LA  PRIMA  LETTERA  DI  PIETRO

PROBLEMI  INTRODUTTIVI
Autenticità
 di Earl Edwards


INDICE

Introduzione
L'attacco contro l'autenticità basato su difficoltà interne
Risposta all'attacco
Argomento positivo interno
Prove interne di autenticità
Conclusione
Canonicità
A chi fu scritta l'epistola
Quando fu scritta e per quale scopo
Luogo di stesura


Introduzione

Sotto questo titolo si discuterà appunto se la suddetta epistola sia veramente di Pietro Apostolo o meno. L'autore vi si presenta come « Simon Pietro, servitore e apostolo di Gesù Cristo »(1) e per quanto sembra, si distingue da quelli che non avevano visto il Cristo(2) Inoltre dice di essere stato testimone oculare delle « sofferenze di Cristo» (3) e chiama Marco suo «figliuolo »(4) E' probabile che questo ultimo sia lo stesso « Giovanni soprannominato Marco» di cui At 12, 12 e anche questo passo confermerebbe un rapporto piuttosto stretto fra Pietro e Marco in quanto l'apostolo, dopo la sua liberazione dal carcere, va subito a casa di Maria e di suo figlio Marco. Anche dalla tradizione dei padri apostolici apprendiamo qualcosa sui rapporti fra l'apostolo e costui: egli sarebbe stato «l'interprete » di Pietro(5) .

A questo punto ognuno deve decidersi se accettare la tesi di un libro veramente scritto da Pietro per come si presente, oppure accogliere il concetto di coloro che vedono in questo libro uno scritto di qualcun altro che sarebbe stato attribuito a Pietro.

Ci proponiamo appunto di esaminare le prove per quest'ultima tesi.

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L'attacco contro l'autenticità basato su difficoltà interne

Dai tempi del tedesco F.C. Baur (m. 1860) si sono susseguiti studiosi che negano la paternità di Pietro per i seguenti fattori(6) :

1. La lettera è indirizzata a cristiani d'origine gentile e, se fosse scritta da Pietro, significherebbe che Pietro avrebbe « invaso» il campo di Paolo .

Chi usa questo argomento si rifà a Galati 2, 9, dove è chiaro che Giacomo, Pietro e Giovanni riconoscono come compito di Paolo e Barnaba l'evangelizzazione dei Gentili, mentre essi (Giacomo, Pietro e Giovanni) dovevano darsi da fare con i «circoncisi ».

2. Sarebbero troppo pochi i riferimenti alla vita di Gesù e ai suoi insegnamenti per un discepolo come Pietro che visse con il Cristo .

Si ammette che fa riferimento alle «sofferenze di Cristo » (5, 1), ma si mette in risalto che non fornisce alcun particolare sulle esperienze che ebbe come discepolo diretto. per di più non adopera mai frasi come «il Regno di Dio » e «il Figlio dell'Uomo » che si trovano spesso nelle labbra di Gesù.

3. Le situazioni presupposte dalla lettera non possono essere dell'ultimo decennio di Pietro (60-70 d.C.), ma fanno pensare piuttosto alle persecuzioni dell'epoca di Domiziano (81-96 d. C.).

Chi adopera quest'argomento mette in risalto che al momento della stesura, le chiese subivano forti prove (1, 7 e 4, 12). Infatti si era perseguitati in quanto cristiani (4, 16) e ciò nell'intero mondo (5, 9) per cui, si afferma ancora, l'autore avrebbe concluso che la fine del mondo era vicina. Questo è solo un riassunto di quanto diversi studiosi hanno scritto sull'argomento. Su un aspetto di questa questione il Prof. Ramsay ha espresso l'idea (7) che vigesse una persecuzione (quella sottintesa in 4, 16) per la quale l'appartenere alla chiesa era considerato in sé un crimine, il che non può essersi realizzato prima dell'anno 81 sotto Domiziano.

4. I troppi punti di contatto con il pensiero di Paolo specie nelle sue lettere agli Efesini, ai Galati, ai Romani.

Si afferma che la concezione di Cristo, gli effetti della sua morte, e il modo di concepire la nostra nuova vita, sono troppo simili per non essere stati influenzati da Paolo. Più specificatamente si trovano certe espressioni spiccatamente paoline (8) e numerosi tratti piuttosto lunghi nella lettera che rassomigliano molto a certi passi paolini(9) Su questa base Baur, ritenendo che Paolo e Pietro fossero praticamente avversari con idee fondamentalmente opposte, si sentì giustificato a concludere che l'epistola sia stata scritta da un paolinista allo scopo di conciliare gli Ebreo-cristiani a « dottrine paoline », presentate però sotto il nome di Pietro!

5. Lo stile, il linguaggio e l'uso molto frequente della versione dei Settanta non corrispondono alla cultura di un Galileo poco istruito a cui il greco era una lingua straniera.

Si dice che qui è necessario tener conto del fatto che in questa epistola si riscontra un buon greco ellenistico, che ha addirittura meno semitismi di quanto si notino negli scritti di Paolo! Le citazioni veterotestamentarie sono quasi sempre attinte dalla versione dei Settanta e in modo speciale il cap. 2, 1-10 necessita una conoscenza abbastanza profonda di tale versione. Tutto ciò, si afferma, esclude Pietro come autore.

6. Appaiono, si afferma, influenze dei riti misterici pagani, specialmente la pratica del «taurobolio » (sacrificio del toro), del culto della dea Cibele e ciò suggerisce un autore gentile piuttosto che Pietro .

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Risposta all'attacco

Al primo degli argomenti sopra elencati, che riguarda «l'invasione » del campo dell'apostolo Paolo, lo studioso R.A. Falconer risponde alquanto logicamente: «Se Paolo non provò risentimento alla visita di Pietro ad Antiochia, di cui in Ga 2, 11, perché Pietro non avrebbe tanti ani dopo dovuto scrivere a delle chiese, alcune delle quali sembrano non essere state fondate da Paolo? »(10) Infatti anche se Ga 2, 9 sottolinea che il compito maggiore di Paolo era verso i Gentili e quello di Pietro verso gli Ebrei, è evidente che ciò non escludeva che i due grandi apostoli potessero evangelizzare qualsiasi persona. Tanto è vero che noi vediamo che Paolo spesso (anche dopo l'occasione di cui in Ga 2, 9) evangelizza Ebrei (11) .

Al secondo argomento, che ritiene l'epistola troppo scarna di particolari che riflettano la vita e gli insegnamenti di Gesù, si risponde prima di tutto che un tale argomento, quando fosse ammesso da tutti, è altamente soggettivo e perciò proverebbe ben poco. Però bisogna ribattere con Falconer (12) che l'epistola «contiene numerose allusioni alla vita e insegnamento di Gesù ». Pietro si dichiara testimone delle sofferenze e dalla gloria di Gesù (5, 1) e ciò potrebbe riferirsi tanto alla trasfigurazione quanto alle apparizioni del Cristo risorto.

Cristo è esaltato come un esempio per chi soffre in modo da farci capire che la silenziosa sopportazione degli insulti e l'agonia da parte di Cristo aveva fatto un'impressione indelebile sulla memoria dell'autore (3, 18; 4, 1; 2, 23). Gesù disse che coloro che sarebbero stati perseguitati per cagione sua sarebbero stati benedetti (Mt 5, 11) e lo stesso ripete Pietro (3, 14 e 4, 14); altre parole del Sermone sul Monte (Mt 5, 10-11.16 e 6, 25) sembrano riecheggiare in 2, 12; 3, 13-16; 5, 6. La parabola del Seminatore (MT 13, 1-23) ha fornito forse la figura del 1, 23ss e la lezione del tributo a Cesare (Mt 17, 24ss) è forse la base per 2, 13-14(13) . Il Cullmann aggiunge che l'idea del « Servo sofferente» del V.T., che Gesù applicò a sé, si ritrova non solo nei discorsi di Pietro in Atti (3, 12; 3, 26 e 4, 25), ma anche nella 1 Pietro a 2, 21-25 (14) Ci sembra che questi ovvii punti di contatto con l'insegnamento e la vita di Gesù diventino una forte prova della paternità petrina.

Semmai, allora, sarebbero di più i ricordi personali che mancano nell'epistola e ci sembra ben fatto il ragionamento dello stesso Cullmann che rovescia addirittura questo argomento: « L'assenza di allusioni a ricordi personali, invece di farci dubitare dell'autenticità petrina della nostra epistola, ci dà piuttosto una specie di prova negativa: infatti gli scritti apocrifi per imporsi e darsi un'autorità si richiamano generalmente ad un apostolo, moltiplicando i pretesi ricordi personali» (15) .

Il terzo argomento dell'attacco, che vuole collocare la lettera nell'epoca 81-96 d.C., ha il difetto fondamentale di assumere, piuttosto che provare, che la persecuzione, di cui nella lettera, fosse una persecuzione ufficiale contro il Cristianesimo come religione. Infatti, il più spinto dei passi che ne parlano (4, 15-16) potrebbe benissimo riferirsi a persecuzioni private, come appunto riferisce lo studioso Marcus Dodd (16) Ma quand'anche si pensasse a una persecuzione contro il Cristianesimo come tale, messo in atto dall'imperatore, l'idea di rimandare la stesura dell'epistola ai tempi di Domiziano (81-96 d.C.) o di Traiano (98-117 d.C.), non risolverebbe niente! Infatti, bisogna ammettere che le nostre informazioni sulle persecuzioni di questo periodo sono veramente lacunose. Ad esempio, non si è più sicuri che ci siano state estese persecuzioni di cristiani sotto Domiziano come una volta si pensava(17) Allora, considerato tutto, sembra più ragionevole identificare le persecuzioni della 1 Pietro con quelle operate da Nerone nel 64 d.C. (18) .

Il quarto punto dell'attacco che, trovando nella lettera degli influssi paolini, conclude che fu scritta da un altro, forse da un discepolo di Paolo, è piuttosto complicato. Lo studioso Bennett (19) dice a ragione che «una rassomiglianza tra due documenti, A e B, può essere spiegata in tre modi: A avrà adoperato B; B sarà dipeso da A; oppure A  e B potrebbero aver adoperato una terza fonte comune a tutte e due: un documento, una tradizione orale, dei detti o delle frasi che erano di comune conoscenza al tempo della stesura di A e B». Infatti, il metodo delle «forme storiche » che è stato sviluppato negli ultimi decenni, sottolinea di più l'idea di un corpo di materiale tradizionale (quale fonte comune) che avrebbe avuto la sua influenza su molti degli scritti neotestamentari e il Wikenhauser nota che «per questo oggi si è più riservati di fronte all'idea di una dipendenza letteraria » (20) Certo, come si è detto, la questione è molto complessa e qualunque giudizio in merito dev'essere per forza soggettivo. Comunque, tutto considerato, il giudizio di questo scrittore è che nella nostra epistola ci sia una dipendenza dal pensiero paolino. I punti di contatto tra la nostra e le epistole paoline sembrano troppi per poterli spiegare in un altro modo (21) E' vero che ci sono anche rassomiglianze con il libro di Giacomo (22) ma sono più poche. Lo stesso numero di rassomiglianze, per esempio, tra Romani e 1 Pietro rende improbabile la tesi di una comune dipendenza dal materiale tradizionale.

Ma riconosciuta la dipendenza, perché deve far concludere che Pietro non ne è l'autore? La risposta a questo quesito è da ricercarsi nella tesi di Baur e altri critici che, basandosi su Ga 2, 11, secondo cui Paolo rimprovera Pietro ad Antiochia e, specie nelle Pseudo-Clementine (23) (scritti riconosciuti apocrifi da quasi tutti adesso), vedevano Pietro e Paolo come capi di correnti opposte nella chiesa primitiva. Ma Cullmann (24) mette giustamente in risalto che, nell'occasione del rimprovero, Pietro non fu rimproverato per una dottrina diversa, ma piuttosto perché non agiva coerentemente con le proprie convinzioni. Ciò vuol dire che dottrinalmente lui e Paolo la pensavano nello stesso modo. perciò, per chi scrive, Dodd(25) accentra molto bene quando dice che « la differenza irriconciliabile che Baur suppone esistente fra l'Apostolo dei Gentili e gli altri apostoli è una creazione della sua immaginazione ».

Bisogna allora pensare di Paolo e di Pietro come di due colleghi nell'opera del Signore che si stimavano l'un l'altro. Infatti chi (come noi) accetta l'autenticità della 2 Pietro, trova un segno di questo rispetto e del fatto che Pietro conoscesse già almeno alcuni scritti di Paolo, in 2 Pietro 3, 15-16, dove Pietro menziona delle «epistole » di Paolo e riconosce che gli era stata data una « sapienza» divina. Allora nulla di strano se Pietro cita e prende in prestito da Paolo, esattamente come fa nei confronti degli scrittori ispirati del V.T.. Inoltre, quanto sopraddetto sembra calzare bene con il Pietro che viene presentato nel vangeli: non tanto un uomo di idee originali, quanto piuttosto un uomo d'azione che come tale poteva venire facilmente influenzato da altri in cui aveva riconosciuto una « sapienza» (2 Pt 3, 15-16) divina (26) Infatti è probabile che le rassomiglianze fra la prima Pietro e l'Epistola di Giacomo siano da spiegarsi nello stesso modo (27) .

Il quinto argomento che riguarda lo stile e il linguaggio troppo eleganti per un uomo come Pietro, richiede pure esso un po' di attenzione. In merito all'uso della versione dei Settanta ciò «non è strano nemmeno per un Ebreo palestinese quando egli scrive a zone dove predominano Gentili, perché questa era la Bibbia delle chiese dei Gentili e Pietro non avrebbe potuto farne a meno nel suo lavoro con Ebrei-ellenisti »(28) Per quanto riguarda la lingua greca, è ammesso ormai da buona parte degli studiosi, che «Galileo quale egli era, poteva parlare, come Giacomo fratello Signore, due lingue fin dalla giovinezza » (29) Infatti, iscrizioni trovate da Clairmont Ganneau e P. Bagatti negli ultimi decenni sul Monte Uliveto, attestano che il greco era molto popolare nelle chiese di Gerusalemme del primo secolo (30) Per di più è un fatto ben stabilito che si usasse il greco intorno al lago di Galilea dove Pietro nacque (31) Allora il problema si inquadra come segue: Pietro, essendo uomo un po' rozzo, pur conoscendo il greco, avrebbe potuto scrivere un libro come 1 Pietro che contiene un greco di alto livello?

E' difficile poter dare una risposta a questo quesito senza avere in mano dei dati tramite cui giudicare le capacità dell'autore. Comunque Guthrie ha ragione quando dice che «si è troppo sottolineato il fatto che Pietro era stato pescatore ... almeno 30 anni separano Pietro scriba da Pietro pescatore» (32) Se era un uomo di capacità pratiche e se, come è da supporre, egli usò tale lingua per più di 30 anni con Giudei-ellenisti e Gentili-cristiani, non si sa quale capacità avrebbe potuto sviluppare. Moulton e Howard suggeriscono che il greco di Pietro poteva essere diventato migliore del suo aramaico(33) .

Da quanto sopra risulta chiaro che non si può essere sicuri che Pietro non avrebbe potuto scrivere la lettera e dato che (come si vedrà più avanti) la testimonianza dei Padri e numerosi indizi interni favoriscono la sua paternità, sembra che la discussione avrebbe dovuto risolversi in favore dell'apostolo. Ma malgrado ciò, per venire incontro alle difficoltà proposte dai più spinti critici, è stato suggerito che l'amanuense Silvano (vedi 5, 12) sarebbe stato responsabile per lo stile elegante dell'epistola (34) Pietro, secondo questa teoria, avrebbe dato a Silvano l'ordine di scrivere la lettera suggerendogli i pensieri fondamentali che doveva includervi e poi avrebbe lasciato la stesura a lui. Sarebbe egli, in questo caso, il responsabile di tanta parte dello stile ecc. Pietro, poi, a scritto terminato, avrebbe letto e approvato la lettera. Sembra che nel mondo antico questa prassi non fosse del tutto sconosciuta(35) ma a noi interessa sapere se è successo nel nostro caso particolare.

Selwyn (36) ha difeso questa tesi a lungo. Guthrie (37) anche se non la scarta come eventuale alternativa, giustamente nota che ci sono obiezioni alla tesi: se Silvano era una specie di coautore, 1) è strano che non includa nemmeno i suoi saluti (cf Rm 16, 22, dove Terzio, un semplice scriba, include i suoi personali saluti) e 2) la raccomandazione di 5, 12 («Silvano nostro fedel fratello»), suonerebbe di egoismo, a meno che Pietro non abbia aggiunto la conclusione di propria mano. Ancora, 3) è difficile concepire l'appello piuttosto diretto di 5, 11ss come il lavoro di un coautore. 4) Non si è sicuri che il linguaggio di 5, 12 (« per mezzo di Silvano» = diá) significhi uno scriba o, come in alcuni casi, il semplice portatore della lettera (38) Infatti, non sembra che la tesi di Silvano coautore possa ritenersi stabilita. Se poi la persona di Silvano, ex-compagno di Paolo, abbia avuto la sua influenza sul linguaggio dello stesso Pietro, è un problema discutibile, ma in tal caso l'inquadratura del discorso è un po' diversa.

In risposta al sesto e ultimo argomento, che vedrebbe nella nostra lettera l'influsso dei riti misterici di Cibele (specialmente il sacrificio dei tori), bisogna notare che non v'è nessun riferimento sicuro a tali riti(39) .

Ma quand'anche si ammettesse tale influenza in qualche passo, bisognerebbe non trascurare le strette relazioni dell'epistola all'Antico Testamento e specie ai Salmi, ai Proverbi e ad Isaia (40) Allora, se la possibilità di qualche riferimento a culti pagani è prova che l'autore era gentile, cosa provano i numerosi passi che chiaramente dipendono dal V.T.? A ragione Vincent dice: « è più che evidente che ci troviamo davanti all'opera di un ebreo » (41) .

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Argomento positivo interno

Avendo commentato punto per punto l'attacco di certi critici contro la paternità petrina, si vuole esporre un argomento interno a favore di tale paternità prima di passare alle prove esterne: Una impressionante rassomiglianza fra alcune espressioni e concetti nei discorsi petrini degli Atti e la nostra epistola: Sull'adempimento di profezie, sulla preordinazione di Gesù come sacrificio e sulla manifestazione di Gesù negli ultimi giorni e in molte altre cose, si vedono chiari punti di contatto (42) Guthrie dice che «anche se queste rassomiglianze non possono dirsi conclusive, devono essere però considerate come un punto di appoggio per la paternità petrina »(43) .

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Prove interne di autenticità

Malgrado l'attacco di diversi critici e le tante speculazioni, l'autenticità della lettera è stata accettata dalla maggioranza degli studiosi, compreso perfino Renan, il quale, parlandone disse che « è uno degli scritti del N.T. fra i più antichi e che sono quasi unanimemente citati come autentici» (44) Infatti, tra le testimonianze a suo favore abbiamo la 2 Pietro (45) forse Clemente Romano(46) il Pastore di Erma (47) Papia(48) Policarpo(49) la Didachè(50) Ireneo(51) Tertulliano(52) Clemente Alessandrino(53) e Eusebio(54) Praticamente l'unica eccezione a questa testimonianza favorevole è la mancanza del libro nell'elenco dei libri riportati nel Canone Muratoriano (del 170 d.C. circa); ma, secondo Westcott, tale canone aveva qualche lacuna e perciò è probabilmente per questo che vi manca il nome di 1 Pietro.

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Conclusione

Le sopraccitate evidenze dalla tradizione sono molto e perciò bisognerebbe avere delle basi assai solide per negare la paternità a Pietro, e queste basi, da quanto abbiamo visto, mancano e quindi, Con E. Testa (55) concludiamo che dobbiamo accettare la tradizione unanime degli antichi e riconoscerne l'autenticità petrina. E per coloro che non l'accettano, sembra che dovrebbero subire le conseguenze della loro teoria: se i passi che asseriscono la paternità petrina (1, 1; 1, 8; 5, 1) sono falsi, non è possibile che anche tutto il resto sia falso?

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Canonicità

Per quanto lo scopo principale di questo studio sia stato quello di sviscerare per quanto possibile l'autenticità della 1 Pietro, vogliamo toccare (molto brevemente e senza pretesa di approfondirli) altri aspetti introduttivi.

Per quanto riguarda la canonicità, una volta stabilito che l'epistola è di Pietro, è giocoforza riconoscerla come canonica: Infatti, tutti i padri sopraccitati diventano testimoni anche per la sua canonicità e perciò questo è uno di quei casi dove l'autenticità è praticamente uguale a canonicità.

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A chi fu scritta l'epistola?

Nel primo versetto del libro vediamo che viene indirizzato ai « forestieri della dispersione» in cinque province dell'Asia Minore: Ponto, Galazia, Cappadocia, Bitinia e Asia. « E' possibile che "Galazia" qui significhi Galazia in senso più stretto e che l'autore per "Asia" intendesse soltanto la parte nord-est e in tal caso nessuna delle province nominate sarebbe stata evangelizzata da Paolo » (56) Comunque, al massimo, Paolo avrebbe evangelizzato in due (Galazia e Asia) delle cinque. La gente di queste province godeva una situazione economica abbastanza elevata, ma la loro situazione religiosa era molto confusa con le religioni pagane e il culto dell'imperatore misti insieme. Evidentemente il termine «forestieri » è da intendersi in senso figurato per tutti i cristiani (57) di questa zona. Ma chi erano i cristiani di quelle province, Ebrei o gentili? Dal contenuto della lettera sembra che fossero misti, ma con una maggioranza di origine gentile(58) .

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Quando fu scritta e per quale scopo?

Già nella questione dell'autenticità si è discusso la prima parte di questa domanda in rapporto con le persecuzioni menzionate particolarmente in 4, 12 e 16. Infatti si è concluso che la persecuzione di Nerone, anche se non sembra essere stata generale, poteva aver causato delle persecuzioni anche in Asia Minore. Anzi, sembra questa la conclusione più logica. Questa persecuzione ebbe luogo nel 64 d.C.. Lo scopo dello scritto dell'apostolo è di esortare questa gente s non scoraggiarsi, ma piuttosto a stare « salda» (5, 12) nella grazia di Dio, malgrado le persecuzioni che dovevano subire. Anzi, Woods nel suo commento dice che le parole chiavi dell'epistola sono pazienza e speranza (59) .

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Luogo di stesura

In 5, 12 l'autore invia i saluti dalla chiesa di babilonia e perciò possiamo logicamente concludere che egli scrive da Babilonia. Ma quale Babilonia? Almeno quattro teorie sono state proposte: Babilonia di Mesopotamia, Babilonia in Egitto, o in figura, Gerusalemme o Roma. Probabilmente la maggioranza degli studiosi preferisce Roma, ma Woods dà diversi motivi per rigettare questa tesi:

1) Alla stesura della lettera non c'è evidenza che Roma venisse chiamata « Babilonia» — questa prassi ebbe inizio dopo il 70 d.C.

2) Tutti gli altri nomi geografici dell'epistola sono da intendersi letteralmente.

3) Un Apocalisse è vero che «Babilonia » rappresenta Roma, ma ciò non si avvera che verso il 95 d.C., quando Pietro era morto da molto tempo.

4) Il termine nell'Apocalisse è sempre un simbolo di confusione, ma non lo è in 1 Pietro (60) .

Gerusalemme è anche da escludere perché non fu mai chiamata così prima della sua distruzione nel 70 d.C. Anche la Babilonia in Egitto sembra da escludere in quanto era troppo insignificante e non sarebbe bastato dire solo « Babilonia» senza definire meglio. La più probabile tesi per chi scrive è la Babilonia famosa della Mesopotamia. Infatti, «da Babilonia proviene il cosiddetto Talmud babilonese, come più tardi R. Hiyyia ed i suoi sigli, sarebbero venuti da babilonia quando la legge era stata dimenticata nella Giudea. Le tradizioni babiloniche conservate presso gli Esseni dovevano essere note a Pietro tramite il Battista ed i suoi soci di lavoro (Giovanni, Giacomo e Andrea) per cui è probabile che Pietro abbia voluto visitare quei luoghi» (61) E' vero che Giuseppe Flavio(62) dice che Babilonia fu abbandonata nell'ultima metà del primo secolo, ma questo avrebbe potuto aver luogo dopo la visita di Pietro e la stesura di questa lettera.

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NOTE A MARGINE

1 cap. 1 versetto 1. torna al testo

2. Al cap. 1 versetto 8 dove dice: «benché non l'abbiate veduto, voi amate» sembra distinguere loro dallo scrittore stesso che sarebbe tra quelli che l'hanno veduto. torna al testo

3. Cap. 5 versetto 1 dove «testimone » (mártus ) significa testimone oculare . Vedere Vincent, Word Studies in the New Test., col. I, p. 665, Grand Rapids, U.S.A., 1957. torna al testo

4. Cap. 5, versetto 11. torna al testo

5, Papia, (nella premessa del sua opera «Spiegazione delle Parole del Signore») sarebbe l'autore di questa informazione o almeno così riferisce Eusebio, Hist. Eccl. III, 39. 15. torna al testo

6. Questi sono i principali argomenti adoperati. per una discussione più completa della questione, si veda P.U. Holzmeister, Commentarius in Ep. SS Petri et Judae Apostolorum, Parigi 1937. torna al testo

7. Nel suo libro Church in the Roman Empire, pp. 262ss. torna al testo

8. Fra queste l'espressione en christô 3, 16 che è spesso usata da Paolo (cf Rm 3, 24). torna al testo

9. Fra questi sarebbero 2, 13-17 che rassomiglia a Rm 13, 1-7; 3, 9 con Rm 12, 17; 3, 22 da paragonare con Ef 1, 20-21; 5, 8 da confrontare con Ef 6, 10ss; e 2, 16 da paragonare con Ga 5, 13. Per un elenco più completo, vedere Vincent's, World Studies in the N.T., N.Y. 1957, vol. I, p. 623. torna al testo

10. Falconer, Dictionary of the Bible (edito da Hastings) Edinburg 1950, p. 716. E' ovvio che Falconer in questa citazione si riferisce all'idea che Paolo avesse lavorato in due sole (Asia e Galazia) delle cinque province a cui Pietro scrive. C'è però un'altra spiegazione secondo la quale anche in queste due Pietro avrebbe scritto ai soli Giudeo-cristiani e perciò non avrebbe « invaso » il campo di Paolo. Tuttavia questo urta contro il contenuto dell'epistola che è chiaramente scritta principalmente a cristiani di origine gentile (vedere 2, 10ss ed altri). C'è ancora un'altra spiegazione (data più sopra) la quale ritiene che per quanto Pietro avesse scritto a due delle province dove Paolo aveva evangelizzato, egli avrebbe toccato altre parti delle stesse province. Ad esempio Paolo avrebbe evangelizzato la parte meridionale della Galazia e Pietro avrebbe scritto alla sua parte settentrionale, ecc. Guthrie (N.T. Introductions: Hebrews to Revelation, Chicago 1966, p. 108) suppone che Paolo fosse probabilmente già morto alcuni mesi prima che Pietro scrivesse, ma ciò sembra da escludersi. Per quanto qualcuna di queste teorie potrebbe meritare dello studio, chi scrive è portato ad accettare la spiegazione data più sopra secondo cui il Signore non intendeva mettere precisi limiti (Ebrei e Gentili) ai due grandi apostoli. torna al testo

11. Vedere At 17, 1-2 e At 18, 4-5. torna al testo

12. Loc. cit. torna al testo

13. Altri indizi che l'epistola fu scritta da un discepolo diretto di Gesù si trovano nei seguenti paragoni; 1, 3 — « cinti i fianchi» — cf Lc 12, 35; 2, 4-8 — «pietre viventi » — cf Mt 16, 18ss; 4, 10 — «amministratore » — cf Lc 12, 42; 5, 2 — «rivestitevi d'umiltà» — il significato pratico di questa frase potrebbe essere «legatevi d'umiltà come il grembiule dello schiavo » ed è molto facile che sia un riferimento a Gv 13, 1-6 dove Gesù si mise a lavare i piedi degli apostoli (vedere Vincent, op. cit., pp. 668-8); 5, 8 — «avversario » — cf Mt 5, 25 e Lc 18, 3. torna al testo

14. O Cullmann, Gli scritti del N.T., Mulino 1968, pp. 119-120. torna al testo

15. ............................. torna al testo

16. M. Dodd, Introduction to the N.T., London 1888, p. 200. Appellandosi a 4, 4; 3, 16 e 2, 12 egli ritiene che le persecuzioni erano calunnie sociali e non persecuzioni delle autorità. Egli mette in risalto che non c'è nessun segno di carcerazioni, ecc. torna al testo

17. Vedere Guthrie, op. cit., p. 105. torna al testo

18. Così Luzzi, Il N.T. e Salmi, Firenze 1930, p. 779. Infatti Guthrie (op. cit., p. 107) suggerisce che il riferimento alla « fornace accesa» di 4, 12 potrebbe trovare la sua base sulla «mania incendiaria » di Nerone. torna al testo

19. Bennett W.H., Century Bible: General Epistles, Edinburg, p. 13. torna al testo

20. A. Wikenhauser, Intr. al N.T., Paideia 1966, p. 446. Egli cita pure uno studio di Selwyn (First Epistle of Peter, Mac Millan 1946, pp. 363-66) in cui tale autore considera a lungo la possibilità della dipendenza letteraria tra la 1 Pt e altre lettere del N.T. e conclude negativamente. J. Jeremias (Th. L. Z. 1958, p. 35) è della stessa opinione come lo sono pure Dibelius, Lohse, percy e altri. torna al testo

21. Vincent, Word Studies in N.T., N.Y. 1957, vol. I, p. 623, elenca 15 rassomiglianze tra la sola Romani e 1 Pt; vedere anche i ragionamenti di Salmon (op. cit., p. 551) in merito. Egli ritiene la dipendenza sicura. torna al testo

22. Ibid. torna al testo

23. Vedere G. Salmon, Intr. al N.T., London 1885, p. 544. torna al testo

24. Op. cit. p. 119. torna al testo

25. Op. cit. p. 202. torna al testo

26. Vedere W.H. Bennett, op. cit., pp. 42-43, dove egli commenta che Pietro era « troppo generoso di spirito da voler ignorare la potenza e la veracità dell'insegnamento dell'apostolo Paolo». torna al testo

27. Notare 1, 6-7 da paragonare con Gc 1, 2-3; 1, 24 con Gc 1, 10-11, ecc. Per un elenco completo vedere Vincent, op. cit., p. 23. E' pure doveroso notare, però, che la 1 Pietro, pur attingendo da Paolo e altri, non manca di dare un suo proprio contributo all'insegnamento neotestamentario (Vedere Guthrie, op. cit., p. 109). torna al testo

28. Guthrie, op. cit., p. 102. Testa, Intr. al N.T., Morcelliana, Brescia 1961, p. 520, dice che Pietro probabilmente adoperò la recensione della versione Settanta che si trovò con i rotoli di Qumran. torna al testo

29. Wikenhauser, op. cit., p. 442. torna al testo

30. Vedere P. Bagatti, Scoperta di un cimitero giudeo-cristiano al «Dominus Flevit». «Lob. Ann.» 3 (1952-53), pp. 161-165; Clairmont Ganneau, Archeological Recherches in Palestine, I, London 1899, pp. 381-412. torna al testo

31. Sul carattere bilinguistico della Galilea nel tempo di Cristo, vedasi P. Guthrie, op. cit., pp. 71ss. torna al testo

32. Ibid., p. 102. torna al testo

33. A Grammar of the Greek N.T. 1929, p. 26. In merito, secondo Guthrie (op. cit., p. 102), è da dubitare che Papia, quando parla di Marco come interprete di Pietro, abbia avuto in considerazione la capacità linguistica dell'apostolo in quanto le parole erano intese ad autenticare il Vangelo di Marco. torna al testo

34. Così Wikenhauser, Testa, Cullmann, De Ambroggi, McNab e numerosi altri. Silvano, probabilmente il Sila che era compagno di Paolo (At 15, 22; 15, 32; 15, 40; 16, 37; 18, 5; 2 Co 1, 19; 1 Te 1, 1), era cittadino romano (At 16, 37) ed evidentemente un uomo piuttosto dotato. Anzi molti studiosi vedono lui come responsabile non solo dello stile elevato dell'epistola, ma anche dei punti di contatto con le epistole paoline. Diverse altre teorie sono state proposte per poter risolvere i vari problemi (in parte quelli dell'autenticità e in parte quelli dell'unità dell'epistola che poi sono intrecciati). Infatti, Streeter, Preisker, Moule, Selwyn e altri ancora sono fra i nomi legati a queste teorie. Tra queste, Selwyn (The First Epist. of Peter, Essay, II; pp. 365-466) ha sostenuto l'idea che le basi dell'epistola erano tre: una fonte liturgica, un frammento che riguardava le persecuzioni e dei materiali catechetici — tutte fonti che già esistevano nelle chiese primitive. Tanto Paolo quanto Pietro sarebbero dipesi da queste (ed ecco la spiegazione dei punti di contatto con Paolo) copiandole, in certi casi, senza nemmeno cambiare la dicitura (ed ecco in parte la spiegazione dello stile elevato di 1 Pietro — poi Silvano avrebbe redatto il tutto). Preisker (vedi nella 3° edizione del Commentario di Windisch, Epistole Generali, pp. 156ss) pensa che la lettera non sia altro che una rielaborazione di un rito liturgico per battesimi (in due parti 1, 3 - 4, 11 e 4, 12 - 5, 11, la prima per i battezzandi e la seconda per la congregazione) che si usava a Roma verso l'anno 80 d.C. Ovviamente in questo caso Pietro non sarebbe più l'autore. Molte di queste teorie sembrano il frutto di una speculazione del tutto ingiustificata! torna al testo

35. Guthrie. op. cit., p. 103, dove viene citato uno studio do Eschlimann su tali prassi. torna al testo

36. The First Epist. of St Peter, Essay, pp. 365-466. torna al testo

37. Op. cit., p. 105. torna al testo

38. F.H. Chase, Hastings Bible Dictionary, III, p. 790. torna al testo

39. Testa, op. cit., p. 518, arriva ad escludere tali riferimenti « categoricamente». Invece uno dei principali promotori è stato Perdewitz, Die Mysterienreligionen 1911. torna al testo

40. Tracce di Salmi e Proverbi si trovano in 2, 3.7.11; 3, 10-12; 5, 7; 2, 17; 3, 6; 4, 8-18 e 5, 5, mentre tracce di Isaia si trovano in 1, 11; (Is 53, 7-8); 2, 22ss (Is 53, 5.9.12); 2, 6 (Is 28, 16) e 2, 8 (Is 8, 14). torna al testo

41. Op. cit., p. 622. torna al testo

42. Cf 1, 10 con At 2, 16ss (sull'adempimento della profezia); 1, 17 con At 10, 34 (sui riguardi personali); 1, 20 con At 2, 17ss (manifestazione di Gesù negli ultimi giorni); 1, 19-20 con At 2, 23 (preordinazione della morte di Gesù); 1, 21 con At 2, 32-36 (nesso fra la resurrezione e l'esaltazione di Cristo); 2, 7-8 con At 4, 10-11 (pietra angolare). torna al testo

43. Op. cit., è. 130. torna al testo

44. L'Antechrist, p. VII. torna al testo

45. Cap. 3 vers. 1. N.B.: anche se eventualmente non la si ritenesse autentica, sarebbe pur sempre un'antica (non oltre 140 d.C. per i più liberali) testimonianza a favore della 1 Pt. torna al testo

46. verso il 95 d.C. l'avrebbe usata (non è sicuro); 1 Cor 49, 5 sembra alludere a 4, 8 e 1 Cor 36, 2 a 5, 3. torna al testo

47. E' dell'anno 100 circa e contiene allusioni a 1, 7 in Visione 5, 3 a 4, 15. torna al testo

48. Verso l'anno 135 avrebbe citato 1 Pt (secondo Eusebio, Storia Eccl. 3,39,17). torna al testo

49. Nel 135-150 d. C, circa Policarpo cita 1, 8-12; 3, 9 e 2, 11 nella sua epistola ai Filippesi nei capp. 1, 3; 2; 4; 14, 9; 5 e 8. Infatti, Policarpo cita 1 Pt più di qualsiasi altro libro neotestamentario, però senza menzionare il nome dell'autore. torna al testo

50. In 1, 4 cita 1 Pt 2, 11. Lo scritto è dell'epoca 100-150 d.C. torna al testo

51. Ireneo cita 1 Pt (per nome pure) in Contro Eresie, IV, 9, 2-16; IV, 15, 5 e V, 7, 2. torna al testo

52. Egli cita 2, 20 in Scorpiace 12. torna al testo

53. In Stromata 3, 11 cita 1 Pt 2, 11ss, cita il libro anche in 3, 8 e 4, 12 e paed. 1, 6. Infatti cita almeno qualcosa da ognuno dei 5 capitoli. torna al testo

54. In Storia Eccl. 2, 3, egli dice che « un'epistola di Pietro, quella chiamata la prima, è riconosciuta. Questa i presbiteri dei tempi antichi hanno citata come genuina ». torna al testo

55. Op. cit., p. 520. torna al testo

56. Cranfield, op. cit. p. 1026. torna al testo

57. Spesso nella Bibbia si usa questa figura che descrive i cristiani come cittadini del paese celeste. Vedere 1 Pt 2, 11; Eb 11, 13; Fl 3, 20. torna al testo

58. Pietro non si trattiene dall'uso del V.T., ma poi ci sono passi come 1, 14 e 18; 2, 9-10 e 4, 3-4. Specie in 2, 10 dove dice: « già non eravate un popolo» sembra essere conclusivo: la maggioranza era gentile. Vedere pure Guthrie, op. cit., p. 119 per questa stessa conclusione. torna al testo

59. G. Woods, A Commentary on the New Test. Epist. Peter, John and Juda, Nashville, U.S.A., p. 955; p. 14. torna al testo

60. Ibid. p. 135. torna al testo

61. F. Salvoni, Da Pietro al Papato, Ed. Lanterna, Genova 1970, p. 178. torna al testo

62. Ant, Giudaiche, XVIII, 3, 8. torna al testo