LA  PRIMA  LETTERA  DI  PIETRO

SPUNTI  DI  ESEGESI
La posizione della donna
(1 Pietro 3, 1-7)
 di Luciana Caddeo


INDICE

Introduzione e testo
1. Siate soggette ai vostri mariti
2. Siano guadagnati senza parola
3. L'ornamento della donna
4. L'esempio di Sara
5. Parimenti voi mariti
6. Onde le vostre preghiere non siano impedite
Conclusione


Introduzione e testo

La posizione della donna nella prima epistola petrina è contenuta nel brano seguente:

« Parimenti voi, mogli, siate soggette ai vostri mariti, affinché, se anche ve ne sono che non ubbidiscono alla Parola, siano guadagnati senza parola dalla condotta delle loro mogli, quando avranno considerato la vostra condotta casta e rispettosa.

Il vostro ornamento non sia l'esteriore che consiste nell'intrecciatura dei capelli, nel mettersi attorno dei gioielli d'oro, nell'indossare vesti sontuose, ma nell'essere occulto del cuore fregiato dall'ornamento incorruttibile dello spirito benigno e pacifico, che agli occhi di Dio è di gran prezzo. E così infatti si adornavano una volta le sante donne sperando in Dio, stando soggette ai loro mariti, come Sara che ubbidiva ad Abramo, chiamandolo Signore; della quale voi siete ora figliole, se fate il bene, e non vi lasciate turbare da spavento alcuno.

Parimenti voi, mariti, convivete con esse con la discrezione dovuta al vaso più debole ch'è il femminile. Portate loro onore, poiché sono anch'esse eredi con voi della grazia della vita, onde le vostre preghiere non siano impedite» (1 P7 3, 1-7).

1. Siate soggette ai vostri mariti

Queste parole sembrano una spina nel fianco dell'emancipazione femminile, tuttavia l'avverbio greco «omoios» (parimenti, similmente, allo stesso modo) (1) sottolinea la continuità del discorso con il capitolo precedente, nel quale il tema fondamentale è quello di non scandalizzare i gentili. I cristiani, popolo santo e regale sacerdozio, , devono turare la bocca agli uomini stolti facendo il bene; perciò i liberi cittadini vengono esortati a essere sottomessi alle autorità civili (1 Pt 2, 13-17), gli schiavi ai loro padroni anche se non buoni (2, 18-20), le donne ai loro mariti, anche se gentili. La donna non deve scandalizzare i gentili stando soggetta, secondo la mentalità ebraica, al proprio marito che non le riconosceva alcuna libertà di scelta.

« La donna israelitica, a prescindere da qualche problematico residuo di matriarcato, dal punto di vista giuridico è più cosa che persona »(2) .

Avere per figli delle femmine era visto quasi come una sciagura:

« Fortunato chi ha figli maschi, infelice chi ha femmine »(3) .

Tale mentalità retrograda si manifestava in ogni atto della vita, persino nella grammatica della lingua ebraica dove:

« Le cose inanimate, astratte, di nessun genere, che in altre lingue si esprimono col neutro, in ebraico appartengono per lo più al genere femminile »(4) .

La donna non poteva partecipare direttamente al culto assieme all'uomo, ma doveva rimanerne appartata:

« Nel tempio di Erode alle donne era riservata la parte orientale dell'atrio — atrio delle donne — (Flav. Ios., Ap 11, 104). Nelle sinagoghe le donne sedevano in posti speciali, spesso in matronei dietro grate, come semplici spettatrici. La donna era tenuta solo in parte all'osservanza della Torà, allo studio non aveva nemmeno diritto. Erano tuttavia possibili eccezioni, come nel caso di Valeria o della madre di Rabina. Le donne, come i bambini e gli schiavi, non erano tenute a recitare lo « Shema» e a portare le filatterie della preghiera, ma erano tenute alla preghiera quotidiana, alla «mezuza » e alla preghiera prima dei pasti (Ber. 3. 3). Non erano però invitate a recitare in comune la preghiera prima dei pasti: « recitano la preghiera a tavola (prima dei pasti) » (b. Ber. 20b). Teoricamente pare che le donne potessero leggere la Torà nelle sinagoghe. Ma la tradizione voleva che tacessero » (5) .

In questa situazione psicologica, in questo «Sitz im Leben » ben definito, completamente diverso dal nostro, Pietro esorta le donne alla sottomissione incondizionata. Questa purtroppo era la triste situazione per le donne del tempo; siano state esse credenti o meno.

Pietro, rivolgendosi in particolare a donne sposate con mariti non credenti, insegna loro il metodo migliore per convertirli. Per raggiungere tale scopo, passa in seconda linea il fatto che la sottomissione sia uno stato di inferiorità, che la donna abbia a liberarsi da una secolare e pagana oppressione, alla quale forse non si pensava nemmeno.

« Il dovere primo del credente è quello della testimonianza e la testimonianza all'opera redentrice di Cristo può essere resa solo mediante il servizio »(6) .

L'abbassarsi, nella Scrittura, non è mai indice di degradazione, ma di elevazione (7) e questo brano petrino, sia pure con nuove espressioni più adatte al nostro contesto sociale psicologicamente diverso, salverebbe ancora oggi molti matrimoni e, perché no, anche molte anime.

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2. Siano guadagnati senza parola

L'esempio deve convertire più che le parole, infatti a nulla valgono queste se non sono seguite dalla vita pratica(8) perciò Pietro raccomanda in particolare modo alle donne, « famose» per le loro chiacchiere, di convertire i loro mariti senza parola. Il buon comportamento, l'unico metodo per avvicinare a Cristo i mariti increduli, è una parola predicata in silenzio, ma in modo assai più eloquente. La loquacità femminile era proverbiale già nell'antichità:

« Dieci qab di loquacità sono scesi sul mondo, nove li hanno preso le donne e uno il resto del mondo» (b. Qud).

Di più la parola di una donna era allora poco considerata:

« La donna non può rendere testimonianza, non può educare i figli, non può recitare la preghiera » (9) .

Un ebreo che si facesse rispettare, non si sarebbe mai intrattenuto a parlare con una donna, né avrebbe cercato di istruirla:

« Non bisogna intrattenersi con una donna, nemmeno con la propria » (cf Gv 4. 9-27; b. Erub 53b, Ab 1, 5) (10)
Secondo un pregiudizio rabbinico d'allora, mettersi a dare una qualunque istruzione religiosa a una donna, era tempo perso(11) .

Conoscendo questa situazione psicologica è facile comprendere lo stupore dei discepoli di Gesù quando, ritornando a lui, lo scorgono mentre « stava parlando con una donna» (Gv 4, 27) e per giunta una samaritana. I discepoli di Gesù avranno anche, forse, ricordato il detto ebraico:

« Non ti intrattenere a lungo con una donna... quando si parla troppo con una donna si attira la sventura sopra di sé, si abbandonano le parole della Torà e si finisce per l'avere La Geenna »(12) .

Di regola gli ebrei non volevano che la donna s'accostasse al rotolo della legge e, quando i rotoli erano molto vecchi, si preferiva bruciarli anziché farli esaminare dalle donne, mogli o figlie:

« Si brucino le parole della Torà, ma non siano comunicate alle donne (J. Sota 19 a 18). Chi insegna a sua figlia la Torà, le insegna la dissolutezza (Sota 3, 4 cf Soba 21b) » (13) .

Una donna quindi che avesse cercato di convertire suo marito con la discussione, avrebbe compiuto più danno che bene. Perciò — dice Pietro — la moglie credente cerchi di convertire il marito con una condotta casta e rispettosa, senza discorsi e senza fiumi di parole che, per quanto buone, continuerebbero a essere valutate chiacchiere inutili dal marito. Il Nuovo Testamento non è quindi un inno alla emancipazione femminile, ma una « medicina» che lentamente tende a trasformare l'intimo di chi accetta Cristo. Dicendo « senza parole», Pietro non aveva alcuna intenzione di ordinare alle mogli di divenire mute con i loro mariti, ma, secondo lo stile ebraico che tende a sviluppare il particolare fino al punto d'apparire a noi una esagerazione, voleva invece sottolineare un certo atteggiamento d'umiltà della moglie cristiana verso il marito, specialmente se miscredente (14) .

Il cristianesimo ha portato la società ad abolire la schiavitù, alla emancipazione femminile, ai diritti dei figli, a un progresso sociale senza rivoluzioni cruente, ma con un lento maturare che trasforma l'animo umano, le convinzioni secolari, le tradizioni radicate. «Lasciate che il vino nuovo rompa gli otri vecchi» (15) Così l'apostolo Pietro non invita la donna alla ribellione, all'uguaglianza, al voler convincere a tutti i costi, ben sapendo che questo difficilmente avrebbe portato al cambiamento del cuore. Sarà soltanto dopo che il comportamento casto, rispettoso e sottomesso avrà portato il non credente alla fede, che il cuore trasformato muterà anche il rapporto familiare di padrone e schiavo trasformandolo in un vincolo a due, uniti in una sola carne in Cristo.

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3. L'ornamento della donna

E' significativo che Pietro, dopo aver parlato della sottomissione silenziosa della donna, si preoccupi di correggere un'altra consuetudine femminile, quella di farsi notare attraverso l'aspetto esteriore:

« Il vostro ornamento non sia l'esteriore che consiste nella intrecciatura dei capelli, nel mettersi attorno dei gioielli d'oro, nell'indossare vesti sontuose, ma l'essere occulto del cuore fregiato dell'ornamento dello spirito benigno e pacifico, che agli occhi di Dio è di gran prezzo » (1 Pt 3, 3-4).

Come non era opportuno per la donna cercare di convertire il marito con la dialettica, così ancora meno le conveniva attirarlo con la seduzione. le donne cristiane non devono usare gli stessi metodi delle donne del mondo per indurre i loro mariti a fare quello che desiderano. A questo proposito è interessante quanto dice Giorgio Bouchard:

« A queste donne Pietro propone la stessa linea di condotta dei servi cristiani: non dovevano cercare di risolvere il loro problema ricorrendo ai mezzi che la società pagana le incoraggia ad usare; buona pettinatura, gioielli, eleganza: usando questi mezzi per acquistare influenza sul marito, esse non farebbero che confermare quella inferiorità di cui soffrono; il comportarsi come schiave di lusso non elimina la loro schiavitù: la maschera e la aggrava» (16) .

Che questo insegnamento sia però per tutte le donne cristiane, lo comprendiamo dal fatto che anche l'apostolo Paolo dà lo stesso insegnamento sul modo di adornarsi femminile:

« Similmente che le donne si adornino d'abito convenevole, con verecondia e modestia; non di trecce d'oro o di perle o di vesti sontuose, ma d'opere buone, come s'addice a donne che fanno professione di pietà » (1 Ti 2, 9s).

Alcuni, in questi passi, hanno visto un chiaro divieto di seguire la moda, di truccarsi, di portare gioielli. Su questi versetti trovarono appoggio le tendenze ascetiche di Savonarola (17) e i movimenti pietisti(18) fino al punto che alcuni di questi finirono per imporre, in particolare alle donne, una forma di vestire che rasentava il ridicolo. Volevano Pietro e Paolo che le donne cristiane si distinguessero per la loro trascuratezza verso la propria persona, oppure il motivo di tanta apostolica preoccupazione è da ricercarsi nei costumi degenerati di quei tempi? Fra l'indicibile miseria e povertà dei popoli antichi, il lusso, lo sfarzo, le ostentate ricchezze dei ricchi stridevano in modo assai evidente. Le donne passavano gran parte del giorno a curare la persona, ad acconciare i capelli e a sfoggiare sontuosi vestiti, procurandosi elaborate e costosissime acconciature femminili che richiedevano una cura continua da parte di numerose persone e l'uso di gioielli e perle(19) .

Essa curava diligentemente la sua chioma, senza risparmio, né di fatiche, né di spese (20) Nella sua invettiva contro le figlie d'Israele, Isaia fa un elenco di monili e dei vestiari usati dalle donne del suo tempo, facendo vedere fino a che punto era arrivato lo spreco del tempo e del denaro di queste donne:

« In quel giorno, il Signore strapperà il lusso degli anelli ai piedi, delle reti e delle mezzelune; gli orecchini, i braccialetti ed i veli; i diademi, le catenelle ai piedi, i cerchietti da naso; gli abiti da festa, le mantelline, gli scialli e le borse; gli specchi, le camicie finissime, le tiare e le mantiglie» (Is 3, 18-23).

Qui Pietro non proibisce affatto di curare la persona, la sobria eleganza, il desiderio di essere piacenti, ma piuttosto di dedicare troppo tempo e denaro a questi aspetti esteriori, perdendo di mira la vera bellezza, che è necessariamente interiore. Egli, non solamente contesta un certo atteggiamento malsano sviluppatosi in una società che aveva deformato i costumi naturali (21) ma propone che il tempo e il denaro siano piuttosto usati per opere degne a donne che fanno professione di pietà.

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4. L'esempio di Sara

Pietro, dopo aver messo a fuoco il problema, cerca ora di collegarlo all'atteggiamento delle donne pie del passato, fra le quali in nodo specifico, Sara moglie di Abramo.

« E così infatti si adornavano una volta le sante donne speranti in Dio, stando soggette ai loro mariti come Sara che ubbidiva ad Abramo, chiamandolo Signore, della quale voi siete ora figliole se fate il bene, e non vi lasciate turbare da spavento alcuno» (1 Pt 3, 5s).

Le sante donne del passato non sono rimaste nella memoria dei posteri per la loro bellezza od eleganza, ma furono immortalate per le loro opere e qualità morali. Così avvenne per Sara delle quali le donne credenti sono figliole:

« Se a giusta ragione tutti i credenti vengono chiamati figlioli di Abramo (Rm 4, 11-12; Ga 3, 7) in certo modo si può dire che le donne credenti siano figlie di Sara» (22) .

Come Abramo è diventato padre del popolo ebraico prima e dello Israele spirituale poi per la dimostrazione fattiva della sua fede, pur non avendo sempre avuto un modo di vivere esemplare, la stessa Sara è citata come esempio per la sua sottomissione al marito che chiamava «Signore ».

Però, come non basta essere passivamente sottomesse ai propri mariti per divenire figlie di Sara, così bisogna fare il bene e non lasciarsi spaventare da cosa alcuna. Non v'è posto alla passiva sottomissione, alla paura: « Senza avere paura di nulla », ciò

« può essere detto in senso generico; ma può riferirsi pure alla condizione critica di una moglie cristiana, la quale poteva anche essere trattata duramente dal marito che non voleva convertirsi »(23) .

Anche di fronte alla situazione più critica, come un marito miscredente, la figlia di Sara sa che Iddio è fedele e non permetterà che sia tentata al di là delle proprie forse (1 Co 10, 13). Anche quando tutto sembra precipitare, ella sa sorridere; Pietro l'esorta a non temere, ad essere forte sfidando le angherie e le persecuzioni senza lasciarsi andare a rinunciare alle proprie convinzioni. La donna che sa affrontare questa scabrosa situazione, non può essere accusata di mancanza di carattere, ma piuttosto nostra l'estrema prova di coraggio e, se nel marito c'è qualcosa di buono, finirà certamente per convertirlo.

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5. Parimenti voi mariti

Pietro conclude questa parte del suo discorso rivolgendosi ora ai mariti credenti per sottolineare la loro responsabilità:

« parimenti voi, mariti, convivete con esse (mogli) con la discrezione dovuta al vaso più debole ch'è il femminile. Portate loro onore, poiché sono anch'esse eredi con voi della grazia della vita » (1 Pt 3, 7).

Ritroviamo il termine omoios, parimenti, allo stesso modo: mentre prima si riferiva alle mogli che devono stare soggette al proprio marito, così ora ai mariti che devono «similmente » convivere con le loro mogli con la discrezione dovuta al « sesso» più debole (24) Qui Pietro si rivolge a quei mariti credenti che continuavano ad avere la stessa mentalità di prima, nei riguardi della donna e della moglie, mentre dovevano tenere bene in mente che anche le donne sono coeredi della stessa grazia divina. L'apostolo ricorda a questi mariti il proprio dovere verso la compagna della loro vita. La maggiore prestanza fisica dell'uomo non gli dà diritto di maltrattare la moglie, come dice Giorgio Bouchard:

« La libera sottomissione della donna credente all'autorità del marito non può mai diventare un diritto di cui l'uomo possa unilateralmente avvalersi: anzi, proprio l'inferiorità storica e le servitù biologiche della donna (vaso più debole), caricano sull'uomo la responsabilità di essere pieno di oculate attenzioni (discrezione) verso la moglie »(25) .

L'impegno del marito deve essere quello di amare la propria moglie come il suo stesso corpo, come qualcosa di sé, come la sua stessa carne (Ef 5, 25-33). In Cristo la moglie non è più oggetto di proprietà, un essere inferiore avente solo doveri, senza diritti; essa è ora erede della salvezza alla stessa stregua dell'uomo (Ga 3, 28s). Si viene così a spezzare il concetto di proprietà; svanisce il rapporto padrone-schiava, per rinascere l'unione dei due in un solo essere, come era nel principio, quando Dio creò all'uomo un aiuto pari a sé (26) a immagine e somiglianza di Dio stesso (Ge 1, 26ss).

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6. Onde le vostre preghiere non siano impedite

Pietro coglie l'occasione per sottolineare la vanità di un certo tipo di culto, l'inutilità di un certo tipo di atteggiamento religioso, di determinate preghiere, se non sono seguiti da una vera trasformazione interiore e da un comportamento adeguato. Se il marito cristiano perpetua nella famiglia una situazione pagana di arbitrio e di sfruttamento, è chiaro che non creerà in casa un'atmosfera per la preghiera in comune (1 Co 7, 5). Se le continue discordie coniugali rendono impossibile pregare assieme, come potrà Dio esaudire le preghiere fatte senza concordia spirituale? Per vivere in comunione con Dio è importante essere in pieno accordo con i fratelli, come dice Gesù stesso:

« Se due di voi sulla terra s'accordano a domandare una cosa qualsiasi, quella sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli » (Mt 18, 19).

Se è necessario che sulla terra «due», non necessariamente intimi, si accordino, tanto più è necessario che si accordino due della stessa famiglia per poter essere esauditi da Dio. Ma come raggiungere questa comunione di spirito? Solo nella parità dei doveri e dei diritti e dei coniugi, come dice anche Giorgio Bouchard, è possibile realizzare questo programma:

« Solo là dove questa eguaglianza di vocazione è pienamente riconosciuta, si stabilisce tra marito e moglie una vera comunità di fede che si esprime nelle comuni preghiere (1 Co 7, 5); ma come si può pregare assieme se si perpetua nella famiglia una situazione pagana di arbitrio e di sfruttamento?» (27) .

La vocazione cristiana non può essere vissuta isolatamente, ma soltanto in una comunione di persone concordi nella medesima linea di condotta, capaci quindi di rinunciare, non solo alla propria superbia e al proprio egoismo, ma talvolta anche ai propri diritti.

« La prima cosa che non va in molte famiglie è la mancanza di una vera apertura degli uni verso gli altri. Viviamo troppo come dietro a delle persiane abbassate» (28) .

Queste persiane abbassate possono venire sollevate solo dalla comprensione reciproca che non è assolutamente possibile in un clima di superiorità e inferiorità.

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Conclusione

Concludendo questo studio di 1 Pt 3, 1-7 ci è apparso chiaro che l'apostolo, parlando in un contesto storico completamente diverso dal nostro, non ha voluto affatto approvare il dominio dell'uomo sulla donna; non si è proposto di giustificare le angherie che la donna ha dovuto subire in quel tempo e nel corso dei secoli, non ha voluto insegnare che la donna chiami «signore» il suo marito, ma piuttosto ha cercato di ricordare alla donna fino a che punto deve giungere la sua abnegazione per amore di Cristo, al fine di non creare problemi e, attraverso l'amore, l'umiltà e l'esempio, convertire il proprio marito miscredente. Sarebbe un gravissimo errore credere che in questa epistola Pietro voglia giustificare o incoraggiare lo « status quo» della donna del suo tempo. Anzi è piuttosto evidente che la mancanza di rispetto verso la propria moglie annulla completamente la religiosità del marito (1 Pt 3, 7). Pietro vuole insegnare ancora oggi alla donna ad avere poche parole, ma molte opere di carità. In questo tempo in cui la donna tende sempre più a mascolinizzarsi, pensando in tal modo di annullare tutti i secoli di schiavitù, di oppressione, di repressione che l'uomo ha operato verso di lei, valgono le parole di Karl Barth:

« Bisogna che sia chiaro che essere in relazione non significa passare dall'altra parte, dissolversi nell'altro, negare il proprio sesso o operare, apertamente o nascostamente, uno scambio con quello dell'altro. Relazione significa rimanere saldamente in questo confronto con l'altro e dunque mantenere fermamente anche la propria particolarità »(29) .

Pietro riconduce, forse crudamente, alla realtà di essere donna con i suoi doveri e le sue particolarità. Non cerchi la donna di evadere dal proprio stato femminile e dalla consapevolezza di essere donna. Ella non ha nulla da invidiare all'uomo e non ha da competere con lui «copiandolo » nelle sue mansioni essendo essa fatta come il suo compagno ad immagine e somiglianza di Dio (Ge 1, 26ss). Non si tratta di superiorità o di inferiorità di un sesso sull'altro, ma di diversità di atteggiamento, di scopo e di scelta nel servire Dio. Una donna che si mascolinizza cerca inutilmente di mettersi in un posto che non le compete. Il che però non significa che non possa ora compiere molte cose, le quali per secoli sono state ritenute un «retaggio » dell'uomo; studiare, progredire culturalmente, entrare in nuovi campi di lavoro, pregare nell'assemblea, avere una parte attiva nella chiesa, non significa usurpare il posto dell'uomo, bensì riavere quei diritti che Dio le ha dato e che l'uomo le ha tolto (30) .

Come abbiamo visto, lo scopo dell'epistola è quello di esortare tutti i credenti a mostrarsi un esempio di fronte al mondo incredulo, consigliano i mezzi più idonei a ciascuno: a tutti dice di avere una buona condotta affinché dove sparlano di loro ne sia invece riconosciuta la correttezza; ai servi consiglia un modo esemplare di servire, fatto con sottomissione e lealtà; alle donne suggerisce di non suscitare scandali nella loro marcia verso l'emancipazione che era già in atto (31) agli uomini ricorda il loro dovere nel considerare la moglie come coerede nella salvezza e nel trattarla pertanto come un essere simile a Dio, pari a lui, senza approfittare della sua debolezza per sfruttarla, ma utilizzare le proprie prestanze fisiche per aiutarla e proteggerla.

« L'Apostolo esorta la parte credente della famiglia a dare una così eloquente testimonianza della propria fede, mediante una condotta irreprensibile e affettuosa, che anche gli altri ne siano convertiti »(32) .

Concludendo possiamo dire che la donna deve amare suo marito al punto da sottomettersi incondizionatamente e in silenzio per avvicinarlo a cristo. All'uomo possiamo applicare un famoso detto talmudico:

« Ama tua moglie più di te stesso e onorala più di te stesso. Sta attento a non farla piangere: Dio conta le sue lacrime »(33) .

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NOTE A MARGINE

1. Henry George Liddell - Robert Scott, in A Greek-English Lexicon, at the Claredon Press, Oxford 1968, pp. 1224-1225, alla voce omoios. torna al testo

2. A. Oepke, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, ed. Paideia, Brescia 1966, vol. II. p. 706, alla voce: guné . torna al testo

3. Ibid (b. Qid. 83b). torna al testo

4. Antonio Carrozzini S. I., Grammatica della lingua ebraica, ed. Marietti, Torino 1966, p. 29. torna al testo

5. A. Oepke, o.c., p. 723, alla voce; guné . torna al testo

6. Giorgio Bouchard, o.c., p. 106. torna al testo

7. Mt 23, 12; Gv 4, 10; cf l'esempio stesso di Gesù in 1 Pt 2, 21-25 e Fl 2, 5-11. torna al testo

8. Mt 23, 3; Gc 2, 14-18. torna al testo

9. A. Oepke, o.c., p. 709, alla voce guné . torna al testo

10. A. Oepke, o.c., 9. 709, alla voce guné . torna al testo

11. Giovanni Luzzi, Il Nuovo Testamento e Salmi, Società Fides et Amor Editrice, Firenze 1930, p. 300, commento a Gv 4, 27. torna al testo

12. Benedetto Prete, Vangelo secondo Giovanni, Rizzoli editore, Milano 1965, p. 142, commento a Gv 4, 27; dice che i rabbini ritenevano che la donna non fosse una persona degna di essere ammaestrata. torna al testo

13. A. Oepke, o.c., p. 709, alla voce guné . torna al testo

14. Johann Mich, Le Lettere Cattoliche, ed. Morcelliana, Brescia 1960, vol. 8/2, p. 174, commento a 1 Pt 3, 1. torna al testo

15. Mt 9, 17; Mc 2, 22; Lc 5, 37. torna al testo

16. Giorgio Bouchard, o.c., p. 107, commento a 1 Pt 3, 3-4. torna al testo

17. Carlo Marcora, Storia dei Papi, Edizioni Librarie italiane, Milano 1963, vol. 3, pp. 321-322. torna al testo

18. Karl Hussi - Giovanni Miegge, o.c., pp. 225-229. torna al testo

19. A. Ferri, in Enciclopedia della Donna, Editori Riuniti, Palermo 1965, vol. 1, pp. 276-277: «La donna egizia, come anche l'uomo, adorna il busto con larghi e pesanti collari di oro e pietre preziose... Altri monili e gioielli sono costituiti da bracciali ai polsi e alle caviglie, sul braccio, da diademi e cinture (...). Il trucco era largamente usato da uomini e donne; caratteristiche le tintura verde per le palpebre e quella nera per le sopracciglia (Assiria e Babilonia). Notevole era l'uso di gioielli per la cui lavorazione gli assiri erano celebri: bracciali, orecchini a pendente, collane a due e tre giri di perle, ecc. (...); le acconciature dei capelli sono caratterizzate da numerose trecce, fermate alla nuca con nastri, fermagli e reticelle». Vedi anche: (autori vari) Enciclopedia della Donna, Fratelli Fabbri, Milano 1963, vol. I, pp. 64. 106; Lincoln Barnett, Epopea dell'uomo, Arnoldo Mondadori Editore «Epoca», Milano 1957, cap. 9 «La prima civiltà europea». torna al testo

20. Herbert Haag, Dizionario Biblico, Società Editrice Internazionale, 1960, p. 168, alla voce: capelli , p. 657, alla voce: monili . torna al testo

21, Si notino soprattutto le deformazioni sviluppatesi specialmente nella cultura greca. Cf William Graham Cole, Sesso e amore nella Bibbia, ed. Longanesi & C., Milano 1967, pp. 191-193. torna al testo

22. Giorgio Bouchard, o.c., p. 106, commento a 1 Pt 3, 5-6. torna al testo

23. Giovanni Luzzi, Il Nuovo Testamento, commento a 1 Pt 3, 6, p. 787. torna al testo

24. Forma prettamente ebraica quella di definire la donna un vaso, forse perché si collegava la donna come un oggetto commerciabile, per lo più al commercio coniugale. E' chiaro però che in Pietro questo termine assume un significato più nobile quando dice: « Portate loro onore»; cf Johann Mich, Le Lettere Cattoliche, ed. Morcelliana, Brescia 1968, vol. 8/2, p. 176, commento a 1 Pt 3, 7; Settimio Cipriani, o.c., pp. 72-73, commento a 1 Te 4, 4-7. torna al testo

25. Giorgio Bouchard, o.c., p. 108, commento a 1 Pt 3, 7. torna al testo

26. Mt 19, 4-5; Ge 2, 23-24. La classica traduzione di Ge 2, 18 «aiuto convenevole», comune in molte traduzioni, non corrisponde esattamente al testo ebraico. Il termine ebraico neghed più che sottolineare la convenevolità dell'aiuto, designa un aiuto uguale all'uomo, che gli sta di fronte,, qualcosa di simile a lui; vedi Menachem Emanuele Artom, o.c., p. 532 alla voce « Nagad, Neghed»; P. E. Testa in La Sacra Bibbia, Genesi, ed. Marietti, Torino 1969, p. 291, traduce giustamente Ge 2, 18: «Poi Jahveh Elohim disse: Non è affatto bene che l'uomo sia solo; gli voglio fare un aiuto a lui corrispondente »; così vedi pure Giuseppe Morelli in Secoli sul Mondo, a cura di Giovanni Rinaldi, ed. Marietti, Torino 1965, p. 64. torna al testo

27. Giorgio Bouchard, o.c., p. 108, commento a 1 Pt 3, 7. torna al testo

28. Roy Hession, La via del Calvario, Crociata del libro cristiano, Firenze 1963, p. 49. torna al testo

29. Karl Barth, Dogmatica Ecclesiale, ed. Il Mulino, Bologna 1968, p. 248, cf anche tutto il cap. settimo, pp. 227-272. torna al testo

30. Oggi gli uomini dicono che le donne non possono pregare nelle assemblee, mentre in 1 Co 11, 5 è evidente che le donne, purché velate per non scandalizzare (soltanto le donne poco serie non portavano a quel tempo il velo ed era poco opportuno tentare un'innovazione proprio durante le assemblee religiose), pregavano e profetizzavano. Le donne vengono escluse dai consigli di Chiesa, mentre al 1° secolo avevano il diritto di parteciparvi e di esprimere il proprio parere (At 15, 22). Inoltre le donne insegnavano anche a uomini colti (At 18, 26) — sarebbe forse più opportuno dire che uomini colti non si sentivano umiliati ad essere istruiti da una donna; profetizzavano (At 21, 8; 1 Co 11, 5). torna al testo

31. Anche se a prima vista la posizione della donna ci sembra molto retrograda, possiamo invece constatare un notevole progresso: alcune donne avevano lasciato le loro case per seguire Gesù (Lc 23, 55; altre avevano continuato la loro peregrinazione con i loro mariti per evangelizzare (1 Co 9, 5); avevano diritto a partecipare alle riunioni non più appartate, assieme agli uomini avevano il diritto anche di prendere decisioni. «Non c'è qui nessuna aspirazione TUTTI  I  MEMBRI  DI   CHIESA hanno voce deliberativa», Il Nuovo Testamento con note spiegative, Libreria Editrice Claudiana, Torino, commento ad At 15, 22, p. 265; pregavano e profetizzavano anche in pubblico (At 2, 17, 1 Co 11, 5; erano scelte con gli uomini al ministero del servizio diakonia (Rm 16, 1). torna al testo

32. Il Nuovo Testamento con note spiegative, o.c., p. 522, commento a 1 Pt 3, 1. torna al testo

33. Angelo Penna, Le grandi religioni, o.c., cap. 5, in «La legge dell'Ebraismo, la Famiglia». torna al testo