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Chi ha trovato un tesoro ad Albenga?                                                              II E Andora

 
              IL RECUPERO


La mattina dell’8 febbraio 1950 a bordo della nave Artiglio, unica adatta per una eventuale operazione di recupero, comandata dal capitano Dulbecco, i fratelli Prain,
richiamati in causa, partirono assieme all’equipaggio per accompagnare i tecnici al largo del mare di Albenga sul punto dove avevano “pescato” 25 anni prima le tre anfore.
Nino Lamboglia salì sul gozzo da pesca più grande della famiglia dei Prain e giunse sottobordo alla nave.  Le “mire” date dai pescatori portarono esattamente sulla verticale del relitto tanto che, alla prima immersione, il palombaro Petrucci, dentro la “torretta”, segnalò subito in superficie che si trovava di fronte ad una enorme distesa di anfore.
Sorpresi tutti per la precisa identificazione furono calati altri palombari che, dopo un po’ di lavoro, constatarono la presenza di una nave
romana con un carico di anfore disposte su più file sovrapposte per una lunghezza di circa 20 metri, ora giacente coricata in direzione da est a ovest con le fiancate sfasciate.
Il giorno seguente furono calati i palombari che cominciarono a risollevare le anfore: imbracate una dopo l’altra e spesso a grappoli di tre o quattro, le anfore cominciarono a salire in superficie e a sera tarda, quando il sole discese dietro all’Isola Gallinara, ben 44 erano allineate in ordine sulla tolda dell’“Artiglio” pronte per una prima sommaria pulitura.
La nave “Artiglio” continuò così per ben altri 12 giorni il recupero di un carico che non si è mai trovato così numeroso: i palombari continuavano a scendere e le anfore a salire.
Le ricerche proseguirono però oltre che con il sollevamento delle anfore tramite rete (sistema che ne impediva la rottura ma risultava molto più faticoso per i palombari) anche ricorrendo all’aiuto di una benna, arnese purtroppo più “crudele” nel recupero. Solo in questo modo, si poteva fare posto per recuperare in secondo luogo i resti della nave.
Insieme alle anfore salivano a bordo, infatti, montagne di cocci, piatti, utensili e arnesi di armamento della nave, le ordinate di rovere, il fasciame di pino ricoperto di lamine di piombo, conservato oltre ogni previsione.

I “Prain” con i loro gozzi si prodigarono in quei giorni per riportare a terra le anfore e tutto quel materiale così a lungo sepolto in mare: ben 60 viaggi di trasporto del materiale  a riva per un totale di 728 anfore.

 

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