e i soprusi che alcuni volevano attuare contro il clero inferiore. Servirono pure per sviluppare la riforma della Chiesa tramite sinodi e concili generali. L'apice di questa riforma si attuò nel 1215 con il vero capo che dirigeva e muoveva tutta la Chiesa. Mediante le Decretali e le leggi posteriori i vescovi si videro ridurre gradatamente la loro autonomia e la loro libertà. Dal sec. IX gli arcivescovi furono obbligati a chiedere a Roma, entro tre mesi dalla loro nomina, uno speciale ornamento chiamato « pallio», che dovevano poi pagare (20) Dal secolo XI dovettero anzi recarsi a Roma per riceverlo dalle mani stesse del papa.

Leone IX (1049-1054) si mise a conferire il titolo di cardinale, che fino a quel tempo era riservato a vescovi, preti e diaconi romani, ad ecclesiastici di altri paesi, creandosi in tal modo dei suoi rappresentanti in ogni centro principale sui quali poter contare. I cardinali, eletti dal papa, vennero sempre più considerati l'espressione della Chiesa universale.

Verso il sec. XII (1100) papa Pasquale II obbligò i metropoliti a visitare periodicamente il papa per dargli un resoconto delle loro attività (visita ad limina). Questo obbligo fu poi esteso nel sec. XV a tutti i vescovi, che dovevano venire confermati dal papa. Dal XII secolo era pure divenuto comune uno speciale giuramento di obbedienza al sommo pontefice, che poi fu reso obbligatorio nel 1234 da Gregorio IX.

Anche i metropoliti che godevano prima di una certa indipendenza, dal XIV secolo, spesso per loro desiderio, presero a chiedere conferma a Roma della loro elezione. Questa fu resa obbligatoria nel XV secolo pena la nullità della elezione (21) .

Tutti questi comportamenti documentano come da un periodo originario nel quale non si riconosceva l'autorità giurisdizionale del vescovo romano, in Occidente si andò gradatamente imponendo in modo sempre più assoluto la sua giurisdizione.

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Superiorità sui Concili: convocazione e approvazione

I Concili ricevettero autorità a valore solo se indetti dal papa e da lui approvati. Ciò in realtà non era affatto in armonia con l'insegnamento precedente.

Stando alle decretali Peseudo-isidoriane, già papa Pelagio II avrebbe avocato alla sede romana il diritto di convocazione di ogni concilio sia generale che particolare (22) benché in realtà i concili generali siano stati convocati dal papa solo dal XII secolo in avanti, l'ignoranza storica dei fatti precedenti e l'autorità delle Decretali indusse i teologi a pensare che fosse sempre stato così. Lo affermò Tommaso d'Aquino (23) e lo ripetè il Concilio Lateranense V (24) e attraverso vari teologi ciò fu asserito fino all'Ottocento con il teologo Carlo Passaglia nelle sue tesi De Conciliis (25) e con lo Scheeben(26) i quali, riesumando una ipotesi del cardinale Bellarmino, resero l'imperatore presente ai concili un semplice delegato papale.

Fu merito di F. X. Fünk, successore dello Hefele nella cattedra di Storia della Chiesa a Tubinga, l'aver eliminato questa tesi impostasi tradizionalmente nella teologia in contrasto con la realtà storica pur attirandosi in tal modo aspre critiche. Dalle numerose lettere di convocazione giunte fino a noi (27) dalle quattro dichiarazioni imperiali che ci sono pervenute (28) e dalle dichiarazioni di Costantino il Grande nel Concilio di Nicea (29) risulta che gli imperatori consideravano la convocazione dei concili come una faccenda di loro competenza, in quanto «vescovi» al di fuori della Chiesa(30) .

« E' mia volontà» dice Costantino nella sua lettera di convocazione del Concilio di Nicea « che tutti voi premurosamente vi raduniate nella suddetta città ». I dibattiti per essere legittimi dovevano iniziare con la lettura del messaggio imperiale, che aveva ordinato al sinodo di riunirsi e indicandone, anzi, le questioni controverse da risolvere.. Solo dopo la chiusura del concilio da parte dell'imperatore e la sua licenza i vescovi potevano tornare alle proprie sedi.

Il Concilio di Costantinopoli (a. 381) fu convocato da Teodosio I senza che la Chiesa romana ne fosse nemmeno avvertita e vi presenziasse. Il Concilio di Efeso (a. 431) fu indetto dall'imperatore Teodosio II che ne era stato sollecitato da Nestorio. Perfino uomini come Atanasio e Leone il Grande supplicarono la corte di convocare il Concilio di Sardica e un sinodo italico. Quando poi Leone cambiò idea, l'imperatore Marciano convocò ugualmente il Concilio di Calcedonia (a. 451). I vescovi del concilio nel loro messaggio di ringraziamento a Giustiniano II sottolinearono che l'imperatore aveva « convocato questo santo sinodo ecumenico eletto da Dio »(31) Nel 754 l'imperatrice Irene comunicò a papa Adriano: « Abbiamo deciso un concilio» (a. 787, Conc. Nicea II).

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Presidenza e direzione

In origine la presidenza e la direzione dei concili ecumenici ossia generali spettavano di diritto all'imperatore, che spesso affidava a vescovi illustri o a commissari laici. nel Concilio di Nicea, durante la seduta inaugurale (21 maggio 325), l'imperatore Costantino, assiso su di un trono d'oro, tenne in latino (com'era di prammatica negli atti ufficiali) un discorso mostrandosi preoccupato per la pace pubblica (32) La presidenza nelle altre sessioni fu tenuta da Osio vescovo di Cordova, dopo del quale figurarono i due presbiteri romani delegati dal vescovo romano Silvestro che non vi potè presenziare a motivo della sua tarda età. Osio firmò sempre per primo senza indicare di rappresentare qualcuno, mentre i due delegati romani dichiararono di sottoscrivere a nome di Silvestro (33) .

Nel Concilio di Costantinopoli la presidenza fu tenuta da Melezio, vescovo di Antiochia, che fra l'altro non era nemmeno in comunione con la Chiesa romana. Quando durante il concilio il presidente morì, Gregorio Nazianzeno, vescovo di Costantinopoli, suggerì di sostituirvi il vescovo Paolino che godeva il favore anche di Roma, ma tutti gli orientali vi si opposero dicendo che ciò poteva sembrare una resa di fronte ad una piccola minoranza antiochena. « Il sole va da oriente ad occidente» dissero i vescovi «non da occidente a oriente ».

Il Concilio di Efeso (a. 431), indetto dall'imperatore Teodosio II che ne era stato sollecitato da Nestorio, fu presieduto da Cirillo, il quale lo diresse senza nemmeno attendere i re delegati pontifici e i vescovi della Siria (34) .

All'imponente sinodo del «rinnovamento» tenuto in Antiochia nel 341 la presidenza fu tenuta di persona dallo stesso imperatore Costanzo. Teodosio II cercò di rinunziare a tale suo diritto, ma i successori Pulcheria e Marciano fecero dirigere il Concilio di Calcedonia (a. 451) dai loro legati imperiali. Leone Magno cercò, è vero, di affidare la presidenza ai suoi legati dopo che l'incaricato imperiale Dioscoro aveva sospinto in acque eretiche il cosiddetto «sinodo dei briganti» (a. 449). Ma anche se i vicari del papa «sedettero al posto d'onore » (praesidebant), in realtà la presidenza vera ed effettiva fu tenuta dal commissario Candidiano e le acclamazioni salutarono l'imperatore Marciano come maestro della fede.

Quasi tutte le sedute del VI Concilio Ecumenico di Costantinopoli (a. 680-681) furono presiedute dall'imperatore Costantino IV Pogonato(35) al VII Concilio Ecumenico di Nicea (a. 787) la presidenza fu tenuta dal patriarca Tarasio, appena nominato dall'imperatrice Irene, della quale era stato consigliere segreto, pur essendovi presenti i commissari imperiali. Al termine l'imperatrice fece di persona la decisiva richiesta di consenso e sottoscrisse la risoluzione finale. Anche nell'VIII Concilio Ecumenico Costantinopolitano IV /a. 869-870) l'imperatore Basilio diresse i lavori, fece riesaminare, con stizza degli interessati, le lettere credenziali dei legati romani, riesumò la questione di Fozio nonostante la sentenza di deposizione emessa dal sinodo romano e cedette poi la presidenza ai suoi commissari. Nel Concilio Ecumenico Costantinopolitano II del 431 papa Vigilio non presenziò affatto. Tutti questi fatti contrastano il pensiero di quei cattolici che esigono la convocazione e la presidenza di un concilio da parte del papa perché sia ecumenico (36) .

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Convalida dei concili

Le decisioni conciliari divenivano ipso facto una legge statale promulgata dall'imperatore.

« Questa procedura dimostra in modo chiaro e inconfutabile che la validità delle decisioni non si riteneva dipendente da una successiva ratifica della sede romana. In caso contrario le decisioni non avrebbero potuto essere pubblicate e l'imperatore non avrebbe potuto dar loro forza di legge, prima che ne fosse pervenuta la convalida» (37 ).

La presunta conferma del Concilio di Nicea da parte di Silvestro (314-335) è una pura leggenda. Secondo Graziano, papa Gregorio il Grande avrebbe proibito a qualsiasi persona di convocare un sinodo particolare, e obbligato, in caso di discussione su qualsiasi punto riguardante i concili ecumenici, a ricorrere per spiegazione «alla sede apostolica » (romana). Ma si tratta di un falso poichè l'originale ha « alle sedi apostoliche », plurale anzichè singolare (38) .

Nelle decretali il papa era ritenuto capo della chiesa per cui gli si potevano rivolgere le parole di Bernardo di Chiaravalle.

« Voi siete il vescovo dei vescovi; gli Apostoli, vostri antenati, hanno ricevuto la missione di porre l'universo sotto i piedi di Gesù Cristo: ciascuno ha il suo gregge di cui ha la carica, per voi, tutti i greggi non fanno che uno, e vi è stato confidato. Pastore di tutte le pecore, e pastore di tutti i pastori»

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Separazione dell'Oriente

La tattica assorbitrice del vescovo di Roma non riuscì invece in Oriente, che volle a tutti i costi difendere la propria indipendenza. Molte chiese orientali, staccatesi ben presto dalle altre, rappresentano lo stadio iniziale della Chiesa quando non riconosceva ancora l'autorità di Roma, Così la Chiesa Armena si stabilì una sua gerarchia indipendente, rimasta a lungo ereditaria nella famiglia del loro apostolo nazionale: Gregorio l'Illuminatore. Anche l'antichissima chiesa Siro-Persiana e la chiesa Etiopica-abissina non conobbero per lungo tempo alcun primato, neppure onorifico, della chiesa romana (39) Le chiese orientali, pur concedendo un certo primato di onore a Roma, di fatto non ne ammisero mai la superiorità gerarchica e nel 1054 preferirono staccarsene anzichè sottoporsi ad essa.

Varie ragioni collaborarono per la opposizione tra Roma e l'Oriente: gli orientali rimproveravano ai latini il taglio della barba, l'uso del pane azzimo, la creazione di statue, l'uso di anelli al dito, l'asserzione che lo Spirito Santo procede solo dal Padre e non anche dal Figlio. Rimproveravano specialmente che il pontefice e i vescovi cattolici si ponessero a capo dei soldati per attuare delle imprese militari. Ma la vera ragione, non asserita, era l'ingerenza sempre più prominente di Roma negli affari costantinopolitani.

Il primo tentativo avvenne al tempo di Nicolò I (858-867) quando il patriarca Ignazio di Costantinopoli fu deposto dall'imperatore Michele III cui egli censurava la vita licenziosa e sostituito con Fozio sapiente linguista e commentatore. Nicolo I lanciò l'anatema contro Fozio, il che causò una scisma durato solo pochi anni, poiché Fozio fu alfine deposto e Ignazio rimesso al suo posto. Fozio fu anzi condannato da un Concilio di Costantinopoli, che la Chiesa cattolica ritiene uno degli ecumenici. Ma dopo la morte di Ignazio fu ristabilito nel suo incarico di vescovo costantinopolitano e ritenuto un santo dalla Chiesa bizantina(40) .

Il secondo scisma, definitivo, si attuò con Michele il Cerulario. Leone IX aveva cercato di annettersi i Normanni dell'Italia meridionale, dipendenti dal Patriarcato greco (1053); Michele Cerulario insorse per affermarne la indipendenza da Roma. Il papa si adirò e, mentre Michele faceva chiudere le chiese latine di Costantinopoli per imporvi l'uso greco, mandò una legazione a Costantinopoli con la scomunica. Naufragate le trattative del 16 luglio del 1054 i legati greci deposero sull'altare di S. Sofia la bolla di scomunica; Cerulario, radunato un sinodo, scomunicò a sua volta i legati che, scossa la polvere dai calzari, se ne tornarono a Roma (41) Ecco i testi delle reciproche scomuniche:

a) da parte di Roma

« Che Michele, patriarca abusivo, neofita il quale ricevette l'abito di monaco per timore umano ed è stato screditato da delitti efferati, che con lui, Leone, il preteso vescovo di Acrida, che il tesoriere di Michele il cerulario Costantino, il quale con i suoi piedi profani ha calpestato l'ostia dei latini e che tutti coloro i quali li seguono on tali errori e proposizioni temerarie siano scomunicati. Marantha... con i simoniaci, i Valeriani, gli Ariani ecc... con il diavolo e... i suoi angeli, ameno che tornino a sentimenti più saggi. Amen... Amen... Amen. Umberto » (42) .

b) la risposta di Michele: editto sinodale

« E' stato deciso che il primo giorno della settimana prossima 20 luglio, quando si deve leggere secondo l'uso l'ectesi del V sinodo, si scomunicherà questo scritto (di Umberto) empio e coloro che l'hanno esposto, scritto o data la loro approvazione o il loro consiglio per la sua stesura. L'originale di questo scritto non è stato bruciato ma deposto nel santo ripostiglio del bibliotecario a prova perpetua contro coloro che hanno pronunciato delle bestemmie contro Dio, e per la loro condanna certa »(43) .

Un tentativo di riconciliazione avvenne nel Concilio di Lione del 1274, dove i delegati accolsero tutte le pretese dei latini; ma il popolo insorse e i delegati vennero condannati. Nel 1439 il Concilio di Firenze non ottenne alcun risultato di valore. Solo gli italo-greci restarono riuniti alla chiesa di Roma.

Le scomuniche sono state rimosse con un atto congiunto da parte di Paolo VI e Atenagora, il 7 dicembre 1965.
(continua)

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NOTE A MARGINE

1. Cfr P. Godet, Gregoire, in «Dict. Theol. Cath.». col. 1776-1781; H. Leclercq , S. Gregoire le Grand , in «Dict. d'Archéol. Chrét. et de Liturgie». col. 1753-1776; P. Pingaud , La politique de Grégoire le Grand , Paris 1872; P. Richard , La monarchie pontifical jusqu'au Concile de Trente, in Revue Hist. Eccl.» 1924, pp. 419 ss; P. Batiffol , S. Gregoire le Grande , Paris 1928; E. Spearing , The patrimony of the Roman Church in the Time of Gregory the Great, Cambridge 1918; Gregorii M., Opera in PL 75-79 ; Gregorii I, Registrum epistularum , ed. P. Ewald et L.M. Hartmann, 2 voll., 1891-99. torna al testo

2. Cfr sotto il capitolo 13 riguardante Il Potere temporale dei papi. torna al testo

3. Cfr S. Vailhé , St Gregoire le Grand et le titre de patriarche écuménique, in «Echos d'Orient» 11 (1908), pp. 65-69.161-171. torna al testo

4. Epistolarum V, Ep. 18, PL 77, pp. 739-740. Dunque nemmeno il vescovo di Roma si era mai arrogato, secondo la testimonianza di Gregorio, il titolo di «vescovo ecumenico». Ma pochi anni dopo, dimentico di questa opposizione, il vescovo di Roma Bonifacio III si attribuì tale titolo, divenuto poi du uso generale, Ma con ciò egli non faceva che deviare sempre più da quel principio di fraternità, di amorevolezza e di ubbidienza al Cristo, che deve stare alla base della religione cristiana. torna al testo

5. Era chiamato «semi barbaro», bestia selvatica, paragonabile a un centauro o a un cinghiale di Calidone (così Teofilatto di Samosata, VIII, 10).. Il patriarca Ciriaco aveva rifiutato di consegnare all'imperatore la vedova e le figlie di Maurizio rifugiate in Santa Sofia. Cfr C. Patrono, Dei conflitti tra l'imperatore Maurizio Tiberio e il papa Gregorio Magno , Padova 1909 (è molto ostile a Gregorio), p. 72. torna al testo

6. Liber Pontificalis, ed. Duchesne, vol. I, p. 316; nel 608 i romani elevarono nel foro una colonna sormontata da una statua di Foca in bronzo dorato in onore del «clementissimo e piissimo imperatore, trionfatore perpetuo, incoronato da Dio (!!), sempre augusto» (Corpus inscriptiorum latinarum, vol. VI, n. 1200); nel 609 Foca inviava a Bonifacio III un'ambasciata carica di doni e autorizzava la trasformazione del Panthein in una chiesa dedicata a Maria e ai santi martiri. torna al testo

7. Adriani papae I epistulae 56, in PL 96, 1217 D - 1220 A, testo greco ivi coll. 1218 D - 1219 A. La lettera fu letta al Concilio Ecumenico VII di Nicea (a. 787), Tuttavia ne furono saltati i passi riguardanti l'abuso del titolo di patriarca ecumenico da parte del vescovo Tarasio. Di più la libera versione greca ha cercato di attutire la volontà di primato da parte di Adriano I, facendolo vicario non solo di Pietro, bensì dei due apostoli Pietro e Paolo, detti «corifei» (non i capi) del collegio apostolico. torna al testo

8. E' interessante notare come papa Paolo VI parlando del suo prossimo incontro a Istanbul con Atenagora di Costantinopoli, lo abbia chiamato lui stesso «patriarca ecumenico» (Oss. Rom. 15 luglio 1967). torna al testo

9. Green, Histoire du peuple anglais, vol. I. p. 22 della 24° edizione. torna al testo

10. Solo Santiago di Compostella nel settentrione spagnolo pretese di essere stata fondata da un apostolo e di possedere la sua sepoltura. Sono note le lotte del suo vescovo con quello di Toledo per la supremazia spagnola, che terminò nel 1088, quando Urbano II eresse la sede primaziale a Toledo. Pare che la decisione fosse motivata dal timore che Santiago volesse ergersi come uguale a Roma. La Historia Compostellana, scritta nel sec. XII sotto gli auspici di Selmirez, che ottenne il pallio dal papa e ambiva il primato, così scrive: «Ciò che gli impedì di conseguirlo fu che i romani resistettero alla petizione pensando: la chiesa di Compostella si erge orgogliosamente e arrogantemente, e guarda alla chiesa di Roma non come sua signora, ma come sua pari. La chiesa romana temeva infatti che la chiesa di Compostella, fondata sopra un sì grande apostolo, guadagnando più autorità episcopale, potesse assumere il primato di onore tre le chiese d'Occidente; e per il fatto che la chiesa di Roma governava sopra la maggioranza delle chiese a motivo di un apostolo, così anche la chiesa di Compostella potrebbe porsi a prima e governare molte chiese a motivo del suo apostolo. Ciò spiega i timori di Roma che sino ad oggi prese le sue precauzioni per il futuro » (Hist. Comp. III, 3). torna al testo

11. PL 83, 903; il vescovo Claudio pontificò dal 606 al 636. torna al testo

12. Mansi XII, 16. torna al testo

13. Historia critica de España, XIII, pp. 258 s. torna al testo

14. Historia Compostellana, España sagrada, XX, 252, Pelayo de oviedo falsificò la storia di Isidoro per mostrare che già al tempo di Gregorio M., del quale Isidoro fu reso vicario, era già sottoposta a Roma. torna al testo

15. Libri carolini, editi da Heumann, Concilii Niceni II, censura R-C. Caroli M. de impio imaginum cultu libri IV, Hannover 1731. «Quod Romana Catholica et Apostolica Ecclesia, caeteri ecclesios praelata, pro causis fidei, cun questio surgit, omnino sit consulenda dignum duximus». La lettera di Adriano I (722-795) si legge in Mansi, Act. Conc. XIII, pp. 759-810. torna al testo

16. Valde absona et ad rem de qua agebatur minime pertinentia. Mansi XIV, pp. 421 ss. torna al testo

17. Leone M., Ep 11 PL 54, pp. 636-640. Si noti l'inciso «i nostri divini padri», non Cristo. torna al testo

18. Tillemont, Mémoires , vol. XV, p. 83. torna al testo

19. K. Bihlmeyer . H. Teuchle, Storia della Chiesa, vol. II, Brescia 1956, pp. 72 s. Decretales Pseudo Isidoriane , ed. P. Hinschius, Lipsia 1863; cfr P. Fournier e G. Le Baas, Histoire des Collections Canoniques en Occident , vol I, Parigi 1931, pp. 126-233; : J: Haller in «Studi Gregoriani » II, Roma 1947, pp. 91-101. torna al testo

20. Il pallio è una striscia di lana bianca che gira sulle spalle, con due corti pendenti neri sul petto e sul dorso. Nel VI secolo divenne una insegna papale; portato dal vescovo di Ostia perché consacrato dal papa (PL 67, 1016) era spedito a coloro che ricevevano una speciale giurisdizione papale ( Liber Pontificalis I, 202; Simmaco lo accordò a Cesario di Arles). Cfr  J. Braun , I Paramenti sacri , trad. ital. 1914, pp. 129-135; L. Duchesne , Origine du cult chrétien , Paris 1925, ediz. 5°, pp. 404-410. torna al testo

21. Concordato di Costanza del 1418, can. 2. torna al testo

22. Decretales Pseudoisidorianae, ed. Hinschius, Leipzig 1863. torna al testo

23. Summa Theol., II, II, q. 1, a 10; cfr anche ad 2; De potentia q. 10, 94, ad 13. torna al testo

24. Mansi, 32, c. 967. torna al testo

25. H. Schauf, De Conciliis oecumenicis. Theses Caroli Passaglia de conciliis deque habitu quo ad Romanos pontefices referentur , Roma-Friburgo di B. Barcellona 1961. E' la prima edizione corredata di note. torna al testo

26. M.J. Scheeben, Handbuch der Katholischen Dogmatik, I Theologische Erkentnislehre , diretto da Grabmann, pp. 242-261 (opere complete a cura di J. Hoefer, III, Friburgo B. 1952 ed. 3°). torna al testo

27. F.X. Fünk, Die Berefung der Oekumenischen Synoden des Altertums , in «Kirchengeschichtliche Abhandlungen und Untersuchungen», I, pp. 44-52. torna al testo

28. Ivi, pp. 52-55. torna al testo

29. Ivi, p. 55. Cfr V. Grumel , Le siège de Rome et le Concile de Nicée. Convocation et présidence in «Echos d'Orient», 28 (1925), pp. 411-415: G. Bardy , De la paix constantinienne à la mort de Theodore , in Fliche-Martin , Histoire de l'Eglise sec. III , Paris 1950, p. 80; per lui la distinzione tra convocazione formale da parte del papa e quella materiale dell'imperatore è « sottigliezza inutile». La convocazione imperiale è sostenuta da E. Schwartz , Ueber die Reichskonzilien von Theodosius bis Justinuanus, in «Zeitschr der Savigny Institut für Rechtsgeschichte» Kanonist Abteil II (1921), pp. 201 s.; da Goemans , Het algemen concilie in de vierde eenw (Il Concilio ecumenico del IV secolo), Nimega-Utrecht 1945; F. Dvornik , De autoritate civili in Conciliis oecumenicis , in «Acta VI Conventus Velehradensis»,Olomicii 1933, pp. 156-167. torna al testo

30. Costantino fu chiamato «Vescovo di quelli di fuori » (epíscopos tôn ektòs), Eusebio, De vita Constantini. La terminologia che si rifà al giudaismo – che chiamava «quelli di fuori» i non Giudei (cfr 1 Cr 26, 29; Ne 11, 16) – indica per Eusebio i non cristiani, quei che non sono « santi» (cfr Eusebio, Hist. Eccl. 8, 7, 2 e 5 b; cfr pure Ermia , Derisione dei filosofi di fuori (tôn ectofilosòfôn) ). Costantino è vescovo dei pagani, non in quanto pontefice massimo degli idolatri, ma in quanto amico del cristianesimo e in quanto deve cercare di condurli con la sua sorveglianza nella vera Chiesa. Si noti quindi il carattere non sacerdotale insito nel termine « episcopo »; cfr G. Ricciotti , La «era dei martiri». Il Cristianesimo da Diocleziano a Costantino , Coletti Editore, Roma 1953, pp. 256-257. torna al testo

31 Quinisesto a. 692, così detto perché ritenuto un complemento dei concili 5° e 6°. torna al testo

32. Eusebio, De Vita Constantini 2, 12. torna al testo

33. « Dalla Spagna, quello sommamente famoso, s'assise insieme con gli altri (= Osio); l'antistite poi della città imperiale (= Roma, così Teodoreto 1, 7; Sozomeno 1, 17 lo chiama erroneamente Giulio, mentre era Silvestro e ricorda anche i nomi dei due legati Vito e Vincenzo. Meno bene Gelasio di Cizico 11, 5 pensa che la città imperiale sia stata Costantinopoli che ancora non esisteva) mancava a causa della vecchiaia, ma erano presenti i suoi presbiteri, che ne tenevano il posto ». Eusebio , De Vita Constantini 3, 7. Questi in 3, 13 dice: «... che vi presiedettero i presidenti (plurale)» che secondo Gelasio, un compilatore del sec. V, sarebbero stati Osio e i due presbiteri romani. Ma il Ricciotti pensa che il plurale sia un plurale di categoria (cfr Mt 27, 22 e Mc 15, 32 dove dice che i ladroni bestemmiavano sulla croce il Cristo, mentre in realtà si trattava di uno solo; cfr Lc 23, 39), il che meglio si accorderebbe con il fatto che Osio firmò sempre il primo per conto suo e senza alcuna delega. Cfr G. Ricciotti, o. c., pp. 336-337. torna al testo

34. I legati papali arrivarono più tardi assieme ai vescovi siriani, ma mentre i romani si unirono al concilio di Cirillo, i siriani ne indissero contemporaneamente uno proprio. L'imperatore dapprima approvò le decisioni di entrambi i concili, poi cercò di accostare le due fazioni, infine si decise a favore di Cirillo contro Nestorio. Per conseguire tale scopo Cirillo aveva messo in moto a corte tutte le leve (inviando tra l'altro ricchi doni); egli era sostenuto specialmente da Pulcheria, la pia ed influente sorella maggiore dell'imperatore ( K. Bihlmeyer - H. Tuechle , Storia della Chiesa , o. c., vol. I, p. 310). torna al testo

35. Sexta Synodus, quam notu Dei vostra clementia sedule convocavit et cui pro Dei ministerio praefuit (Mansi, XI, 730), L'imperatore Costantino IV comunicò l'editto di convocazione al patriarca Giorgio, presiedette alle prime undici sessioni, alla sua sinistra (allora posto d'onore) stavano i tre apocrisari del papa e il vescovo di Gerusalemme ed alla sua destra il patriarca di Antiochia, Giorgio. torna al testo

36. Sulle metamorfosi di papa Vigilio si veda il capitolo su l'infallibilità papale. torna al testo

37. F. X. Fünk, Die päpstliche Bestätigung der acht ersten allgemeinen Synoden , in «Kirchengeschichtliche Abhandlungen und Untersuchungen» I, è. 121. Su tutti questi problemi cfr A. Michel, Die Kaisermacht in der Ostkirchen (843-1204), in «Ostkirchliche Studien» 2 (1953), pp. 89-109; 3 (1954) pp. 1-28.133-163, 4 (1955), pp. 1-42.221-260; 5 (1956), pp. 1-32. torna al testo

38. « Nec licuit aliquando, nec licebit particolarem synodum congregare, sed quoties aliqua de universali synodo aliquibus dubitatio nascitur, ad recipiendam de eo, quod non intelligunt, retionem... ad apostolicam sedem pro recipienda ratione conveniant» ( Graziano, Dist. 17 c. 4). L'originale tratto da Pelagio ha invece « ad apostolicas sedes» (plur.). Probabilmente la frase fu pronunciata da Pelagio contro il sinodo scismatico di Aquileia diretto contro il V Concilio Ecumenico (Doellinger , Infallibilità papale , p. 103, nota 59). torna al testo

39. K. Bihlmeyer - H. Tuechle, Storia della Chiesa, vol. I, pp. 224-226. torna al testo

40. Sulla figura enigmatica e discussa di Fozio cfr F. Dvornik, Lo scisma di Fozio, edizioni Paoline 1953 (è una rivalutazione di Fozio). torna al testo

41. A Michel, Humbert und Kerullarios, 2 voll. 1924-1930; M. Jugle, Le schisme byzantin 1961; F. Dvornik, Lo scisma di Fozio, edizioni Paoline, 1953. torna al testo

42. P.L. 120, pp. 741-746. torna al testo

43. Michele Cerulario, P. L., 120, 748. torna al testo