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 LA NAVIGAZIONE E LE MAPPE
Per poter compiere con successo azioni di pirateria nel Mar delle Antille era necessario essere in grado di superare in navigazione e in battaglia la preda prescelta. Ma come potevano i pirati localizzare le loro vittime? Dal momento che i metodi di navigazione erano alquanto primitivi, i pirati dovevano riuscire a incrociare le rotte dei galeoni spagnoli carichi di tesori affidandosi esclusivamente all’esperienza, al senso comune e, in buona parte, alla fortuna. Erano in grado di stabilire la latitudine con accuratezza, misurando la posizione del Sole, ma era molto più difficile calcolare la longitudine. Oltre alla bussola, lo strumento di navigazione più importante di cui poteva disporre un capitano pirata erano le mappe. All’inizio del XVI secolo i conquistatori spagnoli avevano già esplorato gran parte delle coste del Nuovo Mondo e le loro mappe dettagliate costituivano un bottino prezioso. Con l’aiuto di una mappa rubata agli Spagnoli, i pirati e i bucanieri potevano infatti saccheggiare le ricchezze di nuove zone costiere.

I pirati chiamavano i piloti esperti “artisti del mare”. In condizioni ideali potevano stimare le distanze con un’ approssimazione di due chilometri, ma sul ponte di una nave che beccheggiava tutto era molto meno preciso.

Il navigatore inglese John Davis (circa 1550-1605) raccolse in un libro le conoscenze acquisite navigando con il corsaro Thomas Cavendish nel 1591. Il suo libro The Seaman’s Secrets (I segreti del marinaio), contiene tutte le informazioni raccolte e le scoperte fatte ed era divenuto una lettura indispensabile per i condottieri delle navi pirata. Con l’aiuto di un calibro circolare, questo ingegnoso diagramma mobile indica la posizione della Luna e delle maree.

I pirati utilizzavano i libri di carte nautiche, i “portolani”. Questa raccolta di carte nautiche delle coste del Pacifico del Sudamerica fu rubata agli Spagnoli dal bucaniere Bartholomew Sharp. Nel 1681 egli scrisse sul giornale di bordo: “ Ho requisito un manoscritto spagnolo di pregevole valore, descrive porti, strade, baie, banchi di sabbia, scogli affioranti e contiene le istruzioni per ormeggiare in qualsiasi porto o baia”. Il cartografo inglese William Hack ne ha fatto questa copia nel 1685.

In mancanza di una vera bussola, i pirati strofinavano un ago su un pezzo di magnetite, una roccia naturalmente magnetica. Spesso la magnetite era incastrata in una montatura preziosa, caratteristica che ne indicava l’importanza.

Il “doppio quadrante di Davis” fu inventato nel 1595 da John Davis. Questo strumento veniva utilizzato per misurare la latitudine e la sua invenzione fu un grande passo avanti rispetto alla balestriglia.Il navigatore non doveva più fissare il Sole per misurare il suo angolo sopra l’orizzonte, bastava che si mettesse con le spalle rivolte ad esso e misurasse la propria ombra.

L’ago calamitato della bussola indica sempre il nord, così i marinai la utilizzavano per orientarsi. Nei viaggi transoceanici, pirati e corsari stimavano la longitudine (quanto percorso fosse stato coperto verso levante o verso ponente)basandosi sulla direzione della bussola e sul tempo di navigazione.


La navigazione nel Mar delle Antille non presentava particolari ostacoli.
A meno che non si avventurassero nell’Atlantico, i pirati potevano navigare con strumenti semplici, come i compassi a punte fisse, una carta nautica e una bussola.

Il cannocchiale era una valido strumento che permetteva ai pirati, anche se non c’era nessuna terra in vista, di stimare la direzione e la distanza osservando le nuvole e gli uccelli.






I primi pirati stimavano la latitudine usando la balestriglia. Guardando il Sole, l’osservatore faceva scorrere le aste corte, dette archi, su quella lunga, detta freccia che accostava all’occhio, finché l’estremità inferiore dell’arco non coincideva con l’orizzonte e quella superiore con il Sole. La scala graduata della freccia e delle apposite tavole astronomiche fornivano la latitudine. ( foto)

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