CAPITOLO 5: LA CACCIA PRATICATA NEL DELTA DEL PO VENETO

Le fonti normative che regolamentano l'attività di caccia nel Delta del Po Veneto sono: la legge nazionale sulla caccia (la L. 157/'92), la legge regionale veneta sulla caccia (la L.R. 50/'93), la legge nazionale sui parchi (la L. 394/'91), la legge regionale che ha istituito il Parco Naturale Regionale del Delta del Po Veneto (la L. R. 36/'97), il piano faunistico venatorio regionale 1996-2001 (la L.R. 17/'96), lo statuto dell'A.T.C. 4A3, il regolamento che disciplina la caccia valliva nell'A.T.C. 4A3, il regolamento che disciplina la caccia terriera nell'A.T.C. 4A3 e le disposizioni particolari relative allo svolgimento dell'attività venatoria nell' A.T.C. 4A3 emanate dal dirigente del servizio caccia e pesca della Provincia di Rovigo.

Non è scopo di questa trattazione fare una disamina di quali sono gli aspetti salienti di tali leggi e disposizioni, ma solo di descrivere le abitudini venatorie dei seguaci di Diana della zona del Delta del Po Veneto, in relazione sia al rispetto delle suddette leggi, sia alla loro violazione.

La maggior parte dei cacciatori che praticano l'esercizio venatorio nell'A.T.C. 4A3 cacciano da appostamenti fissi ubicati in territorio lagunare e vallivo.

Vi sono, ovviamente, come nel resto d'Italia, i patiti della caccia in forma vagante e con il cane che vanno pazzi per lepri e fagiani, ma trattasi questa di una pratica venatoria che di solito ha il suo acme durante i primi giorni dopo l'inizio dell'apertura dell'attività venatoria, quando tali animali, la maggior parte di allevamento , sono facili prede delle doppiette e dei cani dei seguaci di Diana. E' scontato il dispiacere che causa la fine di quelle povere bestiole (anche se non è lo scopo di questo lavoro fare disquisizioni ideologiche sulla caccia), ma il loro abbattimento non è certo un danno per il patrimonio faunistico nazionale, in quanto di "selvatico" hanno ben poco.

La vera tradizione di venatoria nel Delta del Po Veneto consiste nel praticare la caccia dalle botti o dai palchetti, (questi ultimi detti localmente coeie) ubicati nelle sacche, nelle lagune e nelle valli. Le prede più ambite sono Anatidi e limicoli.

Le botti (di solito in ogni singolo sito di caccia ve ne sono due) sono manufatti, normalmente in cemento, ancorati sul fondo delle paludi, che poggiano su un basamento fatto usualmente con gli stessi massi che costituiscono "la difesa in roccia" (dalle piene) degli argini interni del Po (può capitare di vedere, nelle giornate che precedono l'apertura della caccia, un via vai di cacciatori che "prelevano" tali pietre e le utilizzano per sistemarsi l'appostamento; qualcuno, per questo,è stato anche denunciato e condannato per furto ai danni del demanio dello Stato). Per nascondere la postazione ed il natante che ormeggiano nei pressi, i cacciatori solitamente mimetizzano le botti con canne di palude, giunchi, ramaglie ed altra vegetazione utile a tale scopo. Quando cacciano, utilizzano un confortevole sgabello che permette loro di stare comodamente seduti all'interno della botte.

visualizza foto botti di caccia con stampi

I palchetti hanno la stessa base in roccia delle botti, ma sono costituiti da una serie di assi sopraelevate dall'acqua. Sono notevolmente più grandi delle botti, dispongono infatti anche di ripiani dove poggiare le armi, di sedili e di un alloggiamento per la barca. Anche i palchetti vengono opportunamente mimetizzati con materiali idonei.

visualizza foto palchetto visto dall'esterno

 

visualizza foto interno di un palchetto

All'interno di ciascun appostamento non vi possono stare più di tre cacciatori, inoltre è fatto divieto di occupare l'appostamento ad estranei non iscritti all'ambito e di farne un uso diverso da quello della pratica dell'attività venatoria.

Di tali tipi di appostamenti ve ne sono sia in territorio demaniale, libero, sia nelle aziende faunistico venatorie (in queste ultime vi sono soprattutto botti).

Entrambi i tipi di postazioni di caccia sono censiti dall'Amministrazione Provinciale, trattandosi infatti di veri e propri manufatti (scarso è l'uso degli appostamenti temporanei, che non richiedono autorizzazione e devono essere rimossi a fine giornata) che necessitano di autorizzazioni ai sensi della legge Galasso e concessioni dalla Capitaneria di Porto (in questo caso di Chioggia, competente per territorio) ed ammontano a 351.

Essi, nel territorio libero (per territorio libero si intende quello che non è di proprietà di privati), non sono intestati ai singoli cacciatori, in quanto chi per primo ne occupa uno, ha il diritto, per quella giornata, di esercitarvi l'attività venatoria. Gli appostamenti sono della Provincia (che li gestisce unitamente al Comitato Direttivo dell'Ambito), che paga anche un canone al demanio marittimo. I singoli cacciatori, a loro spese, si preoccupano di effettuare la manutenzione dei vari manufatti. In realtà, capita sovente che i singoli cacciatori rivendichino il diritto di proprietà sugli appostamenti, con la scusa di essere stati loro ad approntarlo, e guai se uno occupa "l'appostamento di un altro"...sono capaci di arrivare alle mani, di bruciarseli a vicenda, di denunciarsi o di tagliarsi i pneumatici delle auto (1)!

Che non risponda al vero il fatto che gli appostamenti in territorio libero non siano di proprietà, è comprovato da casi accertati di cacciatori che hanno letteralmente "venduto" il "proprio appostamento" (capita per esempio, a volte, che un anziano cacciatore decida di attaccare la doppietta al chiodo e che magari non abbia figli che l'abbiano seguito nella sua passione) ad altri cacciatori per molti milioni (come se si trattasse della vendita di una licenza commerciale! Ma, in fondo, la caccia per alcuni abitanti del Delta è proprio una sorta di forma di lucro e può essere paragonata ad una specie di attività lavorativa!) (2).

Il cacciatore parte di solito di notte (le ore migliori per la caccia sono infatti le prime ore dell'alba), con una barca che riempie di tutta l'attrezzatura necessaria: documenti venatori (licenza di caccia, tesserino regionale sul quale annotare il giorno dell'uscita, la provincia nella quale si è fatta l'uscita ed eventualmente anche i capi abbattuti, il tesserino lagunare e vallivo sul quale vanno fatte le stesse annotazioni di quello regionale ed inoltre va annotata anche la località ove si è praticata l'attività venatoria, la ricevuta attestante il pagamento delle tasse di concessione governativa ed il pagamento dell'assicurazione prevista per la pratica venatoria), fucili (nell'appostamento non si possono portare più di due fucili, che devono essere con canna ad anima liscia e di calibro non superiore al 12, di cui uno deve rimanere scarico e nel fodero), cartucce, stampi (di solito attorno al centinaio per ogni appostamento), richiami vivi, fischi e richiami a bocca o manuali, il cane (che gli serve per recuperare la fauna abbattuta e finita in mezzo ai canneti o nelle secche della palude), e generi di conforto (utili soprattutto durante i freddi mesi invernali, in cui il termometro scende abbondantemente sotto lo zero). Raggiunge l'appostamento, lo occupa con la barca, in maniera che nessuno gli "rubi il posto", poi, due ore prima della levata del sole, inizia l'attività preparatoria per la caccia, posa gli stampi ed i richiami vivi, effettua le prescritte annotazioni sui tesserini venatori in suo possesso, carica il fucile e rimane in attesa della fauna selvatica per abbatterla.

Ogni tanto si sposta con la barca per ricercare gli animali che sono andati a morire troppo lontani dal suo appostamento, a volte si sposta a remi perché, a causa delle escursioni delle maree, il motore fuoribordo non ha sufficiente pescaggio per poter funzionare.

Al termine della giornata di caccia, ritira tutto il materiale, stampi e richiami entro un'ora dopo l'orario stabilito dal calendario venatorio (il calendario venatorio è quel documento emanato dalla regione e che può essere integrato dalla provincia, nel quale sono riportate le specie cacciabili, i periodi in cui possono essere abbattute, il numero massimo di specie cacciabili, l'orario di inizio e di chiusura dell'attività venatoria ed altre prescrizioni che devono essere rispettate da chi esercita l'attività venatoria) ed abbandona l'appostamento.

Durante il periodo di apertura della caccia (di solito dalla terza domenica di settembre al 31 di gennaio), esclusi i giorni di martedì e venerdì (giorni di silenzio venatorio anche se ricompresi durante il periodo in cui si può cacciare), al cacciatore è consentito andare a caccia tre volte alla settimana, con l'estensione a ben cinque giorni su sette (iniziando a contare dal lunedì) per la caccia alla selvaggina migratoria nei mesi di ottobre e novembre.

La caccia praticata nelle aziende faunistico venatorie (territori di grande pregio faunistico, in possesso di privati, dove un terzo del territorio deve essere destinato a zona protetta e dove i concessionari rilasciano l'autorizzazione di caccia agli ospiti, che non hanno l'obbligo di essere iscritti all' A.T.C.) , che per l'A.T.C. 4A3 sono per la stragrande maggioranza anche valli da pesca (poche e di scarsa importanza sono quelle non ubicate nelle valli), è analoga a quella che abbiamo appena descritto. Le differenze sono le seguenti: si caccia solo il sabato, gli appostamenti sono di proprietà (l'affitto di una botte di caccia per una stagione venatoria può costare dai 30 ai 60 milioni, ma anche di più per le aziende più prestigiose) (3), e tutta la fatica per il raggiungimento degli appostamenti con i natanti, il loro allestimento, la posa degli stampi e dei richiami, il recupero della fauna selvatica, ecc., viene fatta dal capocaccia (dipendente dell'azienda, pagato dal proprietario proprio per curare tutti gli aspetti tecnici relativi alla pratica dell'esercizio venatorio, compresa l'alimentazione degli uccelli selvatici, importante richiamo per la sosta degli stessi nei confini della valle) o da qualche suo subalterno. Il "signore", il "riccone" che usufruisce della botte e che materialmente abbatte gli uccelli ("senza sporcarsi le mani" e "senza sudare"), di solito arriva il venerdì sera nella valle ed è ospite del concessionario nel casone di valle, dove cena e dorme. All'alba, accompagnato dal capocaccia, pratica il suo "sport" preferito, ed a metà mattina lascia l'azienda con il suo ricco bottino di Anatidi abbattuti.

Grande è la diatriba tra i "facoltosi" concessionari delle aziende faunistico-venatorie ubicate nel territorio lagunare e vallivo ed i cacciatori che frequentano il territorio libero. Gli uni "accusano" gli altri di fare "stragi" di uccelli. I proprietari delle valli "incolpano" i rimanenti cacciatori di "rubare" loro gli uccelli (nelle valli, grazie agli apprestamenti fatti dai proprietari e dai loro capicaccia, i "registi della caccia", vi è la maggiore quantità di uccelli del Delta) facendoli uscire dalle valli con i richiami elettroacustici vietati (di cui parleremo meglio in seguito) o spaventandoli con il doloso lancio di petardi e razzi, con lo scopo di fare fuoriuscire gli uccelli dal territorio recintato della valle e farli andare nel territorio libero, dove vi sono i bracconieri che li stanno aspettando.

Dal canto loro i cacciatori non vallicoltori "incolpano" i "rivali" di "drogare" gli uccelli con cibo capace di renderli meno efficaci nel volo e, quindi, essere più facilmente preda dei frequentatori delle botti in valle.

Inoltre, poiché le aziende faunistico-venatorie sono completamente recintate da filo spinato, vigilate da guardie giurate ed accessibili solo dal cancello d'ingresso, rigorosamente chiuso a chiave e sorvegliato, sostengono che risulta praticamente "inefficace" il controllo delle guardie venatorie.

Infatti, qualora queste decidessero di verificare le irregolarità di un'azienda (anche in esse, purtroppo, a volte si fa uso di richiami elettroacustici o di fucili vietati) (4), il tempo che si perde perché venga aperto loro il cancello e vengano condotti dai dipendenti del concessionario sulle postazioni occupate (secondo il regolamento provinciale che disciplina la caccia nelle aziende faunistico venatorie ubicate in territorio vallivo, infatti, durante i controlli di tiro, il proprietario della valle deve mettere a disposizione del personale di vigilanza venatoria propri natanti e dipendenti), fa si che eventuali reati finiscano per non essere scoperti (anche perché o con le radio-ricetrasmittenti o con i cellulari, verrebbe comunicato ad ogni modo il sopraggiungere del controllo agli occupanti le postazioni!) (5)

Per spezzare una lancia in favore dei vallicoltori, però, occorre dire che essi vanno a caccia una sola volta alla settimana, mentre, come detto,il resto dei cacciatori può andarvi tre volte e nei mesi di ottobre e novembre addirittura cinque su sette ed i barcaioli abusivi, di cui parleremo tra poco, non si fanno certo sfuggire questa opportunità. Maggiore, quindi, dovrebbe essere l'abbattimento di fauna selvatica effettuato da questi ultimi.

Comunque, le due categorie di contendenti in una cosa sono a volte accomunate: fare i maggiori bottini  sfruttando le condizioni atmosferiche inclementi e sfavorevoli per gli uccelli ma molto propizie per i cacciatori. Quando ci sono le giornate invernali di vento freddo, durante le quali soffiano le forti raffiche di bora (nel Delta detta "buora"), gli Anatidi fanno fatica a volare e tendono a rifugiarsi ed a raggrupparsi nelle zone riparate dal vento. Ecco, a volte, proprio in tali occasioni, entrambe le "fazioni" fanno spesso i "migliori carnieri" ed incuranti del freddo che taglia la pelle come un coltello, rimangono a caccia il più a lungo possibile (6) compiendo vere e proprie "stragi" (7) e non è detto che superino le quote giornaliere stabilite dal calendario venatorio! I vecchi cacciatori raccontano di celebri "stragi" di anatre, i cui corpi insanguinati hanno colorato di rosso, per giorni, le acque delle valli.

Meno frequente di un tempo, perché tipica soprattutto dei foranei (in modo particolare dei padovani, vicentini, forlivesi e ravennati), quando nel Delta del Po Veneto era diffuso il nomadismo venatorio (prima, cioè, dell'istituzione degli ambiti) è la caccia dal capanno.

I capannisti, cioè i "patiti" di questo tipo di caccia, allestiscono appostamenti temporanei (di solito formati da tubi metallici telescopici e da tela mimetica) su campi di erba medica, oppure in mezzo a fossati prosciugati; intorno agli appostamenti collocano stampi delle specie che hanno intenzione di abbattere (di solito pavoncelle, allodole, cesene, tordi e, quando erano ancora cacciabili, passeri e storni) e gabbiette contenenti i richiami vivi.

visualizza foto appostamento temporaneo con vicino una guardia venatoria durante un controllo

Nella caccia ad alcune specie, per esempio nella caccia alle allodole, vengono usati anche altri "strani marchingegni", detti "giostre" o, localmente, "macachi", costituiti da un motore elettrico, azionato da una batteria da automobile, che fa ruotare stampi di allodole, oppure specchietti o fa alzare lo stampo della civetta. Come noto, l'allodola è curiosa e si fa trarre in inganno da tutto quell'armamentario. Ora questo tipo di caccia è praticato per lo più dagli ospiti dell'ambito o da coloro i quali, provenienti da altre Province del Veneto o da altre Regioni (dove tale tipo di pratica è più radicata), risultano iscritti all'A.T.C. 4A3 in qualità di proprietari o conduttori di fondi presenti nel Delta.

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