Megalopoli e città diffusa (a cura di Fabrizio Bottini)

one does not look to suburbia for the modern equivalents of the Baths of Caracalla or Chartres Cathedral
[Robert Fishman]

 
 
 
 

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 Estratti da: Rapporto sulla condizione abitativa in Italia, Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sugli insediamenti umani, Habitat II, Istanbul 3-14 giugno 1996 (cap. Milano, pp. 27-32)

L’area metropolitana milanese
Le ipotesi di delimitazione istituzionale dell’area metropolitana che ancora oggi si confrontano sono sostanzialmente due: un’area “vasta”, che tiene conto dell’estensione reale del fenomeno metropolitano, ma che, per oggettivi vincoli legislativi, si riduce all’attuale territorio della provincia di Milano; ed un’area “ristretta”, che sancirebbe le aspirazioni di autonomia dalla futura “città metropolitana” di alcuni sistemi urbani del milanese (Monza e la Brianza, Legnano e l’Olona) e che per certi aspetti corrisponderebbe piuttosto al “nucleo  metropolitano”.

Formazione ed evoluzione dell’area
La formazione di un’area urbana avente caratteristiche spiccatamente metropolitane è fenomeno relativamente recente anche nel milanese.
Dall’unità d’Italia fino agli anni trenta, infatti, la popolazione, i servizi e le attività produttive si concentrano quasi esclusivamente nella città di Milano, tanto che essa, insieme all’attiguo polo industriale di Sesto S. Giovanni, conta più del 90% degli addetti all’industria sul totale di quelli censiti nei 106 comuni dell’area del Piano intercomunale milanese.
Anche la popolazione, evidentemente, risultava fortemente concentrata: al 1921 Milano supera abbondantemente gli 800.000 abitanti, pari alla metà di quelli dell’intera provincia.
A fronte di ingentissimi fabbisogni abitativi, si sviluppa una notevole attività edilizia, non solo nella città, ma anche nel territorio immediatamente circostante, reso via via più accessibile dalle nuove infrastrutture di comunicazione. L’espansione insediativa viene favorita, infatti, da un notevole miglioramento del livello di servizio lungo tutte le linee ferroviarie e tranviarie convergenti su Milano.
A partire dagli anni dell’immediato dopoguerra, si registra un effettivo e reale inserimento del sistema economico milanese nella economia internazionale. In soli dieci anni, tra il 1951 e il 1961, l’occupazione nell’industria manifatturiera di tutta l’area (105 comuni attorno a Milano) passa da 458.000 unità a 640.000, in buona parte per merito dell’industria meccanica, chimica e delle calzature, in forte espansione anche dal punto di vista localizzativo. Anche nella città di Milano l’occupazione industriale registra una fortissima crescita (da 323.000 a 427.000 unità), soprattutto nell’industria leggera e fatto assai rilevante e significativo nelle attività direzionali delle imprese.
Allo sviluppo industriale vengono destinati ampi comparti nella periferia settentrionale e lungo le direttrici del sud-est e del sud-ovest, sebbene rimangano molti grandi impianti industriali entro la circonvallazione esterna della città e addirittura nel cuore della stessa. Tutti i comuni della prima e seconda corona a nord del capoluogo registrano, già fra il 1951 e il 1961, incrementi percentuali dell’occupazione industriale superiori a quelli del capoluogo stesso e ciò vale in modo particolare per quelli attestati lungo tali direttrici. Anche nell’emisfero sud dell’area milanese si assiste, sempre nel decennio 1951-1961, ad un aumento sensibile dell’occupazione industriale, sia pure con valori assoluti molto inferiori a quelli del nord-Milano. Il modello di sviluppo è innestato sulle direttrici radiali che penetrano nel capoluogo, mentre il terziario e i servizi alle imprese si concentrano nella città.
Nel complesso dell’area metropolitana, tuttavia, lo sviluppo insediativo è ancora relativamente contenuto: soltanto il 17% dell’intero territorio dei 106 comuni del Piano intercomunale milanese è urbanizzato nel 1963. Sempre in questo periodo si realizzano nuove importanti infrastrutture stradali, come l’Autostrada del Sole (1958) e l’Autostrada dei Fiori (1960), mentre l’Autostrada dei Laghi, la Milano-Torino e la Milano-Bergamo vengono raddoppiate (1962-1965) e questo favorisce indubbiamente la dispersione dello sviluppo residenziale.
Anche il modello di sviluppo della residenza è, infatti, fortemente radiocentrico, anche se più accentuato verso nord. La popolazione di Milano cresce del 24% mentre quella degli altri comuni dell’area del Piano intercomunale milanese aumenta del 46% e quella dei comuni della prima fascia nord cresce di oltre il 50%.
All’inizio degli anni sessanta si è ormai formata una vera e propria cintura industriale periferica, che risulta interrotta soltanto nel settore ovest, l’unico non attraversato dal sistema ferroviario (storico fattore di localizzazione dell’industria milanese). Milano è diventata città terziaria e di servizi di livello europeo e registra al suo interno una accentuata diversificazione funzionale, che agisce, di riflesso, sull’intero sistema urbano del milanese.
Nel decennio 1961-1971 gli addetti all’industria manifatturiera crescono ulteriormente, anche se in misura minore che nei dieci anni precedenti (41.000 addetti contro 181.000).
È in questa fase che assume carattere di conurbazione il sistema policentrico di Legnano, Busto Arsizio e Gallarate, mentre si consolida ulteriormente la rete urbana dei poli urbani di “secondo livello”, quali Monza, Seregno, Rho, Magenta e Vimercate.
L’esplosione della motorizzazione privata, incentivata da scelte nazionali di politica economica, accentua l’indifferenza localizzativa dell’industria e della residenza e pone in secondo piano sia il ruolo delle ferrovie per il trasporto merci, sia quello delle residue tranvie extraurbane, che vengono smantellate e sostituite da linee automobilistiche.
Dopo il “boom” degli anni sessanta si apre un ciclo di forte ristrutturazione e razionalizzazione produttiva, accentuata dalla crisi petrolifera.
L’occupazione industriale aumenta poco e soltanto nei comuni dell’hinterland: il capoluogo registra addirittura un forte calo degli addetti all’industria, passando da 353.000 a 254.000 unità.
In questo periodo si assiste all’abbandono di numerose aree industriali, in particolare nel capoluogo e nei comuni posti immediatamente a nord del medesimo, cioè nel tessuto urbano più congestionato.
Nella prima cintura e in tutto il nord metropolitano si esaurisce la fase espansiva e si pone mano alla riorganizzazione urbana, al completamento residenziale, al miglioramento dei servizi, mentre in tutto il semicerchio sud si registra un lungo periodo di sviluppo espansivo, che procede soprattutto per grandi interventi, che trasformano profondamente il contesto preesistente, spesso ancora rurale. Sulla spinta di una forte operazione di decentramento residenziale diversi comuni raddoppiano o triplicano lo stock abitativo, soprattutto nel decennio 1971-1981. Il comune di Milano comincia a perdere popolazione, nonostante la costruzione di circa 30.000 nuove abitazioni. Cominciano a manifestarsi quei fenomeni di riduzione delle dimensioni dei nuclei familiari e di erosione dello stock residenziale, a favore del terziario, che continueranno anche per tutto il decennio successivo, quando il calo di popolazione raggiungerà addirittura il 15%.
A partire dalla seconda metà degli anni settanta anche la produzione complessiva di nuove abitazioni nell’area metropolitana subisce una sensibile contrazione: si passa rapidamente dalle 30.000 abitazioni all’anno che costituivano la media dei decenni precedenti alle 13.000-15.000 abitazioni annue (di cui 2.000-3.000 nel capoluogo).
Nel 1980 ben il 33% del territorio dell’area metropolitana risulta urbanizzato e il “peso” relativo del capoluogo (in termini di suolo occupato ad uso urbano), che era del 51,8% nel 1936, è pari al 28,7%, a testimonianza dell’intensità dello sviluppo suburbano.
Nell’ultimo periodo, infine, tra il 1980 e il 1989, pur in presenza di una complessiva stabilità demografica e occupazionale, il consumo di suolo per usi urbani continua su valori consistenti (+ 12%).
Al 1989 i140% dell’area metropolitana è urbanizzato. I costi di insediamento nel capoluogo e nell’area crescono sensibilmente e aumenta la concorrenza dell’uso del suolo fra funzioni residenziali e terziarie.
Nella città di Milano, il fenomeno della dismissione delle aree produttive assume dimensioni imponenti (164 casi e 461 ettari di superficie fondiaria).
Ma negli anni ottanta anche nel resto della provincia di Milano il fenomeno della dismissione delle aree industriali è ormai diffuso e macroscopico: al 1988 esso riguarda ben 214 impianti, situati in 84 comuni (su 184). In base ad una stima prudente si può calcolare che la superficie fondiaria interessata sia di circa 3,6 milioni di mq, pari al 3,3% dell’intero patrimonio di aree industriali esistenti al 1989. Nonostante questo l’attività edilizia industriale non si ferma; infatti tra il 1980 e il 1989, nei 184 comuni della provincia di Milano l’industria occupa 1.700 ettari di nuove aree, con un incremento del 18% rispetto a quelle esistenti.
Comunque, nel frattempo, l’occupazione industriale si riduce in assoluto e in termini relativi. Gli addetti all’industria sono oggi il 25% del totale a Milano (erano il 35% nel 1981) e il 51% negli altri comuni della provincia (erano il 63% nel 1981): solo i comuni ad ovest/sud-ovest e ad est del capoluogo registrano una sostanziale stabilità dell’occupazione industriale.

La situazione abitativa oggi
Negli anni ottanta prosegue l’esodo demografico da Milano città (- 235.000 abitanti nel decennio 1981-1991), ma perdono popolazione, per la prima volta, anche le aree di più antica urbanizzazione e industrializzazione dell’hinterland: la dinamica insediativa residenziale tende quindi ad investire territori sempre più ai margini dell’area metropolitana.
Il sistema dei centri di corona viene dunque assorbendo in maniera sempre più marcata le funzioni residenziali, mentre la città centrale è sempre più abitata e “usata” da popolazioni diverse dai residenti. Tuttavia, lo spopolamento del capoluogo non può (se non in misura marginale) essere interpretato come fuga dalla città alla ricerca di un ambiente residenziale migliore, né tantomeno come effetto indotto dalla delocaliziazione dell’industria.
Esso è nella generalità l’esito di una scelta obbligata, largamente determinata, nella sua articolazione territoriale, dalla disponibilità e accessibilità dell’offerta, in realtà presente soltanto fuori Milano.
In ogni caso, il sistema mostra un funzionamento unitario e la rete dei centri urbani risponde, in maniera diversificata per qualità, ma complessivamente in misura adeguata, alla domanda abitativa metropolitana (più del 50% degli “emigrati” dal capoluogo, quasi 40.000 all’anno, si ferma in un comune della provincia e oltre il 60% dei movimenti residenziali complessivi rimane all’interno dell’area metropolitana).
Il ruolo residenziale svolto dall’hinterland non è però assimilabile a quello di una periferia-dormitorio indifferenziata, sorta per espansione della città centrale. Esso è, anzi, costituito - per la maggior parte - da una rete di piccoli e medi centri urbani che hanno in larga misura saputo recuperare e riqualificare il tessuto abitativo costituitosi nel dopoguerra e che offrono oggi in molti casi una qualità urbana e ambientale, e soprattutto un livello di servizi locali, spesso più appetibile rispetto al capoluogo, soprattutto alla luce di un rapporto costi-benefici complessivo.
Per converso il capoluogo, pur non essendo ancora definitivamente terziarizzato, sta cambiando: il recupero urbano si sviluppa con difficoltà e le risorse territoriali per nuove edificazioni sono praticamente esaurite. Si accentuano quindi i problemi di pendolarismo e congestione e la composizione sociale della popolazione tende a polarizzarsi (anziani, nuclei monopersonali, professionisti del terziario avanzato, immigrati dal Terzo mondo).
Al suo interno si evidenziano marcate differenziazioni che riproducono con diverse proporzioni quanto si è descritto a livello territoriale ampio. Le zone centrali sono per eccellenza sede del terziario e della residenza di pregio mentre la periferia, soprattutto a sud, si qualifica come luogo di concentrazione dell’edilizia popolare e cooperativa.