Dominus Iesus
NELLA GABBIA DELL'INQUISITORE
LA TRAVE E LA PAGLIUZZA
Riflessioni dell'Associazione
italiana «NOI SIAMO CHIESA»
"L'intenzione del potente è
grottesca: vuol essere l'unico"
(Elias Canetti)
L
'agente delle tasse invece si fermò indietro e non voleva neppure alzare lo
guardo al cielo. Anzi si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me,
sono un povero peccatore! Vi assicuro che l'agente delle tasse tornò a casa
perdonato; l'altro invece no. Perché, chi si esalta sarà abbassato, chi invece
si abbassa sarà innalzato".
Il
fariseo della
parabola non si accorge di ripetere quell'antica scissione che si nutre di
opposti "assoluti":
In quanto militante e praticante di una
religione non solo 'vera", ma "più vera" e superiore alla altre
espressioni religiose, il "pio fariseo" ritiene di godere di
una sorta di immunità dal peccato, dalle impurità del cuore. Egli è
intimamente convinto che l'adesione al "credo", al "rito" e
alla "legge" lo innalzino automaticamente al di sopra degli altri,
siano essi uomini o prassi religiose, fino ad assumere il ruolo di giudice che
emette sentenze incontrovertibili e inappellabili.
Lo schema dicotomizzante che il buon fariseo
adotta nel rapportarsi con Dio e con i propri simili ci sembra sostenere
tutto l'impianto delle precisazioni teologiche della Dominus Iesus, un
condensato di affermazioni tese a mostrare e a dimostrare non l'utilità, ma la
superiorità assoluta della Chiesa cattolico-romana (con tutto il suo apparato
ecclesiastico) su qualsiasi religione o chiesa non cattolica.
Osserviamo in proposito alcuni passaggi del testo vaticano DI.
Con questa affermazione, mai smentita o
smussata nel corso del testo, la Chiesa si esibisce davanti a Dio come il
perfetto e osservante fariseo: esente da macchie e peccati nel proclamare e
testimoniare il Vangelo. Nel suo orizzonte questa Chiesa vede solo la
"fedeltà", in un grado che non lascia spazio a debolezze o
deviazioni. Più che ad autoesaminarsi, appare intenta a pavoneggiarsi e ad
autoesaltarsi, al punto da perdere ogni contatto con la realtà, immaginandosi
già trasformata in corpo celestiale. La conseguenza di questo autoaccecamento
è che la «"Chiesa" non ha necessità di chiedere perdono, perché è ed è
stata sempre fedele «nel
corso dei secoli». Che essa non sia tenuta a chiedere perdono a Dio per i
suoi peccati è stato ampiamente argomentato nel documento «Memoria e
Riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato» emesso il 7 marzo
2000 dalla stessa CDF, dove si asserisce che, in assenza di una tradizione e di
un definitivo giudizio storico, il papa e la Chiesa cattolica non sono tenuti a
confessare, oggi, le eventuali colpe del passato; che, se errori vi sono stati,
debbono essere imputati ai "figli
della Chiesa" più che ad essa come Istituzione ; e che
anche di fronte a peccati storicamente accertati della Chiesa si debbono
valutare "i costi" di
tale confessione,
poiché ciò potrebbe minacciare "La fede dei deboli",
"inibire lo slancio dell'evangelizzazione mediante l'esasperazione degli
aspetti negativi'; e rafforzare "pregiudizi nei confronti del
cristianesimo". La Chiesa in quanto tale non è, dunque, una casta
meretrix, semper reformanda, come ci avevano avvertito i Padri della
Chiesa: se si è macchiata di colpe, conviene negarle o rimuoverle come
fa il devoto fariseo della parabola.
"La
chiesa
di Cristo, malgrado le divisioni dei cristiani continua ad esistere pienamente
soltanto nella Chiesa cattolica "(16).
"Esiste quindi un'unica Chiesa di Cristo, che sussiste nella Chiesa
cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con
lui" (17). "Le Chiese che, pur non essendo in perfetta comunione con
la Chiesa cattolica... sono vere Chiese particolari" (17). "Perciò,
in connessione con l'unicità e l'universalità della mediazione salvifica di
Gesù Cristo, deve essere fermamente creduta come verità di fede cattolica
l'unicità della Chiesa da lui fondata " (16). "Le parole, le opere e
l'intero evento storico di Gesù, pur essendo limitati in quanto realtà umane,
tuttavia, hanno come soggetto la Persona divina del Verbo incarnato... e perciò
portano in sé la definitività e la completezza della rivelazione delle vie
salvifiche di Dio" (6). 'La tradizione della Chiesa, però, riserva la
qualifica di testi ispirati ai libri canonici dell'Antico e del Nuovo
Testamento... hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati a//a
Chiesa"(8). "È
contrario
alla fede cattolica considerare la Chiesa come una via di salvezza accanto a
quelle costituite dalle altre religioni" (21).
La presentazione della Chiesa secondo la CDF
vaticana non conosce toni di umiltà, pudore e autocritica: come il fariseo, afferma
di "non essere come gli altri". È diversa dalle altre Chiese perché è unica. Ed è unica perché in essa
c'è la pienezza di Dio-Cristo, la completezza della Rivelazione, la totalità
della salvezza, la verità dei "libri che hanno Dio per autore".
Se nelle altre confessioni c'è qualcosa di buono, lo si deve perché, pur
senza essersi sottomesse al "primato"assoluto del papa, hanno
mantenuto una certa comunione sotterranea con la Chiesa cattolica, la quale non
pare avere il dovere di essere in comunione con le altre Chiese non cattoliche.
Pur
ammettendo la divisione tra cristiani, la Chiesa cattolica romana non si
sente chiamata in causa, come se tale "peccato" dipendesse esclusivamente dalle altre Chiese.
Ritorna il modello del fariseo della parabola, il quale non può
condividere, nel bene e nel male, la condizione umana con i propri simili.
"Deve
essere, quindi fermamente ritenuta La distinzione tra la fede teologa/e e la
credenza nelle a/tre religioni... Non sempre tale distinzione viene tenuta
presente nella riflessione attuale, per cui spesso si identifica la fede
teologale, che è accoglienza della Verità rivelata di Dio Uno e Trino, e la
credenza nelle altre religioni che è esperienza religiosa ancora alla ricerca
della verità assoluta" (7). "Di fatto alcune preghiere e alcuni riti
de/le altre religioni possono assumere un ruolo di preparazione evangelica.. Ad
essi non può essere attribuita l'origine divina e l'efficacia salvifica ex
opere operato che
è propria dei sacramenti cristiani" (21). "D'altronde non si può
ignorare che altri riti, in quanto dipendenti da superstizioni o da altri
errori, costituiscono piuttosto un ostacolo per la salvezza" (21). "Se
e' vero che i seguaci delle altre religioni possono ricevere la grazia divina, e
pur certo che oggettivamente si trovano in una situazione gravemente deficitaria
se paragonata a quella di coloro che, nella Chiesa, hanno la pienezza dei mezzi
salvifici (22). Dio non manca di rendersi presente... anche ai popoli mediante
le loro ricchezze spirituali, di cui le religioni sono precipua ed essenziale
espressione, pur contenendo "lacune, insufficienze ed errori" (8).
Secondo gli estensori del documento curiale, al
di fuori dell'isola incantata della Chiesa cattolica, dove tutto è perfetto ed
esente da peccati, contraddizioni e oscurità, tutto il resto è imperfetto e
carente. Dio dona a un miliardo di cattolici la "pienezza dei mezzi per
la salvezza", mentre ai 4/5 dell'umanità concede benevolmente sprazzi
di grazia attraverso religioni che "contengono lacune, insufficienze ed
errori".
Anche le fedi hanno uno statuto diseguale: quella cattolica é
"teologale", perché fondata su "verità complete ed assolute", mentre quelle delle altre religioni (4/5 del
genere umano!) appartengono all'ordine delle ''credenze', cioè
esperienze religiose "non ancora alla ricerca della verità
assoluta".
I riti e le preghiere non sono ritenuti "diversi", ma
ontologicamente "diseguali". Quelli "cattolici", invece,
hanno un particolare marchio di fabbricazione doc e sono garanzia di salvezza,
in quanto possiedono "un'origine divina e l'efficacia salvifica ex opere operato che
è
propria dei sacramenti cristiani", mentre i 4/5 del genere umano che pregano con formule
rituali non cattolico-sacramentali non solo si trovano in un "ruolo
di
preparazione evangelica", inferiore a quello di chi è già evangelizzato, ma corrono il rischio di
essere inquinati da "superstizioni o da altri errori" che "costituiscono
piuttosto un ostacolo per la salvezza".
La
visione integralista, fondamentalista, dicotomizzante e manicheizzante del fariseo
della
parabola si riproduce nella versione dell'organismo vaticano: da una parte
ci sono i cattolici
sottomessi al papa, con un piede in zona "salvezza"; mentre dall'altra
parte ci sono i seguaci di altre religioni con un piede nella zona
"perdizione", dato che "oggettivamente si trovano in una
situazione gravemente deficitaria se paragonata a quella di coloro che, nella
Chiesa, hanno la pienezza dei mezzi salvifici". Tra le due parti non ci
sono somiglianze, né possibilità di incontri, dialoghi o interfecondazioni,
poiché "è contrario alla fede cattolica considerare la Chiesa come una
via di salvezza accanto a quelle costituite dalle altre religioni".
"Caro/a amico/a, la mia fede mi insegna che la tua
religione, senza saperlo, contiene un raggio del nostro Cristo, ma tu ti trovi
in una situazione oggettivamente deficitaria, praticando riti viziati da
superstizioni che sono un ostacolo per la salvezza.
Vedo che tu sei alla ricerca della Verità assoluta, ma questa si trova solo
nella mia religione, quella cattolica, perché essa ha ricevuto la Rivelazione
piena, definitiva di Dio in Gesù. Lui ha fondato una sola Chiesa vera, quella
cattolica e apostolica: ci sono altre Chiese cristiane separate dalla nostra, ma
non sono nostre sorelle, perché l'unica madre è quella cattolica. In più noi
abbiamo dei riti veri che ti fanno automaticamente figlio di Dio.
Se vuoi essere salvo entra nell'unica Chiesa di Cristo, governata dal papa e dai
vescovi in comunione con lui"
Immaginiamo
anche l'ironica replica del "non cattolico":
"E questa
sarebbe la Buona Notizia?" Potrebbe anche aggiungere che l'unicità della salvezza esclusivamente tramite Gesù
Cristo è stata utilizzata per imporre la superiorità dell'Occidente
sui popoli pagani; della Chiesa romana su altre Chiese; dei bianchi sui
non-bianchi; dell'uomo sulla donna; del clero sui laici, dei celibi sugli
sposati; del papa su tutti.
Per la verità il nostro solerte missionario
cattolico, impegnato nella diffusione del Vangelo, dovrebbe aggiungere
un'avvertenza che il documento della CDF pone alla fine:
"Tuttavia
occorre ricordare a tutti i figli della Chiesa che la loro particolare condizione
non va ascritta ai loro meriti, ma ad una speciale grazia di Cristo; se non vi
corrispondono col pensiero, con le parole e con le opere, non solo
non
si salveranno, ma anzi saranno più severamente giudicati"(22)
Il
problema è che anche il pio fariseo della parabola è certo di corrispondere alla volontà di Dio con la
preghiera, il digiuno e le opere di carità: non immagina, però, che Dio Padre
voglia pensieri ed opere che creino la fraternità umana (il Regno di Dio), e
che si pongano come superamento di quelle divisioni religiose, razziali, sociali
o sessuali, che lui stesso va fomentando.
La
malattia dell'assoluto
Pur non giungendo alle estreme conseguenze del
fariseo che eguaglia il pubblicano ad imbroglioni-ladri-adulteri, il
documento vaticano genera la sensazione nei non-cattolici che essi siano
"menomati", cioè
"meno
amati" da
Dio a conseguenza
di una divisione binaria, per cui i cattolici possiedono
l'assoluto, mentre gli altri il relativo. Se la Chiesa cattolica come via di
salvezza non può stare accanto a quelle costituite dalle altre religioni ciò
è dovuto all'equazione identificatoria tra ciò che è storico, con ciò che è
eterno, tra il visibile e l'invisibile, tra il creato e l'increato. Una volta
realizzata tale identificazione essa trasmigra ad altre più terrene, con
risultati aberranti e ridicoli.
In altre parole il documento vaticano sembra
soccombere alla tentazione delle identificazioni con l'assoluto e con il suo
derivato naturale, l'onnipotenza: tentazioni già sperimentate da Gesù e alle
quali egli ha saputo sottrarsi con forza straordinaria.
Il
papato assolutistico
Una Chiesa dominata dall'ossessione
dell'assoluto non può reggersi che sul governo "assoluto": il testo
della CDF lo sfuma parlando del "Primato che il Vescovo di Roma
oggettivamente ha ed esercita su tutta la Chiesa" (17). Probabilmente
la frequenza dei concetti dominati da aggettivi come unico, totale, completo,
assoluto, hanno imposto ai redattori un certo pudore, per cui hanno omesso
di dire che nella Chiesa cattolica c'è un altro
"assoluto": è quello del "primato" del papa-vescovo di Roma
sulla
Chiesa, assoluto in quanto legibus solutus (non
obbligato da leggi).
Fin dal 1302 nella bolla Unam sanctam Papa
Bonifacio VIII aveva dichiarato "che per ogni creatura umana è assolutamente
necessario per la salvezza essere sottomessi al Vescovo di Roma".
Nel decreto Christus Dominus del Concilio Vaticano II si omette tale
dizione ritenuta probabilmente troppo ridicola, ma si afferma che il Sommo
pontefice "è per divina istituzione rivestito di una potestà suprema,
piena, immediata, universale... e detiene la suprema potestà ordinaria su tutte
le Chiese" (n.2). Nella "Nota Esplicativa previa" del
cap. III della Costituzione dogmatica sulla Chiesa (Lumen
Gentium) si legge che il papa può agire "secundum propriam
discretionem" cioè "secondo il suo personale parere":
cosicché egli può nominare vescovi, fissare dottrine e liturgie, emanare norme
che vincolano tutti salvo che lui, stabilire linee politiche con i nunzi e i
Concordati con gli Stati, emettere sentenze inappellabili senza rendere conto a
nessuno.
In
conclusione: il papa può autonomamente decidere su tutto: un miliardo di
cattolici, insieme, non possono decidere nulla.
E'
evidente come la mancata vigilanza sul processo di
La religione «vera»: l'amore
La
conseguenza tragica di ogni processo sistematico di assolutizzazione-divinizzazione-idealizzazione
è la rimozione della realtà concreta, teso com'è a ri-crearne una
completamente "virtuale", comunque dis-umana.
Nel
caso del papa la de-umanizzazione consiste nel dilatarne il ruolo fino a renderlo da semplice e
umano "successore" di Pietro a Vicario "unico" di Cristo (quindi
depositario di un potere assoluto).
La stessa persona umana e storica di Gesù è
Non
una parola viene spesa nel lungo documento della CDF per dire che Gesù
s'impegna, anche a costo di morire, nella costruzione di un nuovo modello
sociale, familiare e religioso dove non ci siano più differenze di sesso,
razza o religione; né gerarchie ("né padri, né capi, né maestri") ma
solo fratelli e sorelle; disposti a vivere da servi, alla mercé dell'ospitalità,
a
lasciare anche il mantello a chi cerca d'impossessarsi della camicia, a porgere l'a/tra
guancia a chi da uno
Per Gesù, beati non sono quelli che si
limitano a offrire sacrifici, o a seguire le norme religiose, ma quelli che rinunciano
a tutte le forme di violenza, di cui il giudizio è la forma più frequente: "chi
dice a suo fratello: 'sei un cretino', sarà portato di fronte a/tribunale superiore"
(Mt
5,22). Altrettanto categorico è Paolo: "E tu perché giudichi tuo fratello? E
tu,
perché
disprezzi il tuo fratello? Smettiamo allora di
giudicarci a vicenda"
Per Giacomo fare differenze è già giudicare con parametri perversi:
Gesù è colui che agisce nella storia umana
sovvertendo le categorie fondanti della società e delle religioni; mettendo al
centro chi è escluso (bambini, poveri, vedove, malati, peccatori pentiti); e
spostando alla periferia chi si ritiene di stare nel giusto e nel cuore di Dio
(teologi del tempio, farisei, sani, ricchi, sapienti). Questo ribaltamento della
scala valoriale viene qualificata come una "bestemmia" dalla religione
ufficiale, perché distrugge tutte le identità confessionali, che vengono
azzerate dall'unica vera religione a-confessionale che è la «pratica della giustizia e dell'amore". Il cuore
dell'ortodossia è l'ortoprassi: dottrine, riti, sacrifici,
digiuni sono inutili se non si risponde concretamente alle sofferenze del
prossimo. Infatti, ci ammonisce ancora l'apostolo Giacomo:
"Religione pura e genuina davanti a Dio nostro Padre è questa: prendersi
cura degli orfani e delle vedove che sono nella sofferenza e guardarsi dalle
sozzure del mondo" (Gc 1,27)
Dio
non esige l'amore assoluto, ma l'amore relativo, possibile, a portata di tutti,
di atei e pagani, di buddisti e musulmani.
Scriveva nel 1963 un teologo cattolico:
Quel
teologo era il prof. Joseph Ratzinger e con la sua interpretazione concordiamo
completamente.
In teoria, perché siamo dolorosamente ben lontani dal
In quanto cattolici, partecipiamo anche noi delle contraddizioni e dei peccati
della nostra Chiesa.
Per questo diciamo: Signore, abbi pietà di noi", memori
di un avvertimento di Abraham Lincoln:
ma preghiamo