Dominus Iesus
NELLA GABBIA DELL'INQUISITORE
LA TRAVE E LA PAGLIUZZA
Riflessioni dell'Associazione italiana «NOI SIAMO CHIESA»


"L'intenzione del potente è grottesca: vuol essere l'unico"
(Elias Canetti)

 Nel leggere il documento stilato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF), Dominus Iesus (DI), a firma del card. Joseph Ratzinger (datato 6 agosto 2000 e pubblicato il 5 settembre), e nel constatare le reazioni di cristiani e di non cristiani, abbiamo spontaneamente pensato che il modello soggiacente al testo vaticano, ampollosamente autodefinitosi meritevole di "assenso definitivo e irrevocabile", fosse quella dicotomia che costituisce l'essenza della "parabola del fariseo e del pubblicano", che Luca (18, 9-14) scolpisce con pochi ma eloquenti tratti.

  "Poi Gesù raccontò un'altra parabola per alcuni che si ritenevano giusti e disprezzavano gli altri. Disse: Una volta c'erano due uomini: uno era fariseo e l'altro era un agente delle tasse. Un giorno salirono al tempio per pregare Il fariseo se ne stava in piedi e pregava così tra se: O   dio, ti ringrazio perché io non sono come gli altri uomini: ladri, imbroglioni, adulteri. Io sono diverso anche da quell'agente delle tasse. Io digiuno due volte alla settimana e offro al tempio la decima parte di quello che guadagno.
L 'agente delle tasse invece si fermò indietro e non voleva neppure alzare lo guardo al cielo. Anzi si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me, sono un povero peccatore! Vi assicuro che l'agente delle tasse tornò a casa perdonato; l'altro invece no. Perché, chi si esalta sarà abbassato, chi invece si abbassa sarà innalzato".

 La scissione dicotomica del pio fariseo

Il fariseo della parabola non si accorge di ripetere quell'antica scissione che si nutre di opposti "assoluti": giusto-malvagio; perfetto-imperfetto; ladro-onesto; adultero-fedele. Per lui non ci sono condizioni intermedie, verità in corso d'opera. La condizione umana è segnata o dalla virtù o dal vizio. I comportamenti possono essere irreprensibili (il suo) oppure censurabili (quello del pubblicano) in grado assoluto, senza mescolanze, o somiglianze.
In quanto militante e praticante di una religione non solo 'vera", ma "più vera" e superiore alla altre espressioni religiose, il "pio fariseo" ritiene di godere di una sorta di immunità dal peccato, dalle impurità del cuore. Egli è intimamente convinto che l'adesione al "credo", al "rito" e alla "legge" lo innalzino automaticamente al di sopra degli altri, siano essi uomini o prassi religiose, fino ad assumere il ruolo di giudice che emette sentenze incontrovertibili e inappellabili.

  La Chiesa perfetta ~ gli altri imperfetti

Lo schema dicotomizzante che il buon fariseo adotta nel rapportarsi con Dio e con i propri simili ci sembra sostenere tutto l'impianto delle precisazioni teologiche della Dominus Iesus, un condensato di affermazioni tese a mostrare e a dimostrare non l'utilità, ma la superiorità assoluta della Chiesa cattolico-romana (con tutto il suo apparato ecclesiastico) su qualsiasi religione o chiesa non cattolica.
Osserviamo in proposito alcuni passaggi del testo vaticano DI.

  1. «La Chiesa, nel corso dei secoli, ha proclamato e testimoniato con fedeltà il Vangelo di Gesù» (cap.2).

Con questa affermazione, mai smentita o smussata nel corso del testo, la Chiesa si esibisce davanti a Dio come il perfetto e osservante fariseo: esente da macchie e peccati nel proclamare e testimoniare il Vangelo. Nel suo orizzonte questa Chiesa vede solo la "fedeltà", in un grado che non lascia spazio a debolezze o deviazioni. Più che ad autoesaminarsi, appare intenta a pavoneggiarsi e ad autoesaltarsi, al punto da perdere ogni contatto con la realtà, immaginandosi già trasformata in corpo celestiale. La conseguenza di questo autoaccecamento è che la «"Chiesa" non ha necessità di chiedere perdono, perché è ed è stata sempre fedele «nel corso dei secoli». Che essa non sia tenuta a chiedere perdono a Dio per i suoi peccati è stato ampiamente argomentato nel documento «Memoria e Riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato» emesso il 7 marzo 2000 dalla stessa CDF, dove si asserisce che, in assenza di una tradizione e di un definitivo giudizio storico, il papa e la Chiesa cattolica non sono tenuti a confessare, oggi, le eventuali colpe del passato; che, se errori vi sono stati, debbono essere imputati ai "figli della Chiesa" più che ad essa come Istituzione ; e che anche di fronte a peccati storicamente accertati della Chiesa si debbono valutare "i costi" di tale confessione, poiché ciò potrebbe minacciare "La fede dei deboli", "inibire lo slancio dell'evangelizzazione mediante l'esasperazione degli aspetti negativi'; e rafforzare "pregiudizi nei confronti del cristianesimo". La Chiesa in quanto tale non è, dunque, una casta meretrix, semper reformanda, come ci avevano avvertito i Padri della Chiesa: se si è macchiata di colpe, conviene negarle o rimuoverle come fa il devoto fariseo della parabola.

 2. Altre citazioni della DI sono illuminanti:

"La chiesa di Cristo, malgrado le divisioni dei cristiani continua ad esistere pienamente soltanto nella Chiesa cattolica "(16).  "Esiste quindi un'unica Chiesa di Cristo, che sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui" (17). "Le Chiese che, pur non essendo in perfetta comunione con la Chiesa cattolica... sono vere Chiese particolari" (17). "Perciò, in connessione con l'unicità e l'universalità della mediazione salvifica di Gesù Cristo, deve essere fermamente creduta come verità di fede cattolica l'unicità della Chiesa da lui fondata " (16). "Le parole, le opere e l'intero evento storico di Gesù, pur essendo limitati in quanto realtà umane, tuttavia, hanno come soggetto la Persona divina del Verbo incarnato... e perciò portano in sé la definitività e la completezza della rivelazione delle vie salvifiche di Dio" (6). 'La tradizione della Chiesa, però, riserva la qualifica di testi ispirati ai libri canonici dell'Antico e del Nuovo Testamento... hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati a//a Chiesa"(8). contrario alla fede cattolica considerare la Chiesa come una via di salvezza accanto a quelle costituite dalle altre religioni" (21).

La presentazione della Chiesa secondo la CDF vaticana non conosce toni di umiltà, pudore e autocritica: come il fariseo, afferma di "non essere come gli altri". È diversa dalle altre Chiese perché è unica. Ed è unica perché in essa c'è la pienezza di Dio-Cristo, la completezza della Rivelazione, la totalità della salvezza, la verità dei "libri che hanno Dio per autore".
Se nelle altre confessioni c'è qualcosa di buono, lo si deve perché, pur senza essersi sottomesse al "primato"assoluto del papa, hanno mantenuto una certa comunione sotterranea con la Chiesa cattolica, la quale non pare avere il dovere di essere in comunione con le altre Chiese non cattoliche.
Pur ammettendo la divisione tra cristiani, la Chiesa cattolica romana non si sente chiamata in causa, come se tale "peccato" dipendesse esclusivamente dalle altre Chiese. Ritorna il modello del fariseo della parabola, il quale non può condividere, nel bene e nel male, la condizione umana con i propri simili.

  3. Dice ancora la DI:

"Deve essere, quindi fermamente ritenuta La distinzione tra la fede teologa/e e la credenza nelle a/tre religioni... Non sempre tale distinzione viene tenuta presente nella riflessione attuale, per cui spesso si identifica la fede teologale, che è accoglienza della Verità rivelata di Dio Uno e Trino, e la credenza nelle altre religioni che è esperienza religiosa ancora alla ricerca della verità assoluta" (7). "Di fatto alcune preghiere e alcuni riti de/le altre religioni possono assumere un ruolo di preparazione evangelica.. Ad essi non può essere attribuita l'origine divina e l'efficacia salvifica ex opere operato che è propria dei sacramenti cristiani" (21). "D'altronde non si può ignorare che altri riti, in quanto dipendenti da superstizioni o da altri errori, costituiscono piuttosto un ostacolo per la salvezza" (21). "Se e' vero che i seguaci delle altre religioni possono ricevere la grazia divina, e pur certo che oggettivamente si trovano in una situazione gravemente deficitaria se paragonata a quella di coloro che, nella Chiesa, hanno la pienezza dei mezzi salvifici (22). Dio non manca di rendersi presente... anche ai popoli mediante le loro ricchezze spirituali, di cui le religioni sono precipua ed essenziale espressione, pur contenendo "lacune, insufficienze ed errori" (8).

 Il documento vaticano sarebbe stato meno inaccettabile se, pur presentando la Chiesa come perfetta, si fosse astenuto da fare odiose classificazioni tra i figli di Dio e dall'emettete giudizi sulle altre religioni. Sventuratamente la CDF non si é attenuta al Vangelo che dice di testimoniare con fedeltà, e si è avventurata nel micidiale terreno delle comparazioni e del giudizio, tassativamente proibito da Gesù Cristo, specie quando esso non sia preceduto dall'asportazione della "trave che si ha nel proprio occhio". Cade così nell'errore del pio e osservante fariseo il quale, avendo dimenticato che uno dei due comandamenti primari di Dio è "ama il prossimo tuo come te stesso", non si accorge di violarlo nel momento in cui stabilisce, per di più aprioristicamente, che lui è totalmente buono, mentre gli altri, anche se oranti, appartengono ad una categoria moralmente inferiore.
Secondo gli estensori del documento curiale, al di fuori dell'isola incantata della Chiesa cattolica, dove tutto è perfetto ed esente da peccati, contraddizioni e oscurità, tutto il resto è imperfetto e carente. Dio dona a un miliardo di cattolici la "pienezza dei mezzi per la salvezza", mentre ai 4/5 dell'umanità concede benevolmente sprazzi di grazia attraverso religioni che "contengono lacune, insufficienze ed errori".
Anche le fedi hanno uno statuto diseguale: quella cattolica é "teologale", perché fondata su "verità complete ed assolu
te", mentre quelle delle altre religioni (4/5 del genere umano!) appartengono all'ordine delle ''credenze', cioè esperienze religiose "non ancora alla ricerca della verità assoluta".
I riti e le preghiere non sono ritenuti "diversi", ma ontologicamente "diseguali". Quelli "cattolici", invece, hanno un particolare marchio di fabbricazione doc e sono garanzia di salvezza, in quanto possiedono "un'origine divina e l'efficacia salvifica
ex opere operato che è propria dei sacramenti cristiani", mentre i 4/5 del genere umano che pregano con formule rituali non cattolico-sacramentali non solo si trovano in un "ruolo di preparazione evangelica", inferiore a quello di chi è già evangelizzato, ma corrono il rischio di essere inquinati da "superstizioni o da altri errori" che "costituiscono piuttosto un ostacolo per la salvezza".

La visione integralista, fondamentalista, dicotomizzante e manicheizzante del fariseo della parabola si riproduce nella versione dell'organismo vaticano: da una parte ci sono i cattolici sottomessi al papa, con un piede in zona "salvezza"; mentre dall'altra parte ci sono i seguaci di altre religioni con un piede nella zona "perdizione", dato che "oggettivamente si trovano in una situazione gravemente deficitaria se paragonata a quella di coloro che, nella Chiesa, hanno la pienezza dei mezzi salvifici". Tra le due parti non ci sono somiglianze, né possibilità di incontri, dialoghi o interfecondazioni, poiché "è contrario alla fede cattolica considerare la Chiesa come una via di salvezza accanto a quelle costituite dalle altre religioni".

 L'evangelizzazione "dicotomica"

 Immaginiamo quale dovrebbe essere, secondo l'ottica del documento vaticano, la presentazione del messaggio evangelico di un "cattolico" a un "non cattolico":

"Caro/a amico/a, la mia fede mi insegna che la tua religione, senza saperlo, contiene un raggio del nostro Cristo, ma tu ti trovi in una situazione oggettivamente deficitaria, praticando riti viziati da superstizioni che sono un ostacolo per la salvezza.
Vedo che tu sei alla ricerca della Verità assoluta, ma questa si trova solo nella mia religione, quella cattolica, perché essa ha ricevuto la Rivelazione piena, definitiva di Dio in Gesù. Lui ha fondato una sola Chiesa vera, quella cattolica e apostolica: ci sono altre Chiese cristiane separate dalla nostra, ma non sono nostre sorelle, perché l'unica madre è quella cattolica. In più noi abbiamo dei riti veri che ti fanno automaticamente figlio di Dio.
Se vuoi essere salvo entra nell'unica Chiesa di Cristo, governata dal papa e dai vescovi in comunione con lui"

Immaginiamo anche l'ironica replica del "non cattolico":
"E questa sarebbe la Buona Notizia?" Potrebbe anche aggiungere che l'unicità della salvezza esclusivamente tramite Gesù Cristo è stata utilizzata per imporre la superiorità dell'Occidente sui popoli pagani; della Chiesa romana su altre Chiese; dei bianchi sui non-bianchi; dell'uomo sulla donna; del clero sui laici, dei celibi sugli sposati; del papa su tutti.
Per la verità il nostro solerte missionario cattolico, impegnato nella diffusione del Vangelo, dovrebbe aggiungere un'avvertenza che il documento della CDF pone alla fine:
"Tuttavia occorre ricordare a tutti i figli della Chiesa che la loro particolare condizione non va ascritta ai loro meriti, ma ad una speciale grazia di Cristo; se non vi corrispondono col pensiero, con le parole e con le opere, non solo non si salveranno, ma anzi saranno più severamente giudicati"(22)
Il problema è che anche il pio fariseo della parabola è certo di corrispondere alla volontà di Dio con la preghiera, il digiuno e le opere di carità: non immagina, però, che Dio Padre voglia pensieri ed opere che creino la fraternità umana (il Regno di Dio), e che si pongano come superamento di quelle divisioni religiose, razziali, sociali o sessuali, che lui stesso va fomentando.

La malattia dell'assoluto

Pur non giungendo alle estreme conseguenze del fariseo che eguaglia il pubblicano ad imbroglioni-ladri-adulteri, il documento vaticano genera la sensazione nei non-cattolici che essi siano "menomati", cioè "meno amati" da Dio a conseguenza di una divisione binaria, per cui i cattolici possiedono l'assoluto, mentre gli altri il relativo. Se la Chiesa cattolica come via di salvezza non può stare accanto a quelle costituite dalle altre religioni ciò è dovuto all'equazione identificatoria tra ciò che è storico, con ciò che è eterno, tra il visibile e l'invisibile, tra il creato e l'increato. Una volta realizzata tale identificazione essa trasmigra ad altre più terrene, con risultati aberranti e ridicoli.
In altre parole il documento vaticano sembra soccombere alla tentazione delle identificazioni con l'assoluto e con il suo derivato naturale, l'onnipotenza: tentazioni già sperimentate da Gesù e alle quali egli ha saputo sottrarsi con forza straordinaria.

Il papato assolutistico

Una Chiesa dominata dall'ossessione dell'assoluto non può reggersi che sul governo "assoluto": il testo della CDF lo sfuma parlando del "Primato che il Vescovo di Roma oggettivamente ha ed esercita su tutta la Chiesa" (17). Probabilmente la frequenza dei concetti dominati da aggettivi come unico, totale, completo, assoluto, hanno imposto ai redattori un certo pudore, per cui hanno omesso di dire che nella Chiesa cattolica c'è un altro "assoluto": è quello del "primato" del papa-vescovo di Roma sulla Chiesa, assoluto in quanto legibus solutus (non obbligato da leggi).
Fin dal 1302 nella bolla Unam sanctam Papa Bonifacio VIII aveva dichiarato "che per ogni creatura umana è assolutamente necessario per la salvezza essere sottomessi al Vescovo di Roma".
Nel decreto Christus Dominus del Concilio Vaticano II si omette tale dizione ritenuta probabilmente troppo ridicola, ma si afferma che il Sommo pontefice "è per divina istituzione rivestito di una potestà suprema, piena, immediata, universale... e detiene la suprema potestà ordinaria su tutte le Chiese" (n.2). Nella "Nota Esplicativa previa" del cap. III della Costituzione dogmatica sulla Chiesa (Lumen Gentium) si legge che il papa può agire "secundum propriam discretionem" cioè "secondo il suo personale parere": cosicché egli può nominare vescovi, fissare dottrine e liturgie, emanare norme che vincolano tutti salvo che lui, stabilire linee politiche con i nunzi e i Concordati con gli Stati, emettere sentenze inappellabili senza rendere conto a nessuno.

In conclusione: il papa può autonomamente decidere su tutto: un miliardo di cattolici, insieme, non possono decidere nulla.
E' evidente come la mancata vigilanza sul processo di idealizzazione-assolutizzazione abbia finito per aprire un varco ad altre idealizzazioni nella teologia e nella pastorale cattoliche, dalla "Mario-latria" fino alla "papo-latria", con il risultato paradossale di un papa che, per la prima volta nella storia della Chiesa, si sente obbligato a promettere di rivisitare l'esercizio assolutistico, del suo "primato" (enciclica Ut Unum Sint, 1995), dato che esso è l'ostacolo primario alla riconciliazione tra le chiese. Promessa, comunque, finora non solo del tutto elusa, ma contraddetta da molteplici atti di esercizio "assolutistico".

La religione «vera»: l'amore

La conseguenza tragica di ogni processo sistematico di assolutizzazione-divinizzazione-idealizzazione è la rimozione della realtà concreta, teso com'è a ri-crearne una completamente "virtuale", comunque dis-umana.
Nel caso del papa la de-umanizzazione consiste nel dilatarne il ruolo fino a renderlo da semplice e umano "successore" di Pietro a Vicario "unico" di Cristo (quindi depositario di un potere assoluto).
La stessa persona umana e storica di Gesù è profondamente oscurata
apparire solo Dio, non il figlio di Maria e Giuseppe, il falegname di Nazareth; colui che non ha né casa né luogo per essere interrato; colui che, con un gruppo di amici itineranti, annuncia ai poveri la scandalosa Buona Novella che il Padre li predilige e che il Regno di Dio e' già presente tra gli uomini perché i ciechi vedono, i sordi odono e i paralitici camminano; colui che è calunniato davanti ai tribunali, torturato dall'esercito, vittima del fanatismo sacerdotale e dell'opportunismo politico, un "bestemmiatore" condannato alla crocifissione dal potere imperiale.

Non una parola viene spesa nel lungo documento della CDF per dire che Gesù s'impegna, anche a costo di morire, nella costruzione di un nuovo modello sociale, familiare e religioso dove non ci siano più differenze di sesso, razza o religione; né gerarchie ("né padri, né capi, né maestri") ma solo fratelli e sorelle; disposti a vivere da servi, alla mercé dell'ospitalità, a lasciare anche il mantello a chi cerca d'impossessarsi della camicia, a porgere l'a/tra guancia a chi da uno schiaffo. Anche per Paolo l'ekklesia di Dio non è una nuova religione, ma una nuova società, qui e ora sulla terra.
Per Gesù, beati non sono quelli che si limitano a offrire sacrifici, o a seguire le norme religiose, ma quelli che rinunciano a tutte le forme di violenza, di cui il giudizio è la forma più frequente: "chi dice a suo fratello: 'sei un cretino', sarà portato di fronte a/tribunale superiore" (Mt 5,22). Altrettanto categorico è Paolo: "E tu perché giudichi tuo fratello? E tu, perché disprezzi il tuo fratello? Smettiamo allora di giudicarci a vicenda" (Rm 14, 10-13).
Per Giacomo fare differenze
è già giudicare con parametri perversi: "Voi vi mostrate pieni di premure per quello che è vestito bene e dite: "Siediti qui. Al posto d'onore". Al povero, invece, dite: "Tu rimani in piedi". Se vi comportate così, non é forse chiaro che fate delle differenze tra l'uno e l'altro e che ormai giudicate con criteri malvagi?" (Gc 2,3-4).
Gesù è colui che agisce nella storia umana sovvertendo le categorie fondanti della società e delle religioni; mettendo al centro chi è escluso (bambini, poveri, vedove, malati, peccatori pentiti); e spostando alla periferia chi si ritiene di stare nel giusto e nel cuore di Dio (teologi del tempio, farisei, sani, ricchi, sapienti). Questo ribaltamento della scala valoriale viene qualificata come una "bestemmia" dalla religione ufficiale, perché distrugge tutte le identità confessionali, che vengono azzerate dall'unica vera religione a-confessionale che è la «pratica della giustizia e dell'amore". Il cuore dell'ortodossia è l'ortoprassi: dottrine, riti, sacrifici, digiuni sono inutili se non si risponde concretamente alle sofferenze del prossimo. Infatti, ci ammonisce ancora l'apostolo Giacomo: "Anche i demoni hanno la fede, ma essi non operano però il bene e non fanno la volontà di Dio" (Gc 2, 19-20).
"Religione pura e genuina davanti a Dio nostro Padre è questa: prendersi cura degli orfani e delle vedove che sono nella sofferenza e guardarsi dalle sozzure del mondo" (Gc 1,27)

Dio non esige l'amore assoluto, ma l'amore relativo, possibile, a portata di tutti, di atei e pagani, di buddisti e musulmani.
Scriveva nel 1963 un teologo cattolico: "L'amore
è completamente sufficiente e non occorre altro. Ciò risulta chiaro dalla conversazione tra Gesù e il dottore della legge (Mt 25,31-46) in cui il giudice non chiede a ciascuno cosa creda, pensa o comprende, ma lo giudica semplicemente e unicamente secondo la misura del suo amore. I/ "sacramento del fratello" appare come l'unico requisito di salvezza: il proprio consimile diviene quell' "incognito di Dio" (Congar) nel quale si decide il fato di ciascuno. L 'uomo non si salva perché conosce il nome del Signore (Mt 7,21); ciò che gli si chiede è che vada incontro, in modo umano, al Dio nascosto nell'uomo. L'antica credenza che un Dio può calarsi nelle fattezze dell'ospite è confermata inaspettatamente da Gesù nato in Betlemme, lontano dalle case degli uomini" (Documentazione olandese del Concilio 1963).
Quel teologo era il prof. Joseph Ratzinger e con la sua interpretazione concordiamo completamente.
In teoria, perché siamo dolorosamente ben lontani dal
praticarla quotidianamente.
In quanto cattolici, partecipiamo anche noi delle contraddizioni e dei peccati della nostra Chiesa.
Per questo diciamo:
Signore, abbi pietà di noi", memori di un avvertimento di Abraham Lincoln:

 «Non affrettiamoci ad affermare che Dio è dalla nostra parte,
ma preghiamo sinceramente di essere dalla parte Sua
»


Ikthys