LA  PRIMA  LETTERA  DI  PIETRO

SPUNTI  DI  ESEGESI
Anziani, Ministero e i Giovani
(1 Pietro 5, 1-5)
 di Alfredo Berlendis


INDICE

Il testo di 1 Pietro 5, 1-5
I. Presbyteros dall'Antico al Nuovo Testamento
II. Episkopos nella LXX e nel mondo greco precristiano
III. Presbyteros ed episkopos nel Nuovo Testamento
IV. Identità biblica di presbyteros ed episkopos
V. Missione dei presbiteri
   Direzione e dominio
VI. I Giovani in 1 Pietro e nel Nuovo Testamento
VII. Una recente lettura critica di 1 Pt 5, 1-5
Conclusione


«1. Esorto dunque gli anziani (presbytérous ) che sono in mezzo a voi, io anziano con loro (sumpresbyteros ) e testimone dei patimenti di Cristo e partecipe anche della gloria che sta per manifestarsi:

2. pascete ( poimànate ) il gregge di Dio che è fra voi, sorvegliando (1) non forzatamente ma volontariamente secondo Dio, non per disonesto guadagno ma con abnegazione,

3. non dominando ( katakyrieùontes ) quelli a voi affidati ma diventando modelli del gregge.

4. E quando apparirà il sommo pastore riceverete l'immarcescibile corona di gloria.

5. Similmente voi giovani ( neôteroi ) sottomettetivi agli anziani (upotàgate presbyterois). Tutti poi siate umili gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi ma dà grazia (favore) agli umili » (1 Pt 5, 1-5) .

I. Presbyteros dall'Antico al Nuovo Testamento

Pietro chiama « anziani» ( presbyterous) alcuni membri delle chiese della Galazia, della Cappadocia, dell'Asia e della Bitinia dichiarandosi egli stesso anziano, compresbitero.

Presbyteros (senior, più anziano) è comparativo di présbis, eôs ( senex , anziano) cui corrisponde in ebraico il termine zakén (plur. zekenìm ). Vocabolo usato in Ge 18, 11; 19, 14; 25, 8; 35, 29; 43, 27; 44, 20 per indicare « anziano d'età »; mentre in Ge 24, 2, si parla del servo di Abramo che era « il servo più anziano di casa sua e che aveva il governo di tutti i beni», stabilendo così, per la prima volta nella Scrittura, una connessione fra anzianità e compito amministrativo. In Ge 50, 7 si nominano gli « anziani della casa di Giuseppe e tutti gli anziani d'Egitto » (per ambedue si usa zakén in stato costrutto plurale) (1bis) E' agli «anziani d'Israele » che Mosè rivela la sua vocazione e annuncia la liberazione dalla schiavitù egizia (Es 3, 16). Questi anziani erano i rappresentanti del popolo (Nm 11, 16; 2 Sm 3, 17; 5, 3; ecc.) o di una tribù, come ad esempio, gli «anziani di Galaad » (Gdg 11, 5). Essi amministravano la giustizia alle porte della città (Dt 21, 19) e in epoca monarchica divennero consiglieri del re (1 Re 12, 6; 20, 7-9). Come in epoca preesilica (Dt 31, 9) e così dopo l'esilio (Ed 7, 25s) gli anziani dovevano custodire e insegnare la Legge di Mosè. Al tempo di Antioco VI Dionisio (145-149 a.C.) gli anziani ebrei erano responsabili dell'amministrazione (1 Mac 12, 35) (2) il libro dei Maccabei, nominando le classi dirigenti « ... Simone sommo sacerdote, anziani, sacerdoti e tutto il popolo dei giudei » (1 Mac 14, 20), non pone fra i due gruppi dei sacerdoti e degli anziani, gli « scribi » (grammateîs) che sono invece elencati nella stessa successione in Mt 27, 41, in Mc 11, 27; 14, 43-54 e differentemente in Lc 22, 66. Nei libri dei Maccabei presbyteros traduce il corrispondente vocabolo ebraico zakén (3) .

Per conoscere chi siano i presbiteri a cui si rivolge Pietro nella sua prima lettera, occorre verificare se il termine epìskopos = vescovo sia sinonimo di presbyteros = anziano.

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II. Epìskopos nella LXX e nel mondo greco romano

Mentre il termine greco per «anziano » è desunto, come abbiamo notato dal vocabolario ebraico, epìskopos era usato dai greci per designare vari incaricati, varie incombenze direttive. Sono detti « vescovi » gli déi che proteggono una città (Pindaro, Olymp. 14, 5; Eschilo Sept. c. Theb. 271s). Riferito ad uomini significa guardiano (Omero Odissea 8, 163) o sorvegliante (Platone, Leggi 6,784) (4) Indicante una carica è largamente usato in Atene nei secoli IV e V; Aristofane nella comme dia « Uccelli » (10023), descrivendo la comparsa di un sorvegliante gli fa dire: « Io vengo qui dopo aver ottenuto in sorte di essere vescovo (= epìskopos)» (5) Nella LXX epìskopos è usato sia come appellativo di Dio (Gb 20, 29; Sap 1, 6) sia nella consueta accezione di «sorvegliante » in diverse attività: comando (Nm 31, 14; 2 Re 11, 15; 11, 12); amministrazione del denaro necessario al restauro del tempio (Nm 4, 16); custodia del luogo e oggetti di culto.

Nella LXX epìskopos non ha mai un senso propriamente sacerdotale, anche nell'elenco di Neemia (Ne 11, 22) il termine indica l'incarico di sorveglianza di questi leviti ( kaì epìskopos levitôn ), ufficio che solo indirettamente piò aver rapporto con il culto.

Dall'analisi si può dedurre che il termine epìskopos non definiva una carica ben precisa, ma un incarico di custodia-sorveglianza-cura, esplicabile in varie attività. Sia presbyteros che epìskopos designano il rappresentante, il giudice, l'amministratore, il sorvegliante, e ad essi non è mai connessa la funzione sacerdotale. Possiamo perciò dire che i due termini indicavano, rispettivamente nell'ambiente ebraico e in quello greco, funzioni pressoché identiche.

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III. Presbyteros ed epìskopos nel Nuovo Testamento

La parola presbyteros figura 11 volte nel libro degli Atti: 5 volte indica gli anziani della sinagoga e 6 volte gli anziani della Chiesa.

In Atti 20, 28 troviamo una chiara identificazione degli anziani della chiesa con i «sorveglianti » (epìskopoi ): Paolo, rivolgendosi agli anziani di Efeso che aveva convocato, dice loro: «Badate dunque a voi stessi e a tutto il gregge, nel quale lo Spirito Santo vi ha posto come sorveglianti (episcòpous )».

Nelle lettere pastorali presbyteros è usato cinque volte, di cui quattro per indicare gli anziani della chiesa e una (1 Ti 5, 1) l'età (6) Nella lettera a Tito, Paolo esorta a eleggere dei presbiteri in ogni città, ne elenca le doti morali necessarie, esigendo requisiti sostanzialmente identici a quelli richiesti all'episcopo (1 Ti 3, 2ss). Ciò documenta l'uso sinonimico dei due termini. Ancora nella stessa lettera a Tito abbiamo, quale altra prova, l'uso dei due termini per designare le stesse persone (Tt 1, 5; 1, 7). H.W. Beyer così commenta la pericope: « una nuova testimonianza probante che i due termini significano, all'origine, la stessa cosa; la guida e la rappresentanza della comunità, l'ufficio della predicazione e la direzione del culto, quando apostoli o profeti o maestri non erano presenti» (7) Va tuttavia notato che i due termini non hanno in realtà un'origine del tutto identica poiché presbyteros indica più la qualità della persona, la dignità, mentre epìskopos ne indica l'ufficio (8) .

In 1 Pt 2, 25 viene definito vescovo ( epìskopos) Cristo stesso ( ton poiména kaì epìskopon tôn psuchôn umôn ). Si menzionano gli episcopi in Fl 1, 1 e nello stesso versetto si parla anche dei diaconi; le due parole sembrano essere « nomen offici i) indicanti precisi membri aventi un compito specifico. L'uso del plurale in Fl 1, 1 « indicat nondum esse discrimen inter epìskopos et presbyteros » (9) ciò avvalora ulteriormente l'ipotesi dell'identità.

Epìskopos è usato solo cinque volte nel Nuovo Testamento e viene utilizzato per designare i rappresentanti delle comunità gentili-cristiane. mentre presbyteros è utilizzato per le comunità giudeo-cristiane.

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IV. Identità biblica di presbyteros ed epìskopos

Mentre l'esame sinora eseguito ci fa concludere che i due termini designano nel N.T. le stesse persone e siano sinonimi, Ph. H. Menoud (10) ravvisa nelle pastorali l'esistenza del ministero episcopale, cui accede una sola persona e che è superiore al ministero presbiteriale.

Il Menoud fonda la sua tesi sulle seguenti constatazioni:

1) le pastorali parlano del vescovo al singolare; 1 Ti 3, 1 dichiara che aspirare all'episcopato è una cosa eccellente;

2) vi è distinzione fra i requisiti richiesti ai presbiteri in Tito 1, 5-6 e quelli pretesi per i vescovi in 1 Ti 3, 2ss; in questi ultimi fra l'altro si chiede che il vescovo sia ospitale (3, 2), ossia « accogliente verso i fedeli che vengono da altre chiese », capace di insegnare e non novizio.

Questi argomenti però non paiono probativi perché:

1) se è vero che nelle lettere pastorali si parla dell'episcopo al singolare, bisogna anche tener conto del fatto ch'esse stesse identificano presbitero e vescovo dando così la chiave interpretativa (cf. Tito 1, 5.7). Se si dice che « chi aspira all'episcopato ( epìscopês ) desidera un eccellente ufficio » (1 Ti 3, 1), si dice pure, nella stessa lettera, che « gli anziani che governano bene ( kalôs proestôres) siano stimati degni di doppio stipendio (o onore)» (5, 17). Bisognerà allora conferire ai vescovi il primato e un doppio stipendio ai presbiteri? Se è un eccellente compito l'episcopato come non lo sarà il presbiterato che, ben espletato, è meritevole addirittura di doppia lode, o doppio onorario?

2) non solo all'episcopo di 1 Ti 3, 2ss si richiede d'essere ospitale, ma anche agli anziani di Tito 1, 5ss, se si accetta la connessione grammaticale stabilita da « infatti» ( gàr) del v. 7, che fa del brano 1, 5-9 un unico discorso riguardante le stesse persone, ossia i presbiteri-vescovi.

Anche il presbitero come l'episcopo deve saper insegnare, e qui ancora Tito 1, 5-9.

« In effetti, il vescovo non si limita ad insegnare, come i presbiteri, ma egli deve anche combattere l'eresia, ciò che suppone, presso lui, delle conoscenze più estese o una più grande abilità dialettica » (p. 52). Ma in Atti 20, 28-31 è ai presbiteri-vescovi efesini che Paolo, circa dieci anni prima della stesura delle pastorali, profetizza il sorgere d'eretici, esortandoli a vegliare, e Pietro, nella primavera del 64, affida ai presbiteri (non solo al vescovo-monarca) il compito di pascere e custodire il gregge (1 Pt 5, 1-5). Bisognerebbe allora pensare che anche questi presbiteri, cui compete la custodia della chiesa, debbano possedere « una grande abilità dialettica ». Così pure se il vescovo non deve essere novizio nella fede, anche il presbitero, che durante gli anni di servizio a Dio nella chiesa deve aver saputo crescere nella fede i propri figli (Tito 1, 6), sarà un anziano nella fede.

I presbiteri, a cui si rivolge Pietro nella sua prima lettera, hanno lo stesso compito e la stessa collocazione nelle rispettive chiese dei vescovi menzionati da Paolo. Girolamo (IV sec.), pur accettando la consuetudine ecclesiastica che aveva creato l'episcopato monarchico, ribadisce l'identità biblica dei vescovi e dei presbiteri o anziani.

Dopo aver considerato Atti 2, 20, Fl 1, 1 e 1 Pt 5, 1-5, commentando la lettera a Tito, così conclude:

« Tutto ciò dimostra che presso gli antichi le stesse persone erano dette presbiteri e vescovi. Poi gradatamente, per svellere ogni radice di contesa, la sollecitudine di tutta la chiesa fu affidata a uno solo. Sappiano pertanto i presbiteri che è solo per consuetudine della chiesa che devono stare sottoposti a colui che è loro preposto; e i vescovi che è per consuetudine, più che per disposizione del Signore, che essi sono maggiori dei presbiteri e che quindi in comunione con loro devono reggere la chiesa» (11) .

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V. Missione dei presbiteri

Secondo Pietro devono pascere (poimànate ) il gregge di Dio, vale a dire la Chiesa, « sorvegliando non forzatamente ma volontariamente secondo Dio, non per disonesto guadagno ma con abnegazione» (v. 2).

Il verbo pascere ( poimaìnô) significa in senso proprio, condurre, pascolare, nutrire il gregge; in senso traslato, guidare, curare, governare(12) In senso proprio è applicato in Lc 17, 7; 1 Co 9, 7; Gd 12; in senso traslato è riferito a Cristo (Ap 2, 27; 12, 5 2 19, 15; a Pietro Gv 21, 16 e agli anziani in At 20, 28 (13) Solo nei due ultimi passi dell'Apocalisse sopra citati, il verbo, riferito a Cristo, viene ad indicare l'esercizio della potenza, l'uso della forza. Applicato ai dirigenti della Chiesa, viene ad indicarne le responsabilità nei confronti del corpo ecclesiale. Notiamo infatti come a Pietro sia affidato il gregge solo dopo la triplice professione d'amore (Gv 21, 15s), e agli anziani di Efeso sia ricordata la preziosità della chiesa di Dio che essi hanno il compito di pascere (At 20, 28).

Nella prima parte del versetto terzo, gli anziani sono esortati a sorvegliare il gregge con generosità ed abnegazione, non per avidità di denaro. Dobbiamo qui ricordare che i presbiteri erano stipendiati (1 Ti 5, 18) e gli evangelisti erano in diritto d'essere materialmente aiutati a motivo del loro impegno apostolico (2 Te 3, 8-9). Cosa includa questa vigile direzione lo desumiamo dai compiti del presbitero - vescovo elencati in 1 Ti 3, 2ss e Tt 1, 6ss, fra i quali spicca l'insegnamento della Scrittura, il cui senso si fa manifesto e pieno alla luce del vangelo di Cristo. Da quest'indispensabile requisito, la conoscenza della Scrittura, scaturiscono: la capacità d'insegnare, l'autorità di correggere, gli ammaestramenti utili alla esortazione, la chiarezza della predicazione capace di sprigionare la potenza benefica della Parola di Dio (cf 2 Ti 3, 16), la volontà di evangelizzare nascente dal riconoscimento dell'eminente valore dell'evangelo. I presbitero-vescovi devono sorvegliare le singole comunità (14) ed esaminarne i problemi (At 15, 6) assegnando gli incarichi con l'imposizione delle mani ( 1 Ti 4, 14). Essi devono nutrire spiritualmente i credenti con la predicazione e l'insegnamento, affinché non tornino ad aver bisogno dei primi elementi della Parola di Dio, a causa di una pericolosa denutrizione spirituale (cf Eb 5, 11-12).

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Direzione e Dominio

La negazione della seconda parte del versetto terzo «non dominando » ( med'ôs katakyrieùontes ) ci ricorda che il dominio si esercita nel mondo dai principi delle nazioni (Mt 20, 25; Mc 10, 42; Lc 23, 25) e dal maligno (At 19, 16), i dirigenti della chiesa invece non devono essere capi in senso mondano, ma esempi ( typoi) del gregge. Va notato che la direzione è affidata a un collegio di anziani, non a un vescovo-monarca; così è:

nelle chiese gentili-cristiane (At 20, 17; Fl 1, 1)
nella chiesa di Gerusalemme (At 21, 8; Gc 5, 14-16)
nelle chiese giudeo-cristiane (At 14, 22; 1 Pt 5, 1ss)
L'autorità dell'anziano è dunque condivisa, non assoluta; la collegialità impedisce il sorgere di un despota (15) I presbiteri non hanno neppure una potestà decisionale assoluta, svincolata dalla comunità; al contrario, la loro attività dev'essere a servizio (diakonìa ) della chiesa, sul modello di Cristo Signore che ha agito da servo (Gv 13, 4-21).

I termini greci indicanti: signoria-principato (arché ), carica onorifica (timé ), comando-potere (télos ), non sono applicati nel N.T. ad alcun ministero perché

« al N.T. sembra impossibile impiegare per un ministero nella chiesa i termini usuali ricorrenti in greco per designare una funzione ( arché, timé, télos ). Il N.T. conosce queste parole ma non le utilizza per il governo ecclesiastico; al contrario crea il termine «diakonìa ».
Nell'uso del N.T. arché si limita alle autorità della sinagoga e dello Stato e alle potenze angeliche, timé alla dignità ministeriale del sommo sacerdote dell'Antico Testamento. Questo dato lessicografico mostra già con insistenza che la funzione nella Chiesa è essenzialmente un'istituzione di servizio. Esso manifesta anche che per il N.T. l'ordine e il diritto sono essenzialmente differenti nella Chiesa e nel mondo . Così non possono essere designati termini identici »(16) .

Mentre l'esercizio dell'autorità nell'ambito civile può perseguire uno scopo politico, intendendo qui per «politica »:

« L'insieme di attività che hanno per oggetto l'esercizio del potere, dunque anche la conquista e la conservazione del potere e, di volta in volta, sarà politica ogni attività che avrà per scopo o anche semplicemente per effetto quello d'influenzare la ripartizione del potere » (17) ,

l'esercizio del presbiterato, cui compete un'autorità legibus ligata e non legibus soluta , vincolata alla testimonianza e all'insegnamento apostolico, deve tendere al regno di Dio, non al dominio terreno, deve essere espletato non in vista della partecipazione al potere, ma del ritorno di Cristo, sommo pastore, da cui i ministri, se trovati fedeli, riceveranno « l'immarcescibile corona di gloria» (1 Pt 5, 4).

La proibizione fatta da Pietro ai presbiteri non autorizza affatto l'anarchia nella chiesa, soltanto vieta il dispotismo e riconosce che « vi è un solo signore» (Ef 4, 5) a cui appartiene la chiesa, la quale non è «uno stato desovranizzato, pur essendo una istituzione carismatica» (18) poiché in essa la sovranità appartiene al Cristo, poiché essa è e deve essere una cristocrazia . perciò in essa non c'è ministero che non sia sotto la signoria di Cristo. Il divieto di Pietro ai presbiteri sta a salvaguardare la libertà dei credenti, realizzantesi là ove si comprende che vi è un solo ministero, poiché:

« non è a caso che i nomi delle funzioni ministeriali siano, in origine, titoli cristologici. Cristo è apostolo, pastore, vescovo, ecc. Il ministero non può più essere altro che la partecipazione al ministero di quell'unico ministro; un condividere cioè con lui quel particolare modello di vita (cf il servo sofferente dell'elezione-servizio ( diakonìa ) testimonianza-solidarietà con gli altri sofferenti). Filippesi 2, 5-11 propone che questo modello di vita messianica sia condiviso dalla Chiesa intera. Il ministro, anzitutto, è uno che non rifiuta di essere « oggetto » di ministero » (19) .

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VI. I Giovani in 1 Pt e nel N.T.

« Similmente voi giovani ( neôteroi) sottomettetivi ( upotegàte) agli anziani ( presbytérois )» (1 Pt 5, 5).

Non è facile determinare il senso preciso del vocabolo neôteros nel contesto del versetto quinto. Il termine è interpretato in vari modi, esso designerebbe:

1) i semplici fedeli per opposizione ai pastori chiamati seniori o presbiteri (20) ;

2) i ministri di grado inferiore nella gerarchia(21) ;

3) uomini giovani in età, intendendo però « presbytèrois » dello stesso versetto, non in senso gerarchico ma cronologico (22) ;

4) giovani d'età, intendendo però il termine « presbiteri », come al versetto primo, in senso gerarchico (23) .

C. Spicq nota che la prima difficoltà interpretativa consiste nel determinare l'età di questi «giovani »:

« non è che manchino i documenti letterari, epigrafici o papirologici; ma a volte essi considerano la giovinezza metaforicamente: sono néoi, operai, studenti e soldati; a volte essi distribuiscono le età della vita umana, secondo principi filosofici, in sette, otto, dieci e anche tredici periodi; a volte essi non esprimono che delle tradizioni di scuola che sembrano risalire a Ippocrate. Ciò che è sicuro è che neanìas e neanìskos sono sinonimi e che quest'ultimo in ogni elencazione è situato dopo l'adolescente tó meiràkion (da 14 a 21 anni) e prima dell'uomo maturo: o téleios anér ; si tratta dunque d'un uomo giovane. Infine tutti gli scrittori considerano l'evoluzione dall'infanzia all'età matura come una caratteristica della intelligenza, del giudizio e della parola. Ne consegue che questi termini si applicano alle più svariate età, dal neanìas di 17 anni (P. Oxy. 471,114) o il neanìskos -fanciullo (paîs , cfPlatone, Lysis,  205 b = 206 de) sino a Erode Agrippa I, chiamato ô neanìa da un prigioniero germanico, quand'egli aveva almeno quarant'anni.
In altri termini, la neòtes (giovinezza) neotestamentaria designa meno una precisa data cronologica che delle attitudini fisiche, civiche e militari, un rango nella città distinto dai presbiteri, sovente valutato secondo l'aspetto esteriore, infine il soggetto di una funzione subalterna » (24) .

I passi seguenti, presentati dallo Spicq, documentano ciò che sopra è affermato. Il figlio della vedova di Naim è detto neanìske , giovane (Lc 7, 14), ma in Mt 19, 20-22 il ricco che interroga il Maestro è un neanìskos , nonostante non possiamo pensare che si tratti di un adolescente nel senso odierno della parola. Poiché egli afferma d'aver osservato la Legge della sua giovinezza ek neòtetòs mou (Mc 10, 20 = Lc 18, 21); si tratta dunque d'un uomo che può avere dai 25 ai 40 anni. Al contrario, lo stesso termine si applica a una persona ben più giovane, se è Marco il neanìskos che fugge nudo lasciando la sua sindone ai soldati (Mc 14, 51).

Lo Spicq fa notare ancora che, mentre l'impero romano divideva fondamentalmente i suoi membri in liberi e schiavi, Israele considerava la sua popolazione costituita da giovani e vecchi (Dt 28, 50; 2 Cr 15, 13; 2 Mac 5, 13). Questi giovani avevano anche un ruolo politico; in 2 Cr 10, 14 i consiglieri di Roboamo sono dei giovani.

Lo studioso domenicano ci fa conoscere il ruolo dei giovani nelle città delle Grecia e dell'Asia Minore (di questa regione sono le città a cui è indirizzata la prima lettera petrina), nella comunità di Gerusalemme e in quella dei monaci di Qumran.

In quest'ultima ogni carica religiosa e militare è stabilita in funzione dell'età. Solo dopo i 25 anni l'uomo può testimoniare in materia criminale (Doc Dam 10, 1); il giudice deve avere dai 25 ai 60 anni (Doc Dam 10, 14); l'intendente che s'occupa dei campi avrà dai 30 ai 50 anni (Doc Dam 14, 9). Può far parte della comunità ed eseguirne gli uffici chi ha almeno 20 anni (1 QSa 1, 8-12-13 cf Doc Dam 10, 6), età minima richiesta anche ai leviti per esercitare le loro funzioni nel tempio (Nm 4, 3; 8, 23; Ed 3, 8). Progredendo in età viene dato all'uomo un incarico proporzionale alla sua forza (1 QSa 18-19). Gli uomini dai 25 ai 30 anni, in caso di guerra, saranno addetti ai servizi ausiliari (Regola della Guerra 7, 1-3; 8, 1-4). Fra questi ultimi si citano gli « spogliatori degli uccisi» (cf 1 Sm 31, 8 = 1 Cr 10, 8) e «i purificatori del terreno » (Guerra 7, 3 cf Ez 39, 12.14.16). Costituiscono forse i giovani di At 5, 6.10, che devono sotterrare Anania e sua moglie, una categoria ufficiale ? Lo Spicq esclude questa conclusione, dato che al versetto 6 e 10, in un sì breve intervallo, si usano due termini, benché sinonimi, diversi ( neôteroi-neanìskoi ); tuttavia nota che la duplice presenza dell'articolo invita a scorgervi un gruppo definito .

Constatando ulteriori somiglianze fra tutta la pericope di Atti 6 e i documenti di Qumran che parlano della vita comunitaria (ad es. comunanza dei beni, 1 QS 1, 11-13, menzione dello Spirito Santo, sanzioni stabilite per i delinquenti, fra i quali nel codice penitenziale sono citati per primi i falsi dichiaratori dei propri beni 1 QS 6, 24; 7, 6; Doc Dam 14, 20), ritiene che non è abusivo supporre che Luca e Pietro chiamino giovani i cristiani che compiono l'ufficio di necrofori , anche perché i qumraniti attribuiscono questo servizio agli « spogliatori degli uccisi » e « purificatori del terreno » aventi dai 25 ai 30 anni.

Che questo possa essere un preciso compito assegnato a determinate persone sarebbe attestato anche da una iscrizione del III secolo, trovata a Beth-Searim, necropoli centrale dei giudei di Palestina e dei paesi vicini, la quale documenta la funzione permanente del necroforo Samuele, che raccoglieva, ricopriva e deponeva i morti:

Rib Somoêlos sustéllontos kaì Ioudâ koimôntos

Il verbo sustéllô è lo stesso usato in At 5, 6; questa concordanza, aggiunta alle somiglianze già elencate, consentono di ritenere che i giovani di cui parla Atti 5, siano «un gruppo distinto e riconosciuto in seno alla comunità » (25) .

Per ricollocare il vocabolo neôteroi di 1 Pt 5, 5 nel suo Sitz im Leben si devono ricordare le associazioni o i collegi di néoi o di neanìskoi che pullulavano nelle città della Grecia e dell'Asia Minore. Queste associazioni esercitavano attività sportive e intellettuali, avevano un posto ufficiale nella città, celebravano feste proprie e coniavano monete proprie (26) La menzione dei neôteroi in 1 Pt 5, 5, secondo lo Spicq, proverebbe: « quanto le comunità dei credenti fossero già fortemente strutturate, assumendo nelle relazioni fraterne e gerarchiche le categorie tradizionali del mondo circostante» (27) Circa quest'ultima asserzione, tuttavia va messa in luce la differenza sostanziale esistente fra la gerarchizzazione mondana e la strutturazione ministeriale della chiesa primitiva.

Il Nuovo testamento sottrae all'uomo, anche al presbitero-vescovo l'attributo 'gerarca' per riferirlo soltanto a Cristo. Nel N.T. la base stessa delle distinzioni 'gerarchiche', il diritto , è soppiantato da una sottolineatura, sino ad allora inedita, della fraternità , nella quale solo un servizio (diakonìa ) più generoso è fondamento valido d'un primato d'onore (cf 1 Ti 5, 17). Neppure si può dire che le chiese neotestamentarie abbiano mutuato sic et sempliciter la terminologia in uso nel loro ambiente. Ne è palese smentita l'invenzione della parola diakonìa e il rifiuto di termini designanti signoria e dominio.

Non è possibile provare, con i dati citati, che i giovani siano ministri di grado inferiore nella gerarchia , tanto più che il versetto quinto è introdotto dall'avverbio omoìôs che non necessariamente stabilisce una sicura relazione con gli anziani che comandano del versetto primo, poiché « l'avverbio può non essere che una sutura letteraria, senza una significativa relazione con ciò che precede, ed introduce una parenesi »(28) Se è vero che anche ai giovani della chiesa s'addice l'esortazione alla sottomissione, perché giustamente « Filone fa dello spirito di rivolta la caratteristica della giovinezza »(29) va puntualizzato che la chiesa non è perfettamente una gerontocrazia, infatti l'osservanza della Legge sovverte la piramide gerarchica usuale (« sono più intelligenti dei vecchi perché osservo la tua legge », Sl 119,100) e la maturità delle fede è, anche nella giovinezza, motivo di fiducia (1 Ti 4, 12). Pur nel rispetto delle subordinazioni consuete, il Vangelo autorizza una valutazione nuova della persona e quindi della consueta gerarchizzazione, assumendo quale criterio nell'assegnazione dei compiti, non solo l'età, ma anche la maturità cristiana.

Più che una identificazione certa, dall'analisi dello Spicq procede il riconoscimento dell'importanza che i «giovani » avevano nelle comunità neotestamentarie: «In ogni caso, e secondo l'uso del mondo contemporaneo, essi (i giovani) contano nella vita comune dei cristiani come categoria importante; il silenzio del N.T. a loro riguardo non deve far deprezzare il loro numero, la loro coesione in ciascuna chiesa locale e il loro apporto umano e religioso» (30) .

Nessuna delle quattro tesi circa l'identità di questi giovani s'impone sulle altre:

« Essi potrebbero non essere esclusivamente i più giovani in età nelle comunità cristiane, anche se in prima linea vien fatto di pensare a loro. Si potrebbero supporre nei « giovani » , opposti ai presbiteri, anche i servi di grado inferiore della Chiesa, gli aiutanti della comunità, di carattere laico; ma tale istituzione non è dimostrabile per il periodo della prima cristianità (At 5, 6-10 non è sufficiente). Si potrebbe anche pensare semplicemente ai laici sottomessi ai presbiteri, se l'appellativo di « giovani » potesse venire documentato in questo senso lato, ciò che però non è possibile » (31) .

L'ultima esortazione del quinto versetto è seguita dalla citazione di Pr 3, 34 che è la motivazione teologica della vicendevole umiltà tra i credenti.

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VII. Una recente lettura critica di 1 Pt 1, 1-5

John H. Elliot, in un recente articolo(32) suggerisce una nuova interpretazione del comparatico familiare neôteros che designerebbe il « giovane nella fede», « il neofita». Questa lettura si fonda sulla verifica della sussistenza di una tradizione orale di ordinamento ecclesiale, il cui Sitz im Leben sarebbe la catechesi battesimale della chiesa primitiva .

« La discussione sulla precedenza è tramandata dai sinottici in due versioni: la Marco-Mattaica e la Lucana (Lc 22, 24-27; Mc 10, 41-45; Mt 20, 24-28). Marco e Matteo situano l'episodio fra il ministero giudaico di Gesù (Mc 10, 1s; Mt 19, 1s), i tre annunci della passione e la chiamata del gruppo dei discepoli (Mc 8, 27 - 10, 52); Luca invece include il fatto nel suo racconto della passione (Lc 22, 1s), cui segue l'istituzione della cena del Signore (22, 15-20) e la rivelazione del traditore (22, 21-23). La prima parte della versione Marco-Mattaica (Mc 10, 35-40; Mt 20, 20-23) nella quale Giacomo e Giovanni di Zebedeo (Mc) o la loro madre (Mt) richiedono per loro un posto privilegiato e si rendono conto dell'impossibilità di Gesù di soddisfare tale desiderio, non ha nessun riscontro in Lc, secondo il quale invece la discussione sorse non per la reazione dei dieci discepoli alla precedente richiesta (come in Mc-Mt), ma in considerazione del problema « chi fosse considerato il maggiore tra loro » (Lc 22, 24). Infine c'è un acuto contrasto nell'espressione della risposta di Gesù. La cosa più notevole è certamente rappresentata dalla differenza dei verbi katakireuosin e katexousiazousin (Mc-Mt) in contrasto a kyrieuosin e 'oi exousiazontes (Lc), i differenti termini megas/ diakonos e protos/doulos contrapposti a 'o meizon/'o neoteros e 'o egoumenos/'o diakonon (Lc), l'assenza del logion finale Mc-Mt riguardante il Figlio dell'Uomo in Lc, e in sua vece il paragone tra servitori e serviti che si conclude con le parole: «Ma io sono in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22, 27). Queste differenze, non solo evidenziano l'attività redazionale di Lc, ma pure, secondo l'opinione di parecchi studiosi, la sua derivazione da una tradizione indipendente. Comunque. Comunque per la complessa questione delle fonti di Luca, e per la relazione della sua esposizione con ciò che è stato stabilito da Mc e Mt, un fatto desta particolare attenzione per i nostri scopi: nonostante le divergenze tra Mc-Mt e Lc, 1 Pt 5, 1ss, presenta affinità con tutti e tre — e per la precisione là dove essi si differenziano! Primo, 1 Pt 5, 3 e Mc 10, 42; Mt 20, 25 impiegano il verbo composto katakyriéuo contro l'abbreviazione di Lc kyrieuosin .. Tutti i testi comunque mettono in discussione i modi più appropriati di ministero; e tutti i testi usano il verbo per esprimere la parte negativa di contrasto, sia 1 Pt 5, 5 che Lc 22, 26 impiegano il termine neóteros , mentre invece in Mc (10, 43) e in Mt (20, 26) è usato diàkonos . Tuttavia l'implicazione in tutti i testi è la necessità d'essere umili, come 1 Pt 5, 5b dichiara esplicitamente » (33) .

L'indagine sull'uso dei sinottici in Pietro e nel quarto vangelo del termine neôteros, fornisce ulteriori elementi per la ricerca della tradizione orale di ordinamento ecclesiale. Vengono qui presentati i passi esaminati dall'Elliott che non sono già stati prodotti dallo Spicq e che servono al duplice scopo di rinvenire il filone di questa tradizione e dare una base all'ipotesi della nuova lettura del vocabolo neôteros .

« Neôteros in Lc 22, 26 potrebbe significare giovane d'età, ma il contrasto con 'o meizon suggerisce una subordinazione, più che una precisazione cronologica. In corrispondenza a « chi è grande tra voi» (v. 26ba) c'è «chi comanda » (v. 26ca); e in corrispondenza di « sia come il neôteros di voi» (v. 26 dB) c'è « sia come colui che serve» (v. 26 cB).
Sapendo che nel N.T. egoumenoi indica i governanti della comunità, dando credito alla tesi dello Jeremias(34) secondo la quale diakonôn , in questo contesto, equivale alla carica ufficiale di diàkonos (mancante in Lc) e considerando che delle 11 ripetizioni di neôteros nel N.T. 7 appaiono nel contesto coincidenti con il ministero e l'ordinamento ecclesiale, sembra evidente la conclusione seguente: l'argomento di questa pericope, la sua terminologia e la sua struttura, il suo legame con 1 Pt 5, 1s e l'uso generico di neôteros nel N.T. indicano l'influenza di una tradizione di ministero e di ordinamento ecclesiale. Luca, e se 22, 24-27 è pre-lucano, le fonti di Luca, Mc e Mt e l'autore di 1 Pt si disposero tutti in questa ancora flessibile tradizione.
All'interno di questa tradizione, neôteros (neôteroi ) qualificava quei membri della comunità, che si differenziavano in essa, ed erano subordinati ai governanti »(35) .

Da questo esame si evidenzia un legame tra i sinottici e 1 Pt, atto a provare la loro comune dipendenza da una preesistente tradizione di ministero, e una prima identificazione generica dei 'giovani' che si accorda con il risultato dell'analisi dello Spicq. Le Pastorali non ci aiutano a chiarire meglio il senso di neôteros, mentre invece corroborano l'ipotesi circa la tradizione di ministero.

« In 1 Ti5, 1-2 a Timoteo è detto di non rimproverare un presbyteros, ma di esortarlo come un padre, e i neôteroi come dei fratelli; le presbyterai come madri, e le neôterai come sorelle, in tutta castità. Gli si fa anche rifiutare le vedove giovani (neôteras ) che si rivolgevano alla comunità per aiuto (5, 11) ed è ulteriormente ammonito a lasciare maritare alcune giovani vedove ( neôteras) (5, 14). Il significato « giovane d'età » in ogni caso pare essere pertinente. Ma la differenziazione di presbitero (as) neôteroi (ai), accoppiata alla evidente competenza ufficiale dei oi kalôs presbyteroi in 5, 17 e del presbyteros nel v. 19 (e presbyterion di 4, 15), indica la mescolanza dei termini per l'età con quelli d'ufficio o di condizione. Inoltre, nella sua ultima citazione, nel finale, sulla comunità in Tt 2, 1-10, gli uomini anziani ( presbyteis ), le donne anziane ( presbytides ), i giovani uomini ( neai ) e gli schiavi sono esaminati seriatim come l'oggetto dell'insegnamento di Tito. In questo elenco, ci aspetta di leggere in parallelo a tas neas (giovani donne v. 4) tous neous . Ma invece per i giovani uomini, troviamo il comparativi familiare tous neôtérous (v. 6). Potrebbe forse risiedere la ragione di ciò nel fatto che i neôteroi fossero concepiti dall'autore come un gruppo specifico all'interno della comunità, un gruppo che indicasse di più che l'essere semplicemente giovani uomini? Indubbiamente ciò sembrerebbe il caso. Nel versetto seguente Tito, inviato dall'apostolo Paolo a capo della Chiesa, è così esortato: « In tutto rispetto presenta te stesso come modello ( typon) di buone azioni, nel tuo insegnamento dimostra integrità, dignità, linguaggio corretto al di sopra di critiche, così che gli oppositori possano essere svergognati, non avendo nulla di cattivo da poter dire contro di noi ». Per la precisione lo stesso comando — essere d'esempio ( typon ) a quelli affidati alla loro cura — è dato ai presbiteri-pastori di 1 Pt 5,1ss. In Tito così come in Pt (e per implicazione in Lc), i capi devono essere d'esempio per i neôteroi . perciò c'è ragione di credere che il tema dell' « esempio » appartenne alla nostra tradizione di ministero e ordinamento ecclesiale e diede ad essi frequente importanza nella letteratura del N.T. » (36) .

J.H. Elliot raccoglie altri elementi fondanti l'ipotesi della tradizione di ministero e ordinamento ecclesiale esplorando le letterature qumranica e neotestamentarie per avallare l'ipotesi per cui i neôteroi sarebbero «giovani nella fede ».

L'autore si chiede chi siano gli iniziati della comunità di Qumran che dovevano essere esaminati tre volte all'anno dal mebaqqer (sovrintendente) circa l'osservanza della legge (1 QS 6, 13-23, cf CD 9, 13.14) e nota che questi iniziati sono dei giovani poiché solo a 20 anni possono far parte della comunità. Tenuto conto poi dell'influenza che l'organizzazione, la terminologia ed il pensiero qumranico hanno avuto sul N.T. in generale e le affinità evidenziate tra 1 Pt 5 e Qumran (37) l'Elliott ritiene possibile che nel linguaggio cristiano neôteroi designasse gli iniziati alla comunità escatologica .

In 1 Co 16, 15-16 Paolo esorta i Corinzi ad essere subordinati ( ypotàssesthe) alla famiglia di Stefana che fu la primizia dei convertiti dell'Acaia. Il verbo è lo stesso usato in 1 Pt 5, 5. Come per Stefana e la sua famiglia, così per Timoteo (1 Ti 4, 12), sembra sia la maturità nella fede a qualificarli per la guida della comunità; ne è comprova il fatto che si vieti ad un neofita (1 Ti 3, 6) di essere presbitero.

Se la direzione della chiesa è affidata ad uomini maturi nella fede, è altrettanto logico raccomandare ai giovani nella fede , ai neofiti , di obbedire agli «anziani ». Nella pericope di Giovanni 21 si usa il termine neôteros riferendolo a Pietro (v. 18); la nota editoriale seguente (v. 19) interpreta i segni della vecchiaia teologicamente, descrivendo la morte di Pietro glorificante il Signore. E' perciò possibile pensare che neôteros nel concetto di Gv 21 indichi Pietro sulla fase iniziale di discepolato, Pietro di recente convertito. Un'ulteriore conferma va osservata nelle numerose sorprendenti affinità tra:

« Gv 21, 15-23 e 1 Pt 5, 1-5 e paralleli. L'uomo Pietro comune ad entrambe. Il ruolo e la funzione di Pietro in Lc 22, 31-34, una pericope con affinità interessanti con Gv 21, 15ss, alludono ulteriormente all'importante ruolo di Pietro e della tradizione petrina all'interno della più diffusa tradizione di ordinamento e ministero ecclesiale.
2) La metafora del pastore/pecora per il ministero (Gv 21, 15.16.17; 1 Pt 5, 2; cf 2, 25).
3) la metafora del vestirsi da solo che esprime sia il differimento dal volere dell'altro (Gv 21, 18b) sia l'umiltà davanti agli altri (1 Pt 5, 5b).
4) L'argomento del discepolato (Gv 21, 19.20.22, akolúthein ; 1 Pt 2, 21 epakolouthésesthai nel contesto della parabola della pecora 2, 25).
5) Riferimento all'apparizione finale del Signore (Gv 21, 29; 1 Pt 5, 4).
6) L'elemento in comune «gloria/glorificazione » (Gv 21, 19; 1 Pt 5, 1).
7) La contestazione del grado (carica) sollevata da entrambi (Gv 21, 15.20.23; 1 Pt 5, 3).
8) La relazione che ogni passaggio ha con Gv 13. In Gv entrambe le parti sono inerenti al «discepolo prediletto » ed entrambe hanno a che fare con situazioni di cena. 1 Pt 5, 1-5 è in relazione con Gv 13 attraverso la sua concomitante coincidenza con Lc 22, 24ss che implica pure una cena o una disposizione eucaristica.
9) Infine, i comuni punti di contatto tra Gv 21, 15-23, 1 Pt 5, 1-5 e Mc 10, 35-45 e paralleli, suggeriscono un uso indipendente di una comune tradizione di ministero e ordinamento ecclesiale » (38) .

Un'usanza ellenistica documentata in un'iscrizione del 300 a.C., nella quale si distinguono i cittadini giovani (oi neôteroi kaì 'oi 'alloi p(olit)ai) (39) recentemente introdotti nella città e non ancora iscritti ai borghi, favorisce la nozione di 'neofita ' per neôteros .

Le coincidenze fra i sinottici, Giovanni e 1 Pt, non provano, secondo il nostro autore, la dipendenza letteraria dei sinottici da 1 Pt o viceversa, poiché le divergenze tra questi scritti non consentono tale conclusione. In ciò l'Elliott si discosta dalla tesi di W. Nauck(40) che ha fissato una linea storica di tradizione letteraria di ordinamento ecclesiale le cui radici si trovano nell'ufficio e nella funzione del mebaqqer qumranico: mebaqqer-1 Pt-Ippolito (Tradizione Apostolica, Omelie Peseudoclementine, Didascalie, Costituzioni Apostoliche).

La tesi del Nauck, a parere di J.H. Elliott, non è provata perché:

« Nauck non è stato in grado di allacciarsi a una fonte specifica scritta da cui il testo petrino era presumibilmente dipendente. Le somiglianze dei nostri versi col precedente e ulteriore materiale consta di termini individuali e relative strutture, ma non di completi passaggi o testi »(41) .

Questa tradizione orale può avere la sua genesi, il suo Sitz im Leben, nella catechesi battesimale della chiesa primitiva . L'ipotesi è fondata dall'Elliott sulle indagini di E.G. Selwyn (42) e di M.E. Boismard(43) e sulla probabile dipendenza di Gv 13 dalla tradizione battesimale. Di quest'ultimo Elliott accetta la critica redazionale su 1 Pt 5, 5 che sposta il versetto dopo la pericope 2, 13 -3, 7, ritenuta una liturgia battesimale.

Le fasi neotestamentarie della tradizione orale «sembrano coincidere con i logia riguardanti il ministero proprio di Gesù di umile servizio (Mc 10, 45; Mt 20, 28; Lc 22, 27) che sono poi variamente usate per rispondere all'emergente questione del ministero e della carica all'interno della comunità post-pasquale (Mc 10, 42-44; Mt 20, 25-27; Lc 22, 24-26; Gv 21, 15-23; 1 Pt 5, 1-5). In questo periodo abbastanza tardivo furono situate in una più estesa struttura redazionale del discepolato e di auto-abnegazione (Mc 10, 35-45; Mt 20, 20-28 l'annuncio della passione; Gv 21, 15-23) »(44) .

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Conclusione

J.H. Elliot propone, alla luce di questa tradizione d'ordinamento, che neôteros designi le persone recentemente battezzate, mentre là dove sia evidente questa tradizione, verrebbe invece a ricevere un senso ministeriale. In quest'ambito si rivela difficilmente sostenibile l'alternativa 'giovane d'età — ministro di grado inferiore' — poiché sia giovinezza che condizione più bassa nel corpo ecclesiale possono adattarsi ai neôteroi ed ai neofiti .

Lo studio molto ricco dell'Elliott, professore all'Università di S. Francisco, che ci ha presentato in un contesto ampio attendibili ipotesi sul nostro passo di 1 Pietro, merita attenzione e indagine ulteriore perché contiene, oltre gli argomenti su esposti, note sul problema della paternità petrina, riaperto da R.H. Gundry (45) nell'introduzione, una nota di plauso alla recente opera di Hans Küng «La Chiesa »(46) e appunti per la ricerca della connessione fra ministero di direzione ecclesiale e celebrazione eucaristica.

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NOTE A MARGINE

1 Mancante nel papiro Bodmer e nei codici Alessandrino e Sinaitico. Cf K. Aland - M. Black - B.M. Metzeger - A. Wikgren, The Greek New Testament, American Bible Society, Stuttgart 1966. torna al testo

1bis. Lisowsky G., Konkordanz zum Hebräischen Alten Testament, Stuttgart 1958, p. 452 voce «zakén ». torna al testo

2. Herbert Haag, Dizionario Biblico, E.E.I., p. 72. torna al testo

3. Hatch-Redpath, Concordance to the Septuagint, Graz 1954, vol. II, p. 1202. torna al testo

4. Le citazioni degli autori greci e tutta l'indagine sull'uso della parola epìskopos , sono desunte da Theologisches Wörtebuch zum Neuen Testament di G. Kittel - G. Friedrich, nella trad. ital. Grande Lessico del N.T., Paideia, vol. III, pp. 756-790. Voce a cura di H.W. Beyer. torna al testo

5. Citato da F. Salvoni, Da Pietro al Papato, Lanterna, Genova 1970, p. 214. torna al testo

6. Cf. K. Staabl - J. Freundorfer, Le lettere ai Tessalonicesi e della cattività e Pastorali, Morcelliana, Brescia 1961, p. 325. torna al testo

7. T.W., N.T., o.c., p. 781. La direzione del culto da parte dei presbiteri-vescovi non è presentata dal solo N.T. torna al testo

8. Cf- P. Martinetti, Gesù Cristo e il Cristianesimo, Saggiatore, Milano 1964, p. 258. torna al testo

9. Max Zerwick, Analysis Philologica Novi Testamenti Graeci, P.I.B. Roma 1953, ad Philipp. 1, 1, p. 438. torna al testo

10. Ph. H. Menoud, L'Eglise et les ministères selon le Nouveau Testament, Delachaux & Niestlé, pp. 174s. Paris 1949. Presentato anche da J.J. von Allmen, Vocabulaire biblique, Delachaux & Niestlé, pp. 174s. torna al testo

11. Girolamo, Comm. Tito, citato da F. Salvoni, Dal Cattolicesimo al Cristianesimo. torna al testo

12. G. Liddel - R. Scott, A Greek-English Lexicon, Oxford 1968, p. 1430. torna al testo

13. A. Schmoller, Handkonkordanz zum griechischen Neuen Testament, Stuttgart 1969, p. 423, voce «poimaìnein». torna al testo

14. Cf Rm 12, 8; 1 Te 5, 12; Eb 13, 7. torna la testo

15. Per le cause dell'affermazione del vescovo-monarca, cf F. Salvoni, Da Pietro al Papato, pp. 223-240. «Dal Collegio Presbiteriale all'Episcopato Monarchico». Per l'inesistenza dell'episcopato monarchico nelle pastorali, cf Norbert Brox, Le Lettere Pastorali, Morcelliana, Brescia 1970, nota 4, pp. 222-228. torna al testo

16. H. Schelkle, Disciple et apôtre, p. 36, citato da P. Eyt, Vers une Eglise démocratique? in «Nouv. Rév. Theol.», 6, 1969, nota 1, p. 36. torna al testo

17. Paul Ricoeur, Histoire et vérité, p. 257, citato da P. Eyt, l'élément «politique» dans les structures ecclésiales in «Nouv. Revue Theol.», 1, 1970. p. 5. torna al testo

18. Cf 1 Co 12; Rm 12, 6s; Ef 4, 11. torna al testo

19. H. Hoekendijk, Strutture e ministeri, in IDOC 1, 1970, p. 46. torna al testo

20. P.N. Sales, Il N.T. commentato, LICET, Torino 1925, p. 552; H. Windisch - H. Preisker, Die Katholischen Briefe, in HNT 15, Tubingen 1951; W. Michaelis, Das Altestament der Christlichen Gemeinde im Lichte der Heiligen Schrift, Bern 1953, pp. 125s; B. Reicke, The Epistles of James, Peter and Jude, in The Anchor Bible, Garden City 1964, p. 130. torna al testo

21. U. Holzmeister, Commentarius in epistulas Petri et Judae, in Cursus Scripturae Sacrae 3/13, Paris 1937; J.M. Moffat, The General Epistles James, Peter and Jude, New York 1928; O. Bauernfeind, Die Apostelgeschichte, Leipzig 1939, pp. 86s; G. Stählin, Die Apostelgeschichte, in Das Neue Testament Deutsh 5, 1962, p. 84; Benedikt Schwank, Der erste Brief des Apostel Petrus, Düsseldorf 1963, trad. it. Prima lettera di Pietro, Città Nuova Roma 1964, p. 119; ripete la tesi di Joseph Felten, Die zwei Briefe des Heiligen Petrus und der Judasbrief, Regensburg 1929; P. De Ambroggi, Le epistole cattoliche di Giacomo, Pietro, Giovanni e Giuda, Marietti, Torino 1949, pp. 151-152, nota 5. torna al testo

22. E.G. Selwyn, The first Epistles of St. Peter, London 1947 (ristampa 1964); E. Schweizer, Der erste Petrusbrief, in Zürcher Bibelkommentare 1949, p. 104; C.E.B. Granfield, I-II Peter and Jude, in «Torch. Bible Commentaries», London 1960, pp. 131-132; K.H. Schelkle, Die Petrusbriefe der Judasbrief, 13 Freiburg 1961, p. 130; A.M. Stibbs, The First Epistle General of Peter, in Tyndale, N.T. Commentaires, Grand Rapids 1959, p. 169; C. Spicq, Les Epîtres de Saint Pierre, Paris 1966, p. 170. torna al testo

23. C. Bigg, A Critical and Exegetical Commentary on the Epistles of St. Peter and St. Jude, ICC Edinburgh 1902, p. 130; F.W. Beare, The First Epistles of Peter, Oxford 1963, p. 175; R. Leconte, Les Epîtres Catholiques de Saint Jacques, Saint Jude et Sant Pierre, Paris 1961. torna al testo

24. C. Spicq, La place ou le rôle des jeunes dans certaines communautés néo-testamentaires, in «Revue Biblique» (1969), pp. 509-511, cf note 3, 4, 5 «Paolo ricorda ai gerosolimitani la suanéotés quando egli era studente ai piedi di Gamaliele (At 26, 4) e menziona quella di Timoteo vescovo di Efeso (1 Ti 4, 12...) che doveva avere nel 66 da trenta a quarant'anni... »(nota n. 9). torna al testo

25. Ivi, p. 518. torna al testo

26. Ivi, cf bibliografia nelle note 46, 47, 48, 49, p. 519. torna al testo

27. Ivi, p. 521. torna al testo

28. Ivi, p. 518, nota 41. torna al testo

29. Ivi, p. 522, nota 64, cf 1 Ti 2, 22. torna al testo

30. Ivi, p. 527. torna al testo

31. J.Michl, Le Lettere Cattoliche, Morcelliana, Brescia 1968, p. 197. torna al testo

32. John H. Elliott, Ministry and Church Order in the N.T.: A Traditio-Historical Analysis (1 Pt 5, 1-5 and pils.), in «Cath. Bibl. Quarterly» July (1970), pp. 367-391. torna al testo

33. ivi, p. 374-375, cf bibliografia alla nota 31, p. 375. torna al testo

34. J. Jeremias, Das Lösegeld für Viele, citata da Elliott alla nota 31. torna al testo

35. J.H. Elliott, art. cit., pp. 376-377. torna al testo

36. Ivi, pp. 377-378. «In Mc-Mt, ed altrettanto bene in Lc, la ragione dell'esempio è evidenziata dal fatto che Gesù stesso (Mc 10, 45/Mt 20, 28/Lc 22, 27) è l'esempio della chiesa per eccellenza», nota 42, p. 378. torna al testo

37. cf. nota 52 per la bibliografia inerente. Si riporta qui l'ultima parte della 52° che ha particolare relazione con 1 Pt 5, 5a: (in) 1 QS 5, 20 e ss. ...è richiesta una mutua obbedienza «l'uomo di grado inferiore ( haqqaton) deve obbedire al suo superiore ( gadol) (5, 23; 6, 2). Entrambi na'ar e qaton sono prodotti con neôteros nei Settanta» Ivi, p. 383. torna al testo

38. « Dopo aver esteso questa conclusione indipendentemente, ho scoperto, con soddisfazione, che A. Schlatter ha sostenuto a lungo, sebbene non in maniera identica, simile teoria. In Der Evangelist Johannes, Stuttgart 1960, pp. 371-372, egli suggerisce che il contrasto « caratterizza l'attività apostolica in opposizione al comportamento naturale ». Il paragone di Pietro con un vecchio è espressione di « completa dipendenza » alla grazia e all'opera di Dio. Schlatter, comunque, non esamina il significato neotestamentario di neôteros . Bultmann, Das Evangelium des Johannes, in KEK, Göttingen 1959, pp. 552-553, rifiuta questa proposta di Schlatter e Schwartz, in ZNW, 15 (= Zeitschrift für Theologie und Kirche, n. 15), 1914, p. 217, ritenendo il v. 18 un proverbio usato per predire il martirio di Pietro » J.H. Elliott nota 59. p. 383. torna al testo

39. Moulton-Milligan, The Vocabulary of the Greek New Testament, illustrato da papiri ed altre fonti non letterarie, London 1914-1930, pp. 425-426. Citato da J.H. Elliott alla nota 49, p. 379. torna al testo

40. W. Nauck, Probleme des frühchristlichen Amtsverständnisses (1 Pt 5, 2s), ZNW 48, 1957, pp. 200-300. Citato da Elliott nota 19, p. 372. torna al testo

41. J.H. Elliott, o.c., p. 373. torna al testo

42. E.G. Selwyn, Church order and unity, specialmente pp. 415-439, cit. da Elliott, nota 82, p. 388. torna al testo

43. M.E. Boismard, Une liturgie baptismal dans la Prima Petri II. Son influence sur l'Epître de Jacques, in «Revue Biblique» 64, 1957, pp. 161-183; 177-180. Discorso ampliato in Quatre Hymnes Baptismales dans le première epître de Pierre, in «Lectio Divina», 30 Paris 1969, pp. 133-163, cf J.H. Elliott, nota 14. torna al testo

44. J.H. Elliot, p. 390. torna al testo

45. R.H. Gundry, «Verba Christi» in 1 Pietro; le loro implicazioni riguardanti la paternità di 1 Pt e l'autenticità della tradizione evangelica, in «New Testament Studies» 1967, pp. 336-350, cf Elliott, nota 79. torna al testo

46. Cf in proposito la recentissima diversa valutazione di P. Grelot, La structure ministèriale de l'Eglise d'après Saint Paul, in «Istina», 4, 1970, pp. 389-424. torna al testo