LE  EPISTOLE  PASTORALI
1, 2 TIMOTEO e TITO
Spunti esegetici e di attualità
La figura degli anziani

a cura di Silvio Caddeo - articolo tratto da Ricerche Bibliche e Religiose, n. 2-3, II e III Trimestre 1972 pp. 69-96


INDICE

Introduzione
I. Il conferimento dell'autorità agli anziani-sorveglianti
    1. Lo sviluppo delle strutture
    2. L'autorità di alcuni evangelizzatori
    3. Come venivano elette queste guide?
    4. Varie strutture coesistevano
    5. Due elementi nuovi
    6. Lo Spirito usò metodi e strumenti diversi
    7. L'affievolirsi dell'intervento dello Spirito
    8. Limiti dell'autorità
    9. Il giusto senso dell'autorità
    10. La struttura tipo delle Pastorali
    11. Dopo gli apostoli
II. «Sorvegliante» al singolare o al plurale?
    1. Autenticità del brano
    2. Tracce di un episcopato monarchico?
    3. Anziano e sorvegliante si identificano
    4. La presenza dell'articolo
    5. Un unico servizio
III. Uomo di una sola donna
    1. Mias gunaikos andra
    2. Condanna della bigamia o poligamia simultanea
    3. Divieto delle seconde nozze
    4. Preferenza per il celibato?
    5. Si sarebbe accontentato
    6. Eccezione alla regola
    7. Sumpresbuteros
    8. Marito fedele alla sua unica moglie


Introduzione

Nell'accostarci alle Pastorali, una delle prime cose che possiamo notare, è che ci troviamo in una situazione diversa da quella dei primi scritti apostolici. Questo è un periodo nel quale anziché diffondersi lo spirito di profezia, dilaga l'eresia. Il trascorrere degli anni, il cessare di alcuni doni straordinari, il nascere di certi problemi dottrinali, hanno mutato molte cose. Paolo fin dal principio aveva visto il pericolo dell'apostasia e ne aveva profetizzato alcuni suoi sviluppi (2 Te 2, 3-13). Egli stesso s'era sorpreso della facilità con la quale alcuni di questi gruppi si lasciavano sviare (Ga 1, 6-9). Ma sembra che non desse subito grande importanza alla strutturazione di questi gruppi in modo stabile (1) In seguito, approfondendo la rivelazione, ispirato da Dio, Paolo si rende conto che Cristo non sarebbe ritornato subito. All'ansietà iniziale che lo tormentava continuamente per il destino di tutti i gruppi (2 Co 11, 28), si aggiunge il timore che tutto possa venire in breve tempo spazzato via. Paolo si trova di fronte a quanto egli stesso aveva in parte previsto e ora ha paura(2) Guidato dallo spirito divino, Paolo, soprattutto in questo periodo, tende a dare ai gruppi una struttura ben definita. Cerca di porre nel loro seno dei capi famiglia, con una esperienza pratica della vita e della Parola di Dio (Rm 12, 1-3), affinché possano mantenere in loro quella fede ch'era stata una volta per sempre tramandata ai santi (Gd 3). Ignorare la situazione particolare delle Pastorali e lo sviluppo di queste strutture, significa rischiare di fraintendere molti aspetti dottrinali del cristianesimo primitivo.

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I. Il conferimento dell'autorità agli anziani-sorveglianti

1) Lo sviluppo delle strutture. — Con le Pastorali si passa da un periodo fluido, ove l'organizzazione non era ben definita, alla tendenza di strutturare ogni gruppo locale (3) sotto la guida di un proprio collegio di anziani-sorveglianti (4) Nella elezione degli inservienti alle mense delle vedove del gruppo ellenistico gerosolimitano tutto il gruppo locale partecipa alla elezione, eleggendo sette dei suoi membri adatti a quest'opera (At 6, 3-5). Non si capisce bene però dal testo greco se furono solo i dodici o tutti i credenti del gruppo locale ad imporre su questi le mani (5) Sembra che Paolo e Barnaba nei loro viaggi missionari eleggessero direttamente per i gruppi locali gli anziani-sorveglianti (6) Paolo dice agli anziani-sorveglianti di Efeso che essi erano stati eletti dallo spirito divino (At 20, 28), ma esorta il gruppo di Corinto a sottomettersi spontaneamente a chiunque s'affatica nell'opera del Signore (7) .

2) l'autorità di alcuni evangelizzatori . — Nelle Pastorali abbiamo il caso dell'evangelizzatore Timoteo che è rivestito di un dono particolare ( karisma ). Sembra che egli abbia ricevuto questo duplice dono, sia mediante l'imposizione delle mani da un collegio di anziani-sorveglianti (1 Ti 4, 14) e sia mediante l'imposizione delle mani di Paolo (2 Ti 1, 6-7) (8) A questo evangelizzatore viene ordinato da Paolo di non imporre ad alcuno precipitosamente le mani (keiras takeos medeni epitithei) (1 Ti 5, 22) (9) Da questi tre brani sembrerebbe che Timoteo avesse ricevuto qualcosa di più di un semplice dono. Tutto lascia pensare a una certa autorità che Timoteo avrebbe ricevuto per strutturare quei gruppi nei quali prestava la sua collaborazione(10) Siccome in alcuni casi, nella Scrittura, l'imposizione delle mani non designa la trasmissione di un'autorità (11) i brani precedenti elencati si possono facilmente prestare a varie interpretazioni (12) e diviene così difficile, soltanto da essi, arrivare a una soluzione apodittica. Per la soluzione ci può essere d'aiuto la missione di Tito a Creta, il quale fu lasciato da Paolo presso i gruppi di quest'isola per dare loro una struttura ben definita. Nella lettera Paolo gli ordina specificatamente (dietaxamen) di costituire (katasteses) degli anziani-sorveglianti in ogni città (Tt 1, 5) (13) .

3) Come venivano elette queste guide? — Credo che sia ora giusto chiederci come avveniva questa scelta. Le guide locali erano scelte direttamente dagli apostoli? Da alcuni loro inviati? Poteva il collegio degli anziani-sorveglianti di un gruppo affidare a un giovane evangelizzatore l'incarico di strutturare un altro gruppo? Fino a che punto era possibile una trasmissione di autorità? Ciascun gruppo si dava spontaneamente una propria struttura senza dipendere da alcuna autorità esterna? Non è facile dare in ogni caso una risposta sicura. Credo però che, valutando nell'insieme gli esempi precedentemente esaminati (14) si dovrebbe ammettere che c'è stato uno sviluppo, sia nel modo di elezione e sia nel criterio di valutazione delle qualifiche di coloro che aspiravano a questo servizio.

4) Varie strutture coesistevano. — Nella prima parte della espansione spontanea del cristianesimo primitivo ciascun gruppo, pur mantenendosi fedele al nucleo centrale della rivelazione, ricercava la propria dimensione di fede. In vari modi nei gruppi si cercava di darsi (o si ricevevano) certi tipi di strutture che meglio si confacessero alle loro necessità pratiche e a quegli sviluppi culturali nei quali si trovavano ad operare(15) Fra i credenti venuti dall'ebraismo, abituati al collegio degli anziani ( zeqenim), a imitazione della sinagoga ebraica, si diffuse la tendenza di sottomettersi spontaneamente a dei capi famiglia, a persone sposate di una certa età ( presbuteroi ) (16) mentre nei gruppi venuti dalla predicazione paolina, inizialmente ci fu la tendenza di utilizzare maggiormente quelle persone più dinamiche in seno ai gruppo(17) I vari tipi di strutture e i vari procedimenti nella costituzione di esse, sembra che coesistessero, senza uno schema fisso, almeno fino al periodo delle Pastorali. In questo periodo, specialmente sotto la guida di Paolo, i gruppi di origine gentile e alcuni giudeo-cristiani della diaspora (18) sembra che abbiano cercato di darsi una struttura uniforme (19) .

5) Due elementi nuovi. — Nelle Pastorali mi sembra che, per la prima volta, vengano presentati con chiarezza due elementi nuovi:

a) Tutti i capi famiglia vengono invitati ad aspirare a quest'opera (1 Ti 3, 1).

b) Vengono presentate con chiarezza le qualifiche necessarie per accedere a questo servizio (1 Ti 3, 2-7; Tt 1, 6-9).

La chiarezza con la quale questi due elementi si riscontrano qui per la prima volta (20) può spiegarci quanto Paolo voleva dire agli anziani-sorveglianti di Efeso asserendo che essi erano stati costituiti tali dallo spirito divino (At20, 28).

6) Lo Spirito usò metodi e strumenti diversi . — A questo punto credo che possiamo dire che, a seconda delle varie situazioni in cui questi gruppi si trovavano, Dio, per strutturarli ha spesso scelto metodi e strumenti diversi (21) In ogni caso comunque è vero quanto lo stesso Paolo dice, che fu lo spirito e soltanto lo spirito di Dio a compiere questa scelta (At 20, 28). Gli uomini che eventualmente collaborarono in questa scelta, si limitarono ad esserne soltanto gli strumenti.

7) L'affievolirsi dell'intervento dello Spirito . — Sembra che nel principio ci sia stato un intervento straordinario dello spirito divino in vari gruppi. Uno di questi esempi è dato dall'elezione di Barnaba e Saulo, presso il gruppo antiocheno, per la missione fra i gentili (At 13, 1-2). In seguito, con l'affievolirsi di questa manifestazione straordinaria dello spirito(22) come dice giustamente il Beyer, l'opera dell'uomo acquistò maggiore importanza nella elezione:

« Il fatto che nelle pastorali non si parla più dello S. S. che sceglie, sottolinea la elezione fatta dall'uomo, in base ai requisiti di colui che aspira a quest'opera» (23) .

8) I limiti dell'autorità. — Abbiamo visto che nel periodo apostolico v'erano delle persone rivestite di una autorità che in qualche modo sembra essere stata sovracongregazionale (evangelizzatori). Ora credo che sia importante valutare i limiti della loro autorità. Possiamo così considerare due elementi di capillare importanza:

a) Queste persone venivano riconosciute tali nella misura in cui continuavano ad essere fedeli alla Parola di Dio(24) .

b) Soltanto il gruppo locale era all'altezza di dare una valutazione oggettiva sul comportamento di coloro che operavano in quella zona (25) .

Parlando della autorità ricevuta da Timoteo dalla imposizione delle mani, Schweizer dice:

« Questo atto non comporta ancora il carattere di un'autorizzazione giuridica. Né si richiama a Timoteo di esercitare in modo legittimo il suo ministerio e di potersi richiamare a questa investitura; né ci si attende, da parte della comunità, che essa lo riconosca a motivo di quell'atto. Il suo ministerio viene sempre motivato col fatto che egli deve essere modello della comunità e deve esercitare un influsso con lo stile del proprio comportamento, e questo proprio in connessione con la menzione dell'ordinazione. L'imposizione delle mani comporta come elemento essenziale la trasmissione del carisma; colui che ne è investito, però, ne deve rinnovare continuamente il vigore. Ma soprattutto esso è il risultato di indicazioni che rivelano in Timoteo colui che era stato designato da parte di Dio (1 Ti 1, 18) » (26) .

Timoteo viene invitato a «custodire il deposito » (ten paratheken fulaxon ), a «ravvivare il dono di Dio » (anamnesko se anazopurein to karisma tou Theou), affinché egli stesso non abbia ad essere sviato(27) La stessa autorità degli apostoli nella Scrittura ha questo solo valore (28) Giuda smise di essere apostolo dal momento che cessò di essere fedele.

9) Il giusto senso dell'autorità. — Se poi esaminiamo attentamente l'autorità degli apostoli o di questi evangelizzatori, troviamo forse la soluzione di ogni problema. Difatti, specialmente nelle pastorali, la loro autorità consisteva semplicemente nel fare accettare l'opera di quelle persone che, grazie all'aiuto di Dio, stavano già operando in seno a questi gruppi locali. In effetti questi avevano già dimostrato di avere le qualifiche atte a renderli degni di considerazione (29) Erano già riconosciuti fra i loro fratelli come tali. Mancava soltanto che qualcuno facesse loro presente che, in mezzo ad essi, c'erano già delle persone atte a svolgere tale servizio. Altre volte facevano presente ai vari gruppi la necessità di avere tali persone. In genere gli apostoli (o chi per essi) si limitavano a far conoscere quali dovevano essere le qualifiche di coloro che aspiravano a questo incarico; altre volte la loro opera consisteva nell'esortare alcuni ad aspirare e a prepararsi per questo servizio (30) Tutto si svolgeva ricercando l'approvazione dell'intero gruppo locale, come dice la Didachè (31) L'intervento diretto di queste persone, specialmente nelle Pastorali, deve essere inteso solo nel senso che essi volevano costituire una struttura tipo che, in qualche modo, avrebbe dovuto essere presa quale esempio da tutti i gruppi della zona(32) Non credo che sia di grande importanza come un gruppo sia arrivato a costituire un collegio di anziani-sorveglianti; l'importanza è che ogni gruppo arrivi veramente ad avere tali persone, e che questo servizio sia aperto a ogni credente che ne abbia le qualifiche neotestamentarie. Inoltre, se nel primo secolo questo o quell'apostolo, se questo o quell'evangelizzatore, hanno collaborato in qualche modo alla strutturazione di gruppi locali, ciò non può essere assolutamente inteso come un atto doveroso di sottomissione di questi o di altri credenti a future interferenze non apostoliche.

10) La struttura tipo delle Pastorali. — A parte le discutibili notizie di alcuni apocrifi (33) oltre al N.T. non abbiamo un'analisi storica sicura di tutti gli sviluppi strutturali dei gruppi di questo periodo. perciò, parlando struttura tipo delle Pastorali, in questo caso specifico, intendo riferirmi particolarmente a quelle comunità, in genere di origine gentile, presso le quali Paolo o i suoi diretti collaboratori avevano in qualche modo influenzato la loro organizzazione. Queste persone, per il tipo di funzione che svolgevano, si discostavano completamente dal «mebaqer » di Qumrân, in quanto non avevano alcuna funzione sacerdotale e svolgevano il loro servizio collegialmente (34) Questi dirigenti costituivano un collegio di anziani che potevano imporre le mani e comunicare dei doni particolari (35) Erano degni di doppio onorario (diples times ) (36) Contro di essi non si poteva accettare alcuna accusa, se non sulla testimonianza di almeno due o tre testimoni(37) Dovevano essere ascoltati dal gruppo locale ove svolgevano il loro servizio, in quanto responsabili delle vite dei credenti (38) Nelle cose più pratiche erano coadiuvati dagli inservienti (39) Dovevano costituire una famiglia modello, nella quale i figli dovevano essere dei credenti(40) e aver raggiunto una certa importanza in quanto Pietro raccomanda loro di non signoreggiare sui credenti (1 Pt 5, 1-3). Pur notando alcuni sviluppi nei gruppi, come dice il Käsemann (41) non penso che si debba arrivare alla conclusione del Dibelius che vede in questo periodo l'inizio dell'imborghesimento del cristianesimo (42) e sono convinto che tuttora questa struttura, in una società democraticizzata come la nostra, possa guidare dinamicamente un gruppo nell'opera del Signore.

11. Dopo gli apostoli. — Con il cessare di alcuni doni straordinari dello spirito divino (43) e con la morte degli apostoli, lentamente si cessa di vedere nelle Pastorali la struttura tipo da imitare. Spesso si cita la lettera di Clemente Romano al gruppo di Corinto rimproverandolo per aver deposto i suoi sorveglianti, per sostenere che soltanto a un sorvegliante spetta il diritto di eleggerne o rimuoverne un altro. Se andiamo a esaminare bene il testo di Clemente Romano, ci accorgiamo subito che non si tratta della lettera dell'episcopo monarchico di Roma, ma di uno scritto del collegio dei capi del gruppo romano (44) Dice bene il Salvoni che è la chiesa stessa di Roma a rimproverare il gruppo di Corinto per aver deposto le loro guide nonostante fossero state irreprensibili(45) L'intervento dei sorveglianti romani è quindi in questo caso legittimo, come lo sarebbe stato quello di qualsiasi altro credente. Non si tratta dunque di una prova sull'autorità di questo o quel sorvegliante nella elezione o deposizione di altri. Dice bene il cattolico Brown: « I presbiteri-episcopi descritti nel N.T. non furono in alcun modo i successori dei dodici» (46) .

Soltanto nel 2° sec. con Ignazio di Antiochia abbiamo la prima traccia di un episcopato monarchico con una certa autorità (47) Però quanto dice lo stesso Ignazio è smentito dalla Didachè (48) e da altri padri che seguono tra i quali Policarpo (49) Lo sviluppo dell'episcopato monarchico dunque non è così uniforme neppure nel 2° sec.(50) In questi ultimi anni, anche in campo cattolico, si sono elevate molte voci auspicanti una concreta autonomia congregazionale nella quale i gruppi locali ritornino ad avere una partecipazione diretta nella scelta dei propri conduttori (51) Speriamo vivamente che questo si possa realizzare perché la fede non è stata tramandata soltanto a questo o a quel sorvegliante (Gd 3).

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II. «Sorvegliante» al singolare o al plurale?

1) Autenticità del brano. — Ritschl, Harnack e Dibelius dubitarono dell'autenticità di Tt 1, 7-9 per il brusco passaggio dal plurale «anziani » (presbuteroi ) (1, 5) al singolare «sorvegliante » (episkopos ) (1, 7) e per il ritrovamento di un codice del 13° sec. con delle aggiunte (52) Però questi dubbi sono ora stati superati dalla critica moderna (53) .

2) Tracce di un episcopato monarchico? — Su questi indizi Brox e Küng basano la tesi di uno sviluppo della importanza del sorvegliante sugli anziani (54) Rinaldi, pur ammettendo che le due mansioni non erano rigorosamente distinte, afferma però che erano già distinti i gradi (55) Al Soggin sembra di notare una certa superiorità del sorvegliante sul collegio degli anziani e dice che i due termini non erano più intercambiabili (56) Secondo il De Ambroggi, Tito aveva l'incarico di stabilire in ogni città un collegio di anziani sotto la presidenza di un sorvegliante (57) .

3) Anziano e sorvegliante s'identificano. — Il cattolico Freundorfer, commentando il brano di 1 Timoteo (3, 1-7), esclude che vi possa essere già presente una distinzione fra il sorvegliante e l'anziano:

« In quest'epoca primitiva episcopato e presbiterio non sono ancora due uffici distinti; perciò quel che dice l'apostolo non si riferisce al compito del vescovo nel senso preciso assunto dal termine più tardi, ma alla mansione di presidenza che compete ai presbiteri in genere »(58) .

Lo stesso Freundorfer commentando il brano parallelo di Tito (1, 5-9), dice:

« Nel v. 7 in luogo del nome presbitero ricorre improvvisamente, con lo stesso valore, quello di episcopo, Ciò non significa, però, che il versetto in parola sia una maldestra interpolazione, ma solo che i due titoli in quel tempo venivano scambiati indifferentemente. Anche in At 20, 17 i capi della comunità raccolti intorno a Paolo vengono detti presbiteri, e subito dopo in 20, 8, ricevono il titolo di episcopi. L'elenco delle doti richieste coincide, in parte anche alla lettera, con quello di 1 Ti 4, 1-7, che mira allo stesso scopo. I due termini non sono gli stessi, è però identico il senso » (59) .

Lo Schweizer vede in questo singolare un formulario esortativo:

« Si è fatta la supposizione che esistesse già un episcopato monarchico, basandosi sul singolare con cui la parola « vescovo» appare qui in 1 Ti 3, 1ss. Ma si può spiegare meglio il singolare col fatto che l'autore riprende un formulario esortativo per il vescovo» (60) .

Il De Ambroggi, pur sostenendo nel commento di Tito (1, 5-7) la distinzione fra il sorvegliante e gli anziani (61) nella introduzione generale dello stesso libro, dice tutto il contrario:

« Quest'uso promiscuo del termine « presbuteros » ci autorizza a concludere che le lettere Pastorali furono composte quando questa promiscuità ancora vigeva, non dopo Ignazio di Antiochia »(62) .

Convengono sulla identificazione del sorvegliante con l'anziano la maggioranza degli studiosi di varie tendenze religiose(63) .

4) la presenza dell'articolo. — Lo Spicq, conoscendo le difficoltà che incontrerebbe a sostenere la presenza di un episcopato monarchico nelle Pastorali, preferisce limitarsi a fare alcune osservazioni importanti. Fa notare che nelle Pastorali il sorvegliante porta l'articolo (ton episkopon ) mentre non l'hanno gli inservienti (diakonoi ) e gli anziani (presbuteroi ). Egli fa poi notare che il sorvegliante solo nelle Pastorali (1 Ti 3, 1s; Tt 1, 7) appare al singolare. Lo stesso Spicq conclude poi dicendo che nulla si oppone alla tesi che i gruppi di Efeso e di Creta avessero l'episcopato monarchico(64) La presenza o meno dell'articolo talvolta riveste un'importanza determinante (65) ma questo, dice il Beyer, non include necessariamente il numero singolare di essi:

« Se in 1 Ti 3, 2; Tt 1, 7 si parla dell'episcopato al singolare, preceduto dall'articolo, si intende con ciò parlare del vescovo in senso generico, e non si può quindi dedurne nulla sul numero dei vescovi in un luogo » (66) .

Questo passaggio dal plurale al singolare nel brano di Tito (1, 5-7) potrebbe dunque essere spiegato con un semplice singolare di categoria. Anche noi parlando dei soldati in senso generico, spesso non usiamo l'articolo, mentre se vogliamo sottolineare le qualifiche del soldato, usiamo dire «il soldato». Oltre a quanto detto, si noti che, specialmente fra i semiti, era cosa abbastanza comune usare un personaggio tipo al singolare con senso collettivo (67) Nelle stesse Pastorali abbiamo un altro simile esempio quando, dopo la «donna» al singolare, segue il verbo al plurale (68) .

5) Un unico servizio. — Dice bene il cattolico Kredel quando afferma che non ci interessa la diversità del termine usato, ma piuttosto il valore che il termine assume nel N.T. (69) Nel nostro caso, non siamo soltanto di fronte a due termini usati promiscuamente (70) ma addirittura abbiamo il termine « sorvegliante » ( episkopos ) al plurale (Fl 1, 1) per designare il collegio degli anziani. Qui in genere tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere che si tratta di un collegio di sorveglianti con funzioni di anziani (71) Ora, per sostenere la tesi di un episcopato monarchico nelle Pastorali, bisognerebbe dimostrare che questi scritti furono redatti diversi anni dopo quello inviato al gruppo di Filippi, mentre ciò non è ancora dimostrato nel caso delle Pastorali (72) Se sorvegliante  e anziano non fossero sinonimi anche nelle Pastorali , sarebbe difficile capire come mai Paolo abbia usato una terminologia così enigmatica. Vi sarebbe inoltre un grave contrasto fra le due versioni sulle qualifiche date nelle Pastorali (73) perché mentre in Timoteo si richiede che il sorvegliante sia sposato (1 Ti 3, 2), in Tito non si richiederebbe questo dal sorvegliante, ma dall'anziano (1, 6). Inoltre tutto il discorso di Tito (1, 5-9) (abbiamo visto) sarebbe tronco(74) una vera confusione che va certamente oltre il problema del singolare al posto del plurale. Ma ciò che maggiormente contraddice le varie tesi esposte, mi pare sia il fatto che nessuno è riuscito a dimostrare una concreta distinzione di servizio fra i sorveglianti e gli anziani (75) Per tutti questi motivi, credo che sia giusto concludere l'argomento con le stesse parole del Beyer:

« Di un episcopo monarchico non si parla mai. Piuttosto le testimonianze neotestamentarie mostrano univocabilmente che in origine parecchi «episcopi» assistevano le comunità in fraterna collaborazione »(76) .

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III. Uomo di una sola donna

1) Mias gunaikos andra. — Fra le qualifiche dell'anziano-sorvegliante nelle Pastorali (77) la più discussa è quella che si riferisce alla sua esperienza matrimoniale. Tutto verte sul modo di intendere mias gunaikos andra (78) In campo evangelico s'è tradotto con « marito di una sola moglie» (79) mentre in campo cattolico con «non passato a seconde nozze» (80) In questi ultimi anni abbiamo avuto diverse traduzioni cattoliche più fedeli al testo greco, pur continuando ad intenderlo nel commento come « non passato a seconde nozze » (81) La costruzione greca di questo brano lascia la possibilità di varie interpretazioni(82) perciò diviene piuttosto difficile capire quanto Polo voleva insegnare, senza conoscere tutto il contesto storico e letterario del brano.

2) Condanna della bigamia o poligamia simultanea . — Per il fatto che nel N.T. non ci sia una esplicita condanna della poligamia, il mias gunaikos andra ha dato adito a varie interpretazioni. Secondo Beyer con queste parole Paolo si sarebbe semplicemente proposto di insegnare la monogamia (83) Lattey pensa che qui si intenda condannare la bigamia o poligamia simultanea (84) Guthrie pensa che l'unica occasione per mettere in atto tale ingiunzione sarebbe quella di escludere dall'episcopato tutti coloro che erano stati poligami prima della conversione (85) Per Boudou questa tesi non è abbastanza documentata (86) De Ambroggi invece la esclude elencandone tre ragioni specifiche: a) perché la bigamia o poligamia erano già condannate nel N.T., b) perché erano già condannate dalle stesse leggi gentili, c) perché erano già in disuso presso gli ebrei (87) Questa tesi del De Ambroggi non mi sembra accettabile per i seguenti motivi:

a) Molte altre cose, che erano già vietate e condannate nel N.T., sono ripetute fra le qualifiche di queste guide(88) Perciò questa non è una ragione per escludere che Paolo avesse di mira la bigamia o poligamia simultanea.

b) La poligamia pagana del tempo non impediva ai padroni di fare delle proprie schiave delle concubine (89) Per la licenziosità dei costumi il vero problema, più che la poligamia, sembra essere stato il matrimonio che stava cadendo in disuso. Augusto, per far fronte a questo problema e salvare la moralità dell'impero, con un decreto obbligò tutti i cittadini in età a sposarsi (90) Augusto riuscì a far sposare molti cittadini, ma non riuscì a farli diventare mias gunaikos andra (91) .
Anche Paolo vede nel matrimonio un modo per superare alcune tentazioni (92) e non ci sarebbe da stupirsi se nel mias gunaikos andra Paolo avesse voluto insegnare la monogamia.

c) Gli ebrei, pur tenendo in grande rispetto il matrimonio(93) non avevano comunque rinunciato a possedere delle concubine (94) La legge mosaica aveva limitato alcuni eccessi, però non aveva imposto all'ebreo di essere mias gunaikos andra (95) Il Talmud permetteva ad ogni ebreo di avere fino a quattro mogli, mentre al re ne concedeva diciotto(96) .
Dalle domande che i Farisei pongono a Gesù(97) è chiaro che questo problema non era ancora superato presso gli Ebrei, come vuole sostenere il De Ambroggi.

3) Divieto delle seconde nozze. — Lo Spicq, basandosi sulla tendenza di alcuni pagani a preferire sacerdoti e sacerdotesse non risposati, vede nel mias gunaikos andra la stesse preferenza(98) Il De Ambroggi sostiene questa proibizione, citando quanto dicono Cicerone e Tertulliano(99) Però bisognerebbe che lo Spicq potesse dimostrare l'uniformità di questa tendenza. Dalle stesse parole di Cicerone possiamo soltanto sapere che alcuni apprezzavano questa continenza (100) In Tertulliano troviamo lo sviluppo della tendenza ascetica del montanismo
 della fine del 2° sec., nella quale siamo ben lontani dalla struttura delle Pastorali (101) Egli, deplorando la situazione morale del cristianesimo del suo tempo per il dilagare del divorzio(102) mette in ridicolo il vescovo di Roma per aver riammesso nella comunità con un decreto adulteri e fornicatori che s'erano ravveduti (103) condannando aspramente i coniugi vedovi che si erano risposati, trattandoli da fornicatori e adulteri:

« Sulla soglia del tempio noi assegniamo loro lo stesso posto che agli adulteri e ai fornicatori, che stanno a spargere lacrime senza alcuna speranza di sollievo, non ottenendo dalla Chiesa altro che la pubblicità della loro vergogna » (104) .

La legge mosaica, non soltanto lasciava alle vedove la libertà di risposarsi, ma qualora una fosse stata senza figli, prescriveva che si unisse con il fratello dello sposo defunto, anche se questo era già sposato (105) Come insegnava la legge mosaica, Paolo lasciava alle vedove libertà di risposarsi(106) in quanto vedeva nel matrimonio un rimedio contro alcune tentazioni (1 Co 7, 2-7). Nelle Pastorali Paolo addirittura quasi ordina alle giovani vedove di risposarsi (1 Ti 5, 14). Dice giustamente Cipriani, che l'unica limitazione posta alle vedove era che si sposassero soltanto con dei credenti (107) Ora nel caso dell'uomo in genere non c'era maggiore libertà della donna(108) Non essendoci a quel tempo alcuna distinzione fra clero e laici (109) non avrebbe senso parlare di una doppia morale. Di conseguenza non è possibile vedere nel mias gunaikos andra il divieto di Paolo ai risposati di accedere al servizio di anziani-sorveglianti.

4) Preferenza per il celibato? — Il De Ambroggi vede nel celibato lo stato ideale per il sorvegliante:

« Da questa espressione di S. Paolo, non si può dedurre, come pretesero alcuni, che l'Apostolo esiga che il vescovo sia sposato. L'accento della frase va alla parola «una » (mias ); nell'inciso «di una sola donna » intende escludere la bigamia, non comandare il matrimonio. Così spiegava bene S. Girolamo contro Vigilanzio e la stessa cosa vale contro Lutero, Carlostadio e i suoi seguaci. S. Paolo stesso era celibe e lodava il celibato (1 Co 7, 2), come lo aveva lodato il Maestro divino (Mt 19, 12) » (110) .

A Qumrân (111) in Platone(112) e, con delle incongruenze, presso lo gnosticismo (113) si erano sviluppate idee ascetiche nelle quali si preferiva il celibato. Ma queste convinzioni sono estranee alla struttura tipo delle pastorali (114) Il cristianesimo fu veramente influenzato da queste convinzioni soltanto nei secoli successivi(115) Dopo che il De Ambroggi ha asserito che Paolo voleva condannare la bigamia, non si capisce come possa ora difendere il celibato (116) Il pensiero di Girolamo è soltanto la conferma dello sviluppo ascetico del 5° sec. (117) Schillebeeckz vede in Mt 19, 12 l'entusiasmo per il regno che viene:

« Il dono del Regno di Dio che viene, li possiede a tal punto, li entusiasma talmente, che essi abbandonano spontaneamente e generosamente ogni cosa: non possono più ritornare alla loro vita coniugale (Lc 14, 16; 18, 19); non possono tornare a perdere i loro cuori dietro agli averi (Mc 20, 21; Mt 19, 21; Lc 18, 22), non possono più preoccuparsi per il loro sostentamento (Mc 8, 34; Mt 16, 24; Lc 9, 23). Si tratta di un «non poter più esistenzialmente»: in tal senso, essi sono effettivamente degli eunuchi » (118) .

Nel celibato di Paolo troviamo lo stesso entusiasmo(119) così nel suo stesso invito ai credenti di Corinto (non solo alle guide), affinché in quel periodo di crisi imminente (1 Co 7, 25-31) possano dedicarsi di più al Signore (120) . Nel tempo delle Pastorali tale entusiasmo sembra essere svanito. Di fronte al dilagare dell'errore, rendendosi conto che Cristo non sarebbe ritornato subito(121) Paolo decide di affidare questi giovani gruppi a capi-famiglia di provata esperienza cristiana(122) .

5) Si sarebbe accontentato. — Il De Ambroggi, dopo aver escluso che il matrimonio potesse essere una qualifica per accedere a questo servizio, dice che siccome era difficile a quei tempi trovare dei celibi, Paolo si sarebbe accontentato che almeno non fossero stati sposati più volte(123) Sostenendo questo, il De Ambroggi dimentica che Paolo non organizzò in fretta i gruppi di Creta ma vi lasciò Tito affinché le cose fossero fatte con calma(124) Oltre a ciò, il De Ambroggi stesso dice che a Creta ci dovevano essere credenti da qualche decennio (125) Questo tempo era più che sufficiente perché delle persone si potessero preparare per questo servizio. Di più nelle Pastorali non è neppure minimamente accennata la preferenza di Paolo per il celibato in coloro che aspirassero a quest'opera.

6) Eccezione alla regola? — Il De Ambroggi, costretto dal contesto, ammette che queste guide dei gruppi locali erano in genere sposate, però dice che questa regola poteva evidentemente già allora offrire delle eccezioni e cita come eccezione il caso di Timoteo (126) Abbiamo già visto che sia Timoteo che Tito erano degli evangelizzatori rivestiti di una particolare autorità (127) ma questo non c'entra affatto con l'incarico di anziano-sorvegliante (128) Si noti che mai nel N.T. Timoteo o Tito sono chiamati « presbuteroi» o « episkopoi», né in ogni caso svolgono tale servizio.

7) Sumpresbuteros. — Sia gli anziani (zeqenim) della Palestina, sia quelli della diaspora (presbuteroi) erano considerati come le guide del popolo, con funzioni giuridiche, a motivo della loro reputazione familiare. Per far parte di questo collegio si doveva essere dei capi famiglia (129) In tale contesto culturale una persona celibe poteva essere considerata vecchia, ma non facente parte del collegio degli anziani, non un « sumpresbuteros», uno di coloro che guidava il popolo. E' interessante notare che Pietro, essendo sposato (130) esortando gli anziani (presbuteroi), si considera egli stesso uno di loro «sumpresbuteros »(131) Mentre Paolo, non essendo sposato, pur essendo un apostolo, non si dice mai «sumpresbuteros »(132) Con questo non vorrei mettere in discussione la superiorità di questo o di quello stato, ma vorrei precisare che l'essere o non essere sposati comporta necessariamente due modi diversi di servire il Signore (133) Abbiamo già visto come nelle Pastorali il termine anziano ( presbuteros) e sorvegliante ( episkopos) s'identifichino (134) Ora, dal momento che fra i gentili il termine « sorvegliante» non designava necessariamente una persona sposata, Paolo nelle Pastorali parla specificatamente della esperienza matrimoniale del sorvegliante (135) proprio per far capire che i due termini designano lo stesso servizio. Il De Ambroggi, dopo aver riconosciuto che queste persone erano in genere sposate, dice:

« Più tardi la chiesa latina, per rendere libero il ministro di Dio da impegni familiari, ha richiesto dai chierici «in sacris» il celibato virtuoso» (136) .

E' chiaro che con questa presa di posizione del cattolicesimo, si è perduta completamente la figura di quella struttura tipo che Paolo aveva voluto dare ai gruppi del periodo delle pastorali(137) .

8) Marito fedele alla sua unica moglie. — Nella qualifica mias gunaikos andra , Paolo non usa il termine anthropos (uomo nel senso generico)(138) ma preferisce usare andra che designa il maschio, l'uomo forte, vigoroso e sensuale, il marito (139) Già in precedenza Paolo aveva detto che il corpo ( soma) della moglie appartiene al marito e così quello del marito alla moglie (1 Co 7, 3-5). Mi sembra però che qui, nel mias gunaikos andra , Paolo voglia dire qualcosa di più della reciproca appartenenza sessuale di due corpi. probabilmente qui Paolo non ha neppure di mira la bigamia, ma intende semplicemente designare un marito, uomo fedele affezionato alla sua sposa(140) nello stesso modo che Gesù ha amato la comunità dei suoi discepoli (141) Voglio concludere con l'opinione di tre studiosi cattolici:

Lyonnet:

« Non pochi indizi ci persuadono che il significato della formula paolina è diversa da quella che usualmente i cattolici danno. Sembra che Paolo richiedesse dai diaconi, come pure dai vescovi e dai presbiteri, una fedeltà coniugale del tutto esemplare al di là di ogni sospetto, così come esige da loro che siano stati capaci di educare i propri figli e governare la propria famiglia. A questo riguardo non aveva alcuna importanza se essi si fossero sposati una sola volta o se si fossero risposati » (142) .

Trummer-Graz:

« La richiesta di un solo matrimonio nelle Pastorali è la richiesta di una buona guida nel matrimonio, e non la richiesta che uno si sia sposato una sola volta» (143) .

Schillebeeckz:

« Quest'uomo deve amare sinceramente la moglie, educare bene i figli e governare rettamente la casa. Tutta la pericope, inoltre, tratta delle buone qualità che deve possedere un capo, e dei difetti che arrecano pregiudizio al suo compito (144) .
L'immagine del ministro ecclesiastico del periodo apostolico ci presenta dunque degli uomini maturi, sposati, che, come padri sono dei modelli nel governo della propria famiglia, e, proprio per queste buone qualità, venivano detti «diakonos », «presbyteros », «episkopos », o per altre mansioni ecclesiastiche. Non si parla mai di incompatibilità e avversione verso la moglie o di sessualità in connessione con il «sacerdozio». Vita ecclesiastica e vita familiare (nella più ampia accezione della parola) si svolgono nel medesimo ambiente «profano»: in quello, cioè, della famiglia cristiana con le porte spalancate. Tutto ciò riguarda i capi delle chiese locali» (145) .

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NOTE A MARGINE

1. Cf. E. Käsemann, l'appello alla libertà, Claudiana, Torino 1972, p. 124. torna al testo

2. Cf. 1 Ti 4, 1-5; 2 Ti 2, 14-18; 3, 1-9; 4, 1-5; Tt 3, 8-11. torna al testo

3. Cf E. Käsemann, o.c., pp. 124-125. torna al testo

4. Sulla identificazione fra anziano e sorvegliante cf. sotto II, 3. torna al testo

5. Cf At 6, 6 in Buona Notizia (nuova traduzione del N.T.), Lanterna, Genova 1972; E. Schweizer, La comunità e il suo ordinamento nel N.T., Gribaudi, Torino 1971, p. 168. torna al testo

6. Il termine usato in At 14, 23 (keirotonèsantes) è un participio aoristo attivo, e sembrerebbe veramente designare l'autorità di Paolo e Barnaba nello scegliere delle guide per i gruppi locali; cf At 14, 23 in Buona Notizia, o.c.; A. Wikenhauser, Atti degli apostoli, Morcelliana, Brescia 1968, vol. 5, pp. 218-219; N. Brox, Le lettere pastorali, Morcelliana, Brescia 1970, vol. 7/2, p. 416. torna al testo

7. Cf. 1 Co 16, 15-16; E. Käsemann, o.c., p. 124. Incolpa Paolo della situazione del periodo delle Pastorali, perché non si sarebbe preoccupato di organizzare bene i gruppi ma avrebbe preferito affidarli al discernimento dello spirito e all'amore. torna al testo

8. Non è chiara qui la differenza fra le due imposizioni. probabilmente i due brani sono complementari, si dovrebbe riferire a un unico avvenimento; cf. D. Guthrie, le epistole pastorali, G.B.U., Roma 1971, pp. 113-114 e lo studio di E. Edwards qui pubblicato. torna al testo

9. La costruzione grammaticale del greco è tutta all'imperativo. torna al testo

10. Sembra che al tempo degli apostoli alcuni evangelizzatori ricevessero degli incarichi particolari, il che spiegherebbe perché in Ef 4, 11 gli evangelizzatori vengano posti prima dei pastori. torna al testo

11, Talvolta può designare una semplice preghiera perché un'opera possa riuscire. Può essere un semplice segno esteriore di associazione in un impegno missionario; cf. At 13, 2-3; E. Schweizer, o.c., pp. 167-168; A. Wikenhauser, o.c., pp. 193-194. torna al testo

12, Forse qui Paolo vuole semplicemente avvertire il giovane Timoteo di non farsi coinvolgere nei problemi interni di qualche gruppo. La tendenza di cercare un appoggio al di fuori del gruppo locale non è nuova. Questo non negherebbe comunque una autorità particolare in Timoteo; cf. P. Ambroggi, Le epistole pastorali di S. Paolo a Timoteo e Tito, Marietti, Torino 1964, pp. 162-163. torna al testo

13. Abbiamo già visto che Paolo e Barnaba costituivano degli anziani-sorveglianti in ogni gruppo; cf. sopra I, 1. torna al testo

14. Cf. sopra I, 1. torna al testo

15. Cf A. Schweizer, o.c., pp. 40.165. torna al testo

16. Cf. H.W. Beyer, alla voce: episkopos, in G. Kittel, Grande Lessico del N.T., vol. 3, cl. 779. torna al testo

17. Cf. 1 Co 16, 15-18; Fl 2, 19-29, sopra I, 2. torna al testo

18, Sullo sviluppo del gruppo gerosolimitano cf. sotto I, 10. torna al testo

19. Cf. N. Brox, o.c., pp. 416-417. torna al testo

20. In forma larvata, alcune di queste qualifiche per accedere a un servizio specifico in seno a un gruppo locale, erano già presenti prima delle pastorali; cf. At 6, 3-4; 1 Co 16, 15-18. torna al testo

21. Cf. Clemente Romano, Lettera ai Corinzi, 44, 3; G. Bosio, Iniziazione ai padri, S.E.I., Torino 1964, vol. 1, p. 48. torna al testo

22. Nelle ultime epistole sembrano essere cessati alcuni interventi straordinari dello spirito divino, le guarigioni miracolose, sembrano essere sparite (Fl 3, 19-30) o si parla come di fatti del passato (Eb 2, 4). torna al testo

23. Cf. H.W. Beyer, alla voce: episkopos, in G. Kittel, Grande Lessico del N.T., vol. 3, cl. 779. torna al testo

24. Cf ivi, cl. 782. torna al testo

25. I casi disciplinari vengono decisi dal gruppo locale; cf. Mt 18, 15-20; 2 Co 2, 6. Per anziani -  sorveglianti cf. 1 Ti 5, 19; sotto I, 10. torna al testo

26. E. Schweizer, o.c., pp. 67-68. Più che di « ordinazione», parlerei di scelta, investitura. torna al testo

27. Cf. 1 Ti 6, 20-21; 2 Ti 1, 6-14. torna al testo

28. Cf. At 17, 11; Ga 1, 6-9. Sulla riabilitazione di Pietro dopo aver rinnegato per tre volte Gesù, cf. Gv 21, 15-19. torna al testo

29. Cf 1 Ti 3, 2-7; Tt 1, 6-9. torna al testo

30. Uno di questi classici esempi è proprio quello di Tito che fu lasciato a creta con il compito preciso di preparare, nei gruppi locali, delle persone con tali qualifiche; cf. Tt 1, 5. torna al testo

31. Didachè 44, 3; G. Bosio, o.c., p. 48. torna al testo

32. Cf sotto I, 10. torna al testo

33. Secondo alcuni apocrifi, fra il gruppo giudeo-cristiano di Gerusalemme, Giacomo, il fratello del Signore, avrebbe avuto l'autorità di episcopo-monarchico. Questo sviluppo monarchico della struttura del gruppo gerosolimitano è però ancora molto discusso; cf. M. Thomsen, la posizione di Giacomo nella chiesa di Gerusalemme, in «Ricerche Bibliche e Religiose» 3, (1971), pp. 43-54; L. Randellini, La chiesa dei giudeo-cristiani, Paideia, Brescia 1968, pp. 27-41; F. Salvoni, Da Pietro al papato, Lanterna, Genova 1970, pp. 146-147; K. Jeussi - G. Miegge, Sommario di storia del cristianesimo, Claudiana, Torre Pellice 1960, p. 39. torna al testo

34. Cf. E Schweizer, o.c., pp. 142-147; H.W. Beyer, o.c., cll. 784-785. torna al testo

35. Cf. 1 Ti 4, 14, sopra I, 2. torna al testo

36. Cf 1 Ti 5, 17; probabilmente si riferisce ai mezzi messi a loro disposizione dai gruppi locali perché potessero realizzare il loro servizio. torna al testo

37. Cf. 1 Ti 5, 19. torna al testo

38 Cf Eb 13, 7.17. torna al testo

39. Sugli inservienti (servitori) cf. gli studi pubblicati di D. Galiazzo e L. Caddeo. torna al testo

40. Cf. 1 Ti 3, 2-7; Tt 1, 6-9; i figli credenti devono necessariamente essere intesi come persone impegnate che hanno già fatto una scelta personale. Cf. A. Schweizer, o.c., p. 62. torna al testo

41. Cf. E. Käsemann, o.c., pp. 109-127. torna al testo

42. Cf. ivi, p. 113. torna al testo

43. Cf sopra I, 5. torna al testo

44. Cf. Clemente Romano, Lettera ai corinzi, 1, 1-3; 44, 3; G. Bosio, o.c., pp. 35-39. torna al testo

45. Cf. F. Salvoni, o.c., p. 230; Clemente Romano, o.c., 44, 3-6. torna al testo

46. Cf. R.E. Brown, il prete e il vescovo, Esperienze, Fossano 1971, p. 95; H.W. Beyer, o.c., cl. 756. torna al testo

47. Cf. Ignazio d'Antiochia, Lettera ai Tralliani, 7. torna al testo

48. Cf. Didachè 15, 1-2. torna al testo

49. Cf Policarpo di Smirne, Lettera ai Filippesi, 5. torna al testo

50. Di questa idea sono molti studiosi cattolici e di altre confessioni religiose; cf. B. Altaner, Patrologia, Marietti, Torino 1964, p. 88; A. Omodeo, Ignazio di Antiochia e l'episcopato monarchico, in «Saggi sul Cristianesimo antico», Napoli 1958, pp. 205-255; M. Maccarone, in Problemi di storia della chiesa, Vita e Pensiero, Milano 1970, pp. 87-120; F. Salvoni, o.c., pp. 228-235. torna al testo

51. Cf. R. Kottje, L'elezione dei capi ecclesiastici: storia ed esperienza, in «Concilium» 3, 1971, pp. 134-145; O. Schreunder, Die Kirchengemeinden, in O. Netz (edt.), gemeinde von Morgen, München 1969, pp. 53-104; N. Greinacher, Comunità libere, in «Concilium» 3, 1971, pp. 100-121. torna al testo

52. Cf. M. Guerra Y Gomez, Episcopos Y presbuteros, Publicaciones del seminario metropolitano de Burgos 1962, pp. 287-288. torna al testo

53. Cf. ivi, pp. 287-288; K. Staab - J. Freundorfer, Le lettere ai Tessalonicesi e della cattività e pastorali, Morcelliana, Brescia 1961, vol. 7, p. 397; A. Boudou. S. Paolo, epistole pastorali, Studium Roma 1962, p. 210: «Il passaggio dal plurale « presbuteros» (v. 5) al singolare « episkopos » (v. 7) non prova niente; il punto di trasmissione è dato dal v. 6: « ei tis ». La soppressione dei versetti incriminati produrrebbe uno iato nel susseguirsi delle idee; dai figli indisciplinati dell'episcopo si passerebbe agli insubordinati che si trovano fra i fedeli e il gar infatti ») del v. 10 non significherebbe niente ». torna al testo

54. Cf. N. Brox, o.c., pp. 419-420: H. Küng. La chiesa, Queriniana, Brescia 1969, p. 474. torna al testo

55. Cf. G. Rinaldi, in Paolo-vita-apostolato-scritti, Marietti, Torino 1968, p. 778. torna al testo

56. Cf. A. Soggin, il N.T. annotato, Claudiana, Torino 1966, vol. 4, p. 35, torna al testo

57. Cf. P. De Ambroggi, o.c., p. 229. torna al testo

58. K. Staab - J. Freundorfer, o.c., p. 308. torna al testo

59. Ivi, p. 397. torna al testo

60. E. Schweizer, o.c., pp. 68-69, note n. 331-332, p. 206. torna al testo

61. Cf. P. De Ambroggi, o.c., p. 229, torna al testo

62. Ivi, p. 55; su Ignazio di Antiochia cf. sopra I, 11, cf. pure nota 50. torna al testo

63. Cf. N. Guerra y Gomez, o.c., pp. 285-287.340-341; G. Bonaccorsi, Primi saggi di filologia neotestamentaria, S.E.I., Torino 1950, vol. 2, p. 248; A. Wikenhauser, o.c., p. 305; A. Boudou, o.c., pp. 101-112, 210; R.E. Brown o.c., pp. 83-88; D. Guthrie, o.c., p. 214; G. Luzzi, Il Nuovo Testamento e Salmi, Fides et Amor, Firenze 1930, p. 441; E. Schweizer, o.c., p. 161; S. Zedda, in Il messaggio della Salvezza, Elle-Di-Ci, Torino Leumann 1968, vol. 5°, p. 250, afferma che qui nelle Pastorali siamo assai lontani dagli sviluppi della gerarchia conosciuta da Ignazio di Antiochia nel 2° sec.; sopra I, 11. Cf. pure nota 50. torna al testo

64. Cf. C. Spicq, alla voce: Pastorales (épitre), in Supplèment au dictionnaire de la Bible, Letouzey & Ané Editeurs, Paris 6e, 1961, fasc. 36, p. 27; sopra I, 11. torna al testo

65. Cf. M. Zerwick, Biblical Greek, Scripta Pontificii Instituti Biblici, Roma 1963, pp. 53-62. torna al testo

66. H, W. Beyer, o.c., cl. 781; M. Guerra y Gomez, o.c., p. 274. torna al testo

67. Così è della figura del Figlio dell'uomo (Dn 7, 13); come si può comprendere da tutto il contesto che segue (7, 20-21.25-27) si riferisce a tutto Israele; cf. Giovanni Rinaldi, Daniele, Marietti, Torino 1961, pp. 106-110. On Pietro è il credente tipo su cui si basa il gruppo di Dio (Mt 16, 15-20); cf. Fausto Salvoni, o.c., pp. 39-89. Così nella visione del segno della donna in cielo (Ap 12, 1-12) in cui si presenta la storia della salvezza del popolo di Dio; cf. G. Bonsirven, L'Apocalisse di San Giovanni, Studium, Roma 1958, pp. 203-211. Così nel sevo sofferente d'Isaia (53, 1-11) sarebbe intesa, oltre alla figura del Messia, anche la sofferenza di tutto il popolo ebraico che un giorno sarebbe stato redento; cf. G. Tourn, La voce dei profeti, Claudiana, Torino 1965, p. 55. torna al testo

68. In 1 Ti 2, 15 abbiamo il plurale «se persevereranno» e non si capisce bene a chi si riferisce; cf. N. Brox, o.c., p. 206; D. Guthrie, o.c., p. 92. torna al testo

69. Cf. E.E. Kredel, alla voce: Vescovo, in Dizionario Teologico, Editrice Queriniana, Brescia 1968, vol. 3°, p. 639. torna al testo

70. Cf. sopra II, 3. torna al testo

71. Cf. S. Cipriani, o.c., p. 596. torna al testo

72. Cf. lo studio di G. Sciotti e F. Salvoni qui pubblicati. torna al testo

73. Cf. 1 Ti 3, 2-7; Tt 1, 5-9. torna al testo

74. Cf. sopra II, 1. torna al testo

75. Cf. sopra I, 10. torna al testo

76. H.W. Beyer, o.c., cl. 781. torna al testo

77. Cf. sopra O, 10. torna al testo

78. Questo insegnamento appare per tre volte e solo nelle Pastorali; cf. 1 Ti 3, 2.12; Tt 1, 6. torna al testo

79. Cf. G. Luzzi, o.c., p. 731. torna al testo

80. Cf. F. Nardoni, La Sacra Bibbia, Fiorentina, Firenze 1968, p. 1270; La Sacra Bibbia, Paoline, Roma 1966. p. 1259. torna al testo

81. Cf. P. De Ambroggi, o.c., pp. 130-132; La Sacra Bibbia, Paoline, Roma 1968, p. 1321. torna al testo

82. Cf. G. Bonaccorsi, o.c., pp. 247-248. torna al testo

83. Cf H.W. Beyer, o.c., cl. 780. torna al testo

84. Cf. C. Lattey, Unius uxoris vir, «Verbum Domini» 28 (1958), pp. 288-290. torna al testo

85. Cf. D. Guthrie, o.c., p. 94. torna al testo

86. Cf. A. Boudou, o.c., pp. 112-114. torna al testo

87. Cf. P. De Ambroggi, o.c., p. 132. torna al testo

88. Basterebbe citare l'orgoglio, la violenza, l'avidità e ogni vizio. torna al testo

89. Cf. Festugiere - P. Fabre, il mondo greco-romano al tempo di Gesù, S.E.I., Torino 1955, pp. 333-336. torna al testo

90. Cf Ivi, pp. 335-338. torna al testo

91. Cf. W.G. Cole, Sesso e amore nella Bibbia, Longanesi, Milano 1959, pp. 193-201. torna al testo

92. Cf. 1 Co 7, 2-7; S. Cipriani, o.c., pp. 153-155. torna al testo

93. Cf. N. Jaeger, il diritto nella Bibbia, Edizioni Pro Civitate Christiana, Assisi 1960, pp. 111-129. torna al testo

94. Cf. R. De Vaux, o.c., p. 46. torna al testo

95. Cf. ivi, pp. 34-35. torna al testo

96. Cf. ivi, p. 35. torna al testo

97. Cf. Mt 19, 3-10; W.G. Cole, o.c., pp. 304-314; B. Prete, Vangelo secondo Matteo, Rizzoli Editore, Milano 1957, p. 177. torna al testo

98. Cf C. Spicq, les épîtres pastorales, (Paris 1950), p. 79. torna al testo

99. Cf. P. De Ambroggi, o.c., p. 132. torna al testo

100. Cf. Cicerone, Ad Atticum, 12,29. torna al testo

101. Cd sopra I, 10. torna al testo

102. Cf. Tertulliano, De Pudicitia, 1, 1-5. torna al testo

103. Cf. ivi, 1, 6-9. torna al testo

104. Cf. ivi 1, 20-21; citazione 1, 21; traduzione di G. Bosio, o.c., p. 373. torna al testo

105. Cf. R. De Vaux, o.c., pp. 47-50. torna al testo

106. Cf. Rm 7, 2-3; 1 Co 7, 39. torna al testo

107. Cf. 1 Co 7, 39; S. Cipriani, o.c., p. 165. torna al testo

108. Cf. R. De Vaux, o.c., pp. 44-46. torna al testo

109. Cf. sopra I, 10. torna al testo

110. P. De Ambroggi, o.c., p. 132. torna al testo

111. Cf. H.E. Medico, Le Mythe des esseniens, (Paris 1958), 154: C. Burchard, Solin et les esseniens. Remarques à propos d'une source negligée, in «Revue Biblique» 74, (1967), pp. 192-407; A. Penna, I figli della luce, Esperienze, Fossano (1971), pp. 47-50. torna al testo

112. Cf. F. Salvoni, Sesso e amore nella Bibbia, lanterna (1969), pp. 15-16. torna al testo

113. Cf. C.N. Cochrane, Cristianesimo e cultura classica, Mulino, Bologna (1969), p. 200. torna al testo

114. Cf. sopra I, 10. torna al testo

115. Cf. K. Heussi - G. Miegge, o.c., pp. 46-47. torna al testo

116. Nella colonna precedente della stessa pagina il De Ambroggi afferma invece che qui Paolo non avrebbe di mira la bigamia; cf. cap. III, 2. torna al testo

117. Cf. K. Heussi - G. Miegge, o.c., pp. 69-77. torna al testo

118. E. Schillebeeckz, Il celibato del ministero ecclesiastico, Milano, Bologna 1968, p. 21. torna al testo

119. Cf. 1 Co 7, 7; 9, 5-6. torna al testo

120. Cf 1 Co 7, 1.6-11,32-38. torna al testo

121. Cf. Introduzione. torna al testo

122. Cf, sopra I, 10, torna al testo

123. Cf. P. De Ambroggi, o.c., p. 132. torna al testo

124. Cf. sopra I, 2, 9. torna al testo

125. Cf. P. De Ambroggi, o.c., p. 134. torna al testo

126. Cf. ivi, p. 134. torna al testo

127. Cf. sopra I, 2, 8-9; cf. lo studio di Earl Edwards. torna al testo

128. Cf. sopra I, 10. torna al testo

129. Cf R. De Vaux, o.c., p.77. torna al testo

130. Cf. Mt 18, 14; 1 Co 9, 5. torna al testo

131. « Io anziano con loro », cf. 1 Pt 5, 1. torna al testo

132. Per la sua funzione di apostolo, per la quale Cristo stesso lo aveva chiamato (Ga 1, 1), Paolo non aveva bisogno di essere sposato. torna al testo

133. Nel servizio specifico dell'anziano-sorvegliante, più che la libertà negli spostamenti, necessita una esperienza pratica della vita familiare. torna al testo

134. Cf. sopra OO, 3, 5. torna al testo

135. Cf 1 Ti 3, 2-5; Tt 1, 6; la stessa cosa per gli inservienti 1 Ti 3, 12. torna al testo

136. P. De Ambroggi, o.c., p. 132; cf. S. Cipriani, o.c., pp. 652-653. torna al testo

137. Cf sopra I, 10. torna al testo

138. Come spesso è riferito a Gesù, cf. Mt 26, 24; 1 Ti 2, 5; Ap 1, 3; anche in Daniele nella Settanta è riferito alla visione, al figlio dell'uomo, cf. Dn 7, 13. torna al testo

139. Cf. A. Oepke, alla voce: aner, in G. Kittel, o.c., vol. 1°, cll. 969-978. torna al testo

140. Cf. D. Guthrie, o.c., p. 94. torna al testo

141. Cf Ef 5, 22-23; Cl 3, 18-19. torna al testo

142. St. Lyonnet, Unius uxoris vir (1 Ti 3, 2; Tt 1, 6), in «Verbum Domini», 45 (1967), 3-10 (citaz. p. 10), torna al testo

143. P. Trummer-Graz, Einehe nach Pastoralbriefen zum verstandnis der termini (mias gunaikos aner) and (enos andros gune), in «Biblica», 51 (1970), pp. 483-484). torna al testo

144. E. Schillebeeckz, o.c., p. 21. torna al testo

145. Ivi, p. 22. torna al testo