LE  EPISTOLE  PASTORALI
1, 2 TIMOTEO e TITO
Spunti esegetici e di attualità
L'evangelizzatore biblico

a cura di Earl Edwards - articolo tratto da Ricerche Bibliche e Religiose, n. 2-3, II e III Trimestre 1972 pp. 131-161


INDICE

I. I destinatari: Timoteo e Tito
   La persona di Timoteo
   La persona di Tito
II. Dono e imposizione delle mani
III. Il perché dell'imposizione delle mani
    1. Per la semplice benedizione
    2. Per la guarigione fisica
    3. Per trasmettere doni miracolosi dello Spirito Santo
    4. Per consacrare ad uno speciale servizio divino
IV. La missione di Tito e Timoteo
V. I termini araldo (predicatore) e evangelizzatore
VI. L'autorità dell'evangelizzatore
VII. Come oggi si diventa evangelizzatore
Conclusione


I. I destinatari: Timoteo e Tito

Timoteo e Tito sono i destinatari delle tre epistole che formano l'oggetto del presente studio. E' appunto dallo studio di questi due personaggi che ci apparirà piuttosto chiaramente la figura dell'evangelizzatore (1) biblico. Mi accingerò por primo a descrivere la loro persona per poi passare all'opera che compirono.

La persona di Timoteo

Dagli Atti degli apostoli apprendiamo che Timoteo, il cui nome significa «Onorante Dio», era un giovane discepolo(2) nativo di Listra nell'Asia Minore, che Paolo scelse come suo aiutante quando visitò tale città per la seconda volta. Suo padre era greco, la madre invece ebrea e perciò, per non destare le critiche degli Ebrei, Paolo lo fece circoncidere. Fin dai suoi primi anni di vita era stato istruito nelle Scritture del V.T. dalla nonna Loide e dalla madre Eunice (3) E' probabile che lui e sua madre fossero stati convertiti durante la prima visita di Paolo a Listra (4) perché al suo ritorno, per la seconda visita, trovò che Timoteo già godeva di «una buona testimonianza» tre « i fratelli che erano in Listra e in Iconio » (5) .

Timoteo accompagnò Paolo attraverso l'Asia Minore e poi in Macedonia, dove venne lasciato a Berea mentre Paolo proseguì per Atene. In seguito, da Atene, Paolo lo mandò a chiamare(6) poi lo mandò a Tessalonica per avere notizie di quei cristiani e per incoraggiarli. Egli raggiungerà nuovamente Paolo a Corinto con notizie complessivamente buone sui Tessalonicesi (7) Da Corinto Paolo scrisse le sue due epistole ai Tessalonicesi nelle quali include anche Timoteo fra quelli che si associano a lui nei saluti (8) .

La successiva menzione a suo riguardo è fatta durante il terzo viaggio missionario di Paolo, quando l'apostolo lo mandò con Erasto in Macedonia (9) Subito dopo la loro partenza Paolo spedì via mare la sua prima epistola ai Corinzi nella quale dice che Timoteo, passando per la Macedonia, lo avrebbe raggiunto entro poco tempo (10) Perciò prega i Corinzi di rimandarlo con « i fratelli» (11) ad Efeso. Però nella seconda ai Corinzi non si parla di una sua visita a Corinto per cui si pensa che, trattenuto in Macedonia, non abbia potuto raggiungere Corinto (12) Comunque sia, Timoteo si trova nuovamente con Paolo in Macedonia quando scrisse la 2 Corinzi da quella provincia (13) In seguito tutti e due raggiunsero Corinto donde Paolo scrisse ai Romani includendo anche i saluti di «Timoteo, mio compagno d'opera» (14) Dopo tre mesi i due tornarono a Troade via Macedonia (15) Da questo punto Timoteo non viene più ricordato negli Atti, ma solo nelle epistole paoline dal carcere romano (16) E' chiaro che si trovava con Paolo, e che l'apostolo lo mandò a Filippi per una missione speciale (17) Dalla 1 Timoteo si vede che Paolo, fra le due permanenze in carcere, passò da Efeso e vi lasciò Timoteo, scrivendogli poi istruzioni riguardo al suo modo di agire in tale città (18) Quando fu incarcerato la seconda volta e riteneva la morte vicina, scrisse la 2 Timoteo in cui chiede al sui «amato figlio» di raggiungerlo ben presto (19) Sembra che durante tale permanenza (20) lui stesso vi sia stato vi sia stato incarcerato e poi liberato (21) Dopo non si hanno più notizie sicure di Timoteo. La tradizione vorrebbe che fosse divenuto «vescovo di Efeso » (22) Ma quand'anche si ammettesse l'esistenza del vescovo monarchico in questi anni fra il 70 e il 100 d.C.(23) sorgerebbe un contrasto dato che l'apostolo Giovanni quasi sicuramente abitava ad Efeso in tale periodo. Timoteo avrebbe avuto la preminenza sull'apostolo Giovanni? Per questo anche diversi cattolici riconoscono inattendibile la tradizione che ritiene Timoteo vescovo di Efeso (24) Inoltre, dato che, biblicamente parlando, vescovo e anziano sono dei sinonimi, Timoteo chiamato «un giovane » nella prima lettera a lui rivolta, come avrebbe potuto venire riconosciuto vescovo o «anziano »nella stessa?(25) Infatti, come vedremo, Timoteo è presentato come evangelizzatore e non come vescovo nelle due lettere a lui indirizzate.

La tradizione ci dice che Timoteo morì martire sotto Nerva nel 97 d.C. (26) ma ciò non è affatto sicuro. Sembra che Paolo non avesse altro collaboratore a cui fosse più affezionato o al quale attribuisse la sua stima quanto Timoteo(27) .

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La persona di Tito

Per quanto il libro degli Atti non ne parli(28) Tito è spesso nominato nelle epistole paoline. Nato da genitori greci (29) , pare fosse uno degli «altri fratelli » (30) che salirono con Paolo da Antiochia alla riunione di Gerusalemme dove gli apostoli e i vescovi, contro il parere dei giudaizzanti, decisero che i Gentili fossero accolti nella chiesa senza l'obbligo di farsi circoncidere. Quindi egli potè sottrarsi alla circoncisione. Si pensa che sia stato nativo di Antiochia e probabilmente battezzato da Paolo (31) Dopo la riunione sembra che sia rimasto con Paolo: con lui lo troviamo infatti nel terzo viaggio missionario e fu inviato da Efeso a Corinto, forse per portare la prima lettera ai Corinzi. Dopo aver fatto visita a Corinto, Tito raggiunse nuovamente Paolo, probabilmente a Filippi, portando all'apostolo la lieta notizia della buona accoglienza fatta dai Corinzi alla sua lettera (32) Dalla macedonia fu nuovamente mandato a Corinto per organizzare la colletta per i poveri di Gerusalemme(33) .

Dalla lettera a Tito si sa che egli e Paolo predicarono assieme nell'isola di Creta, dove fu lasciato per organizzare le comunità dell'isola, mentre Paolo dovette andare altrove(34) Si apprende pure che Paolo chiese a Tito di raggiungerlo a Nicapoli (nell'Epiro sulla costa occidentale della penisola Balcanica) dove l'apostolo intendeva trascorrere l'inverno(35) Dalla seconda lettera a Timoteo(36) si conosce che, in seguito, Tito andò a Roma e poi in Dalmazia per predicare il Vangelo. Sulla base di questi passi siamo portati a concludere che Tito fu seguace fedelissimo e un collaboratore assai efficace del grande Apostolo delle genti. Paolo lo chiamò « un vero figlio in fede» (37) Eusebio attribuisce a Tito il titolo di vescovo « della chiesa di Creta» (38) ma ciò urta con le informazioni della lettera a lui scritta dalla quale risulta che egli doveva aiutare nella scelta dei vescovi (39) e perciò non sarebbe stato nel loro numero. Non esiste alcuna tradizione sul martirio di Tito.

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II. Dono e imposizione delle mani

Nella lettera a Tito non si fa alcuna menzione riguardo all'imposizione delle mani, ma nelle due a Timoteo viene ricordata due volte. Nel primo di questi passi Paolo dice a Timoteo:

« Non trascurare il dono ( charísmatos) che è in te il quale ti fu dato per profezia (dia proféteias ) quando ti furono imposte le mani del presbitero ( Presbyteríou) » (40) .

Il termine charísmatos (genitivo singolare del nome to chárisma = dono) può riferirsi indistintamente sia a doni naturali e non miracolosi, sia a quelli miracolosi, come « guarigioni, diversità di lingue» ecc. (41) In questo passo sembra chiaro, per motivi che discuteremo più avanti, che venga adoperato in quest'ultimo senso. Inoltre impariamo che il dono fu dato a Timoteo «dia profèteia » (genitivo singolare piuttosto che accusativo plurale = per mezzo di una profezia). Questa affermazione ci ricorda subito quanto Paolo aveva già detto qualche capitolo prima riguardo «l'incarico » di insegnare, che egli affidava a Timoteo « in armonia con le profezie che sono state fatte a tuo riguardo »(42) Sembra piuttosto chiaro che qualche profeta (probabilmente della comunità di Listra oppure quella di Iconio), abbia avuto una rivelazione riguardo al giovane Timoteo e la sua futura utilità nel regno del Signore (43) In più notiamo che il «dono » gli fu dato «quando » (nella stessa occasione) gli furono imposte le mani dal « presbiterio» ( toú presbyteríou).Quest'ultimo termine, da tò presbytérion , significa «consiglio di anziani » o «collegio di anziani »(44) e si riferisce senz'altro a quei gruppetti di dirigenti che Paolo «aveva fatti eleggere » nelle città dell'Asia Minore (45) .

Nel secondo passo (46) Paolo ricorda a Timoteo di:

« ravvivare ( anazopurein ) il dono ( charisma ) di Dio che è in te per l'imposizione ( dia tes epitheseos ) delle mie mani ».

Anche se alcuni pensano che chárisma in questi passi si riferisca al dono dell'ufficio stesso (di evangelizzatore) che lui era chiamato a ricoprire(47) ciò sembra improbabile appunto per l'uso del verbo anazopurein ( ravvivare o riaccendere). Si può forse « ravvivare » un ufficio? (48) Sembra molto più probabile che chárisma significhi una virtù soprannaturale che assisteva il giovane Timoteo nell'adempiere più efficacemente i doveri di tale ufficio. Potrebbe essere stato un dono parallelo, in qualche senso, a quello che Gesù diede agli apostoli per cui non dovevano preoccuparsi di ciò che avrebbero risposto nei tribunali perché « non sarete voi che parlerete, ma lo Spirito Santo »(49) Sembra probabile comunque che fosse un aiuto subordinato a questo, altrimenti non sarebbero state necessarie tutte le istruzioni che Paolo gli scrive nelle sue lettere.

Notiamo ancora che paolo dice che questo dono gli fu dato per l'imposizione delle « mie mani». Dato che nella prima lettera (4, 14), come abbiamo visto, si parla di un dono datogli quando gli anziani gli imposero le mani, alcuni pensano che questo sia un secondo dono (50) ma per quanto nel primo passo si dica che Timoteo ricevette un dono « quando » i vescovi gli imposero le mani, non viene mai affermato che tale dono gli sia stato dato attraverso le mani dei vescovi. Invece qui, nel presente passo, il « per » (la preposizione ' dià ' con il genitivo) è strumentale e significa «per mezzo, mediante » (51) Quindi è certo che Timoteo ebbe un dono attraverso le mani di Paolo, ma non necessariamente un altro attraverso le mani degli anziani, anche se ne ebbe uno quando essi gli imposero le mani. Pur non potendo essere sicuri che Paolo e gli anziani di Listra o Iconio abbiano insieme imposto le mani a Timoteo, sembra molto probabile che Paolo abbia trasmesso il dono e gli anziani — nello stesso momento — abbiano imposto pur essi le mani in segno di approvazione, pur non trasmettendogli nulla (52) E' molto probabile che tutto si sia svolto come segue: c'era già stata una o più profezie (rivelazione divina) riguardo la futura utilità di Timoteo (tramite uno o più profeti di Listra o Iconio) e i fratelli di queste due comunità, avendo già notato la sua conoscenza della Scrittura e il suo zelo quando Paolo tornò, glielo raccomandarono. Paolo e gli anziani gli imposero le mani insieme, ma il dono venne dato da Paolo mentre gli anziani si associarono a lui in segno di approvazione e benedizione. Alcuni pensano pure che in tale occasione Timoteo abbia fatto la «bella confessione » in presenza di «molti testimoni » di cui Paolo parla più avanti nella prima epistola (53) ma sembra più probabile che, come dice Spain (54) che tale confessione sia stata attuata al momento del suo battesimo in quanto più corrispondente ad altri passi neotestamentari circa la confessione. Infatti la confessione viene quasi sempre ricollegata all'iniziale presa di posizione a favore di Cristo.

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III. Il perché dell'imposizione delle mani

Avendo stabilito qualcosa del tipo di dono ricevuto da Timoteo e della persona tramite cui fu trasmesso, chiediamoci ora che significato avesse l'azione di imporre le mani ad un altro e per quale scopo (scopi) lo si facesse nel periodo apostolico (55) Per avere un quadro più completo di questo gesto, sarà necessario guardare il suo significato in tutta la Bibbia, compreso il Vecchio Testamento. E' infatti simbolico e risale al concetto che vede la mano come organo di mediazione per comunicare una benedizione. L'idea centrale è che tramite il contatto fisico si esprime efficacemente una solidarietà tra chi compie il gesto e chi ne è l'oggetto. E' implicito sempre il concetto di benedizione, ma in misure varie e modi diversi. Si potrebbero riassumere i vari significati di imposizione delle mani nella Bibbia come segue:

1. Per la semplice benedizione

Giacobbe impone le mani ai figli di Giuseppe(56) e Gesù fa lo stesso per i «piccoli» (57) In quest'ultimo caso l'atto è accompagnato dalla preghiera di Gesù a loro favore.

2. Per la guarigione fisica

Qui elenchiamo soltanto qualcuno dei numerosi episodi del Nuovo Testamento. Gesù imponeva le mani a questo scopo(58) e così si predisse che avrebbero fatto i suoi discepoli (59) Paolo adempì numerose volte tale profezia, per esempio quando guarì il padre di Publio con l'imposizione delle mani « dopo aver pregato» (60) Un altro caso di guarigione per imposizione delle mani è appunto quello su Paolo, al quale viene restituita la vista tramite Anania che non era apostolo (61) .

3. Per trasmettere doni miracolosi dello Spirito Santo

Così Pietro e Giovanni a pro dei Samaritani(62) così pure Paolo qualche anno più tardi ad Efeso (63) come pure nel caso di Timoteo, già discusso più sopra (64) C'è da notare che le uniche volte che si attesta chiaramente il potere di trasmettere (tramite l'imposizione delle mani) da una persona all'altra la capacità di fare miracoli, c'è qualche apostolo di mezzo. Infatti nel sopraddetto caso in Atti 8, sembra chiaramente sottinteso che Filippo non avesse il potere di trasmettere tali doni ad altri, e perciò Pietro e Giovanni dovettero venire.

4. Per consacrare ad uno speciale servizio divino

Già nel vecchio testamento i Leviti venivano consacrati al servizio divino quando il popolo imponeva loro le mani(65) similmente Mosè insediò Giosuè come suo successore in una cerimonia tenutasi alla presenza di tutto il popolo (66) Infatti nel primo caso di consacrazione di alcuni ministri (diaconi?) nella chiesa abbiamo un problema molto simile a quello della scelta di Giosuè e in special modo è chiaro che questa scelta viene lasciata alla comunità anche se gli apostoli li incaricano tramite la preghiera e l'imposizione delle mani (67) Quando Paolo e Barnaba vengono «messi a parte» per il primo viaggio missionario, abbiamo nuovamente una cerimonia con preghiera e imposizione delle mani (dei profeti e dottori) della chiesa di Antiochia (68) è molto probabile che questa stessa consacrazione sia lo scopo della imposizione delle mani che Paolo ha in mente quando dice a Timoteo di « non imporre con precipitazione le mani ad alcuno » (69) Infatti il contesto si presta a tale interpretazione, e il suo collega Tito era specificamente incaricato di aiutare nella elezione degli anziani a Creta (70) Poi. come detto sopra, anche la partecipazione degli anziani alla scelta di Timoteo andrebbe messa in questa categoria di imposizione delle mani per consacrare uno a un servizio speciale mentre la partecipazione di Paolo, che trasmise il dono dello Spirito Santo, apparterebbe contemporaneamente a questa categoria e alla n. 3 di cui sopra.

C'è da notare che con questa imposizione delle mani non v'è nulla di miracoloso; in nessuno di questi casi viene dato un qualsiasi dono miracoloso (71) Ha senz'altro ragione J.C. Lambert quando asserisce che l'imposizione delle mani a questo scopo «non permette di pensare che si trattasse di un rito che si ritenesse un canale essenziale di grazia ministeriale, ma piuttosto di un simbolo esterno, di un atto di preghiera intercessionaria» (72) Anche Agostino esclamò: «Cos'è l'imposizione delle mani, se non una preghiera detta nei riguardi di qualcuno? »(73) Infatti, sembra che nel primo secolo tali consacrazioni consistessero in preghiera, digiuno(74) e imposizione delle mani. Talvolta nel parlarne si tralascia il digiuno (75) talaltra la preghiera(76) e talaltra si menzionano la preghiera e il digiuno ma senza ricordare l'imposizione delle mani(77) anche se sembra quasi sicuro che anche questa ebbe luogo (78) .

Un altro fattore già ricordato, che però va approfondito meglio, è la parte preponderante delle congregazioni in questo tipo di imposizioni delle mani. In Atti 6 abbiamo già visto che la scelta spettò alla comunità pur essendo presenti gli stessi apostoli. Anche in Atti 13 lo Spirito Santo non si rivelò direttamente a Paolo e a Barnaba, ma a qualche profeta della comunità ed è questa comunità che inviò i due. Anche nel caso della consacrazione di Timoteo, come abbiamo visto sopra, l'iniziativa sembra sia appartenuta alla comunità di Listra o Iconio, mentre Paolo agì in conseguenza della loro raccomandazione. In vista del fatto che tali scelte, anche alla presenza degli apostoli, venivano fatte in collaborazione con le congregazioni locali (piuttosto che imporre qualcosa ad esse), sarebbe più che assurdo pensare che Tito e Timoteo dovessero agire diversamente. certamente la « imposizione delle mani » (79) che Timoteo doveva praticare con attenzione e « l'ordine» (80) che Tito doveva dare alla comunità di creta, erano cose che essi doveva compiere come collaboratori delle comunità (81) Essi cioè dovevano guidare le comunità nella selezione dei loro dirigenti, lasciando però al popolo la ricerca.

Avendo così inquadrato la questione della imposizione delle mani e i conseguenti rapporti fra Timoteo e Tito e le varie comunità, occorre passare ad altra fase dello studio.

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IV. La missione di Tito e Timoteo

Per meglio capire la missione di Timoteo e Tito, è bene considerare due passi chiave della lettera a Timoteo, prima di tutto troviamo che Paolo scongiura Timoteo come segue:

« Predica la Parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, sgrida, esorta con grande pazienza e in ogni istruzione... stai sempre all'erta, sopporta ogni sofferenza, fa l'opera di evangelizzatore (evangelistou (82) .

In un altro passo quasi parallelo l'apostolo dice a Timoteo di attendere « alla lettura, all'esortazione, all'insegnamento »(83) Al versetto seguente dice al giovane Timoteo di ravvivare il suo dono (di cui abbiamo già discusso), e poi, appena più avanti, di darsi «interamente » a «queste cose »(84) Se noi potremo bene sviscerare le opere a cui egli doveva darsi, avremo certamente un'idea precisa della sua missione. Qui Paolo dice a Timoteo di fare l'opera di «evangelizzatore », ma, nel definire tale opera gli dice di « predicare» ( keruxon) (85) —  cioè fare l'opera di un predicatore. Pur tralasciando, per il momento, una definizione più profonda dei due termini, notiamo che sono ovviamente sinonimi per Paolo. Allora la missione di Timoteo è prima di tutto una missione di predicazione o proclamazione pubblica della « parola di Dio » e ciò deve essere continuato da lui con costanza. Infatti la parola ' epistheti ' (86) significa «tenersi pronto » (87) sempre (a tempo e fuor di tempo) ad accettare qualsiasi opportunità per proclamare la parola. Inoltre egli deve riprendere ( eléncho) (88) Il verbo in questo contesto significa confutare, correggere, rimproverare (89) E' ovvio che egli dovrà confutare ciò che non corrisponde alla «parola » da lui costantemente predicata. Egli deve pure sgridare ( epitímeson ) (90) Questo verbo è piuttosto forte tant'è vero che qualche studioso lo rende con «minaccia», ma il senso sembra essere quello di un forte rimprovero (91) Si vede chiaramente che chi conosce la Parola di Dio e ama le anime che possono perdersi, ha il preciso dovere di « parlare chiaro» (92) quando tale parola non viene più seguita. Anche l' esortare ( parakáleson ) (93) era un dovere di Timoteo secondo i due passi in discussione. La parola composta significa letteralmente « chiamare al fianco» con lo scopo di incoraggiare o di implorare(94) L'azione prevista qui è più mite e più dolce di quella del verbo precedente. L'evangelizzatore deve sapersi adattare al bisogno del momento usando metodi decisi quando sono necessari e più dolci quando sono più efficaci. Paolo dice inoltre che questi vari doveri devono essere svolti con pazienza (longanimità) e istruzione continua . Vincent dice bene che «la longanimità è una garanzia contro la tentazione di arrabbiarsi con certi uditori ostinati che devono essere affrontati con sana e ragionevole istruzione »(95) anziché con le maniere forti. Per poter adempiere questo suo compito di insegnamento, Timoteo doveva essere disposto a subire « sofferenze» (96) .

Nel secondo dei due passi appare(97) il dovere di Timoteo di attendere alla lettura ( tê anagnósei) (98) della Scrittura . Pur avendo il significato di una lettura qualsiasi, è molto probabile invece che in questo passo Paolo abbia in vista la lettura pubblica della Scrittura nelle assemblee(99) che era probabilmente accompagnata da commenti (100) per ultimo, questo secondo passo contiene il comandi di attendere all'insegnamento ( tê didaskalia) (101) da interpretare probabilmente come insegnamento pubblico (102) .

Sono questi i principali elementi della missione di Timoteo e Tito e c'è da sottolineare che ogni aspetto del compito ha significato soltanto in chiave di predicazione della Parola. L'evangelizzatore doveva prima di tutto predicare la Parola, e poi riprendere chi non si atteneva alla Parola e addirittura doveva sgridare coloro che tentavano di minare la Parola; egli doveva ancora esortare o incoraggiare con dolcezza perché si seguisse più attentamente la Parola senza alcun tentennamento. Inoltre egli doveva darsi alla lettura (pubblica) e all'insegnamento (pubblico) della Parola. L'evangelizzatore è un uomo della Parola, la cui missione consiste nel diffondere la buona notizia ovunque possibile. Non fa allora meraviglia che gli si dica di « custodire» (103) bene quel messaggio e di attenersi alle « cose imparate» (104) esponendo soltanto la «sana dottrina » (105) Il messaggio era già allora perfetto e doveva essere presentato senza cambiamenti e lui sarà un « buon ministro » soltanto se continuerà ad avvertire i fratelli del grave pericolo per chiunque si allontani dalla Parola (106) .

Oltre a questi compiti già discussi, l'evangelizzatore biblico ne ha un altro ancora: dopo aver evangelizzato in una data città e dopo aver portato i cristiani ad una certa maturità (riprendendo, esortando, ecc.) deve assisterli nell'organizzarsi scegliendo i vescovi e i diaconi. Così vediamo che a Tito vengono date istruzioni precise perché « costituisca anziani per ogni città » (107) ed è ovvio dall'elenco dei requisiti indicati da Paolo, che Timoteo ebbe un compito simile(108) Abbiamo già notato comunque che essi non imponevano, come vorrebbero molti, uomini scelti unilateralmente da loro stessi, ma piuttosto, seguendo gli apostoli(109) dovevano far cercare al popolo gli uomini più adatti ad essere insediati come vescovi. Infatti il termine in Tito, che di regola viene tradotto con «costituire », è 'katasteses ' (110) che può significare anche solo stabilire o fissare (111) La prova lampante che questo verbo non escluda una partecipazione attiva del popolo nella scelta dei loro dirigenti, si trova nel fatto che è esattamente lo stesso verbo adoperato per i sette di Atti 6, dove il popolo «cerca » e «presenta » i candidati agli apostoli (At 6). Sembra quindi certo che gli evangelizzatori dovevano solo assistere la comunità nella scelta dei propri vescovi. E' probabile poi che nella maggior parte dei casi l'evangelizzatore si spostasse ad un altro campo di lavoro appena la comunità veniva organizzata.

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V. I termini araldo (predicatore) e evangelizzatore

Dall'attività degli evangelizzatori abbiamo potuto constatare la natura del loro ufficio, ma sarà bene notare le differenze semantiche dei due termini predicatore e evangelizzatore. Ci sono due termini greci che usualmente vengono resi con «predicatore »: ad Atene chiamano Paolo « un predicatore ( o katangélous ) di divinità straniere » (112) Pietro, poi, chiama Noè un « araldo (kérux ) (113) di giustizia ». Questo 'kérux ' è appunto il termine più comune per « predicatore» o « araldo». Comunque le uniche altre sue ricorrenze nel Nuovo Testamento si trovano appunto nelle nostre epistole. Nella prima Paolo afferma che egli fu « costituito araldo ed apostolo... e maestro delle genti »(114) La seconda ed ultima ricorrenza della parola kérux è in 2 Ti (115) dove Paolo ripete quasi esattamente la stessa affermazione d'essere stato costituito araldo, apostolo e maestro. Il messaggio di ' Kérux' (= araldo) è appunto ' to kérigma' (= la proclamazione) (116) E' interessante notare che Paolo non è soltanto apostolo, ma anche maestro e araldo (o predicatore) perché compiva tutti e tre i compiti. Egli faceva sì l'apostolo, ma la sua opera comprendeva pure l'ammaestramento e la predicazione. « Gli apostoli in quanto evangelizzavano (At 8, 25; 14, 7; 1 Co 1, 17) potevano dirsi pure evangelisti, ma c'erano molti evangelisti che non erano apostoli »(117) .

Il termine araldo, cioè, «uno che ha il dovere di fare proclamazioni pubbliche, in senso religioso predicatore » (118) è assai suggestivo sotto diversi punti di vista del lavoro di un ministro del Vangelo. Nell'età omerica il kérux aveva le mansioni di un ambasciatore. Egli convocava l'assemblea e ne teneva l'ordine; doveva pure programmare sacrifici e occasioni festive. L'ufficio del kérux era sacro e la sua persona inviolabile per cui veniva adoperato anche per portare messaggi fra nemici. « Il simbolo del suo ufficio era una verga (caduceus) portata da Mercurio, il dio araldo. In un primo tempo questo era un ramoscello d'ulivo con nastri, ma in seguito questi ultimi furono cambiati in serpenti nella leggenda secondo cui Mercurio avrebbe trovato due serpenti in lotta e li avrebbe separato con la sua verga e però questi serpenti diventarono un emblema di pace» (119) .

Nelle leggi di Platone c'è una sezione che tratta del kérux: « Se un araldo o ambasciatore dovesse portare un messaggio falso alla città a cui viene mandato, oppure venisse stabilito che ha riportato, sia da amici sia da nemici, nella sua qualità di araldo o ambasciatore, qualcosa che non hanno mai detto, sia denunciato » (120) .

Ovviamente l'araldo biblico non corrisponde a questa descrizione in tutti i particolari, ma c'è molto di significativo che potrà esserci utile. Infatti il messaggio dell'araldo biblico è un messaggio mandato da Dio a gente che si è estraniata da lui ed è nemica, ma che egli vuole riconciliare a sé (121) Allora è importante che l'araldo presenti fedelmente quel messaggio tenendosi strettamente ai termini comunicatigli, Ecco perché, come abbiamo visto, l'araldo doveva stare attento a presentare esattamente ciò che gli era stato dato(122) .

L'altro termine biblico che descrive persone come Timoteo e Tito è evangelista o evangelizzatore. Deriva dal greco o evangelistés che è imparentato con il verbo evangelizo uno che annunzia la buona novella ») ed era già stato adoperato per i preti pagani (123) Nel Nuovo Testamento ricorre tre volte e una di queste è, come abbiamo visto, nelle nostre epistole. In Atti si parla di Paolo che entra nella casa di «Filippo l'evangelizzatore che era uno dei sette» (124) Poi in Efesini Paolo elenca i doni (125) che cristo ha fatto agli uomini che non sono altro che varie mansioni nella Chiesa: «gli uni come apostoli, gli altri come profeti, gli altri come evangelizzatori, gli altri come pastori e dottori, per il perfezionamento dei santi... »(126) Questo passo offre la più chiara evidenza in nostro possesso, che quello dell'evangelizzatore era proprio un ufficio a sé nella chiesa primitiva(127) Infatti in questo contesto il termine viene posto in un elenco di altre funzioni (uffici, in senso limitato) (128) .

A questo punto c'è da notare che nella chiesa dei primi due secoli, per quanto riguardava i suoi ministri, vi era un progresso secondo tre diverse fasi progressive:

1) In un primo momento la chiesa era servita soltanto da ministri straordinari guidati o ispirati dallo Spirito Santo (cioè la gente che aveva qualche dono speciale dello Spirito)

2) In un secondo tempo (più o meno una generazione dopo) la chiesa era servita tanto da quelli con un dono speciale, quanto da altri senza doni straordinari.

3) In un terzo tempo i doni straordinari erano ormai parte della storia, mentre la chiesa era ora servita da ministri (vescovi, diaconi o «inservienti» ed evangelizzatori) privi di dono straordinari, ma adibiti ad uffici permanenti nella chiesa (129) .

Avendo fatto questa constatazione torniamo al passo di Efesini sopra citato e notiamo che le prime due funzioni (apostoli e profeti) appartenevano principalmente al primo dei soprannominati periodi e un po' al secondo. Infatti non c'era alcun bisogno di successori per questi (come non c'era stato bisogno di un successore per Gesù cristo, il fondatore) in quanto la loro funzione principale era la rivelazione della Parola e questa fu terminata da loro stessi nel primo secolo (130) Le altre tre funzioni nominate in questo passo (evangelizzatori, pastori e dottori) esistevano nei primi due periodi come pure nel terzo. Infatti, anche dalla natura del loro lavoro, dovrebbe essere ovvio che la loro funzione è permanente. Notiamo infatti per l'evangelizzatore, quello che ci interessa di più in questo studio: finché c'è gente non convertita ci sarà sempre bisogno di annunciare la buona novella.

Il termine « evangelizzatore» ricorre per la terza volta in 2 Timoteo dove Paolo dice al suo giovane discepolo di fare l'opera di evangelizzatore(131) Timoteo aveva anche un dono straordinario che doveva « ravvivare» per meglio compiere l'opera di evangelizzatore, ma non è detto che ogni evangelizzatore, nemmeno nel primo secolo, avesse tale dono, anzi nemmeno di Tito viene esplicitamente affermato, pur essendo possibile che possedesse tale dono. In ogni modo è chiaro che la missione dell'evangelizzatore doveva essere permanente. Infatti Paolo dice a Timoteo di affidare le cose che aveva udite « a uomini fedeli, i quali siano capaci d'insegnarle anche ad altri »(132) Altri «uomini fedeli » dovevano essere preparati da Timoteo per continuare questo lavoro di diffusione della buona novella. Il contesto di questo passo rende evidente che l'apostolo sta parlando di persone con la stessa missione di Timoteo (133) quella cioè di evangelizzare. Quindi una generazione di evangelizzatori deve prepararne altri per la generazione seguente sino a quando non ci sarà più bisogno di convertire i non cristiani (il che non succederà mai sulla terra). E' ovvio che se alcuni evangelizzatori del primo secolo ebbero doni straordinari, in seguito però il loro lavoro non fu più svolto con l'aiuto dei doni straordinari. Non è quindi necessario un dono straordinario dello Spirito per poter fare l'evangelizzatore. Bisogna inoltre notare che gran parte degli esempi mostrano che l'evangelizzatore biblico era itinerante, «avendo l'ambizione di predicare l'Evangelo là dove Cristo non fosse già stato nominato per non edificare sul fondamento altrui » (134) .

Uno studio sulla vita di Timoteo e Tito mostra questa caratteristica durante la maggior parte della loro attività. Si potrebbe dire con Ferguson che « il loro lavoro riguardava principalmente la chiesa universale »(135) anziché una particolare comunità come si avvera nel caso dei pastori e dottori. Ciò corrisponde meglio alla figura « dell'araldo» di cui si è discusso, Infatti gli evangelizzatori andavano a predicare, in linea di massima, là dove non esistevano comunità cristiane, e, dopo aver convertito e fatto maturare un certo nucleo di persone, le assistevano nella scelta dei propri dirigenti (pastori o vescovi e diaconi o inservienti). Poi se ne andavano altrove lasciando il lavoro di insegnamento in quella comunità locale ai neo-dirigenti. però, anche se questa è la prassi che fa regola, vi sono delle eccezioni per cui non conviene essere dogmatici su tale punto. Infatti proprio Timoteo viene lasciato ad Efeso da Paolo, verso il 65 d.C., per lavorare, per correggere, per quanto possibile, con il suo insegnamento certuni che avevano abbracciato dottrine eterodosse e vi rimarrà per circa due anni, a quel che pare (136) Anche nella vita di Filippo «l'evangelizzatore» ci è una eccezione: dapprima va dovunque (137) evangelizzando, ma poi, in un secondo tempo, sembra che si sia fermato a cesarea(138) per evangelizzarla.

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VI. L'autorità dell'evangelizzatore

Se questo è il giusto quadro dell'evangelizzatore biblico, allora egli non è uno che sta alla guida di una comunità (per non dire più di una, come pensano certuni), ma è semplicemente un « araldo». Quando egli sta in una congregazione dove ci sono già dei vescovi, anch'egli sarà loro sottomesso perché questi devono «badare al gregge» (139) e tenere la presidenza(140) e non l'evangelizzatore. Infatti, mentre si dice chiaramente che gli altri santi devono «ubbidire » ai «propri conduttori » e «sottomettersi » a loro(141) mai si asserisce qualcosa del genere per un evangelizzatore. Se si risponde che secondo alcuni passi Timoteo e Tito hanno il diritto di « ordinare» (142) e di «insegnare queste cose, di esortare e riprendere con ogni autorità (páses epitagés(143) bisogna replicare come segue: Se si accetta questa affermazione come ben tradotta e come una affermazione assoluta, l'evangelizzatore sarebbe superiore agli stessi vescovi(144) Ma se così fosse, perché mai mancano termini come « ubbidire» e « sottomettersi» in riferimento agli evangelizzatori, mentre abbondano per i vescovi? Però, d'altro canto, se essi sono subordinati ai vescovi, quale sarebbe il significato della frase sopra citata che dice loro di agire « con ogni autorità »? Prima di tutto c'è da notare che è almeno possibile che la frase metá páses epitagés (= «con ogni autorità » in Luzzi) si riferisca soltanto all'ultimo verbo « riprendi » (145) e in tal caso il concetto di autorità sarebbe assai meno esteso. In secondo luogo, anche se il vocabolo epitagés significasse « ordine » o « autorità » in quasi tutti gli altri passi del Nuovo Testamento dove ricorre (146) sembra che nel nostro passo non sia così. Arndt e Gingrich nel loro Lessico affermano che in qualche passo il termine ha un significato diverso: cioè «con tutta solennità » oppure «autorevolmente ». Infatti essi danno proprio Tito 2, 15 come l'unico esempio di questo secondo significato nel Nuovo Testamento (147 ) Anche la traduzione di Weymouth in inglese rende il passo in questo modo. Concludiamo allora che l'evangelizzatore deve riprendere NON « con ogni autorità», ma INVECE « autorevolmente ». Questo concetto si accorda molto meglio con la figura dell'evangelizzatore presentata in altri passi neotestamentari. Egli ha una certa autorità, anche fino al punto di rimproverare un vescovo, ma non « ogni autorità » e per di più quella che ha non è insita nella sua funzione o nella sua persona, ma piuttosto nella Parola di cui è banditore.

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VII. Come oggi si diventa evangelizzatore

Abbiamo già notato che Paolo dice a Timoteo di affidare le cose da lui udite ad altri « uomini fidati ». Egli deve preparare altri evangelizzatori ed è ovvio che tutta la Chiesa dovrebbe darsi da fare in questo campo in quanto il suo principale compito è di spargere il Vangelo in tutto il mondo (148) Ma, volendo seguire con cura i principi studiati più sopra: a chi bisogna conferire la qualifica di evangelizzatore e un quale modo?

Dal lato negativo notiamo che NON è necessario che uno dedichi «pieno tempo» all'evangelizzazione per avere la qualifica, ciò è chiaro nel caso di Paolo stesso (149) Dovrebbe essere ovvio dallo stesso ragionamento che non è necessario essere stipendiati da una comunità per poter avere tale qualifica. D'altro canto non tutti possono essere evangelizzatori, altrimenti nella chiesa gli evangelizzatori non sarebbero distinti dagli altri santi. Insomma, è vero che ogni cristiano deve insegnare ad altri, ma non tutti possono farlo con successo pubblicamente. per poterci riuscire cosa occorre?

1. La logica ci dice che l'evangelizzatore deve conoscere la Parola perché deve esserne banditore. Come bandire la Parola senza conoscerla bene?

2. Egli deve avere la capacità di predicare questa parola pubblicamente, perché, come si è visto, un evangelizzatore deve essere il pubblico araldo del messaggio cristiano.

3. Egli, come uno che vive i principi del Vangelo, prima di predicarli deve essere d'esempio ai credenti nel parlare, nella condotta, nell'amore, nella fede, nella castità (150) Egli deve quindi possedere una certa maturità spirituale.

4. Deve avere la giusta motivazione per questo lavoro: NON deve muoverlo il bisogno di una sistemazione o il desiderio di mettersi in mostra, ma un impellente desiderio di bandire il messaggio salvifico alle anime perdute (151) .

Ma dato che i requisiti nominati non sono cose concrete, il giudizio in questa materia può diventare soggettivo. Chi deve decidere sui requisiti? Tenendoci il più possibile agli esempi neotestamentari che abbiamo discusso sopra, sembra logico che dovrebbe essere qualche congregazione, come nel caso di Timoteo (152) Tutte le congregazioni e quegli uomini che sono già evangelizzatori dovrebbero cercare di preparare i loro giovani impartendo loro una conoscenza biblica e spingendoli verso la presentazione pubblica di brevi sermoni. Quando poi tutta la comunità è convinta che fra questi giovani ce ne sia qualcuno che riscuote il consenso di tutta la comunità perché appunto ha i soprannominati requisiti, la comunità dovrebbe « metterlo a parte» come evangelizzatore. Non si può dire che ciò debba avvenire con un rito fisso, ma nuovamente, volendoci attenere agli esempi biblici, si potrebbe suggerire una breve cerimonia con l'imposizione delle mani (153) da parte dei vescovi se ci sono, oppure da parte di alcuni membri più maturi se dovessero mancare i vescovi. E' più o meno questo che è successo a Paolo e Barnaba prima di partire per il viaggio missionario (154) Così una comunità veramente zelante potrebbe trovarsi con diversi evangelizzatori — tutti riconosciuti dalla stessa comunità. In una grande città si potrebbero spartire le zone e darsi da fare con l'aiuto di altri membri non evangelizzatori per convertire più gente possibile. Oppure essi potrebbero incaricarsi di iniziare opere evangelistiche in paesi circonvicini, pur mantenendo i loro rapporti con la comunità originaria. Ma una cosa è obbligatoria per essere davvero evangelizzatori: «annunziare » continuamente il messaggio salvifico.

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Conclusione

Isaia asserisce e Paolo ripete la seguente esclamazione: «Quanto sono belli i piedi di quelli annunziano lieti messaggi »(155) La bellezza di questo passo sta ovviamente nella NATURA DEL MESSAGGIO che è un messaggio di pace e di riconciliazione (156) La buona novella cristiana è la più meravigliosa di tutte le buone novelle: Dio in Cristo riconcilia il mondo a sé (157) .

Quanto è importante il lavoro dell'evangelizzatore biblico!


NOTE A MARGINE

1, Altre versioni usano il termine Evangelista . torna al testo

2. 16, 1-3. Dato che era ancora «giovane» (1 Ti 4, 11-12) quando Paolo gli scrisse la 1^ Epistola nel 64 d.C. circa, si può arguire che nacque verso il 30 e che perciò aveva solo 20 anni circa quando Paolo lo prese come assistente. torna al testo

3. 2 Ti 1, 5 e 3, 15. torna al testo

4. In 1 Co 4, 17 Paolo sembra asserire che Timoteo sia stato convertito personalmente da lui, lo chiama infatti «mio figliuolo diletto». torna al testo

5. At 16, 2. torna al testo

6. At 17, 14-15. torna al testo

7. 1 Te 4, 1-8 a At 18, 5. torna al testo

8. 1 Te 1, 1 e 2 Te 1, 1. torna al testo

9. At 19, 22. torna al testo

10. 1 Co  4, 17. torna al testo

11. Probabilmente quelli che portano la 1^ Epistola. torna al testo

12. 1 Co 16, 11. torna al testo

13. 2 Co 1, 1. torna al testo

14. Rm 16, 21. torna al testo

15. At 20, 4-5. torna al testo

16. Cl 1, 1; Fi; Fl 1, 1. torna al testo

17. Fl 2, 19. torna al testo

18. 1 Ti 1, 3 2 3, 14-15. torna al testo

19. 2 Ti 4, 9 e 21. torna al testo

20. Paolo morì probabilmente nel 67 d.C. circa. torna al testo

21. Vedere Eb 12, 23; si nota che «Timoteo è stato messo in libertà». Non è però sicuro il periodo di questa incarcerazione. torna al testo

22. Eusebio, Storia Ecclesiastica, III, 4. torna al testo

23. Sembra però che ciò non si realizzi nella maggior parte della chiesa primitiva fino a circa il 150 d.C.. Vedere la discussione di questo problema nel mio articolo su Ignazio di Antiochia (Il Seme del Regno, aprile 1969, pp. 25ss). torna al testo

24. Vedere Brox, Le Lettere Pastorali, Morcelliana, p. 25. torna al testo

25. Anche se Bihlmeyer-Tuechle sono cattolici, riconoscono (Storia della Chiesa, vol. I, p. 130) che «anzian i» e «vescovi » si usano come sinonimi, cioè come concetti equivalenti. Essi formavano quindi un collegio detto presbiterio ( 1 Ti 4, 14). E' appunto in 1 Ti 4, 11 che appare che Timoteo era una giovane. Come avrebbe potuto allora a circa 30-35 anni (vedere la nota n. 2 più sopra), essere già un «anziano »? torna al testo

26. vedere gli Atti di Timoteo (apocrifi). Quest'opera dice pure che le sue ossa furono portate a Costantinopoli nel 356 d.C. torna al testo

27. Fl 2, 19-24 ecc. torna al testo

28. E' difficile capire perché egli non viene menzionato. Ramsay (St. Paul the Traveller, p. 390) pensa che possa essere un parente di Luca. torna al testo

29. Ga 2, 3. torna al testo

30. At 15, 2. torna al testo

31. Tt 1, 4. torna al testo

32. 2 Co 7, 6-7. torna al testo

33. 2 Co 8, 6-17. torna al testo

34. Tt 1, 5. torna al testo

35. Tt 3, 12. torna al testo

36. 2 Ti 4, 10. torna al testo

37. Tt 1, 4. torna al testo

38. Eusebio, Storia Ecclesiastica, III, 4. torna al testo

39. Tt 1, 5 — da ricordarsi che i termini vescovi e anziani sono sinonimi nel N.T. torna al testo

40. 1 Ti 4, 14. torma al testo

41. Vedere per esempio l'uso di questo vocabolo in 1 Co 7, 7 dove è riferito alla CONTINENZA che difficilmente può essere ritenuta un dono miracoloso, ma che è un dono già insito nella persona alla nascita. Invece in altri passi (ad esempio 1 Co 12, 9ss) è riferito senz'altro a doni miracolosi dati per opera dello Spirito Santo. Per una discussione dello sfondo culturale della parola, vedere I carismi di E. Bonaiuti, «Ricerche Religiose», 4, 1928, pp. 259-61. torna al testo

42. 1 Ti 1, 18. torna al testo

43. Barnes, Commentary on the New Testament, Thes. - Philemon, p. 126, dice che non necessariamente si devono intendere «profezie» come «ispirate» — ma sembra invece meglio intendere così. Infatti ciò corrisponde molto bene anche a quanto si legge in At 13, 1-3 dove Paolo e Barnaba vengono « messi a parte » per l'opera di evangelizzazione tramite una speciale rivelazione — presumibilmente dei profeti menzionati in questi versetti. torna al testo

44. Bauer, Arndt and Gingrich, a Greek-English Lexicon of the N.T., 1957, p. 706, si nota che questa fraseologia si usava prima per il Sinedrio ebraico e poi per i gruppi singoli di anziani in ciascuna comunità cristiana. vedere la traduzione di Luzzi nella «Versione Riveduta» (= collegio di anziani). torna al testo

45. At 14, 21-23 dove si legge «e fatti eleggere per ciascuna chiesa degli anziani... raccomandarono i fratelli al Signore... ». Vedere la conferma di questo pure in «Storia della Chiesa» di Bihlmeyer e Tuechle, vol. I, p. 130. torna al testo

46 2 Ti 1, 6. torna al testo

47. Così C. Spain, The Letters to Titus and Timothy, p. 81. torna al testo

48. Può darsi invece che karisma si riferisca ad un ufficio in Rm 12, 6ss. torna al testo

49. Mc 13, 11, Alford, Greek New Testament, vol. III, p. 369, pensa che possa trattarsi forse del dono di parrêsia (= franchezza) che Timoteo non avrebbe avuto come dono di natura. Ciò corrisponderebbe bene a 2 Ti 1, 7. Anche Prat (Teol. II, p. 262) è d'accordo che non si tratta del «potere dell'ordine». torna al testo

50. Vedere C. Spain, o.c., p. 81. torna al testo

51. Arndt and Gingrich, o.c., p. 179. Vedere anche Gemoli, Vocabolario Greco-Italiano, p. 244. torna al testo.

52. Anche Alford, The Greek New Testament, vol. III, p. 369 vede Paolo come il personaggio «principale » nell'imposizione delle mani « assistito » dagli anziani. E' d'accordo con questa tesi pure De Ambroggi, Le Epistole Pastorali (La Sacra Bibbia), Marietti, pp. 6 e 48. torna al testo

53. 1 Ti 6, 12. De Anbroggi, o.c., pensa che questa confessione fosse fatta in occasione della sua scelta all'opera di evangelizzazione. torna al testo

54. O.c., pp. 101-2. torna al testo

55. In greco epitheseos ton cheiron , in ebraico «Semikhah », era il nome della cerimonia. torna al testo

56. Ge 48, 13ss. torna al testo

57. Mt 19, 13ss. torna al testo

58. Mc 6, 4 e vari altri. torna al testo

59. Mc 16, 18. torna al testo

60. At 28, 8. Anche l'imposizione delle mani è associata alla preghiera. torna al testo

61. At 9, 17-18. torna al testo

62. At 8, 17ss. torna al testo

63. At 19, 1-6. torna al testo

64. 2 Ti 1, 6. torna al testo

65. Nm 8, 10. torna al testo

66. Nm 27, 22-23. torna al testo

67. Tale avvenimento si trova in At 6, 1-6. Da notare che è il popolo che deve «cercare» fra se stesso quelli che verranno incaricati e non è nemmeno del tutto chiaro (v. 6) chi sia (gli apostoli o il popolo) ad imporre loro le mani in quanto alcuni dei codici sono ambigui in questo punto. Per una discussione su questo e della forte rassomiglianza fra gli insediamenti di Nm 27 e quello di questo passo, vedere E. Ferguson, Laying in of Hands in Acts 6, 6 and 13, 3m in «Restoration Quarterly», 1960, pp. 250-51. torna al testo

68. At 13, 1-3. torna al testo

69. 1 Ti 5, 22. Altri pensano che qui ci sia in vista la riconciliazione di chi aveva fatto l'abiura. Per una discussione delle varie teorie, vedere De Ambroggi, o.c., pp. 162.163. torna al testo

70. Tt 1, 8. torna al testo

71. Vedere E. Ferguson, o.c., p. 252. torna al testo

72. In Hasting's Biblie Dictionary, p. 53. torna al testo

73. De Baptismo, 3. 16. torna al testo

74. At 13, 1-3. torna al testo

75. At 6, 1-5. torna al testo

76. 1 Ti 4, 14. torna al testo

77. At 14, 21-23. torna al testo

78. Un parallelo si trova nei passi che raccontano le conversioni (es. At 8, 26ss.) senza palare di ravvedimento — ciò non significa che in quel caso esso non avvenne. torna al testo

79. 1 Ti 5, 22. torna al testo

80. Tt 1, 5. torna al testo

81. Questo corrisponde a quanto Clemente Romano asserisce nella sua Prima Epistola ai Corinzi (paragrafo 44) scritta verso il 95 d.C.. Dice, infatti, che gli apostoli, ed altri in seguito, stabilirono vescovi in ogni comunità « con l'approvazione di tutta la chiesa ». torna al testo

82. 2 Ti 4, 2 e 5. torna al testo

83. 1 Ti 4, 13. torna al testo

84. 1 Ti 4, 15. torna al testo

85. Aoristo primo imperativo, 2° persona singolare di cherússo = proclamare. Questa parola è pure imparentata con il nome cherux (= araldo). torna al testo

86. Aoristo secondo imperativo, 2° persona singolare di éphístemi. torna al testo

87. Venere Arndt e Gingrich, o.c., p. 331. torna al testo

88. Aoristo primo imperativo, 2° persona singolare di elégxo. torna al testo

89. Vedere Arnd e Gingrich o.c., p. 249. Ricciotti infatti traduce «confutare». Cf Tt 1, 13 = «Riprendili (élenche ) perciò severamente affinché siano sani nella fede». Poi in 1 Ti 5, 20 troviamo: «Quelli che peccano riprendili in presenza di tutti, onde anche altri abbiano timore ». Il compito dell'evangelizzatore non è sempre gradevole, ma è necessario fare questi rimproveri affinché si veda il peccato per quelli che realmente è! torna al testo

90. Aoristo primo imperativo, 2° persona singolare di epìtímao. torna al testo

91. Nardoni rende «minaccia». Holtzmann e von Soden (vedere Vincent's, Word Studies in the New Test. vol. 4, p. 319) vedono sotto addirittura una minaccia di futuro giudizio, ma dato l'uso di questo vocabolo in passi come Mt 12, 16ss, è meglio ritenere con Arndt e Gingrich, o.c., p. 303 — che abbia il significato di « rimproverare severamente, mettere in guardia » per prevenire (o far cessare) una mala azione. torna al testo

92. Qui c'è da leggere bene 2 Ti 1, 6s; nuovamente è da notare che chiarezza e «correzione» fanno parte «dell'amore», biblicamente parlando, mentre tanti ai nostri giorni pensano che i due si escludano a vicenda! torna al testo

93. Aoristo primo imperativo, 2° persona singolare, con il dativo, da paracaléo. Il nome té paraclési appare anche nel secondo dei due passi sui quali si sta discutendo riguardo il lavoro o missione di Timoteo. torna al testo

94. Vedere Arndt e Gingrich, o.c., p. 622. torna al testo

95. O.c., p. 320. torna al testo

96. Cioè mostrare costanza e decisione davanti a qualsiasi ostacolo o difficoltà. torna al testo

97. Oltre la «esortazione» che abbiamo già discusso più sopra. torna al testo

98. Dativo singolare del nome ê anágnosis . torna al testo

99. Notare l'uso di questo nome in Lc 4, 16; At 13, 15; e 2 Co 3, 14 dove è certo che si tratta di lettura pubblica. La nuova versione in inglese New Enlish Bible, traduce «public reading» = lettura pubblica. torna al testo

100. Nel greco classico il termine veniva adoperato a volte come lettura CON COMMENTO (Epictetus, Diss. 3, 23, 20). torna al testo

101. Dativo singolare del nome di prima declinazione è didáscalia. torna al testo

102. Vedere Alford, o.c., p. 382. Sembra che non ci fosse una chiara distinzione fra «insegnamento », «evangelizzazione » e «predicazione » torna al testo

103. 1 Ti 6, 20. torna al testo

104. 2 Ti 3, 14. torna al testo

105. Tt 2, 1 e 2 Ti 1, 13. torna al testo

106. 1 Ti 4, 1-6. torna al testo

107. Tt 1, 5. torna al testo

108. 1 Ti 3, 1-13. torna al testo

109. At 6, 3. torna al testo

110. Aoristo primo congiuntivo, 2° persona singolare con accusativo da kathístemi. torna al testo

111. Ricciotti traduce «stabilire ». torna al testo

112. At 17, 18. Katangelous significa predicatore o proclamatore . torna al testo

113. 2 pt 2, 5  cherca da ò chérux può essere reso predicatore o araldo. Si preferisce quest'ultimo. torna al testo

114. 1 Ti 2, 7. torna al testo

115. 2 Ti 2, 11. Clemente Romano (verso il 95 d.C.) descrive Paolo come chérux nella sua Prima Epistola ai Corinzi, paragrafo 5. torna al testo

116. Ad esempio nelle nostre epistole 2 Ti 4, 17 e Tt 1, 3. Cf. Rm 16, 25 ed altri. torna al testo

117. Smith, Bible Dictionary, 1948, p. 184. torna al testo

118. Vedere Arndt e Gingrich, o.c., p. 432. torna al testo

119. Vincent, o.c., vol. I, p. 692. torna al testo

120. Laws, XII, 941. torna al testo

121. Rm 5, 10. torna al testo

122. 1 Ti 6, 20; 2 Ti 3, 14; 2 Ti 1, 13 e Tt 2, 1. torna al testo

123. Vedere Arndt e Gingrich, o.c., p. 318. torna al testo

124. At 21, 8, I «sette» sono ovviamente quelli (probabilmente i primi diaconi) di At 6. E' interessante notare che, pur essendo stato scelto ad altra funzione, quando egli comincia ad evangelizzare (vedere At 8, 4ss notando specialmente i vv. 12 «annunziava la buona novella», 35 e 40 — « evangelizzò tutte le città ») viene chiamato «l'evangelizzatore ». Non si sa niente del suo « insediamento » — simile a quello per i diaconi in At 6 — nella funzione di evangelizzatore. torna al testo

125. to dóna e non to chárisma . Questo termine ricorre in Ef 4, 8. torna al testo

126. Ed 4, 11-12. Evangelistas è accusativo plurale. torna al testo

127. E' vero che l'evangelizzatore manca negli elenchi di funzioni in Rm 12, 6-8 e 1 Co 12, 28ss (in questi passi mancano però anche i vescovi e i diaconi), ma sembra che questi due elenchi non abbiano nessuna pretesa di completezza mentre quello di Ef 4 sembra voglia elencare tutte le funzioni più importanti tralasciando semmai quelle secondarie. torna al testo

128. R. Milligan, Scheme of Redemption, St Louis, USA, pp. 305-306. Eusebio, (Storia Ecclesiastica, Libro III, capitolo 37) conferma pure un « ufficio d'evangelizzatore» nei primi anni del 2° secolo. Dice che questi vanno « spargendo il seme di salvazione in tutte le parti del mondo ». Stranamente egli definisce gli evangelizzatori come « successori» degli Apostoli! Un'altra cosa strana: oltre questo riferimento di Eusebio, soltanto Tertulliano (verso il 200 d.C.) dà qualche accenno sugli evangelizzatori: Nessun accenno negli scritti degli altri padri! Può darsi che si tratti appunto di confusione da parte dei padri delle funzioni di apostoli e evangelizzatori (dato che gli apostoli facevano anche il lavoro di evangelizzatore) e che perciò appaia soltanto il termine apostolo. Sembra che sia questa la spiegazione del sopraccitato brano di Eusebio dove chiama gli evangelizzatori successori degli Apostoli. torna al testo

129. Vedere E. Ferguson, The Ministry of the Word in the First Two Centuries, in «Restoration Quarterly», 1957, p. 21. torna al testo

130. Vedere il mio articolo, I Vescovi sono i successori degli Apostoli? in «Il Seme del regno», luglio 1968, pp. 13ss. torna al testo

131. 2 Ti 4, 5. torna al testo

132. 2 Ti 2, 2. torna al testo

133. Milligan, o.c., p. 315. torna al testo

134. R, 15, 20. E' Paolo Apostolo che scrive queste parole, ma sembra che le scriva più come evangelizzatore che come apostolo. torna al testo

135. O.c., p. 23. torna al testo

136. Ricciotti (Paolo Apostolo, pp. 543-544) pensa che dal momento in cui Paolo lasciò Timoteo ad Efeso (1 Ti 1, 3) fino al tempo che lo invitò a raggiungerlo a Roma (2 Ti 4, 9) siano passati circa due anni (65-67 d.C.). Se questo calcolo è valido, come sembra, anche Timoteo avrebbe lavorato per circa due anni in una comunità unica come operaio « fisso». torna al testo

137. At 8, 5; 8, 36; 8, 40. torna al testo

138. At 21, 8. torna al testo

139. At 20, 28. torna al testo

140. 1 Ti 5, 17. torna al testo

141. Eb 13, 47. Il termine «conduttori » in questo passo sembra riferirsi solamente ai « vescovi» della comunità. torna al testo

142. 1 Ti 4, 11. torna al testo

143. Tt 2, 15. torna al testo

144. Qualcuno pensa (Guthrie, Epistole Pastorali, G.B.U., p. 79) che Timoteo e Tito siano stati «legati apostolici » ed abbiano avuto perciò poteri molto più ampi di quelli di altri evangelizzatori del tempo o degli evangelizzatori moderni. Si rifiuta questa tesi perché, come si vedrà, o a riferirli a loro due o ad altri evangelizzatori, i termini o vocaboli che vengono adoperati nel testo delle epistole non danno autorità nel solito senso nostro. torna al testo

145. Così il cattolico De Ambroggi, o.c., p. 246. Segue Gerolamo in questo. torna al testo

146. Oltre al passo che stiamo studiando, il termine ricorre in Rm 16, 26; 1 Co 7, 6; 2 Co 8, 8; 1 Ti 1, 1 e Tt 1, 3. torna al testo

147. O.c., p. 302. Riguardo un simile uso di epitaghês nei papiri contemporanei al N.T., vedere Moulton e Milligan, The Vocabulary of the Greek N.T. Illustred from Papyri and other Literary Sources, pp. 1914 - 1930. torna al testo

148. Mt 28, 19. torna al testo

149. Egli viene chiamato (oltre che apostolo) « banditore » del Vangelo che è, come già abbiamo visto, sinonimo di « evangelizzatore »; eppure spesso non poteva dedicarsi pienamente alla predicazione in quanto doveva sostenersi con le proprie mani (vedere At 20, 34 ed altri). torna al testo

150. 1 Ti 4, 12. torna al testo

151. Vedere il sentimento che spingeva Paolo in 1 Co 9, 15-17. torna al testo

152. Notare nuovamente At 16, 1-3. torna al testo

153. Ovviamente senza pretesa di poter dare doni miracolosi; vedere al discussione in merito nella prima parte di questo studio. torna al testo

154. At 13, 1-3. Qui non si tratta di trasmissione di doni miracolosi. Ovviamente qualche comunità potrebbe preferire non fare una cerimonia, ma semplicemente incaricare il fratello in questione in una specifica opera evangelistica che richiede predicazione pubblica. E' implicito anche in tal caso il riconoscimento della qualifica di evangelizzatore, pur essendo meno appariscente. torna al testo

155. Is 52, 7 e Rm 10, 15. torna al testo

156. New International Commentary; Epistle of Romans, Voll. 2, J. Murray, p. 59. torna al testo

157. 2 Co 5, 18-19. torna al testo