PATRIARCATO DI VENEZIA

PASTORALE SPOSI E FAMIGLIA

 

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“DATE LORO VOI STESSI DA MANGIARE”,

CHIEDE GESÙ AI DISCEPOLI

(Mt 14,16)

S. Em. Card. Patriarca MARCO CÈ 

alla XVI Festa diocesana della Famiglia  

28 gennaio1996

 

Sofonìa 2,3 ; 3,12-13

1 Corinti 1,26-31

Matteo 5,1-12

 

Rinnovazione gloriosa dell’alleanza

Saluto voi tutti confratelli presbiteri, e voi, carissimi sposi, insieme ai vostri bambini, ricordando affettuosamente quanti sono rimasti a casa, in particolar modo i nostri anziani. Penso in questo momento alle famiglie che soffrono per povertà, per mancanza del lavoro o della casa, a causa della malattia o perché i figli hanno preso strade sbagliate; penso alle famiglie divise o in situazione di malessere religioso. In questa occasione, così gioiosa per tutti noi, esse sono al vertice della  preghiera. Oggi queste famiglie devono essere l’intento primario della nostra supplica: Dio le ama e la croce di Cristo le abbraccia.

Ringrazio il Signore, e voi con me, di essere qui, della fede che ci ha dato, della grazia di rinnovare le promesse sponsali: un atto che, se non ha più la carica emotiva di quando vi siete sposati, è però oggi immensamente più grande, perché passato attraverso il crogiolo della prova, della sofferenza, maturato nella fatica quotidiana e sigillato, come spesso accade per tutti, dal dolore. Oggi il vostro SÌ è veramente la rinnovazione gloriosa dell’Alleanza, perché carico di fedeltà.

Guardo all’incontro di oggi, a questa nostra Eucaristia, come a qualcosa di molto bello per tutti, ma anche come ad una grazia grande per tutta la nostra Chiesa, un dono di speranza che il Signore offre a noi, alle famiglie che soffrono e a tutto il mondo.

Sono convinto che la famiglia è nel cuore dei più importanti problemi ecclesiali e civili della nostra cultura e del nostro Paese e quindi il nostro impegno a penetrarne e a viverne il senso è uno dei servizi più importanti e decisivi per il futuro. O si mette la famiglia al centro, con provvidi e tempestivi interventi, anche a livello istituzionale, o molti problemi rimarranno insoluti: tali sono la condizione della donna, la sua dignità e, talora, la sua difficile maternità, la denatalità, il malessere di tanti giovani e la solitudine di tanti anziani, ma anche la dimensione umana e personalistica dell’economia e del lavoro, il senso dello stato sociale.

Le Beatitudini tratteggiano il volto di Cristo

Mettiamoci ora in ascolto della Parola di Dio, perché è sotto la sua Signoria che oggi vorrei parlare. La liturgia ci ha proposto il Vangelo delle Beatitudini, la pagina più sconvolgente, forse anche difficile a capire per la nostra mentalità, ma certamente la più bella e più gioiosa del Vangelo. Vorrei che questa pagina fosse a fondamento di tutto quello che andrò dicendovi, con la grazia del Signore e invocando lo Spirito Santo.

Leggendo attentamente le Beatitudini ci accorgiamo che esse tratteggiano il volto di Gesù. Beatitudine dopo beatitudine, si costruisce davanti a noi, nel modo più bello, più significativo e più vero, il volto di Gesù, la figura del Figlio di Dio fatto uomo, fatto nostro fratello, entrato nella storia degli uomini, rifiutato, crocifisso e poi risorto.

Ma vi è una “beatitudine” che riassume e fa da struttura portante a tutte le altre: la “beatitudine della povertà”, “Beati i poveri di spirito”. Il povero è mite, spesso per lo più afflitto, ha fame e ha sete di giustizia, spesso è perseguitato. Ma chi è il povero per Gesù, per il Vangelo, per la Parola di Dio? I salmi risuonano continuamente di questo richiamo ai poveri! Il povero è colui che si presenta con le mani vuote davanti a Dio, è colui che si aspetta tutto da Dio, che non presume di avere meriti; non avanza rivendicazioni, non ha difesa, non ha ricchezza, ha solo Dio. Il povero non conta per nessuno, conta solo per Dio.

Per contro, vedendo il povero così piccolo, così bisognoso di tutto, così indifeso, Dio si impegna per lui, lo prende a carico, lo prende in braccio. La grande ricchezza del povero è proprio questa protezione di Dio, questa “assunzione in carico” da parte di Dio.

Nella seconda lettura, san Paolo ci invita a guardarci in faccia: noi, chi siamo? Un popolo di forti, di potenti? Assolutamente no! E se anche avessimo un po’ di forza, un po’ di potenza, un po’ di scienza, vorrei proprio considerarle un nulla di fronte al grande dono della povertà, della consapevolezza che ho bisogno di Dio, che non posso proprio niente senza Dio e che posso presentarmi davanti a Lui con le mani vuote affinché Lui me le riempia di se stesso, del suo Santo Spirito: solo questa è la mia forza.

Alla fin fine, quand’è che i vostri figli sono veramente forti di fronte a voi, quand’è che voi date tutto per loro? Quando sono deboli, ammalati, quando vi accorgete che sono radicalmente bisognosi di voi. Allora date tutto ai vostri figli, siete tutto per loro.

Eroicamente fedeli alla vita quotidiana

Cari coniugi: nella nostra povertà spirituale, nella fatica, nella debolezza, sentiamoci amati da Dio. Davanti a me c’è lo spettacolo bellissimo di tanti bambini in braccio ai loro genitori: ecco, sentiamoci portati in braccio da Dio. Proprio perché poveri e deboli, Dio vi ha consegnato il sacramento grande del suo amore, la grazia, cioè, di essere partecipi del mistero trinitario, dell’amore che si rivela in Cristo crocifisso e di narrarlo al mondo, non con chissà quali atti eroici ma con la vostra vita quotidiana, con il vostro amore reciproco e con l’amore verso i figli e i vostri vecchi. Questo è il segno più alto dell’amore di Dio per il mondo che ha creato.

Perché siete poveri, piccoli, umili, mansueti, Dio vi chiama alla santità più grande che non è quella delle opere grandiose con le quali poi presentarsi a Dio quasi rivendicando qualcosa, ma con la santità di essere “eroicamente” fedeli alla vita di tutti i giorni.

Per essere fedeli alla vita quotidiana ci vuole talora un autentico eroismo. Avremmo spesso tanta voglia di pensare un po’ a noi stessi e invece dobbiamo pensare soltanto agli altri: questa è la santità che Dio ci domanda, alla quale ci chiama e ci dona la grazia per poterla realizzare, ci dona lo Spirito Santo per poterla vivere.

Eucaristia e matrimonio si fondono e si richiamano

Tra poco voi rinnoverete, davanti a me, ai vostri figli, alla nostra Chiesa che vi ama, davanti al mondo, le vostre promesse sponsali. Quando, all’altare, assieme ai confratelli presbiteri, dirò: “Questo è il mio corpo” e “Questo è il mio sangue”, mi metterò sull’altare, con la mia povera persona, con la mia povera realtà, per fare una cosa sola con Cristo che si dona per i fratelli.

Così anche voi, quando rinnoverete qui il patto nuziale, entrerete ancora più profondamente nel mistero nuziale che c’è tra Cristo e la Chiesa, tra Cristo e il mondo, perché voi siete segno di questo amore infinito e pasquale - cioé crocifisso - di Dio per la sua Chiesa e per il mondo. Eucaristia e Matrimonio si fondono e si richiamano.

Quest’oggi però, ho anche due cose precise da dirvi. Proprio perché siamo “un gregge di piccoli”, un “popolo di poveri”, Dio ci chiama a due grandi grazie. Se noi fossimo un popolo di forti, forse Dio farebbe a meno di noi, ma siccome siamo poveri e con le mani vuote gli diciamo che ci aspettiamo tutto da Lui, il Signore ci chiede cose grandi.

Un libro che appartiene a tutti

Alcune decine di coppie di sposi, ottantacinque, mi chiedono di consegnare loro la Bibbia, che contiene la Parola di Dio all’uomo. È la seconda volta che faccio, qui in san Marco, questa consegna, e sono felice che si instauri nella Festa della Famiglia questa tradizione.

Cosa c’è nella Bibbia? In essa viene narrato i1 patto nuziale fra Dio e l’umanità, di cui voi, col vostro matrimonio, siete un segno vivo nella storia. Quindi la Bibbia è un libro che appartiene a tutti, un libro che, per un titolo singolare, appartiene a voi. Ma vorrei che la Parola di Dio fosse per tutti voi un libro caro, anche per quelli che non lo ricevono oggi da me ufficialmente. Un libro da aprire ogni giorno, per leggerne anche solo dieci righe, per recitare un salmo, il salmo che vi piace di più, e che recitate tutti i giorni perché vi tocca il cuore.

Poiché è sempre Gesù che parla nelle Sante Scritture, il dialogo con la Parola di Dio è reale ascolto di Cristo e, a poco a poco, questa Parola di Dio che risuona nel vostro cuore, susciterà la risposta, e voi parlerete con Dio come i figli parlano con il papà e con la mamma. Ecco la preghiera.

Vorrei che voi, con le vostre parole, faceste conoscere la Bibbia ai vostri figli, anche i più piccoli, insegnando loro a trattarla con rispetto, “perché qui c’è il Signore, quando ascolti queste parole è il Signore stesso che parla”, spiegandola loro con le vostre parole, quelle parole che io non sono capace di dire ma voi sì, quelle parole che entrano nel cuore dei vostri figli e con esse entra Dio, in modo che essi ne crescano impastati.

Quanto sto per dirvi è un concetto difficile, ma confido che lo Spirito Santo illumini i vostri cuori: quando voi spiegate la Parola di Dio ai vostri bambini va a compimento il mistero dell’incarnazione di Dio che si fa uomo nei nostri cuori. Utopia questa? No. Questo è il segreto della felicità. È Dio che diventa uno di casa, col quale si parla, a cui si risponde perché abbiamo imparato la sua lingua ed ecco allora che la casa diventa chiesa.

Sappiate che Gesù, la Madonna, san Giuseppe, nella loro vita umile, povera, laboriosissima, non si staccavano mai dal contatto con la Parola di Dio. Maria e Giuseppe hanno educato Gesù a leggere e ad intendere la Bibbia e a vivere sempre “secondo le Scritture”, a fare tutto ciò che ha fatto perché così “sta scritto”. Maria e Giuseppe hanno insegnato a Gesù a vivere secondo la volontà di Dio, la sua Parola.

Ma la Bibbia in famiglia non può e non deve essere una moda: è il pane della vita cristiana. La stessa Eucaristia, che è Gesù, diventa vita personale mediante la Bibbia. Parola di Dio ed Eucaristia sono inseparabili. Nutrendoci della Parola di Dio, custodendola nel cuore e meditandola, noi, sotto la luce dello Spirito Santo che ci è dato, comprendiamo come trasformare l’Eucaristia in vita; leggendo i Vangeli capiamo come Gesù, che abbiamo ricevuto nell’Eucaristia, può abitare in noi ed essere il primo protagonista del nostro pensare e del nostro agire

Marco Cè –  S. Marco,318 - Venezia

Ed ora vi dico l’ultima cosa. Io sono il pastore e il padre di questa comunità: padre perché genero a Cristo predicando la  Parola di Dio e pastore perché indico le strade della fedeltà al Vangelo. Ma io e i miei confratelli, come me pastori e padri, abbiamo tante famiglie che non ascoltano la parola del Vangelo, abbiamo  tante famiglie che soffrono, che sono in situazione di profondo disagio: esse hanno bisogno di Gesù, perché Lui solo le può salvare.

E allora faccio come fece un giorno Gesù quando si trovò con tanta gente che l’aveva seguito. C’erano anche dei colti, dei ricchi ma la stragrande maggioranza era povera gente, anzi gente disperata, ammalati, affetti da handicap fisici e mentali, desolati, peccatori. Lo seguivano come ultima speranza. Era ormai tardi e quella gente non aveva ancora mangiato. E Gesù disse ai suoi apostoli: “Date loro voi stessi da mangiare”. Gli apostoli sgranarono gli occhi, rimasero sbigottiti: “Noi, dare loro da mangiare? sono migliaia di persone”. Gesù non esitò un attimo: “Date loro voi stessi da mangiare”, e avvenne il miracolo. Quelle poche persone, i discepoli, sfamarono migliaia e migliaia di fratelli e sorelle.

La Chiesa è proprio cosi: Gesù al centro, gli apostoli servitori di Gesù a favore della gente. Ma apostolo, in questo caso, non sono soltanto io, non lo sono soltanto i confratelli che sono qui. Gli apostoli potete essere tutti voi; di fronte a tante famiglie in situazione di difficoltà, in tribolazione, cariche di pesi fisici, disoccupazione, problemi di casa e morali, cariche di sofferenza a causa dei figli, per il carico di persone anziane non più autosufficienti da assistere con gran fatica, io vi dico: “Date loro voi stessi da mangiare”. Gesù le ama, le ama attraverso me e non soltanto, ma anche attraverso il ministero mio e dei miei confratelli e parimenti attraverso voi per cui siete sacramento dell’amore di Dio nella storia.

Allora io vi dico: assumete queste famiglie che soffrono, queste situazioni di disagio, di dolore, di malessere, adottate queste famiglie nel vostro affetto e nel vostro cuore, perché, come quella povera gente ha capito che Gesù li amava attraverso il pane distribuito dai discepoli, esse sentano attraverso voi che Cristo le ama. Le famiglie in difficoltà spesso sono portate a pensare ad una Chiesa arcigna, che giudica, ad una Chiesa lontana. Nella vostra vicinanza sentano una Chiesa madre che non può fare tutto quello che vorrebbe, che deve ubbidire a Dio, ma che certamente non rifiuta mai i suoi figli perché hanno sbagliato. Anzi li ama di più, li porta in braccio e lo fa mediante voi! Con questo non significa che io voglia sottrarmi ad un compito: da solo non basto, non riusciamo, io e i miei confratelli, ad essere vicini a tutte le situazioni di sofferenza, anche perché molte sono circondate da pudore, molte forse sono distanziate da pregiudizi. Voi vivete con loro, voi siete loro vicini: “Date loro voi stessi da  mangiare”.

Non ditemi che sono cose troppo grandi per voi: Gesù vi chiede questo perché siete piccoli, poveri, miti, misericordiosi, non giudicate nessuno, ma se ci mettete il cuore, con voi c’è lo Spirito Santo. Siccome questa è una cosa grande, vorrei che ci pensaste su, che ci rifletteste, che vi diceste nel vostro cuore: “Posso io fare qualche cosa?”.

E poi, proprio perché si tratta di una cosa grande, vorrei che voi mi scriveste. Io mi chiamo Marco Cè, il mio indirizzo è San Marco 318 - Piazza S. Marco Palazzo Patriarcale, Venezia. Vorrei mi diceste: “Patriarca, io c’ero a san Marco, io sento di poter dare un po’ del mio tempo, di me stesso, la mia disponibilità, quel poco che ho. Patriarca, ho pochissimo sa, ho pochissimo, ma io sento di avere la possibilità di mettermi al servizio di alcune situazioni di sofferenza che lei non conosce e io sì”. Poi vedremo cosa fare. Da cosa nasce cosa - c’è lo Spirito Santo con noi - ma è giunto il momento in cui voi, famiglie credenti, famiglie che avete capito il Signore, vi interroghiate se avete qualche possibilità di mettervi al servizio di famiglie che sono più povere di voi. Non abbiate paura, è la sfida della fede, la sfida dell’amore calato nella storia dei piccoli gesti concreti. É il miracolo della moltiplicazione di pani che si perpetua.

Io affido questa mia audace proposta alla Sacra Famiglia, a san Marco e soprattutto alla grazia dello Spirito Santo che guida la sua Chiesa.

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Omelia tenuta alla XVI Festa diocesana della Famiglia . Trascrizione, non rivista dall’autore, dalla registrazione, revisione del testo e titolazioni a cura della Segreteria della Commissione.

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