Guerra al terrorismo?

Il "dilemma" energetico dell'America

E' oramai provato che i piani per un'azione militare contro l'Afghanistan e l'Iraq fossero pronti molto prima dell'11 settembre. Una relazione di aprile 2001, del Baker Institute of Public Policy, commissionata dal governo statunitense, affermava che "gli Stati Uniti erano prigionieri del loro dilemma energetico. L'Iraq restava un'influenza destabilizzante sul... flusso di greggio dal Medio Oriente ai mercati internazionali". Inviata al task group per l'energia del Vicepresidente Dick Cheney, la relazione concludeva che poiché si trattava di un rischio inaccettabile per gli Stati Uniti, "l'intervento militare" era necessario (notizia Sunday Herald del 6 ottobre 2002). Prove simili esistono relativamente all'Afganistan. Niaz Niak, ex ministro degli Esteri pachistano, aveva saputo da funzionari d'alto rango americani, durante una riunione a Berlino nel luglio 2001, che "l'azione militare contro l'Afganistan sarebbe cominciata verso la metà di ottobre" (notizia BBC del 18 settembre 2001). Fino al luglio 2001 il governo statunitense ha considerato il regime dei Talebani una fonte di stabilità in Asia orientale che avrebbe consentito la costruzione di un gasdotto che dai giacimenti di petrolio e di gas in Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakhstan, avrebbe attraversato l'Afghanistan e il Pakistan fino all'Oceano Indiano. Tuttavia, di fronte al rifiuto dei Talebani di accettare le condizioni statunitensi, i rappresentanti U.S.A. dissero loro: "o accettate la nostra offerta di un tappeto d'oro o vi ricopriamo di un tappeto di bombe" ( notizia Inter Press Services del 15 novembre 2001). Visti i precedenti, non sorprende che qualcuno abbia visto, nel mancato tentativo degli U.S.A. di prevenire gli attacchi dell'11 settembre, la creazione di un pretesto utile per attaccare l'Afghanistan in una guerra che era stata chiaramente già pianificata da tempo. C'è un possibile precedente: gli archivi nazionali americani rivelano che il Presidente Roosevelt usò proprio questo approccio con Pearl Harbor il 7 dicembre 1941. Erano stati ricevuti alcuni avvertimenti sugli attacchi ma l'informazione non raggiunse mai la flotta statunitense. L'indignazione nazionale che seguì, persuase il riluttante popolo statunitense ad appoggiare l'ingresso degli U.S.A. nella Seconda guerra mondiale. Allo stesso modo, il progetto del P.N.A.C. del settembre 2000 ipotizza come il processo di trasformazione degli U.S.A. nella "forza dominante del futuro" sia piuttosto lungo, in assenza di "un qualche evento catastrofico e catalizzatore come una nuova Pearl Harbor".

Il "controllo" del petrolio

Gli attacchi dell'11 settembre sembrerebbero aver consentito agli USA di dare il via ad una strategia coerente con il programma del P.N.A.C., che sarebbe stato altrimenti politicamente impossibile da realizzare. La ragione fondamentale di questa cortina di fumo politica è che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna stanno cominciando ad esaurire le fonti sicure di energia proveniente da idrocarburi. Entro il 2010 il mondo musulmano controllerà il 60% della produzione mondiale di petrolio e, cosa più importante, il 95% della restante capacità di esportazione dello stesso. Man mano che aumenta la domanda va diminuendo l'offerta, com'è avvenuto di continuo a partire dagli anni '60. Ciò sta portando ad una sempre maggiore dipendenza degli U.S.A. e del Regno Unito dalle forniture estere di petrolio. Si prevede che gli Stati Uniti che nel 1990 sostenevano internamente il 57% della propria domanda energetica totale, entro il 2010 ne produrranno solo il 39%. Un ministro del Department of Trade and Industry del Regno Unito, ha ammesso che la Gran Bretagna potrebbe soffrire di grave penuria di gas entro il 2005. Il governo britannico ha confermato che entro il 2020 il 70% della nostra elettricità verrà dal gas e il 90% di questo, sarà importato. In questo contesto è utile notare che l'Iraq dispone di 110 miliardi piedi cubici (1 piede cubico = 0,28 metri cubici) di riserve di gas in aggiunta al suo petrolio. Una relazione della Commission on America's National Interests, nel luglio 2000, segnalava che le nuove fonti mondiali di energia, più promettenti, si trovano nella regione del Caspio e che questo avrebbe sollevato gli U.S.A. dalla dipendenza dall'Arabia Saudita. Per diversificare le rotte di fornitura dal Caspio, uno degli oleodotti sarebbe dovuto scorrere in direzione ovest attraverso l'Azerbaijan e la Georgia fino al porto turco di Ceyhan; un altro invece verso est attraverso l'Afghanistan e il Pakistan, per terminare vicino al confine con l'India. Si sarebbe così salvato lo sfortunato impianto energetico della Enron a Dabhol sulla costa occidentale dell'India, in cui l'impresa aveva investito 3 miliardi di dollari e la cui sopravvivenza economica dipendeva dall'accesso a gas a buon mercato. Neanche il Regno Unito ha mostrato disinteresse per questa lotta per accaparrarsi le rimanenti forniture mondiali di idrocarburi; questo potrebbe spiegare, in parte, la partecipazione britannica alle azioni militari statunitensi. Lord Browne, amministratore delegato della BP, ha chiesto a Washington di non riservare l'Iraq alle proprie compagnie petrolifere dopo la guerra (notizia Guardian del 30 ottobre 2002). E quando il ministro degli Esteri britannico ha incontrato Gheddafi nell'agosto 2002, è stato detto che "il Regno Unito non vuole perdere contro altre nazioni europee che stanno già facendo a gomitate per ottenere lucrativi contratti petroliferi" con la Libia (notizia BBC Online del 10 agosto 2002). La conclusione di tutta questa analisi potrebbe essere che la "guerra globale al terrorismo" porta i segni di un mito politico propagandato per aprire il cammino ad un programma totalmente differente: l'obiettivo statunitense di un'egemonia mondiale, costruita controllando con la forza le forniture petrolifere.

 

(ottobre 2003)

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