Sacerdozio....
e ministeri
di Fausto Salvoni

CAPITOLO TERZO
IL MINISTERO SACERDOTALE NEL CORSO DEI SECOLI

Indice

1) Tutti sacerdoti
2) Creazione del Ministero Sacerdotale

a) L'esempio giudaico
b) Atti Sacrificali
c) Riforma e controriforma
d) Crisi sacerdotale, Vaticano II, Paolo VI
3) Ordinazione sacerdotale
a) Imposizione delle mani
b) Unzione dell'ordinato (sec. VIII-IX)
c) Conferimento dei vasi sacri (secoli IX.XIX)
d) Imposizione della mani (XX secolo)
4) Problemi aperti
a) Il carattere sacerdotale
b) Primi undici secoli
c) Dalla fine del XIX secolo
d) Discussione moderna sul carattere sacerdotale
e) Sacerdozio speciale del vescovo?
5) Il diaconato
1. Al tempo apostolico
2. Nel II secolo
3. Al III e V secolo
4. Al contrario dal VI al XX secolo
5. le più recenti modifiche
6) Conclusione

Lo stesso Signore promosse alcuni cristiani come ministri, in modo che nella società dei fedeli avessero la sacra potestà dell'ordine per offrire il sacrificio e perdonare i peccati e che in nome di Cristo svolgessero per gli uomini, in forma ufficiale, la funzione sacerdotale (Presbiterorum ordinis 2, b).

1) Tutti Sacerdoti

Seguendo la dottrina neotestamentaria nei primordi del cristianesimo, tutti i cristiani, uomini e donne, erano ritenuti dei sacerdoti. Clemente Romano chiama Gesù Cristo il pontefice dei nostri sacrifici. Ignazio di Antiochia ricorda che i credenti « sono pietre viventi del tempio del Padre, destinati all'edificio spirituale... e ad essere portatori di Dio». Giustino afferma che nel battesimo « Cristo ci purificò e ci rese una casa di preghiera e di adorazione »; riferendosi poi a Malachia afferma che « noi cristiani siamo la vera razza arcisacerdotale di Dio» in quanto gli offriamo sacrifici gradevoli e puri. Per Ireneo tutti i giusti costituiscono l'ordine sacerdotale, vale a dire appartengono alla schiera dei sacerdoti, così come i senatori e i cavalieri appartengono rispettivamente all'ordine senatoriale ed equestre; se tutta la comunità è un corpo di sacerdoti, essa postula dei costumi esemplari.

Per Tertulliano i cristiani sono veri sacerdoti perché pregano nello Spirito e con lo Spirito offrono sacrifici al Signore:

Noi siamo i veri sacerdoti e i veri adoratori, noi che pregando nello Spirito, offriamo in Spirito a Dio nella nostra preghiera una vittima che gli è cara e gradita, dal momento che egli l'ha richiesta e l'ha voluta. E' questa vittima (cioè lo stesso cristiano) offerta di tutto cuore, nutrita di fedele sincerità, tutta innocente e pura, coronata di carità fraterna, che con un corteo di buone opere, con salmi e inni dobbiamo condurre all'altare, dove essa ci otterrà da Dio ogni sorta di bene. (Tertulliano, De Oratione 28 PL 1, 130 2 AB).

Lo speciale carattere sacerdotale di un gruppo limitato di cristiani fu contestato dal movimento montanista che, insistendo sul sacerdozio di tutti i credenti, ritenne superfluo quello ministeriale.. Tertulliano, porta parola di questa rinascita spiritualista, scrisse:

Forse che anche noi, laici, non siamo dei sacerdoti (nonne est laici sacerdotes sumus?). Sta scritto: Egli ci ha resi un regno e dei sacerdoti per Dio e Padre suo. Fu l'autorità della Chiesa a creare la distinzione tra l'ordine sacerdotale e la plebe, fu essa che ha santificato tale onore tramite il conferimento dell'ordine e gli ha dato il diritto di sedere nell'assemblea dei sacerdoti. Quindi dove manca l'assemblea sacerdotale tu stesso offri, fai libazioni (tinguis), battezzi e sei il tuo proprio sacerdote. In altre parole là dove tre sono riuniti, là vi è una Chiesa, anche se si tratta di puri laici... Quindi se tu possiedi virtualmente il diritto di fare in caso di necessità quello che un sacerdote compie, tu pure devi osservare le regole sacerdotali e devi esercitare anche dove non è necessario, i tuoi doveri sacerdotali (Tertulliano, De exhortatione castitatis 73 PL 2, 971 CC 2, 1025).

Per Ambrogio « tutti i figli della chiesa sono sacerdoti... in quanto offriamo le nostre stesse persone quali vittime spirituali a Dio». « Noi chiamiamo sacerdoti tutti i cristiani – scriveva Agostino – perché essi sono membri dell'unico sacerdote Cristo e li chiamiamo tutti consacrati (= lett. «unti») a motivo della misteriosa unzione da tutti ricevuta. Infatti l'apostolo Pietro si rivolge a loro e li chiama popolo santo e sacerdozio regale » (Ambrogio, in Lc 5, 33 PL 15, 1730 C (C. Schekl) CSEL 32, 195. Agostino, De civitate Dei 20, 10 PL 45, 676).

Colui che meglio di tutti ha elaborato la dottrina del sacerdozio dei fedeli, fu Origene, l'esegeta alessandrino del II secolo, per il quale tutti i credenti sono stati unti nel battesimo con il sacro carisma e per questo sono divenuti sacerdoti di Dio:

Come anche Pietro dice a tutta la Chiesa: Voi siete una stirpe eletta, un regale sacerdozio, una gente santa. Siete dunque una stirpe sacerdotale e potete accedere al santuario... Ignori tu che il sacerdozio è stato dato a te, vale a dire a tutta Chiesa di Dio e al popolo dei credenti? Ascolta Pietro chiamare i fratelli: stirpe eletta, sacerdozio regale. Tu hai dunque il sacerdozio, perché tu sei una stirpe sacerdotale, perciò devi offrire a Dio il sacrificio della lode, il sacrificio della purezza, il sacrificio della santità (Origene, Hom. Lev. 9, 9 PG 12, 521 C (W. A. Bachrens) CGS 6, 436).

Lo stesso pensiero è presentato anche da Crisostomo e da Cirillo d'Alessandria:

Anche tu con il battesimo sei stato fatto re, sacerdote e profeta... sacerdote quando ti sei offerto a Dio e hai immolato il tuo corpo e tu stesso sei stato immolato.
Perciò solo ai battezzati che sono purificati da ogni colpa – Scrive Cirillo d'Alessandria – è permesso entrare nel santuario interiore, offrire a Dio dei sacrifici spirituali e presentargli per incenso, il profumo di una vita conforme ai precetti evangelici (Crisostomo, Hom in 2 Cor 3, 7 PG 46, 417; Cirillo Alessandrino, Ador, spir, et verit, 9 PG 68, 629 A).

E' con il battesimo che ognuno può diventare sacerdote di Cristo:

«Noi ungiamo i battezzati con olio – scriveva Onorio di Autun (XII secolo) – perché con l'olio li uniamo alla regalità di Cristo e con il carisma al suo sacerdozio». Con il conferimento del « carattere», Gesù Cristo ci fa partecipare al suo sacerdozio (Tommaso, Summa Theol. III q. 63 a 2). Si tratta quindi di un vero sacerdozio che abilita tutti i credenti ai sacrifici spirituali, anzi, secondo alcuni scrittori della Chiesa, alla stessa celebrazione eucaristica. Ruperto di Deuz faceva eco a tale concetto affermando: « Fin da quaggiù noi siamo sacerdoti di Dio, ora con il sacrificio salutare del tuo corpo e del tuo sangue e più tardi con il regno eterno e con il sacrificio perpetuo di lode» Con tali parole si riallacciava all'insegnamento di Agostino il quale così scriveva: « I cristiani (non solo i sacerdoti dunque!) celebrano la memoria del sacrificio compiuto da Cristo con la santa offerta (oblatione) e con la recezione del corpo e del sangue di Cristo ».

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2) Creazione del Ministero Sacerdotale

Sin dal tempo apostolico ogni chiesa aveva i suoi anziani (presbiteri, preti) o vescovi, che sono solo nomi diversi delle stesse persone. Credenti, maturi di età e di migliore formazione spirituale (anziani), sorvegliavano la comunità (vescovi), si dedicavano al servizio dei fratelli, precedendo gli altri con il buon esempio. Tuttavia ben presto, per influsso dei quadri sociologici pagani e giudaici, queste persone, prima deputate al servizio dei fratelli, si trasformarono in un gruppo di «supersacerdoti» dotati di poteri sacrali mancanti negli altri fratelli.
Ecco alcune ragioni che portarono alla creazione del ministero sacerdotale in seno al cristianesimo:

a) l'esempio giudaico

Clemente Romano, per suggerire ai cristiani il dovere di seguire norme corrispondenti alla loro posizione, presentava l'esempio del sacerdozio ebraico, nel quale il sommo sacerdote presiede ai semplici sacerdoti, che compiono la liturgia, mentre i leviti si occupano dei servizi più umili:

Avendo presente ciò e curvandoci negli abissi della divina conoscenza, dobbiamo compiere con ordine tutto quanto il Signore ci ha prescritto secondo i tempi prestabiliti (probabile accenno alla domenica cristiana), compiere le offerte e i ministeri non vanamente e disordinatamente, ma nei tempi e nelle ore prescritte. E come e da chi egli voglia che si compiano, lo ha definito lui stesso nel suo altissimo volere. Quelli, adunque, che compiono le loro offerte nelle circostanze prescritte sono accetti e beati. Non errano nel seguire i precetti del Signore. Al sommo sacerdote sono attribuite le proprie liturgie, ai sacerdoti è prescritto il proprio posto e ai leviti sono assegnati i propri ministeri. Il laico è vincolato alle prescrizioni laiche. Ciascuno di noi, o fratelli, sia gradito a Dio nella sua propria posizione, senza trasgredire le regole del suo ministero... Il nostro peccato non è leggero se allontaniamo coloro (presbiteri) che senza alcuna macchia e santamente hanno offerto i sacrifici dell'episcopato (Clemente Romano, 1 Cor 40, 1-5; cf A. Omodeo, Saggi sul cristianesimo antico, Edizioni scientifiche, Napoli (s.d.), pp. 199-200).

Il sommo sacerdote, per Clemente Romano, spetta al Cristo (36, 1), ai sacerdoti ebraici corrispondono i vescovi-presbiteri cristiani considerati ancora persone non distinte, ai leviti si ricollegano i diaconi e ai laici tutti gli altri credenti. Come si vede si tratta di un semplice paragone, che però in seguito fece rientrare i ministri cristiani nella categoria degli antichi sacerdoti ebraici.

Anche la Didaché usa il medesimo procedimento quando dice che «i vescovi, scelti dalla chiesa (cheirotonésata), tengono il posto dei profeti» (15, 1), i quali sono per voi « come i sommi sacerdoti dell'Antico Testamento» (13, 3). Era però facile, partendo da tale confronto, trasformare il vescovo in sacerdote (ieréus) o summus sacerdos dei cristiani, al quale ben presto si riservò la presidenza del culto domenicale. Si è quindi incominciato a ritenere « legittimi » solo quegli atti liturgici che si compivano unitamente al vescovo: « Si consideri stabile e sicuro (bébaion) tutto ciò che viene dal vescovo o da chi ne fu da lui incaricato », giungendo ben presto alla supposizione che il vescovo o i presbiteri avessero un potere sacerdotale superiore a quello dei semplici laici, dal quale proveniva il valore dell'azione compiuta.

Il gusto di trovare l'origine delle istituzioni cristiane nell'Antico Testamento ha influito sulla concezione stessa del sacerdozio; Isidoro di Siviglia trasmise al Medioevo, del quale è stato uno dei maestri più influenti, l'idea che « i diversi ordini avevano il loro tipo e la loro origine nel servizio cultuale mosaico» (Isidoro di Siviglia, De ecclesiasticis officiis 2, 5 ss).

La filiazione delle idee concernenti il sacerdozio non è mai stata studiata in maniera completa e sistematica. Spessi si operarono delle semplificazioni; ci si limiterà ad affermare: ordo sacerdotii a vetere lege sumpsit exordium scilicet a filiis Aaron: l'ordine sacerdotale prese l'inizio dall'antica legge, vale a dire da Aronne. Ma i testi di isidoro saranno trasmessi e ripetuti lungo tutto il corso del Medioevo. Non c'è dubbio che essi hanno contribuito ad accentuare il carattere cultuale del sacerdozio (Y. Congar, Sacralizzazione e medioevo, a.c. bibl. p. 72 s).

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b) Atti Sacrificali

Una seconda ragione che condusse ad attribuire il carattere sacerdotale ai ministri fu la trasformazione di alcuni atti di culto in sacrifici propriamente detti. Secondo la concezione antica, sacrificio e sacerdozio camminavano di pari passo: « Il sacerdote vi è perché sussiste il sacrificio », diceva Agostino (Agostino, Confessioni 10, 43). Isidoro di Siviglia nelle sue Etimologie definisce il sacerdote con la terminologia sacrale di Roma pagana: «Il sacerdote viene da sacrificare, come il re deriva da reggere» (Isidoro, Etymologiae 9, 4 3, 4 PL 82, 342); egli è colui che « dona cose sacre, consacra e santifica»consacra e santifica » (Ivi 7, 12, 17 PL 82, 292 A cf 7, 12, 21).

Mentre in un primo tempo l'offerta dei cristiani consisteva nel pane, nel vino e nell'olio che i fedeli portavano per la cena del Signore, più tardi divenne tale la « consacrazione dell'ostia e del vino » compiuta dal celebrante, il quale si trasformò così automaticamente in un sacerdote. L'iniziale banchetto comunitario eucaristico celebrato di casa in casa, divenne un atto sacrificale, riservato ai sacerdoti. Il « corpo del Signore » non è più la chiesa, ma è ciò che « miracolosamente » si avvera con le parole della consacrazione pronunciate dal sacerdote! Il sacerdote più che a una comunità restò legato al santuario; per cui Ambrogio bramava essere sepolto sotto l'altare dove era solito offrire i sacrifici.

Nel III secolo l'importanza del vescovo era tale che i presbiteri passano nell'ombra: è il vescovo che presiede, insegna ai fedeli, battezza, riconcilia, ordina i ministri sacri e viene chiamato sacerdos, summus sacerdos, ieréus, archieréus. Cipriano, protagonista della teologia episcopale, fu seguito da Sidonio Apollinare (m. 485) per il quale il vescovo fa tutto. Orosio, parlando verso il 417 della persecuzione di Massimino contro « i sacerdoti e i chierici », li chiama « i dottori ».

Al IV secolo, con la pace costantiniana, i presbiteri, abbandonate le città per evangelizzare le campagne, vale a dire i pagani, gli abitanti cioè dei campi (pagos), iniziarono a compiere delle funzioni prima riservate ai vescovi e perciò vennero anch'essi riconosciuti «sacerdoti » (secundi ordiniis). Così accanto alla teologia del sacerdozio episcopale già formata, si strutturò in quel tempo la teologia sacerdotale dei presbiteri (Crisostomo, Teodoro di Mopsuestia, Ambrogio, Agostino, Girolamo).

La cultualizzazione del ministero sacerdotale si è però attuata lentamente: in Agostino e Girolamo il sacerdozio è ancora presentato anzitutto come « dispensazione della parola» assieme alla « dispensazione del corpo del Signore» (Eucarestia). E' però già spinta in avanti con Giovanni Crisostomo e soprattutto nel VI secolo con lo Psuedo-Dionigi. Infatti da quel tempo l'omelia andò perdendo d'interesse per la quasi scomparsa delle eresie, per la scarsa cultura dei presbiteri dell'epoca feudale e per il fatto che la riconciliazione dei penitenti passò in mano ai monaci, riducendo in tal modo le funzioni dei sacerdoti, ad atti prevalentemente sacramentali. Solo l'Ambrosiastro, parlando del sacerdozio dei fedeli, afferma ancora che tutti possono essere scelti come sacerdoti:

Sotto la legge i sacerdoti nascevano dalla stirpe del levita Aronne, ora al contrario tutti appartengono alla classe sacerdotale, dal momento che Pietro apostolo dice: Voi siete un genere sacerdotale e regale. perciò dal popolo si può fare un sacerdote (Ambrosiastro, Comm. in Ep. ad Ephes. 4, 11-12 PL 17, 410 D).

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c) Riforma e controriforma

Per tutto il medio Evo l'attenzione si rivolse esclusivamente al sacerdozio ministeriale, mentre il sacerdozio di tutti i fedeli rimase nell'ombra. Dopo Tertulliano, fu Lutero a riaffermare in modo assai forte l'esistenza del sacerdozio comune a tutti i battezzati:

Questo sacramento dell'ordine – scrive Lutero – è ignorato dalla Chiesa di Cristo; esso è stato inventato dalla Chiesa del papa. Non solo, ad esso non è legata alcuna promessa di grazia, perché in tutto il Nuovo Testamento non se ne parla nemmeno. E' ridicolo affermare che esiste un sacramento, là dove l'istituzione divina non può essere in alcun modo provata (Lutero, De captivitate babylonica, in «Opera» (Weimar) 6, 560).

Secondo Lutero l'ordinazione sacerdotale è una pura cerimonia ecclesiastica, un rito per eleggere i predicatori nella chiesa, attuata con il consenso del popolo e che dà solo quel potere che l'assemblea dei fedeli delega ad essi.

Contro il riformatore il Concilio di Trento ha affermato che il sacerdozio cattolico è un vero sacerdozio e l'ordinazione dona ai cristiani il potere di « consacrare, offrire e dispensare il suo corpo e il suo sangue, il potere di rimettere e ritenere i peccati». Il sacerdozio di tutti i cristiani diviene diverso da quello ministeriale:

Chiunque affermi che tutti i cristiani sono senza distinzione sacerdoti del Nuovo Testamento o che possiedono tutti un eguale potere spirituale, non fa altro che rovinare la gerarchia ecclesiastica... è come se affermasse, contro l'insegnamento di Paolo, che tutti i cristiani sono apostoli, profeti, evangelisti, pastori e dottori (Denz. Sch. 1767).

Sorse allora la tendenza di considerare il sacerdozio di tutti i credenti come un sacerdozio «metaforico», mentre solo quello ministeriale sarebbe il vero sacerdozio cristiano:

Il sacerdozio santo dei fedeli «non è un sacerdozio in senso proprio ma in senso metaforico»; quello ministeriale abilita ad «offrire pubblicamente a Dio il sacrificio », quello dei fedeli riguarda « la virtù religiosa» (Card. Gaetano m. 1534). Anche Giovanni Fischer (m, 1535) scriveva: « Non neghiamo che ogni membro del popolo cristiano sia chiamato sacerdote nelle Scritture. Ma a confronto del sacerdozio di coloro che sono sacerdoti in quanto presbiteri e pastori, esso è un puro sacerdozio metaforico ». « Nessuno, a qualunque razza, età e condizione appartenga, è escluso da questo sacerdozio improprio e metaforico» (Tommaso da Villanova); « Non cadere nel laccio degli eretici e non sostenere con il passo di Pietro, che tutti i cristiani sono dei veri sacerdoti».

Nonostante la successiva valorizzazione del sacerdozio dei fedeli (J.A. Möhler; Pio XI Miserentissimus Redemptor, 8-5-28; e Mediatore Dei di Pio XII 10-11-47), Pio XII ha fatto una riserva esplicita contro la confusione dei due sacerdozi, comune e ministeriale.

Vi sono, ai nostri giorni, alcuni che, avvicinandosi ad errori già condannati, insegnano che nel Nuovo Testamento si conosce soltanto un sacerdozio che spetta a tutti i battezzati, e che il precetto dato da Gesù agli apostoli nell'ultima cena di fare ciò che egli aveva fatto, si riferisce direttamente a tutta la Chiesa dei cristiani, così che e soltanto in seguito è subentrato il sacerdozio gerarchico, Sostengono perciò, che solo il popolo gode di una vera potestà sacerdotale, mentre il sacerdote agisce unicamente per ufficio affidatogli dalla comunità. Essi ritengono, di conseguenza, che il sacrificio eucaristico è una vera e propria concelebrazione e che è meglio che i sacerdoti concelebrino assieme al popolo presente piuttosto che offrire privatamente, in sua assenza, il sacrificio (Enciclica Mediatore Dei, in «Civ. Catt.» 1947 IV, p. 504).

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d) Crisi sacerdotale, Vaticano II, Paolo VI

Una grande crisi avvolge oggi il ministero sacerdotale considerato dalla scienza delle religioni il frutto del processo che ha trasformato l'originario profeta in un semplice funzionario ecclesiastico. La psicologia vi vede l'effetto cosciente o incosciente delle forze dell'io. La sociologia vi riscontra la conseguenza dell'isolamento del sacro dal profano con una idealizzazione mitica. Il sacerdozio nelle strutture sociali autoritarie ha assunto modi burocratici, che rendono sempre più difficile il rapporto umano e il soddisfacimento dei grandi imperativi religiosi. Ai filosofi il sacerdote appare come decadenza della personalità (Nietzsche) o come sublimazione incosciente della libido (Freud). Tutti questi attacchi hanno reso vacillanti molti sacerdoti, che cominciano a dubitare del loro stato, e contestano vivacemente il loro sacerdozio.. Il Vaticano II, pur valorizzando meglio il sacerdozio dei fedeli, ha tuttavia conservato la dottrina tradizionale sul sacerdozio. Tutti i cristiani sono dei sacerdoti, in quanto:

vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo per offrire mediante le opere del cristiano, sacrifici spirituali e far conoscere i prodigi di Colui che dalle tenebre li ha chiamati all'ammirabile sua luce (CC 10 a.).

Il Vaticano ha però aggiunto che il sacerdozio ministeriale differisce da quello universale dei cristiani non solo di «grado» ma anche « essenzialmente». I diaconi sono « fortificati dalla grazia sacramentale », i presbiteri « pur non possedendo l'apice del sacerdozio... sono tuttavia congiunti a loro (i vescovi) per l'onore sacerdotale e in virtù del sacramento dell'ordine vengono consacrati a immagine di Cristo, sommo ed eterno sacerdote... quali versi sacerdoti del Nuovo Testamento». La consacrazione episcopale conferisce ai vescovi « la pienezza del sacramento dell'ordine».

Triplice è l'ufficio sacerdotale: annunziare la parola di Dio (profetico), « offrire il sacrificio e perdonare i peccati » (sacerdotale), governare i fedeli, il che spetta propriamente ai vescovi, i quali assieme «all'ufficio santificante » ricevono alla consacrazione anche « l'ufficio di insegnamento e di governo» (potere, regale, CC. 21).

Contro i dubbi odierni Paolo VI più e più volte ha riaffermato il carattere sacerdotale dei ministri del culto (vescovi, presbiteri) come appare da citazioni che si potrebbero moltiplicare a piacimento. Nel discorso ai quaresimalisti del 1968, egli così affermava:

I l sacerdote è l'uomo di Dio, il ministro del Signore; egli può compiere atti trascendenti l'efficacia naturale, perché agisce in persona Christi, passa attraverso lui una vita superiore, della quale egli umile e glorioso, in dati momenti è fatto valido strumento; è veicolo dello Spirito Santo. Un rapporto unico, una delega, una fiducia divina intercorre tra lui e il mondo (ivi). Il sacerdote – diceva Paolo VI – è un sacramento, una significazione interiore, consistente nel conferimento di particolari, prodigiose facoltà, che abilitano il sacerdote ad agire in persona Christi. Il sacerdote rappresenta la persona di Cristo in virtù del potere ricevuto nel sacramento dell'Ordine.

Dopo l'ordinazione di alcuni sacerdoti a Manila, Paolo VI disse loro che «il battito del cuore di Cristo vibra in quello del sacerdote fedele». Secondo lui, nel Nuovo Testamento:

non esiste che un solo vero sacerdozio, quello di Gesù Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini (1 Ti 2, 5); ma in virtù del sacramento dell'Ordine, voi siete diventati partecipi del Sacerdozio di Cristo, così che voi non solo rappresentate Cristo, non solo esercitate il suo ministero, ma vivete il Cristo. Cristo vive in voi; voi potete dire (on quanto a lui associati in un grado così alto e così pieno di partecipazione alla sua missione di salvezza) come diceva S. Paolo di sé: Io vivo, ma non sono più io: è Cristo che vive in me (Ga 2, 20).

Anche più recentemente Paolo VI ai parroci e ai quaresimalisti romani ripeteva:

Egli (il sacerdote) è il presbitero, il ministro del culto, l'apostolo, il pastore del popolo di Dio, l'operaio della carità, il consigliere, la guida, l'amico per tutti, è un altro Cristo (Oss. Rom. 29-11-70 p. 3 e Oss. Rom. 18-2-72, p. 1).

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3) Ordinazione sacerdotale

Il potere sacerdotale viene trasmesso a quei cristiani che hanno ricevuta l'ordinazione sacerdotale, la quale tuttavia è passata attraverso varie fasi nel corso dei secoli.

a) Imposizione delle mani

Verso il 215 apparve la prima descrizione dell'ordinazione sacerdotale nella Tradizione apostolica composta dal vescovo di Roma Ippolito (prima antipapa, poi martire). Il vescovo – vi si prescrive – deve essere ordinato in giorno di domenica mediante l'imposizione delle mani di un vescovo alla presenza dei vescovi e di tutto il collegio dei preti (presbyterium), ma solo dopo essere stato scelto dal popolo.

Con il consenso di tutti [i vescovi] gli impongano le mani e il collegio dei presbiteri vi assista in silenzio... Uno dei vescovi presenti, a richiesta di tutti, imponga le mani a colui che viene ordinato vescovo (can. 2). La formula della preghiera era la seguente: «Tu, o Padre, che conosci i cuori accorda al tuo servitore, da te eletto all'episcopato, di pascere il tuo santo gregge e di compiere l'ufficio di sommo sacerdote verso di te (archieratéuein soi) servendoti (leitourgùnta) puramente giorno e notte. Che egli renda propizio (hilàskesthai) il tuo volto e offra dono per la tua santa Chiesa; abbia potere di rimettere i peccati in virtù dello Spirito del sommo sacerdote... sciolga ogni legame... (Ippolito di Roma, la tradition apostolique ed. deB. Botte, Münster 1966, 3, 29).

Anche i presbitero veniva ordinato con l'imposizione della mano episcopale e con il concorso dei suoi colleghi presbiteri:

Quando si ordina un prete, il vescovo imponga la mano sul capo, mentre lo toccano anche i preti, e dica parole simili a quelle sopra indicate (can. 8).

Tuttavia i preti con tale gesto non ordinano il prete « perché i preti hanno il potere di ricevere lo Spirito Santo, non di darlo». Con l'imposizione delle mani essi esprimono solo « la propria approvazione » e la volontà di accogliere il neo ordinato nel gruppo dei presbiteri (can. 9).

Il diacono invece, che in modo particolare è legato al vescovo, sarà ordinato con la sola imposizione delle mani del vescovo, senza che i presbiteri compiano alcuna azione:

Noi comandiamo che nell'ordinazione del diacono il solo vescovo imponga le mani, perché egli non è ordinato al sacerdozio, ma al servizio del vescovo, per fare ciò che egli ordina (can. 9).

In un arco che abbraccia il periodo tra l'inizio del III secolo e la fine del V o al principio del VI, tante testimonianze concordano nell'attribuire al vescovo un dono affatto singolare dello Spirito, conferitogli mediante l'ordinazione, che lo costituisce in una posizione preminente. Una delle più alte espressioni di questa sua superiorità sta nel potere di ordinare i presbiteri e di consacrare i vescovi.

Il canone 4 del Concilio di Nicea, a cui si ricollegano i can. 19 e 23 di un Concilio di Antiochia di data incerta, prescrive che l'ordinazione di un vescovo sia compiuta da tutti i vescovi di una provincia con un minimo di tre.

Nelle province occidentali (...) le decisioni del concilio niceno, relative alle ordinazioni, vengono messe in atto e più volte richiamate neo concili o nei documenti dei papi (...). Non si può però negare, almeno in alcuni casi, il prevalere di una certa tendenza ad accertare l'esercizio di un'autorità di scelta e di decisione (L. Mortari, o.c. p. 119).

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b) Unzione dell'ordinato (secoli VIII-IX)

All'inizio dell'VIII secolo si introdusse l'unzione del neo-ordinato e si legittimò tale innovazione ricorrendo alla consacrazione di Aronne: « Ungerai le loro mani e conferirai loro il potere sacerdotale » (Es 28, 41; Nm 3, 3).

c) Conferimento dei vasi sacri (secoli IX-XIX)

In armonia con il sistema teutonico, nel quale una dignità si donava mediante il conferimento dell'insegna distintiva, si è creduto che anche l'ordinazione sacra avvenisse mediante il conferimento degli strumenti sacri (anche se l'unzione non scomparve) che il consacrato era abilitato a usare. Ce ne fa fede Eugenio IV in un documento emanato per favorire l'unione degli Armeni con la chiesa cattolica, il quale esigeva da loro la seguente professione di fede:

Il sesto sacramento è quello dell'Ordine la cui materia è costituita dal conferimento di ciò con cui si attua l'Ordine: così il presbiterato si dona tramite il conferimento del calice con il vino e della patena contenente il pane. Il diaconato si dona con la consegna dei libri dei Vangeli. Il suddiaconato è costituito dalla consegna al consacrando di un calice vuoto con sopra la patena pur essa vuota [Eugenio IV (1431-1447), Decreto per gli Armeni del 22 novembre 1439, Denz. Sch. 1326].

Questo rito, accresciuto notevolmente grazie agli apporti gallicani secondo i quali bisognava toccare il calice contenente un po' di vino e la patena con l'ostia, sottolineò di più, in sintonia con l'avvenuta evoluzione del sacerdozio ministeriale, la sua funzione prettamente sacrificale, lasciando nell'ombra l'antico rito dell'imposizione delle mani da parte del vescovo e del presbiterio mentre si invocava lo Spirito Santo. Il rito primitivo aveva infatti il merito di mettere maggiormente in rilievo la missione profetica del nuovo popolo di Dio, alla quale il presbitero voleva dedicare tutta intera la propria vita.

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d) Imposizione delle mani (XX secolo)

In quest'ultimo secolo i teologi tornarono a riporre in primo piano l'imposizione delle mani da parte del vescovo, relegando al secondo posto il conferimento degli strumenti che apparve nella storia della chiesa solo tardivamente. Questo ritorno alla tradizione più antica fu sostenuto proprio da un altro Eugenio (Pacelli) divenuto papa con il nome di Pio XII e ribadita nei nuovi riti dell'ordinazione sacerdotale approvati da Paolo VI.

4) problemi aperti

In campo cattolico sussistono tuttora dei problemi che non hanno ancora ricevuto una soluzione comune o che sono soggetti a crisi. Prescindendo dalla discussione sull'ordinazione delle donne – che inizia ad affiorare presso i cattolici – ricordo quelli del carattere sacerdotale e del rapporto tra presbiterato ed episcopato.

a) Il carattere sacerdotale

Il Vaticano secondo con l'usuale pesantezza di forma ha affermato che

il sacerdozio... viene conferito da quel particolare sacramento per il quale i presbiteri, in virtù dell'unzione dello Spirito Santo, sono marcati da uno speciale carattere che li configura a Cristo sacerdote, per il quale possono agire in nome di Cristo, capo della Chiesa (Presbyterorum ordinis n. 3).

Data l'esistenza di questo «carattere » incancellabile, ne deriva che nemmeno con la deposizione e la scomunica un sacerdote può ridivenire laico (sacerdos semper sacerdos) e che un sacerdote, fosse pure scomunicato, deposto e apostata, se vuole svolgere nel debito modo gli atti propri della sua dignità episcopale o sacerdotale, compie degli atti illeciti, ma pur sempre validi, che non possono venire annullati. E' noto il caso recente di un monsignore romano che apostatò dalla chiesa cattolica, fu consacrato a Parigi da vescovi della Vecchia chiesa cattolica riconosciuti validamente consacrati da Roma, funzionò presso di loro per alcuni anni da vescovo per l'Italia e poi, tornato in seno alla chiesa cattolica, vi fu accolto come vescovo e non solo come monsignore, perché il suo carattere episcopale indelebile, non poteva essere dichiarato nullo da un atto posteriore. Tuttavia tale idea si affermò solo gradualmente nel corso dei secoli.

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b) Primi undici secoli

Seguo il recente documentatissimo studio storico di C. Vogel che mi sembra ben più attendibile di tutte le altre esercitazioni dommatiche, il quale sostiene che la dottrina del Concilio di Trento, ripetuta dal Vaticano II è in antitesi con quella sostenuta nel primo millennio dalla chiesa cattolica. In questo primo periodo la deposizione rimette il clero nel rango dei laici; il presbitero ridiviene laico come lo era prima della imposizione delle mani (cheirotonìa) e cessa semplicemente e totalmente d'essere prete. Dunque in tal caso non si può parlare di un carattere indelebile.

Inoltre il vescovo o il presbitero validamente ordinato quando è deposto o scomunicato, quando diviene eretico o scismatico,, quando rimane senza una sua propria chiesa (clericus vagus), perde il potere di compiere validamente (e non solo lecitamente) gli atti sacri caratteristici del suo ordine. Le ordinazioni da lui conferite sono prive di valore; sono nulle e non soltanto illecite, come si pensa oggi. In tale situazione è evidente che non si può parlare di un carattere episcopale o presbiteriale indelebile.

L'unico che ha parlato di «carattere del Signore » (character dominicus), di « segno » (signaculum) e di « sacramento » (sacramentum) per il sacerdozio, fu Agostino, e con esso voleva denotare un'impronta, un marchi simile portato dal soldati o che viene impresso sulle monete e sulla lana delle pecore. per opporsi ai Donatisti, che volevano ribattezzare e riordinare quelli che non lo erano stati da loro, Agostino sostiene che le ordinazioni (e i battesimi) imprimono un carattere che le rende irripetibili, tuttavia siccome solo la vera chiesa può dare la grazia, esse rimangono prive di efficacia spirituale sino all'ingresso del battezzato o dell'ordinato nella vera chiesa: solo in quel momento i sacramenti, che sono santi per se stessi ma non per gli uomini posti fuori dalla chiesa (per ipsa sancta, non per homines), diventano « salutari » (valent ad salutem).

Tuttavia questa dottrina non ebbe seguito; per otto secoli nella chiesa latina e in quella greca non fu mai accolta. Papa Anastasio (m. 498) volle utilizzarla in occasione degli scismatici acaciani, ma vi perdette parte della sua reputazione. I rari emuli di Anastasio (e di Agostino) furono sempre combattuti da validi oppositori. Ancora Graziano (canonista del XII secolo) giudicava assai severamente Anastasio II quando, parlando della sua decisione, affermò che un « tale modo di agire è contrario ai canoni, anzi è in contraddizione con i decreti emanati dai suoi predecessori e successori... Per tale motivo Anastasio fu respinto dalla chiesa romana e colpito da Dio, come sta scritto nel Pontificale romano » (Graziano, Dicta nel commento al suo « Decreto » 1140/1142 p.c. 96, Friedberg I:, 392). Lo scandaloso processo a papa Formoso (896-897) per confermare in modo così macabro la scomunica dell'a. 876 pronunziata contro di lui da Giovanni VIII mentre egli era ancora vescovo di Porto, annullò automaticamente tutti gli atti pontificali ordinazioni e consacrazioni comprese. E' vero che in alcuni casi furono accolti nella chiesa gli atti compiuti da vescovi e da sacerdoti scomunicati, ma ciò avvenne non in virtù del carattere perpetuo sostenuto da Agostino, bensì in forza della «economia», vale a dire del potere dispensatore della chiesa in casi di particolare gravità e per un bene superiore.

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c) Dalla fine del XII secolo

L'oriente continuò a seguire la precedente dottrina non agostiniana, che riconosce valide le ordinazioni non solo per il rito compiuto, ma anche per un insieme di altre circostanze che le accompagnano. Di conseguenza gli ortodossi non ritengono valide le ordinazioni anglicane, perché attuate fuori della vera chiesa, mentre i latini le accolgono come valide in virtù dell'automatismo sacramentale: retta formula e rito giusto realizzati da parte di ministri ordinati.

In occidente invece, nel XII secolo, avvenne un cambiamento di concezione, in quanto il carattere sacerdotale sostenuto da Agostino, ma trascurato per lungo tempo dalla tradizione cattolica, venne ripreso e sviluppato dai teologi sino a divenire dottrina comune. Così per Ugo sa S. Vittore (verso il 1140) «il ministro simoniaco (od eretico) per il fatto che è stato ordinato, nonostante la sua indegnità, rimane pur sempre vero ministro (minister malus et tamen minister est). Egli riceve l'ordine e la funzione a sua propria rovina e perdizione » (De sacramentis 2 PL 176, 479). Secondo Pietro Lombardo (m. 1160) l'ordinazione è « un segno con il quale si dona un potere, un carattere spirituale, un aumento di potestà » consistente nel poter « dare cose sacre » (sacerdos sacrum dans), nel rendere presente Cristo nell'eucarestia e nel benedire le cose sacre. L'ordinazione fu quindi concepita come il conferimento di un carattere (ossia di un accidens physicum) che abilita l'uomo a compiere l'atto sacro per eccellenza, vale a dire il sacrificio della Messa.. Per Tommaso d'Aquino l'ordinazione è una « consacrazione interiore » che « deputa un cristiano a qualcosa di sacro », ossia a « tutto ciò che riguarda il culto divino », perché il sacramento dell'ordine « prepara alla consacrazione eucaristica ». Mediante questo sacramento gli uomini sono abilitati a conferire gli altri sacramenti.

Nella sacra ordinazione – afferma il Concilio di Trento – viene impresso un « segno spirituale indelebile», per il quale il sacerdote non può più tornare laico, ma detiene una potestà, il cui compito risiede nel consacrare l'eucarestia e nel perdonare i peccati:

Il sacrificio e il sacerdozio per ordinazione divina sono così uniti che ambedue sono esistiti sotto ogni legge... La Sacra Bibbia mostra e la tradizione della Chiesa cattolica sempre insegnò che (il sacerdozio) è stato istituito dallo stesso Signore Salvatore nostro, e che è stato affidato agli apostoli e ai loro successori nel sacerdozio il potere di consacrare e amministrare il suo corpo e il suo sangue e anche di perdonare i peccati (Sess. 23 De sacramento ordinis can 1 Denz. Sch 1764).

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d) Discussione moderna sul carattere sacerdotale

La precedente dottrina del Concilio di Trento fu ripetuta dal Vaticano II e da Paolo VI.

Il sacerdozio – afferma il Vaticano II – viene conferito da quel particolare sacramento per il quale i presbiteri, in virtù dell'unzione dello Spirito Santo, sono marcati da uno speciale carattere che li configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in nome di Cristo, Capo della Chiesa (Decreto Ministero e vita sacerdotale can. 1c, ed. Massimo, p. 268 s).
Non dubitate mai della natura del vostro sacerdozio ministeriale – soggiunge Paolo VI – esso non è un ufficio o un servizio qualsiasi da esercitarsi per la comunità ecclesiale, ma un servizio che partecipa in modo tutto particolare, mediante il sacramento dell'ordine e con un carattere indelebile, alla potestà del sacerdozio di Cristo (Messaggi di Paolo VI ai sacerdoti alla chiusura dell'anno di Fede).

Ma nonostante queste affermazioni il carattere sacerdotale continua ad essere posto in crisi. C. Vogel, a conclusione di un suo lungo studio storico dei primi dodici secoli della chiesa, afferma:

Ciò che l'autorità ecclesiastica attua per punire (riduzione allo stato laico) potrebbe farlo, sembra, anche per altri fini. Basterebbe per arrivarci la dottrina scolastica sul carattere indelebile ed eliminare l'ostacolo costituito su questo punto dal Concilio di Trento (C. Vogel, Laica Communione contentus a.c. p. 121).

Altri autori, senza giungere alla totale eliminazione del carattere sacerdotale, cercano di dargli un senso diverso da quello tradizionale: per A.M. Pompei, ad esempio, consisterebbe in « una deputazione » per la quale un battezzato può presentarsi nella persona di cristo come capo della chiesa nella dimensione della visibilità storica di questa. Secondo E. Ruffini, l'ordine lega il cristiano al culto comunitario, per cui anche se il sacerdote rinnegasse il proprio impegno sacerdotale, rimarrebbe pur sempre essenzialmente legato alla chiesa. G. Gozzelino, in un tentativo poco felice, sostiene che « il carattere è la situazione definitiva in cui il soggetto, in forza dell'ordinazione... diviene segno...del Cristo Capo... ed è posto al servizio della chiesa ». J. Galot, in una lucida esposizione, considera il carattere sacerdotale una consacrazione a Dio e una partecipazione alla missione salvifica del mondo attuata dal Cristo. Secondo il Rambaldi, il ministero sacerdotale è un dono (carisma) offerto dallo Spirito Santo, che stabilisce nella chiesa alcuni membri qualificati per mezzo dei quali Cristo santifica, istruisce, guida il popolo di Dio.

Colui che meglio si accosta al pensiero biblico è l'esegeta cattolico P. Dacquino il quale, – negando ogni trasformazione ontologica dell'individuo – propone di definire i sacerdoti:

nuovo popolo di Dio, impegnati a collaborare... al disegno divino... Siamo quindi lontani dalla trasformazione arcana, subita dall'anima stessa del prete cristiano (durante la consacrazione) affermata da recenti tendenze teologiche appunto quale esigenza del suo sacerdozio e dei misteriosi poteri corrispondenti. Questa pretesa trasformazione, che corrisponde a quella certa superesaltazione del sacerdozio ministeriale, è rimasta logicamente ignota alla tradizione apostolica e a quella di molti secoli seguenti.

Per questo autore, il carattere sacerdotale non è qualcosa di ontologico che trasformi l'anima dell'individuo, ma consiste nella non reiterabilità dell'ordine sacerdotale (così come affermano i concili Fiorentino e Tridentino), corrispondente al fatto che la vocazione profetica ancora oggi – come lo era per i profeti veterotestamentari – è da parte di Dio irrevocabile e viene arricchita dal corrispondente dono dello Spirito Santo.

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e) Sacerdozio speciale del vescovo?

Oggi i teologi cattolici discutono se l'ordinazione episcopale sia un sacramento distinto e superiore a quello sacerdotale. Storicamente parlando, verso la fine del IV secolo, sotto il pontificato di Damaso, alcuni diaconi del clero romano, rifiutarono ubbidienza ai presbiteri. Girolamo, per convincerli a ritornare a migliori propositi, sostenne con la Bibbia alla mano che il presbitero è uguale al vescovo, pur essendogli sottoposto solo per la dignità dell'onore « il presbitero è anche vescovo... E' solo per la consuetudine più che per disposizione del Signore che i vescovi sono maggiori dei presbiteri ». Questa dottrina si trasmise a molti teologi posteriori ed ebbe grande influsso nel pensiero teologico successivo. In quasi tutta la teologia medievale, compreso Tommaso d'Aquino, « il ministero fu visto come sacerdozio; il sacerdozio come liturgia e rito; il rito come prodotto da arcani poteri clericali; il chierico come una cosa sacra e come l'unica realtà attiva della chiesa »

Perciò a partire dal XII secolo si pensò che l'ordinazione presbiteriale donasse il potere di compiere tutto ciò, che fa il vescovo, per cui la consacrazione episcopale ne fu alquanto declassata; se ne negò il carattere sacramentale (Pier Lombardo) o la si ridusse a un semplice potere gerarchico « sul corpo mistico » (Tommaso). Il presbiterato è quindi il sacerdozio per eccellenza, che, per privilegio papale, può anche ordinare altri sacerdoti. Ancora al Concilio di Trento nella sessione XXIII i vescovi definirono la sacramentalità dell'ordine, avendo soprattutto in vita il presbiterato.

Non mancarono tuttavia, specialmente tra i canonisti, i fautori del carattere sacramentale della consacrazione episcopale, la quale, di conseguenza conferisce ai vescovi un sacerdozio di grado superiore a quello dei presbiteri. Dopo il Concilio di Trento questa tesi, per opera specialmente del card. Roberto Bellarmino, andò sempre più imponendosi nella teologia recente, sì da divenire comune: il vescovo ha la pienezza del sacerdozio, alla quale partecipano in modo minore i presbiteri e i diaconi.

Ai nostri giorni la questione si è riacutizzata e molti teologi vorrebbero tornare all'idea che l'episcopato sia soltanto una dignità gerarchica duratura, una giurisdizione ricevuta dal papa, un rito simile alla benedizione dell'abate in un monastero, che perciò non conferisce alcun potere sacerdotale, superiore a quello del prete.

Le ragioni addotte da questi teologi sono diverse: storiche e speculative. Le recenti indagini storiche hanno accertato che Ignazio di Antiochia è il primo tra i padri sub-apostolici a distinguere tra i presbiteri e vescovi, mentre da altri documenti contemporanei (e anche nella Bibbia) appaiono i due soli gruppi di presbiteri-vescovi e diaconi. Nella prima lettera di Clemente e nel Pastore di Erma i termini «vescovi » e «presbiteri » appaiono ancora come semplici sinonimi secondo l'uso biblico; nella seconda Clemente sono nominato solo i presbiteri, nella Didaché solo i vescovi e i diaconi. Girolamo attesta – come abbiamo già visto – che ogni presbitero è anche vescovo e ricorda che in Alessandria «da Marco evangelista sino ai vescovi Eraclea (+ 247) e Dionisio (+ 264) i presbiteri sceglievano uno di loro e lo nominavano vescovo, elevandolo così al di sopra di loro.

Nel corso dei secoli vediamo che il presbitero compie, quale ministro straordinario, molti riti di cui il vescovo è ministro ordinario (quindi ha lo stesso potere del vescovo); ancor oggi il prete, per un indulto concesso il 14 settembre 1946, può amministrare la cresima, riservata ugualmente al vescovo. Il papa Bonifacio IX nel 1400, con la bolla Sacrae Religionis, ha conferito all'abate del monastero «degli apostoli Pietro e Paolo e di S. Osita» la facoltà di dare ai suoi monaci « gli ordini minori, il suddiaconato, il diaconato e il presbiterato ». Tale privilegio fu poi ritirato nel 1403, non perché invalido, ma perché menomava il diritto di patronato sul monastero da parte del vescovo di Londra. Nel 1427 papa Martino V, con la bolla Gerentes vos , dava all'abate Cistercense di Citeau, e ad altri quattro abati, la facoltà di conferire il diaconato; e che continuò fino al XVIII secolo, senza alcuna protesta da parte dei vescovi.

Anche il Concilio di Trento, – dicono costoro – parlando della superiorità episcopale sui presbiteri, afferma sì una dignità diversa, ma non dice affatto che tale preminenza sia dovuta all'ordine sacramentale. Sacerdozio e sacrificio sono tra loro collegati; ora il sacrificio del nuovo patto è l'eucarestia verso la quale il vescovo non ha alcun potere superiore a quello sacerdotale. La consacrazione episcopale non può quindi essere un sacramento e non dona un carattere superiore a quello sacerdotale.

Nonostante le osservazioni precedenti, si continua da parte della maggioranza cattolica a ritenere che il sacramento dell'ordine risieda propriamente nel vescovo e che gli dono il potere di consacrare altri vescovi (CC 21); ad esso partecipano in grado minore i presbiteri e i diaconi. Siccome la ricerca storica moderna ha messo in luce il fatto che, biblicamente parlando, non vi è distinzione tra presbiteri (= anziani) e vescovi, i quali sono termini tra loro intercambiabili, la costituzione della chiesa, emanata dal Vaticano II, si accontenta di dire che « il ministero ecclesiastico si ripartì sin dall'antichità » (quindi non necessariamente al tempo apostolico) in « vescovi, sacerdoti e diaconi». Siamo ben lungi dal tempo in cui si scomunicavano coloro che non riconoscevano « d'istituzione divina » la triplice gerarchia di « vescovi, presbiteri e diaconi ». Tutte le discussioni precedenti sono sorte solo dal fatto che si è voluto giustificare le novità della tradizione, che non hanno alcun fondamento biblico.

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5) Il diaconato

Ecco a rapidi cenni la storia del diaconato nel corso dei secoli:

1. Nel periodo apostolico il diaconato non è ancora una istituzione del tutto definita (E.P. Echlin). Usualmente i teologi partono dal racconto degli Atti dove si narra che sette cristiani furono scelti dagli apostoli perché curassero il sostentamento delle vedove elleniste durante i pasti comunitari e quindi sostengono che l'ufficio diaconale fosse in prima linea un servizio « materiale ». Tuttavia altri esegeti, poggiando sul fatto che in tale passo biblico non appare il vocabolo « diacono », bensì solo il verbo « servire » (diakonéo) e per il fatto che tali persone si occupavano pure di predicazione e di evangelizzazione,, come risulta da Stefano e da Filippo (At 6, 9-10; 21, 8), negano che i « sette » si debbano ritenere i « prototipi » dei diaconi successivi.

Secondo J. Colson «la diàkonìa kthemerinê(o servizio giornaliero) di At 6, 1... non può essere definita a priori come un'indicazione rigida del compito riservato all'ufficio che ben presto fu detto diaconale in senso proprio » (p. 39). J.M. Ross, con un'affermazione ancor più categorica, dichiara che il passo biblico sopra citato è « un punto di partenza erroneo per lo studio del diaconato » (p. 152). Costoro pensano che i diaconi aiutassero gli apostoli (E.P. Echlin).

Non è qui il caso di entrare nei particolari della discussione: basti ricordare che i «sette » sono evidentemente aiutanti dei dodici (At 6, 3 s), ma è pur chiaro che il loro compito principale era quello di dedicarsi ad attività materiali. E' poi da notare che lo sviluppo successivo del diaconato mette in rilievo un suo legame con i problemi economici, finanziari e terreni delle varie chiese locali come aiutanti dei vescovi. Di più la predicazione non era un compito affidato particolarmente ai diaconi, perché tutti i cristiani ne erano responsabili (At 11, 19-21). Non è possibile trovare altre testimonianze bibliche, oltre alla precedente, che ci mostrino come i diaconi fossero particolarmente ricollegati agli apostoli.

I requisiti del diacono sono elencati nelle lettere pastorali:

Allo stesso modo i diaconi siano dignitosi, non doppi di parlare, non dediti al vino, né avidi di guadagno disonesto e conservino il mistero della fede con coscienza pura. Quindi siano prima sottoposti alla prova e poi, se trovati irreprensibili, siano ammessi al loro ufficio... I diaconi siano fedeli alle loro mogli e sappiano dirigere bene i propri figli e le proprie famiglie (1 Ti 3, 8 ss.12).

Oltre ai diaconi, Paolo ricorda pure le diaconesse che al suo tempo esistevano in alcune chiese.

Allo stesso modo le donne siano dignitose, sobrie, fedeli in tutto (1 Ti 3, 11).

Sembra che queste parole si riferiscano alle diaconesse che avevano lo stesso nome dei diaconi – essendo il vocabolo greco diàkonoi utilizzabile tanto per i maschi che per le femmine – perché se si fosse trattato delle mogli dei diaconi il testo avrebbe dovuto suonare: « le loro donne...». Inoltre le diaconesse sono espressamente ricordate nella lettera ai Romani:

Vi raccomando Febe, nostra sorella, diaconessa (diàkonos) della assemblea di Cencrea; ricevetela nel Signore, come si conviene ai credenti, e assistetela in qualunque cosa abbia bisogno; anch'essa infatti ha protetto molti e anche me stesso (Rm 16, 1).

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2. Nel II secolo i diaconi assistevano al servizio della cena del Signore e aiutavano i neofiti nel loro battesimo.

3. Al III e V secolo l'autorità dei diaconi fu in continuo aumento:

Certi testi danno perfino l'impressione che questi collaboratori del vescovo, (diàkonoi, servitori), pur essendo inferiori per dignità ai preti, abbiano avuto allora, se non maggiore autorità reale, almeno un ministero più effettivo (J. Zeiller, in A. Fliche - V. Martin, Storia della Chiesa, vol. I, p. 376).

Per Ippolito «il diacono è l'orecchio, l'occhio, la bocca, il cuore e l'anima del vescovo ».

Martin Lutero scriveva giustamente che la natura del diaconato

Non consiste nella lettura del vangelo e dell'epistola, come avviene ai nostri tempi, ma nel compito di distribuire ai poveri i beni della Chiesa, affinché i sacerdoti siano liberati dal peso delle cose temporali e possano più liberamente attendere alla predicazione e all'insegnamento del vangelo.

I diaconi in quel tempo ebbero pure la facoltà di riconciliare i penitenti al termine della penitenza pubblica, di aiutare i presbiteri nelle loro parrocchie e di amministrare – specialmente l'arcidiacono – il tesoro della chiesa. Di qui la loro importanza, superiore a quella dei presbiteri, per cui si comprende come l'arcidiacono Lorenzo sia stato martirizzato perché non volle consegnare al prefetto di Roma il denaro da lui amministrato, mentre il vescovo e i presbiteri furono lasciati quieti. I diaconi in questo periodo dovevano essere celibi o almeno non convivere maritalmente con la propria moglie, qualora fossero già sposati.

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4. Al contrario dal VI al XX secolo andò sempre più diminuendo l'importanza dei diaconi, che si ridussero a servire il sacerdote durante la celebrazione della messa e a costituire un puro e semplice gradino da percorrersi necessariamente per diventare sacerdoti. Tale situazione continuò sino al Vaticano II, dove si decise, con la costituzione Lumen Gentium , che « il diacono sia in futuro restituito come proprio e permanente grado della gerarchia »; precisando che « questo diaconato potrà essere conferito a uomini in età matura anche viventi nel matrimonio e così pure a giovani idonei, per i quali, però, deve rimanere ferma la legge del celibato » (n. 29). Dopo un esauriente esame del problema ad opera di una commissione eretta nel 1965, Paolo VI con il « Motu Proprio» Sacrum diaconatus ordinem del giugno 1967, diede le norme pratiche per il ripristino del diaconato. Dal momento che in paese di missione molti uffici diaconali sono affidati ai laici, si è giudicato bene che:

quanti esercitano davvero il ministero diaconale siano fortificati e più strettamente associati all'altare mediante l'imposizione delle mani, che è di tradizione apostolica, affinché più efficacemente adempiano, in virtù della grazia sacramentale del diaconato, il proprio ministero. In tal modo, sarà ottimamente chiarita la natura propria di questo ordine che non deve essere considerato un puro e semplice grado di accesso al sacerdozio; esso, insigne per l'indelebile carattere e la particolare sua grazia, di tanto si arricchisce che coloro i quali sono chiamati possono in maniera stabile dedicarsi ai misteri di Cristo e della Chiesa [Oss. Roma. 28-6-67 p. 1 (latino) p. 2 (italiano)].

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5. Recenti modifiche . Fino al 1972 l'ingresso nel clero avveniva con il conferimento della tonsura o taglio circolare dei capelli (can. 108, 1). Prima del diaconato si doveva passare attraverso quattro ordini minori, il primo del quale era l'ostiariato con l'incarico di aprire e chiudere le porte del tempio, mansione oggi attuata dai sagrestani. Il lettore era invece deputato alla lettura dei testi biblici liturgici (oggi permessa anche ai laici, donne comprese); l'esorcista veniva autorizzato ad espellere i demoni (potere da tempo riservato ad alcuni sacerdoti scelti); l'accolito – di cui già parlava Tertulliano (De praescriptione 41) – doveva servire il sacerdote all'altare. Paolo VI nel suo « Motu proprio » Ministeria quaedam del 15 agosto 1972 ha abolito del tutto l'ostiariato e l'esorcistato, assieme, a quello maggiore del suddiaconato, che, con l'introduzione della nuova liturgia, aveva perso valore, e diede più importanza al diacono, che è il « ministro » per eccellenza del sacerdote e del vescovo. Perciò da quell'anno l'ingresso nello stato clericale si ha con il diaconato (« Motu proprio » Ad pascendum 15 agosto 1972). Si conservano invece i due ordini minori del lettorato e dell'accolitato, che però sono considerati dei riti sacramentali (non sacramenti) a se stanti senza costituire, come prima, il passaggio obbligato per il sacerdozio e senza introdurre nel clero: il lettore legge passi biblici, recita salmi, dirige i canti e guida la partecipazione dei fedeli. Ora che la lettura dei testi biblici può essere disimpegnata da qualsiasi cristiano: adulto, giovane o ragazzo – non è nemmeno raro il caso che le letture siano fatte da donne – si è ritenuto giusto deputarvi ufficialmente con il rito del lettorato, coloro che lo desiderano.

L'accolito deve invece aiutare il diacono, curare il servizio dell'altare, distribuire la comunione quale ministro straordinario. Si tratta perciò di ministeri (non più «ordini ») conferiti ai laici (maschi) perché possano attuare meglio il sacerdozio comune dei fedeli (« Motu proprio» Ministeria Quaedam. Oss. Rom. 15-8-72 p. 1).

Al diacono è invece affidato il «servizio del popolo di Dio e la cura dei malati e dei poveri... a lui, inoltre, è affidato l'ufficio di portare la santa Eucarestia agli ammalati costretti a casa, di amministrare il battesimo, di attendere alla predicazione della parola di Dio secondo l'espressa volontà del vescovo » (Ad pascendum ivi). Essi possono pure benedire il matrimonio e dirigere il rito della sepoltura (CC 29).

I diaconi non ancora sposati, sono tenuti al celibato, e dovranno essere ordinati non prima dei 25 anni (anche dopo se i vescovi locali lo decidono); gli anziani, già sposati, dovranno avere almeno 35 anni compiuti. A costoro viene permesso di convivere maritalmente con la propria moglie, in armonia con la Bibbia e in deroga alla tradizione occidentale che li obbligava ad astenersi dall'uso del matrimonio dopo l'ordinazione diaconale.

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6) Conclusione

Dalla sintesi precedente, anche se eccessivamente stilizzata, appare come nel corso dei secoli si sia formato nella chiesa cattolica e ortodossa un gruppo di persone che pensarono di possedere dei carismi propriamente sacerdotali e che perciò si sono poste al di sopra del sacerdozio di tutti i credenti, l'unico attestato dal Nuovo Testamento. Una particolare ordinazione del gruppo ministeriale è ammessa anche dalle chiese protestanti storiche, che però la riducono a una pura deputazione data dalla chiesa perché i ministri fungono da rappresentanti ufficiali della liturgia, senza per questo possedere un potere sacerdotale superiore a quello dei laici. In tal senso si è espresso il segretariato di Fede e Costituzione in un documento preparato nella consultazione di Marsiglia (25-30 dicembre 1972) intitolato il ministero ordinato , che fu discusso nell'assemblea del luglio 1974. I ministri, secondo tale documento, devono adempiere una quadruplice funzione:

Tale ministero, segno dell'iniziativa divina della chiesa, si radica nel ministero stesso di cristo. E' lui che suscita, chiama, fortifica e invia coloro che si sceglie per il ministero totale della chiesa e per il ministero particolare. Ad ogni modo lo stesso documento riconosce che « è impossibile provare a partire dal Nuovo Testamento che chi presiede alla cena debba essere una persona ordinata. Non vi è alcuna testimonianza precisa nella Bibbia secondo la quale i Dodici sarebbero stati i soli ministri atti a celebrare l'eucarestia al tempo del Nuovo Testamento o secondo la quale essi avrebbero designato le persone che potevano celebrare l'eucarestia ». E' quindi utile esaminare il problema del sacerdozio sotto il profilo biblico.
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