Achille Starace
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Achille Starace nasce a Sannicola di Gallipoli il 18 agosto 1889, in una agiata famiglia di commercianti di vino e olio (la madre aveva quarti di nobiltà).
A 16 anni lo troviamo a Venezia dove frequenta l'istituto per ragionieri senza gloria e senza infamia.
E' un bel ragazzo, atletico e sportivo e la piazza di Venezia è un luogo dove la bellezza femminile italiana e straniera sembra abbondare al Lido. Si sposa presto (20 anni), relegando poi la moglie Ines Massari a Gallipoli per quasi tutta la vita.
Quando arriva la cartolina precetto frequenta un corso allievi ufficiali nel corpo dei Bersaglieri, ma si congeda prima della guerra di Libia.
Al nord, da cui non ha intenzione di muoversi, tenta di avviare un piccolo commercio di vini, ma lo scoppio della grande guerra manda tutto all'aria. Conosce in questi anni d'anteguerra l'interventismo di Mussolini a cui aderisce per simpatia. In battaglia si distingue subito per molti atti di coraggio (un argento e 4 bronzi ed altre non minori ) che lo portano alla promozione a Tenente sul campo. Si congeda poi con il grado di capitano. Carriera fulminante: succedeva in guerra. Sotto le armi svela anche un aspetto del suo carattere che farà la sua fortuna (e la sua disgrazia): quello dell'attaccamento maniacale al suo superiore che allora si chiama Sante Ceccherini.
Quando parte l'avventura fascista lui è della partita e ha subito incarichi di responsabilità, come a Trento, per organizzare il fascio locale. 
Dopo la marcia su Roma, questo piccolo borghese non ha vita facile, subisce gli odi di Farinacci, ma l'appoggio del Duce per l'organizzazione della neonata Milizia. Farinacci è uno che non si ferma neanche davanti a Benito. Sicuramente fra loro c'è stato del pesante. Nel 1924 viene eletto alla camera. Nel 26 è alla Vicesegreteria del Partito, ed è già luogotenente generale della Milizia. 
Entra di diritto nel Gran Consiglio. Esegue per conto del Duce vari ripulisti nel P.n.f, come si diceva allora, di quelli di destra e sinistra. Fa fuori anche il Sottosegretario agli Interni Leandro Arpinati, uomo di forte carattere, anche perbene, che detesta un certo tipo di sottogoverno. Dirà Arpinati …
se avessi avuto bisogno di un elemento per giudicare la bassezza degli uomini, tu me lo hai offerto… Lo definisce Cretino ma il Duce risponde "Ma e' un cretino obbediente!" Nascono in questo periodo, quando diventa segretario del partito (1931), gli slogan che caratterizzeranno una parte della storia del fascismo. Inventa quel "Saluto al Duce" che - con la proclamazione dell'impero - diviene l'altisonante "Camice nere! Salutate nel duce il fondatore dell'Impero" al che le camice nere scattano sull'attenti con l'"A NOI!" di Dannunziana memoria.
Secondo i nuovi dettati la parola DUCE va scritta sempre in maiuscolo. E - a caratteri sempre cubitali - incide sui muri delle case d'Italia le frasi roboanti, che spesso troviamo ancora, sbiadite lungo le strade. "Respirava per suo ordine" dirà anni dopo la figlia Fanny.
Le luci a Palazzo Venezia restano sempre accese in modo da dare l'impressione che vegli costantemente.
Dirà lui "io lavoro sempre, che sia in ufficio o a letto".
Diventa, inutile dirlo, l'uomo più contestato, bistrattato dalla satira popolare e sommersa. E lui inventa la lotta contro le parole straniere: water closet diviene sciacquone; panorama, tuttochesivede; pullman autocorriera; whisky, spirito d'avena.
La sua passione per le donne (e i cavalli) non è mai tramontata. "Mi piace cavalcare !!!".
Nel 1936 insieme ad altri gerarchi parte per la guerra etiopica rimettendo il proprio mandato al Duce in persona, non si sa mai. E' lui a comandare la colonna celere in Etiopia di cui lascerà anche un libro la "Marcia su Gondar" . Al suo nuovo argento si affianca una carica onorifica per il capo, Primo Maresciallo dell'Impero che manda in bestia il Re. Reinsediato, dopo una pausa di ansia, si immerge di nuovo nelle sue innovazioni, fra le quali la campagna contro il 'lei' a favore del fascista 'voi', e il saluto romano. La rivista  "Lei" deve cambiar nome e diventa "Annabella".
Starace inventa anche 'il 'sabato fascista' quando gli operai ottengono la settimana corta. In linea con questa politica i ragazzi delle regioni povere sono mandati per la prima volta nelle scuole rurali e alle colonie marine e montane appositamente create.
E' lui che ha l'idea di utilizzare l'orbace, tipo di lana sarda, grezza pungente, come stoffa per le camice nere dei fascisti.
Veniva così odiato anche dai gerarchi. Al sabato ginnico e alle migliaia di palestre aperte in tutta Italia debbono partecipare gli stessi gerarchi, i quali sono i primi a dover dare l'esempio di buona forma. Non tollera le pancette e li obbliga, da buon bersagliere, a fare il salto mortale sulle baionette, a saltare nel cerchio di fuoco, a lanciarsi in volo su un carro armato. Quando si ruppe una gamba al Sestriere, la gente pensò che forse la sua ora era suonata.

E' tra i sostenitori, per dovere, delle leggi razziali e quando l'editore ebreo Angelo Fortunato Formiggìni si butta giù dalla Ghirlandina di Modena, il suo commento è comunque trucido. Mussolini attraverso Starace e' onnipresente, astratto, irreale. La gente alla fine ne rimane frastornata.
Si dice che andasse alle celebrazioni importanti al posto del Duce, che aveva altri impegni personali, con i discorsi preparati da lui. E' il più grande organizzatore di spettacoli e parate (in Italia) del novecento. Le sue parate in via dell'Impero restano memorabili. Indimenticabile quella per la visita del Fuhrer, che spinge Trilussa a dire "Roma de travertino, rifatta de cartone, saluta l'imbianchino, suo prossimo padrone" Mussolini non sempre e' d'accordo con Starace, parecchie volte interviene.

I rapporti di Polizia (Bocchini) spesso caricano gli aspetti del donnaiolo di cui si potrebbe scrivere un romanzo, (ma erano cosa comune fra i gerarchi e il capo), che restano sempre fatti personali come i gay d'oggigiorno, e altre bugie tipiche di politici ai ferri corti. Spesso e' fatto segno di ironia e sarcasmo. -Starace chi legge!- si vede di frequente sui muri.
Oppure "Il lupo… e' vorace, l'aquila… e' rapace, l'oca… e' Starace!".

I giudizi degli uomini dell'entourage sono sarcastici e non sottaciuti e lui risponde regolarmente a tutti. Starace apre campagne contro gli uomini di potere disonesti!. Disapprova che molti, si siano iscritti al partito solo per far carriera!. Mal comune, come quello della raccomandazione a cui dedica i suoi strali, facendo nomi e cognomi ed anche minacce esplicite di intervenire personalmente.  La figlia in parte rimedia a questa virtù fondamentale in un Italiano.

Polemizza per lo sperpero di denaro pubblico, altro male del secolo ma le sue donne costano specie la Pierisa Giri che lui finanzia col teatro popolare del "Carro di Tespi"*.

I gerarchi lo odiano, anche perché alle cene di partito, che lui continua a chiamare ranci e ranci da caserma sono, li trafigge con sarcasmo. Inutile dire che il più bersagliato è Galeazzo Ciano e qualche altro fascista borghese anche se è molto in alto come Balbo e Grandi.
Si dice che donna Rachele, una volta, abbia preso di petto il marito imponendogli di cacciarlo.
Renzo De Felice anni dopo affermerà che non è il bersaglio - Ciano (marito della figlia) - ad aver indotto Mussolini a liberarsi del Segretario ma l'antipatia popolare. Starace ha 50 anni.

Il Duce lo defenestra il 31 ottobre del 1939 e mette al suo posto Ettore Muti altro personaggio, di suo.
Nei Diari Ciano dirà di lui: "Starace ha fatto i due più gravi errori che fosse possibile commettere nei confronti del popolo italiano. Ha creato una atmosfera di persecuzione ed ha annoiatogli italiani con mille piccole cose maniacali di carattere personale.

Gli italiani vogliono essere governati col cuore. E mentre sono disposti a perdonare persino chi ha loro fatto del male, non perdonano chi gli ha rotto le scatole"
Verità vera.
Ma i suoi successori hanno già l'idea della fine di Mussolini, del dopo. Infatti ne' Ettore Muti, che subito gli succede, ne' Carlo Scorza - il segretario del Partito durante il Gran Consiglio - muoveranno un dito per salvare il Capo. Starace avrebbe reagito, facendo intervenire la Milizia. Con la guerra di Grecia tutti i gerarchi vengono rimessi alla fiamma del fuoco e lui al ritorno viene anche cacciato dalla carica di Capo di Stato Maggiore della Milizia.

La guerra è stata disastrosa, come prova di forza, anche per le camicie nere. Del resto ha avuto modo di vedere e commentare pure lui. Pur con grossi limiti è stato un uomo coerente, non ha mai abusato del suo potere per arricchirsi, o circondarsi di una corte di amici. Perdendo ogni incarico resta povero, con problemi seri per mettere insieme il pranzo e la cena. Elemosina i pasti per due anni, fino al 25 luglio. Lo evitano tutti e si capisce anche perché. Con la repubblica di Salò, invece di sganciarsi dal Duce e tornare al suo Sud liberato, si trasferisce a Milano in un piccolo appartamento di Viale Libia.

I militi della RSI, troppo giovani, lo detestano o non lo conoscono, i vecchi lo odiano. Da Milano non dimentica ancora una volta di scrivere a Mussolini, che nel ricevere posta si ricorda di lui e lo fa internare nel campo di concentramento di Lumezzane da giugno a settembre del 44 per presunti contatti epistolari con Badoglio.
La sua vita ora è un inferno fatto di rape bollite e cicoria dell'orto di guerra.
Il 28 aprile 1945, tre giorni dopo la fuga di Mussolini da Milano, mentre in tuta da ginnastica fa la solita corsetta mattutina in strada, indifferente della sorte del Capo, un gruppo di uomini quasi scherzando lo apostrofa "Dove vai Starace?". "Vado a prendere un caffè" dice.

Ma sono partigiani e non sono lì per scherzare o per fare colazione, perché lo portano in una scuola (politecnico) dove subisce un processo farsa.
Non vollero credergli quando disse che il fascismo lo aveva punito, che Mussolini lo aveva imprigionato e dimenticato. Non supplica, neppure quando mezz'ora più tardi i partigiani lo condannano a morte. Morirà con dignità, la stessa dignità un pò da ragioniere con cui è vissuto. 

29 aprile 1945. Qualcuno con cariche peggiori di lui si è nascosto.

Di li a un mese si salverà. E' portato a Piazzale Loreto a cospetto di Mussolini e dei gerarchi attaccati alla pensilina. "Fate presto!" dice… dopo di che la raffica.
Finisce accanto agli altri, appeso per i piedi. I suoi ultimi istanti (documentati da quello che non è sparito) ci mostrano uno Starace circondato dai partigiani che vogliono farsi la foto ricordo. Si dice che l'abbiano invitato a gridare Viva il Duce e a fare il saluto romano prima di fucilarlo.

Al posto di Barracu che non riusciva più a stare appeso misero lui e la gente, le famiglie sfilarono per vederlo. 
Fra i morti di Dongo compare Nicola Bombacci uno dei fondatori del Partito Comunista Italiano a Livorno nel 1921. Espulso la prima volta nel 1924 e definitivamente nel 1927, aderì nel 1943 alla Repubblica Sociale.

Il Capitano pilota Pietro Calistri, del 1° Gruppo Caccia, pluridecorato, comandante della 76a squadriglia caccia della Regia aeronautica, che aveva operato nei cieli della Libia, di Malta e della Sicilia. Fu fucilato per errore (faceva parte del convoglio fermato), avendolo i partigiani di Audisio scambiato per un pilota di Mussolini.Manca Marcello Petacci fratello di Loretta, amante del Duce, che nessuno volle vicino al momento della morte.
Nel tentativo di fuga nel lago venne freddato da una scarica dei partigiani

Interamente tratto da http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/