PATRIARCATO DI VENEZIA

PASTORALE SPOSI E FAMIGLIA

 

Home ] Su ] PROGRAMMA ] Gli Uffici ] La Commissione ] Formazione al Matrimonio ] Casa Famiglia Pio X ] Assemblea animatori ] La festa della Famiglia ] I  Fidanzati a S. Marco ] Ass. Centro S. Maria M. Domini ]

 

ATTI DELLA 

XIV ASSEMBLEA DEGLISPOSI

S. Barbara - Mestre

17 Ottobre 1999 

 

        Gli sposi? … fossero tutti profeti!

 

SOMMARIO

 

Pref  azione         

                                               

Articolazione dell’assemblea     

                            

Saluti all’assemblea                

                            

Presentazione dell’assemblea                                

di Marina e Giampaolo Salvador  

“La coscienza della profezia”                                 

di mons. Silvio Zardon  

“Gli sposi… fossero tutti profeti!                            

di Ornella e Daniele Garota

 

Il Dialogo   

                                                       

Sintesi dei gruppi di discussione 

        gruppo  A

        gruppo  B

        gruppo   C

        gruppo   D      

        gruppo  E

                                    

Omelia del Patriarca

   nella Celebrazione Eucaristica  

PREFAZIONE

    don Silvio Zardon [1]  

 

Anche la XIV Assemblea diocesana: “Gli sposi?… fossero tutti profeti!”, va letta nel contesto del progetto generale della pastorale diocesana degli sposi e della famiglia che, come è noto, si incentra su questi punti basilari: la vocazione al matrimonio e alla famiglia, il Sacramento del Matrimonio, la Famiglia Chiesa domestica e il  Ministero coniugale.

Così si spiega la nostra  ininterrotta insistenza

  • sul “primato” della Parola di Dio;

  • sulla “centralità” dell’Eucaristia nel Giorno del Signore;

  • sull’ “apertura” del ministero coniugale al mondo per la costruzione della comunità degli uomini secondo la meta della “Civiltà dell’Amore”.

Sono pure note le espressioni concrete di questo impegno pastorale:

  • l’ormai tradizionale “consegna” della Bibbia agli sposi e alle famiglie per le mani del Patriarca e  “Gli sposi pregano in casa con la Bibbia”;

  • l’annuale Festa diocesana della Famiglia e la rinnovazione delle “promesse” sponsali con la celebrazione dell’Eucaristia nella cattedrale di S. Marco, presieduta dal Patriarca;

  • il progetto “La famiglia per le famiglie”, che da alcuni anni impegna gli sposi e le famiglie a favore degli sposi e famiglie in situazioni di difficoltà e sofferenza coniugale e familiare;

  • le Assemblee diocesane degli sposi e dei fidanzati con il Patriarca in S. Marco.

Ma il contesto della pastorale degli sposi e della famiglia è sempre il progetto pastorale, della nostra Chiesa. Per questo ricordiamo che  nel 1990, dopo la sua Visita pastorale, il Patriarca chiama la nostra Chiesa  a nuove tematiche e a nuove più ampie prospettive pastorali  con la sua lettera pastorale: “Il granello di senapa”.

Di qui, il nostro impegno, con gli altri Organismi pastorali diocesani, a realizzare comunità cristiane di “adulti nella fede”. E’ necessario ed urgente – chiariva il Patriarca – creare e promuovere degli “itinerari di fede” per riattivare e rivitalizzare la fede battesimale di questi cristiani perché maturino o inizino una personale adesione a Gesù Cristo e una partecipazione responsabile alla vita e alla missione della Chiesa (cfr Gds 65).

Inoltre, con la pubblicazione delle lettere di Giovanni Paolo II “Tertio millennio adveniente” e  del Patriarca “La comunità cristiana in missione”, la nostra Commissione ha partecipato al cammino della Chiesa nel triennio di preparazione  al bimillenario della nascita di Gesù Cristo, contribuendo alla riflessione a alle iniziative pastorali centrate su Gesù Cristo,  sullo Spirito Santo e su Dio Padre. Ad esse sono state ispirate le tre Assemblee diocesane degli sposi di questi stessi anni, e le relative Feste della Famiglia.

Proprio in questo complessivo ed ampio quadro pastorale della nostra Chiesa, si innesta dal 1997 il tema del “Ministero coniugale”, secondo il disegno del Patriarca: “Sposi, siate testimoni dell’amore di Dio dentro la storia e darete speranza al mondo. Voi, sposi, in forza del vostro ministero, non soltanto  siete l’oggetto della sollecitudine pastorale della Chiesa, ma ne siete anche il soggetto attivo e responsabile, in una missione di salvezza dentro la storia. Questo ministero siete chiamati a compierlo con la  parola, l’azione e con la  vita”.

 

È Cristo stesso che, in forza del sacramento del Matrimonio, associa i coniugi cristiani al suo triplice ministero profetico, sacerdotale e regale.

Con la XIV Assemblea diocesana gli sposi si sono ritrovati nella parrocchia di S. Barbara di Mestre per un giornata intera con il Patriarca a pregare, dialogare e delineare iniziative pastorali per il prossimo futuro, in sintonia appunto con tutta la pastorale della nostra Chiesa e facendo gioiosa memoria del bimillenario della nascita di Gesù.

Ad essa ci siamo preparati riflettendo su un prezioso testo di don Germano Pattaro sul “ministero profetico”: Gesù è profeta perché dice le cose che ha ascoltato presso il Padre;. Gesù è profeta perché, mentre ci parla del Padre, fa si che il Padre venga a noi: la sua Parola Lo rende presente. Gesù è profeta perché, mentre parla a noi di Lui, parla a Lui anche di noi: Gesù ci rivela davanti al Padre e ci introduce nella  “comunione” con Dio. Gesù è profeta perché continua a parlarci e a spiegarci la Parola mentre noi siamo ancora lungo la via. “strada facendo”.

All’inizio dell’Assemblea, gli sposi Ornella e Daniele Garota ci hanno saggiamente aiutati a meditare sul “ministero profetico” degli sposi: “E’ bello che il Patriarca doni con le sue mani la Bibbia a delle coppie di uomini e di donne sposati. E’ un segno grande. Attraverso le sue mani è Dio stesso che consegna la sua Parola agli sposi… In casa questo libro deve vivere”.

La Parola di Dio è il cuore stesso dell’amore coniugale. Se la fede viene dall’ascolto, la “profezia entra in questo ministero e lo rende vivente e adorante della Parola che avvolge e nutre il matrimonio e di conseguenza la famiglia. L’amore coniugale diventa, allora, la proclamazione di questa Parola. Vivendo dalla Parola e nella Parola, gli sposi “narrano da di dentro la loro storia, per la forza creativa di questa parola, è la storia stessa della salvezza”.. Essi imparano, di conseguenza, che la Parola di Dio, perché piena di vita, è giudizio che sana, orienta e benedice, è grazia che libera e non legge che deprime.

Nell’antico Israele, il rabbino, che era veneratissimo dalla gente, quanto passava una giovane coppia di sposi, si inchinava come segno di venerazione, perché passava la shekinà, stava cioè passando la presenza di Dio. Due sposi rendono presente Dio.

Dio dà la vita attraverso due sposi. Ma ciò avverrà solo se essi non “usano” la Scrittura: come se la Parola fosse in funzione della famiglia. “La Parola va servita”. “Il Signore non vuole semplicemente i teologi, gli esegeti, gli esperti della Parola, vuole la passione della Parola, bisogna innamorarsi della Parola” E, incalza sempre Daniele Garota, non è una cosa facile perché la parola di Dio bisogna cercarla dentro la Bibbia; bisogna raschiare con umiltà, con perseveranza.

“Anche i figli diventano profeti dentro la casa. Non pensiamo che solo noi insegniamo ai figli. Io non so quanto i figli hanno imparato da me, so quello che ho imparato da loro: Gesù dice andate a scuola dai fanciulli, lo dice nel Vangelo… prendeva un bambino e lo metteva lì: ecco, se volete entrare nel Regno di Dio, andate a scuola da lui”.

Per questo Don Germano diceva che gli sposi “stanno nella umiltà, mai umiliante, della riconciliazione, che perdona l’egoismo e lo vince”.

E, ancora, è una parola che rende capaci di “discernimento”, fa leggere con illuminazione spirituale i segni dello Spirito di Dio nella storia. Dice Daniele: “Noi sposi dobbiamo credere nello Spirito prima di noi.  Ma dobbiamo credere nello Spirito anche dopo di noi…perché lo Spirito va al di là di tutto… Egli viene prima di tutto  e andrà dopo. Noi siamo piccole cellule come l’erba del campo che al mattino cresce e alla sera è già appassita. Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore”.

  Ma soprattutto “credete allo Spirito tra di noi”: lo Spirito che ci fa stare insieme. Lo Spirito è più importante di tutto; nello Spirito che c’è tra voi sposi, vostro figlio vede la presenza di Dio.

E che cosa possiamo dire del sacramento del matrimonio? “È per la potenza dello Spirito che lavora attraverso un uomo e una donna, che un uomo e una donna sono uniti. Ed è una profezia, perché dove agisce lo Spirito c’è la profezia”.

La dimensione profetica del ministero coniugale è la sua qualità radicale, fa degli sposi i primi testimoni ed educatori alla fede dei figli: non per delega, ma per vocazione, per dono.

Gli sposi chiederanno alla comunità ecclesiale di sostenerli in questo loro ministero con un dialogo dove la comunità ascolta come un privilegio le narrazioni della loro esperienza.

Dunque, il ministero coniugale è ministero “profetico” verso la comunità ecclesiale: gli sposi sono chiamati ad annunciare-testimoniare in mezzo ai fratelli che il matrimonio è un dono di Dio prima alla Chiesa e quindi agli sposi, è il ministero coniugale che li chiama ad essere “profezia” vivente del Vangelo.  

  AL SOMMARIO

 

 

 

ARTICOLAZIONE DELL’ASSEMBLEA

 

Presidenza :            :           S. Em. Card. Patriarca MARCO CÈ

Moderatori :           :           Coniugi Marina e Gianpaolo SALVADOR

Relatori sul tema :   Mons. Silvio ZARDON

                            Coniugi Ornella e Daniele GAROTA

Svolgimento :

ore  9,00       arrivi alla sede dell’assemblea ed accoglienza

ore  9,30       preghiera delle Lodi, saluti e presentazione dell’assemblea

ore  9,45       meditazione “La coscienza della profezia” (Zardon)

ore 10,30       meditazione “Gli sposi? …Fossero tutti profeti!” (Garota)

ore 11,30      pausa e dialogo con l’assemblea

ore 12,30       pausa per il pranzo (pastasciutta offerta dalla comunità di S. Barbara)

ore 14,30       gruppi di studio coordinati dalla Commissione

ore 16,45      pausa the e scambio di opinioni

ore 17,30      S. Messa con la comunità parrocchiale

Luogo :         Parrocchia di S. Barbara, via Salvore, 1 – 30170 Mestre (VE)

                          Assemblea liturgica nella chiesa di S. Barbara

                          Assemblea pastorale in Sala parrocchiale “A. Luciani”


AL SOMMARIO

 

SALUTI ALL’ASSEMBLEA

 

 

Card. Patriarca Marco Cè  

Cari amici, vi saluto tutti. Arrivo dal Convegno Caritas al Cavallino dove ho celebrato l’Eucaristia e, adesso, ho avuto piacere di salutare la gente che sta cominciando a celebrare l’Eucaristia qui in parrocchia. Da questo momento sono tutto per l’Assemblea degli Sposi fino a stasera, e sono molto contento. L’applauso con cui mi avete accolto, fino a prova contraria, va fatto a voi che siete venuti numerosi; mi da molta consolazione scorgere tante facce note che rivedo tutti gli anni all’Assemblea.

Vi auguro di passare bene questa giornata e soprattutto di aprire il cuore alla grazia che certamente il Signore effonderà oggi su di noi. Lo Spirito del Signore si dona sempre con grande generosità nella misura in cui sappiamo aprire il nostro cuore. La mia esortazione è quella di vivere la giornata con gioia, con grande fiducia, senza paura, benedicendo il Signore; la Parola del Signore che risuonerà nel vostro cuore, è una parola che non porta soltanto l’invito a crescere, ma anche la grazia per poterlo fare.

Saluto l’amico Daniele Garota che è venuto da Urbino per aiutarci nel nostro compito. Buon lavoro a tutti.  

 

Paolo Martin (a nome della Comunità Parrocchiale di S. Barbara)

 

Benvenuti! Benvenuti a S. Barbara! Un saluto innanzitutto al nostro Patriarca e un saluto a tutti voi, convenuti qui da ogni parte della diocesi. Un saluto da parte di tutti noi della parrocchia di S. Barbara, ad iniziare dai nostri sacerdoti, il parroco don Gianfranco e il cappellano don Lucio.

È un onore e una gioia per la nostra Comunità ospitare questa XIV Assemblea diocesana degli sposi. La nostra parrocchia, che sorge in un quartiere di periferia, sta compiendo passi verso la presa di coscienza di comunità, sia sul piano sociale che spirituale. È una realtà numerosa, quasi diecimila anime, ricca di speranze. Il territorio sul quale opera è situato tra i vecchi paesi di Chirignago e Gazzera. Vero polmone abitativo della città di Mestre, ha avuto un grosso sviluppo demografico grazie ai nuovi insediamenti residenziali degli anni ‘60 e ‘70. La nostra chiesa è stata costruita trent’anni fa, consacrata dall’allora card. Patriarca Urbani, sogno realizzato dal parroco don Ettore Fuin, ora a riposo.

Ha aperto le porte, per intraprendere un dialogo costruttivo, alle forze sociali e politiche di ogni parte. L’Azione Cattolica è attiva soprattutto per merito di giovani animatori, che vi si dedicano con grande entusiasmo. Gli scout, proprio quest’anno, hanno formato un nuovo gruppo. Una mano ai fratelli e alle sorelle bisognosi viene offerta dal nostro gruppo Caritas , animato da fraterno amore per il prossimo, come ha insegnato Gesù. Il Signore ha benedetto la nostra parrocchia con delle vocazioni, per le quali preghiamo.

E gli sposi? ... Fossero tutti profeti! È il titolo del nostro appuntamento. La nostra comunità si augura, e augura a tutti, una giornata serena, al servizio della Parola di Dio. Ci siamo adoperati con entusiasmo perché tutto fili liscio, senza problemi, e naturalmente continueremo a dare l’assistenza necessaria durante tutto lo svolgimento dell’Assemblea. A tutti auguriamo una buona giornata.  

  AL SOMMARIO

PRESENTAZIONE DELL’ASSEMBLEA

di Marina e Gianpaolo Salvador[2]  

 

A nome di tutta la commissione diocesana per la Pastorale Sposi e Famiglie, siamo contenti di dare il benvenuto a tutti voi che siete qui per la XIV Assemblea degli Sposi. Ringraziamo il parroco don Gianfranco Pace, il cappellano don Lucio Cabia e la comunità parrocchiale di Santa Barbara. Basta guardare intorno, guardare all’imponenza dei preparativi per capire con quanto calore ci accolgono e  come vogliono che ci troviamo bene qui.  

 

Introduzione al tema  

Questa assemblea è legata alla Prima Assemblea degli Sposi 1986 il cui titolo “Sposi, chi siamo?” Sembra quasi precedere la risposta di oggi “Gli sposi? …Fossero tutti profeti!”. Tutte le assemblee seguenti la prima hanno contribuito a dare una risposta. Guardatevi gli atti o più semplicemente il libro Cari Sposi e Care famiglie che raccoglie gli interventi del Patriarca alle nostre Assemblee e Feste della Famiglia. Questa però dà un risposta più esplicita.

Lo spunto per questo titolo viene dal libro dei Numeri (11,27-30) in cui si racconta che due uomini si erano messi a profetizzare nell’accampamento del popolo di Israele. Allora Giosuè scandalizzato, disse a Mosè: “Mosè impedisci loro di profetizzare”, come dire: “Solo tu sei profeta”. Ma Mosè rispose: ”Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito”.

Con un po’ di immaginazione, se Mosè fosse andato ad una Assemblea degli Sposi forse avrebbe detto “Gli sposi? …Fossero tutti profeti!”. Non sappiamo se Mosè l’avrebbe detto, ma sappiamo che Pietro rivolgendosi ai cristiani ci è andato vicino nella sua prima lettera (1Pt 2,9-10) quando, citando proprio Mosè dice: ”…voi siete ...la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui”. Il Concilio Vaticano II invece lo dice esplicitamente quando afferma che tutto il popolo di Dio ma in particolare gli sposi partecipano all’ufficio profetico di Cristo (Lumen Gentium 33-37).

Profeta è colui che dice le cose che ha udito da Dio, è colui che è quindi al servizio della Parola di Dio. In particolare per gli sposi significa diventare eco vivente e adorante della Parola, di quella Parola di Dio che avvolge e nutre il Matrimonio [3] . Questo è anche il significato della consegna della Bibbia agli sposi che da alcuni anni si sta facendo alla festa della Famiglia a San Marco e che faremo anche quest’anno.  

 

Perché questo tema?  

Nell’Assemblea di due anni a Quarto avevamo affrontato tutti e tre i ministeri, profetico, regale e sacerdotale come tre aspetti dell’unico ministero coniugale. Ci sembrava però che andavano trattati in modo più approfondito perché ciascuno meritava più spazio. Avevamo fatto anche degli incontri dopo quell’Assemblea però non ci sembrava ancora abbastanza. In particolare per il Ministero profetico ci pareva che mancasse un collegamento tra la figura del profeta, cosi come appare nella sacra Scrittura con tutto il suo fascino e la figura dei profeti di oggi cioè gli sposi.

L’idea iniziale era di fare un assemblea sul ministero profetico degli sposi nella Chiesa in relazione alla formazione dei fidanzati al matrimonio. Poi si è aggiunta l’idea di affrontare anche il ministero profetico degli sposi nella famiglia e in particolare il difficile e spesso sofferto ministero educativo dei genitori. Avevamo già deciso lo schema con queste due idee quando ci siamo accorti che era troppo vasto e ciascun tema avrebbe sacrificato l’altro. Bisognava scegliere l’una o l’altra idea. Ha vinto la seconda: il ministero profetico degli sposi nella famiglia in particolare il ministero educativo.

Così oggi non affronteremo il ministero profetico degli sposi nella sua completezza ma soltanto un suo particolare aspetto. Sicuramente oggi non si esaurisce l’argomento del ministero profetico degli sposi. Alcuni di voi ci diranno che abbiamo trascurato molti aspetti fondamentali. Avete ragione! Ma a questi rispondo già ora dicendo che abbiamo ancora tante Assemblee da fare…  

 

Presentazione della prima meditazione  

Il Patriarca, qualche giorno fa, a lettere e manifesti già inviati, ha telefonato a don Silvio dicendogli che non era sicuro di arrivare in tempo per fare la meditazione perché non sarebbe venuto da Venezia. Don Silvio preoccupato allora ha chiesto: “Ma, Eminenza, e adesso chi farà la meditazione?”. “Non preoccuparti” - ha risposto il Patriarca - “ho trovato un valido sostituto ancora più bravo di me”. “Impossibile che sia più bravo” - ha risposto don Silvio - “e chi sarebbe mai il suo sostituto?”. “Tu, Silvio, sarai il mio sostituto”, ha risposto il Patriarca. Potete immaginare che a questo punto don Silvio era ben più preoccupato di prima e non so come abbia reagito, forse è anche meglio non saperlo. Penso che ad un certo punto si sia ricordato di un certo voto di obbedienza fatto un po’ di tempo fa e quindi eccolo qua a fare lui la meditazione.

La meditazione che si svolgerà durante la preghiera ci guiderà alla riscoperta del senso e del fascino della profezia nella tradizione biblica. Che cosa fa un profeta? Che cosa lo spinge a parlare in nome di Dio? Perché Gesù è il profeta per eccellenza? Perché anche gli sposi si possono considerare profeti?

Se avete notato è raro che Don Silvio appaia in pubblico da protagonista, cerca di evitare, anche nei modi non si da mai importanza. Ma invece è una persona di grande statura, spirituale e carismatica, si intende. Infatti non solo è il responsabile della pastorale diocesana per gli Sposi e Famiglie ma ne è anche la guida spirituale e carismatica. Lui, come prete, ha aiutato tutti noi sposi a capire meglio il nostro Matrimonio come sacramento e come ministero. Grazie a lui ci sentiamo oggi ancor più convinti del nostro Matrimonio. Raccogliendo l’eredità di don Germano Pattaro, promuove l’amore coniugale come esperienza dell’amore di Dio, come testimonianza preziosa per tutta la Chiesa. Da anni sta compiendo un grosso lavoro in quel fronte di evangelizzazione che si chiama formazione al Matrimonio per annunciare ai fidanzati, negli itinerari di fede che continuano dopo il matrimonio, che il loro amore, anche se inconsapevole, è amore di Dio.

Per tutto il bene che stai facendo a noi della Commissione e a tutti gli sposi che direttamente o indirettamente noi ti vogliamo ringraziare e credo non ci sia sede migliore di questa per farlo!  

 

AL SOMMARIO

LA COSCIENZA DELLA PROFEZIA

di mons. Silvio Zardon [4]  

 

I profeti: quale coscienza ne abbiamo?  

Sosteremo per riflettere insieme particolarmente sulle parole della prima lettura tratta dal Libro del Deuteronomio (18,15-20): ”Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me”, riservando qualche pensiero anche al brano tratto dalla Lumen Gentium, al numero 35.

Prima di iniziare però, vorrei dirvi che sono un po’ perplesso ed anche un po’ emozionato sia per il fatto di dover sostituire il Patriarca, ma soprattutto perché parlare dei profeti non significa alludere semplicemente ai personaggi storici della sacra Scrittura, ma vuol dire parlare di noi nella realtà che stiamo vivendo e, in questo caso particolare, di voi sposi, e ciò non è tanto agevole per me.

I profeti ci sono (il Signore fa sempre il dono della profezia), ma quale coscienza ne abbiamo? Qui ci sono dei profeti e la Parola del Signore, tratta dal Deuteronomio, ci ha già coinvolto; difatti stiamo riflettendo su di noi, non su gente della storia passata, o su degli estranei a questa Assemblea. Siamo coinvolti perché la parola del Signore è attuale: è la parola del Vivente, è il Signore che sta dialogando con noi e forse sta aspettando la nostra risposta, oltre che la nostra riflessione e il nostro approfondimento, perché i suoi doni devono entrare a comporre la storia di questi tempi.

Vi proporrò qualche suggerimento con la speranza che serva a configurare un contesto per le indicazioni che verranno poi da Ornella e Daniele. Siamo veramente contenti di questa loro presenza, di questo meditare insieme la Parola del Signore.  

 

Dio parla con il suo popolo  

Il punto di partenza di ogni riflessione cristiana sulla Parola di Dio è che Dio parla con il suo popolo. Nel brano del Deuteronomio, Dio parla con il popolo di Israele; in questo momento, Dio parla con il popolo di oggi, cioè noi, la sua Chiesa, che in un certo senso rappresentiamo, per sua volontà, l’intera umanità. Attraverso la sua Parola stiamo proprio interrogandoci sulle nostre responsabilità rispetto all’uomo contemporaneo che attende proprio la divulgazione della Parola stessa.

Il punto di partenza è, dunque, che Dio è un Dio dialogante. Il testo appena letto (in realtà tutta la sacra Scrittura) ci dice che l’intera storia d’Israele è imperniata su Dio che parla attraverso dei mediatori: i profeti. Il profetismo è uno dei temi centrali e forti della parola di Dio e tutta l’esperienza di Israele si fonda proprio su questa realtà, a partire da Mosè.

Una ulteriore considerazione ci spinge ad osservare che l’intera vicenda che precede la venuta di Cristo è un catecumenato dell’umanità di cui i profeti ne sono i testimoni e gli operatori. Quindi Gesù Cristo è il punto di riferimento di questo processo profetico e subito ci dobbiamo mettere in sintonia con il Cristo, il vero oggetto della profezia di ogni tempo. Trattare questo argomento è perfettamente in sintonia con l’approssimarsi dell’anno di grazia che celebra il bimillenario della nascita di Gesù, cioè il mistero della incarnazione.  

 

Oggetto della profezia è Gesù  

Meditare il profetismo significa perciò puntare l’attenzione direttamente su Gesù, per conoscerlo e vivere di Lui. I profeti dell’Antico Testamento, come quelli di oggi, hanno il grande merito di indirizzare il nostro cammino verso Gesù Cristo.

I profeti di allora avevano un’esperienza di Gesù diversa dalla nostra e molti di essi sicuramente non erano in grado di prevedere l’identità della persona e della funzione di Gesù. Noi sì, perché viviamo ormai questa realtà di comunione con Gesù. Deve quindi guidarci sempre la convinzione centrale che l’oggetto della profezia è Gesù Cristo. Ma come teniamo realmente in conto questa realtà del profetismo? Noi, che vogliamo essere di Gesù, che vogliamo capirlo, conoscerlo, aderire a lui; che vogliamo accettare il suo invito ad essere in comunione intima, come facciamo entrare il profetismo nella nostra storia e del nostro cammino di fede?

Il tema del profetismo non è esclusivo del popolo di Israele, ma è comune all’esperienza di tutti i popoli e di tutte le nazioni, è cioè una realtà della coscienza umana. Ci sono sempre stati dei profeti in mezzo alle genti che pure non erano di provenienza biblica, come, anche oggi, ci sono profeti che si esprimono in esperienze religiose non legate alla  rivelazione cristiana che ci viene dalla sacra Scrittura. Per questo motivo, quando consideriamo il profetismo come una realtà che ci coinvolge, allarghiamo il nostro sguardo all’umanità intera. Dio non ha mai abbandonato nessuno e la sua rivelazione, la sua Parola è presente in tutta la storia dell’umanità.

Per entrare nel tema del profetismo dobbiamo partire inoltre dalla definizione che gli antichi ebrei davano del profeta: il profeta è un uomo di Dio. L’elemento costitutivo dell’esperienza profetica è infatti quella di essere scelti, di essere mandati da Dio stesso.  

 

Il profeta: uomo di Dio  

Il profeta è una persona che vive in intimità con il Signore. Come i profeti stessi ci raccontano nei loro libri, essi sono spinti ad annunciare la parola del Signore partendo non da una riflessione su di lui, ma proprio dalla esperienza personale e storica di Dio. Essi non sono dunque degli studiosi, degli intellettuali, ma degli uomini che vivono intensamente l’intimità con Dio, alla sua presenza. Sono gli uomini di Dio. Si può quindi affermare che leggendo i profeti e le vicende che nascono attorno a loro, scopriamo che essi incidono fortemente nella storia, proprio grazie al segreto profondo della loro esperienza di Dio.

Pensando alla realtà del profetismo odierno, il discorso non cambia, poiché il profeta vero è colui che ha a che fare con il mistero di Dio, un Dio santo e misericordioso. I profeti fanno quindi un’esperienza esatta, vera, autentica di Dio, per cui sentono profondamente e consapevolmente di essere stati coinvolti da Dio nel suo progetto di salvezza. In questo contesto, come spesso leggiamo negli scritti, il profeta percepisce in modo penetrante la sua indegnità personale, sente di avere bisogno anch’egli della misericordia di Dio: “Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito…” (Is 4, 5). Però quando il profeta si accorge che il Signore lo ha perdonato, acquista una coscienza gioiosa di essere radicalmente rinnovato a causa della misericordia di Dio. A questa consapevolezza, giunge il grido: ”Eccomi, manda me!” (Is 4, 8)

Alla luce di questa esperienza di Dio del profeta, si può aggiungere un’altra considerazione. Il profeta matura sempre di più la coscienza che la chiamata di Dio è inesorabile. Geremia, rivolgendosi al Signore, esprime così questa consapevolezza: ”Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso…” (Ger 20,7). È un concetto che Paolo riprende nella prima lettera ai Corinzi (9,16): ”Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo!”.

Il profeta sa quindi di essere scelto da Dio, ma non ha altra prova, al di fuori di questa consapevolezza, per legittimare presso il suo popolo di essere stato scelto dal Signore. Illuminato dal Signore, egli si rende conto di poter provare ciò soltanto attraverso la testimonianza della sua vita;  egli sa di dover rimettere la sua vita nelle mani del Signore perché dia testimonianza della sua Parola. Ed è proprio attraverso la donazione della propria vita, dalla sua volontà di esprimere la Parola del Signore, che deriva la forza della sua parola.

Il profeta ha coscienza che le sue parole, le parole che deve dire al popolo, vengono dal cuore di Dio perché intimo è il suo rapporto con Lui. Questa è la convinzione profonda del profeta. Le sue parole possono allora toccare, smuovere i cuori degli uomini: sono parole nuove, sono le parole di Dio che creano situazioni inedite. Un’ultima osservazione ci porta a considerare che il profeta rivela una coscienza sempre sperimentale, non solo dovuta alla riflessione speculativa, ma legata alla sua stessa esistenza quotidiana.

Il profeta è una persona consapevole che tutto quanto esiste nel creato è un dono gratuito di Dio. Questo è uno degli elementi portanti della profezia. Secondo il profeta, la creazione, la salvezza, la rivelazione sono opera dello Spirito di Dio, il quale, come dice Ezechiele, dona un cuore nuovo e una forza e una speranza che sono assolutamente invincibili (cfr. Ezechiele 11,19).

Il discorso del profetismo è molto vasto e pertanto queste considerazioni, probabilmente un po’ slegate, non hanno la pretesa di essere esaustive, ma possono comunque essere oggetto della nostra riflessione. Siamo consapevoli di essere all’inizio di una valutazione sul profetismo che ci deve far prendere coscienza di essere in grado di realizzare la profezia, un dono che il Signore ha fatto a tutti i battezzati e in modo particolare agli sposi.  

 

Gesù “il” profeta  

Vorrei concludere volgendo uno sguardo alla figura di Gesù come “il profeta”. Tutti i profeti hanno contribuito a tracciare la strada per giungere a lui ed a cogliere la sua profezia. Gesù è profeta: ”Gli dissero allora: «Tu chi sei?». Gesù disse loro: «Proprio ciò che vi dico. Avrei molte cose da dire e da giudicare sul vostro conto; ma colui che mi ha mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui». Non capirono che egli parlava loro del Padre. Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite».” (Gv 8,25-29)

Gesù è il profeta per eccellenza perché la sua Parola ci porta a entrare in comunione con il cuore del Padre. Egli è appassionato del Padre ma è appassionato anche dell’uomo per cui vuole che questi scopra che Dio è suo Padre. Gesù inoltre realizza il progetto del Padre parlandoci di Lui proprio come di un Padre che è tale anche per noi, rendendolo presente e operante nei confronti dell’umanità.

Gesù è profeta anche perché parla di noi al Padre. Egli ci ha preso proprio in braccio per condurci a Lui. Gesù parla al Padre di ciascuno di noi, e così facendo ci rivela noi stessi, ci dice quello che siamo secondo il progetto del Padre, introducendoci fortemente nella comunione con Lui. La profezia di Gesù si esprime inoltre nel suo continuo spiegarci la Parola, mentre noi siamo ancora lungo il cammino. Come nell’episodio dei discepoli di Emmaus, che ci narra il Vangelo (Luca 24,13-35), Gesù ci parla strada facendo, e questo suo parlare è reso fecondo della presenza dello Spirito.

Infine Gesù è profeta perché rivela la relazione di amore che lega Dio a tutti gli uomini rendendosi egli stesso protagonista narrante di questa storia in cui è presente. Come ci ha ricordato il papa Giovanni Paolo II nella sua lettera alle famiglie nel 1994, il compito che il Padre ha affidato agli sposi è quello di entrare sempre di più nel mistero dell’amore trinitario per essere capaci di esserne il sacramento per il mondo intero.

 

 

  AL SOMMARIO

 

   

GLI SPOSI, …FOSSERO TUTTI PROFETI!

di Ornella e Daniele Garota [5]  

 

  «Restituiscimi la mia Parola»  

Vi ringrazio di avermi invitato e delle belle parole con cui sono stato presentato. Vi parlerò come se fossi uno di voi perché non sono uno specialista. Ho avuto soltanto la fortuna di avere una passione per la sacra Scrittura e ogni giorno mi sono, per così dire, cimentato ad aprirla e a leggerla. Non vi farò un discorso lineare e sistematico, perché non ne sarei capace, ma andrò avanti per immagini, esprimendo così quello che mi suggerisce lo Spirito.

Sono contento che sia arrivato il Patriarca - temevo non arrivasse - perché voglio cominciare con l’immagine che in San Marco, il Patriarca dona con le sue mani la Bibbia a delle coppie di uomini e donne sposati. So che ne ha donate centinaia, ed è un grande segno. Attraverso le sue mani è Dio stesso che consegna la Parola alla coppia di sposi. Però mi sono chiesto che cosa ci si fa con questo libro? Lo si porta a casa e lo si appoggia su uno scaffale?

Questo libro deve vivere. C’è un’espressione bellissima di Gregorio Magno che dice: ”La Scrittura cresce con chi la legge”. Non soltanto la Scrittura ci dà la vita, ma la Scrittura acquista la vita con colui che la legge. Ricevere la Parola dal Signore è un grande dono ma anche una grande responsabilità. Mi viene in mente adesso Bernanos - un grande scrittore francese, credente – quando immagina che un giorno ci incontreremo faccia a faccia con Dio (perché ritengo che ognuno di noi dovrà incontrare il Signore a tu per tu) ed il Signore ci dirà: ”Restituiscimi la mia Parola”, cioè la Parola che abbiamo ricevuto da lui oggi, un giorno gliela dovremo restituire.

In che modo gliela restituiremo? Un criterio è questo: ”Ah! Guarda: te la restituisco bella nuova così come l’ho ricevuta; e poi l’ho tenuta dentro la custodia e non s’è neanche impolverata. Mai che io l’avessi aperta. Ecco, te la restituisco perfetta”. La parabola del talento la conosciamo tutti. Se siamo dei vigliacchi, apprendiamo la Parola, la nascondiamo, ed essa resta morta. Ma il Signore, per darci questa Parola, ha pagato un prezzo enorme: si è fatto lui stesso Parola. Parola che grida, Parola crocifissa. Direi che Dio stesso, per darci questa Parola, ha dato la sua vita. Chiediamoci, allora, che ne facciamo di questa Parola? Perciò, ripeto, è una grande responsabilità ricevere la Parola come laici semplici credenti, oltre che essere un grande dono.  

 

Cominciamo da noi stessi  

Ritengo però che questo sia un tempo molto difficile per far vivere la Parola, per farla risuonare dentro di noi. Per certi aspetti è facile, perché ognuno ha una Bibbia in casa; siamo pieni di dizionari, di sussidi per la lettura della Bibbia, ovunque ci sono corsi per la Bibbia. Dal Concilio Vaticano II in poi se n’è fatta di strada. Credo che ogni credente, se vuole, abbia sia la Bibbia a portata di mano, che gli strumenti per poterla leggere con facilità. Cosa che non poteva accadere tempo fa.

Ma, al tempo stesso, oggi è anche tanto difficile leggere la Scrittura, soprattutto all’interno delle nostra realtà domestiche, perché la Scrittura necessita disponibilità, tempo, apertura di cuore e spesso nelle nostre case c’è rumore, c’è chiasso, nessuno ha tempo, è tutto un “fuggi, fuggi”. Ma, quel poco che noi possiamo fare, credo sia necessario farlo con tutte le nostre forze, perché è una grande responsabilità per ognuno di noi. Dobbiamo smetterla di dire che la colpa è della chiesa, della società..., cominciamo da ognuno di noi. La Chiesa ci ha dato la Parola, ce l’ha messa in mano; dentro la nostra casa possiamo farla vivere. Adesso sta a noi, non possiamo dire ad altri: “Fallo tu al posto mio”.

É molto importante la riscoperta della verità. Ciò non significa che dobbiamo essere individualisti - spiritualisti: significa sentire che siamo unici ed irripetibili davanti a Dio. Quello che ognuno può fare davanti a Dio come padre, come sposo, come sposa, non lo può fare nessun altro, non il prete, non il patriarca, non il papa. Nessuno può fare, nella fede, ciò che possiamo fare noi all’interno della nostra casa. Nel Credo diciamo: ”Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita, ed ha parlato per mezzo dei profeti”. Io aggiungerei: “…e vuole parlare attraverso i padri e le madri”, perché anch’essi devono diventare profeti. Lo Spirito ha un gran bisogno di parlare attraverso di noi, perché se non siamo noi a raccontare ai nostri figli (soprattutto agli inizi della loro vita) che cosa ha fatto Dio, narrare la nostra esperienza di Lui, chi altro lo può fare?

Ieri sera sono stato a cena da un carissimo amico e c’era una bambina di quattro anni che ci diceva: ”Io ho letto la Bibbia, eh!”. Ma come può dire questa bambina di aver letto la Bibbia se non avesse visto un giorno il padre e la madre aprirla e leggerla insieme? Il nostro piccolo Filippo ha tre anni e quando ci mettiamo a mangiare, è lui che dice: ”Oh, babbo, prendi la madonnina”. Abbiamo infatti una piccola icona in cucina e gliela mettiamo appoggiata sulla bottiglia; lui guarda l’immagine ed assiste alla nostra preghiera prima di pranzare. Se non lo facciamo è lui a dirci: ”Oh, è l’ora di farlo, no?”.

Chi gliel’ha detto a Filippo di fare così? Gliel’abbiamo detto noi. Non possiamo aspettare che glielo dica il catechista quando va a prepararsi alla prima Comunione, alla Cresima. Tutto deve nascere dalla famiglia, altrimenti difficilmente il bambino farà esperienza di Dio. Ogni bambino capirà chi è Dio, dal modo in cui il suo babbo e la sua mamma lo guarderanno, lo accarezzeranno; ma direi anche dalla maniera in cui i suoi genitori si accarezzano tra di loro: la manifestazione del volersi bene tra il babbo e la mamma è una grande testimonianza, perché in quel momento si fa presente il Signore.

Nell’antico Israele i rabbini erano veneratissimi, ma quando transitava una giovane coppia di sposi, il rabbino stesso si inchinava come segno di venerazione perché stava passando la shekinà, stava passando la presenza di Dio. Due sposi rendono presente Dio. Dio dà la vita attraverso due sposi; oggi l’uomo lo vuol fare anche attraverso la clonazione, ma è una mostruosità: non può esserci vita se non c’è l’amore di un uomo e di una donna che si uniscono. Questo ha voluto Dio sin dall’inizio.  

 

La Parola va servita  

Quando vado in giro a parlare noto spesso che si usa un po’ la Scrittura in funzione della famiglia. La Parola di Dio diventa quasi strumento affinché le famiglie diventino migliori, si amino di più gli sposi, ci sia un’educazione migliore dei figli... Credo che ciò sia sbagliato: la Parola va servita, non dobbiamo prenderla a nostro servizio.

La Parola non deve essere al servizio della famiglia, ma la famiglia al servizio della Parola. Allora - sono sicuro - la Parola ridarà qualcosa alla famiglia. Ma ci dovrà essere questo “timore-tremore” di prendere ed avvicinarci con estrema gratitudine e senso di servizio alla Parola che è un dono. Ho molta paura quando la finalità della famiglia cristiana è una vita tranquilla, pacifica, spesso godereccia...; ci possono essere delle famiglie che vanno benissimo d’accordo, hanno dei figli integerrimi, ma non sono assolutamente cristiane. Il profeta Aggeo dice: ”Guai abitare tranquilli nelle vostre case quando la casa del Signore va in rovina”.

Il cristiano diventa profeta nel momento in cui comprende che, qualche volta, può essere dura essere profeti. Quando sa che la vita può diventare molto difficile essendo profeti e molto facile non essendolo; ma se si è al servizio della Parola, bisogna essere molto disponibili perché la profezia è una cosa seria. Le profezie di Mosè, di Elia e di Isaia, che facevano da mediatori tra il popolo e Dio, sono straordinarie, ma in Israele c’è sempre stata una profezia ordinaria quando Dio, direttamente ai padri e alle madri, diceva: ”Ascolta Israele, il Signore è il vostro Dio, il  vostro Signore è uno. Questa Parola che io ti do la custodirai nel tuo cuore, la racconterai ai tuoi figli, al mattino, a mezzogiorno, alla sera, quando cammini, quando ti alzi, quando sei a tavola, sempre.., con la tua vita, gliela ficcherai dentro alla mente e alle orecchie dei figli”. Quella era la profezia di Israele: la verità dell’amore di Dio viene raccontata ai figli dal padre e dalla madre.  

 

Non servono grandi cose  

Ci sono tante cose che si possono fare a casa. Credo che non occorra cercare grandi idee: le cose più importanti sono quelle che si possono realizzare semplicemente. Non è neanche necessario fare cose molto lunghe; in casa si possono fare cose efficaci nella brevità, considerando poi che viviamo in un tempo in cui bisogna essere brevi.

Se si prega in casa, non possiamo fare come i monaci che non la finiscono più: dobbiamo essere sintetici, ma efficaci. Ritengo sia utile leggere un brano del Vangelo ad un bambino se lo si legge bene; c’è il brano della tempesta sedata, Gesù che cammina sull’acqua, oppure Giona che viene divorato dal pesce. La Scrittura è piena di racconti che ai bambini possono rimanere impressi nel cuore e così imparano ad amare la Parola, perché è soltanto se vedono la passione con cui il padre e la madre si accostano alla Parola che possono pensare: ”Allora questa Parola è importante”.

Se i figli mi vedono leggere la Bibbia, ritengono sia naturale perché sanno che mi piace intrattenermi con la Bibbia. Ciò è già una grande cosa chiaramente, ma se vedono che Ornella ed io, al mattino, ci sediamo una vicina all’altro e apriamo la Bibbia e leggiamo, alternandoci, le letture, magari si coinvolgono con noi ed, allora, questo si diventa enormemente efficace. Quando i genitori fanno una cosa insieme, questa si trasforma in una cosa forte. Per i figli, un avvenimento è già efficace se lo compie un solo genitore, ma se lo fanno tutti e due in accordo, diventa una cosa che non si può non tenere fissa nella mente. E quando i bambini crescono, quello che hanno vissuto nei primi anni della vita nella loro casa (di bene e di male), non lo scorderanno più. Difatti è facile che ricordiamo chiaramente scene vissute da bambini e non fatti vissuti dieci giorni prima.

Nella liturgia di oggi c’è la prima lettera ai Tessalonicesi in cui c’è una frase che mi ha colpito: ”Il nostro vangelo non si è diffuso tra voi soltanto per mezzo della Parola, ma anche con potenza e con Spirito Santo, ma non solo, e con profonda convinzione”. Le cose fatte con profonda convinzione diventano efficaci. Se noi, con profonda convinzione, ci dedichiamo alla Parola, la nostra vita necessariamente diventa diversa. Quando noi parliamo ai nostri figli della Parola con profonda convinzione, essi si accorgono che questa Parola è estremamente importante per noi. Questo lo possono vedere anche in un gesto, in una pausa di silenzio: i figli ci conoscono molto più di quanto noi possiamo immaginare; hanno una sensibilità acuta anche da piccoli. Loro capiscono subito se gli diciamo o pensiamo una cosa e non ne siamo realmente convinti, se gliela diciamo tanto perché dobbiamo dirgliela.  

 

È duro essere diversi dagli altri  

Il mondo di oggi ha questo grande difetto: non considera più nulla importante; tutto è relativo, è un continuo andare dietro alle farfalline. Serve la profonda convinzione a un valore, allora si diventa credibili quando si parla di quella cosa ai figli. Questo diventa profezia, non soltanto all’interno della famiglia, ma anche al suo esterno perché la famiglia si deve aprire ad orizzonti più vasti proprio perché è al servizio della Parola, al servizio della profezia.

Mi è capitato, qualche volta, che i figli riferissero la loro fierezza di essere stati - per così dire - oggetto di attenzione da parte degli amici per questioni che gli erano state donate in casa. Se un figlio acquisisce in famiglia dei valori forti e convinti, anche se troverà dei problemi fuori casa, arriverà il momento in cui si sentirà fiero di avere ricevuto questi doni. Non è possibile che lo Spirito lavori dentro un ragazzo che cresce e non lo faccia a modo suo. Non è possibile!

Non posso dire che nella nostra casa sia tutto rose e fiori; abbiamo i problemi di tutti: i nostri figli ci danno grane come li danno tutti i figli. Però noto che loro rispettano molto ciò che hanno ricevuto. Hanno avuto anche le fasi di rigetto, perché si sa, essere diversi dagli altri è dura, dura per noi e per loro (ho un po’ questa prospettiva perché il più grande comincia ad avere più di vent’anni). Essere profeti significa piangere quando gli altri ridono; dire no quando tutti dicono sì; dire sì quando dicono tutti no. Ecco il significato dell’essere profeti: la Parola di Dio nel mondo trova vita dura; bisogna tirare fuori le forze e combattere spesso perché ci sono tanti nemici intorno. E così, anche i nostri figli trovano nemici dalla mattina alla sera.

Si dice che, relativamente all’educazione dei ragazzi, la parrocchia, la scuola e la famiglia incidano sì e no per il venti per cento. Questo significa che un ottanta per cento di forze clandestine si insinua nelle loro menti e ce li stravolgono (a volte si ha come  l’impressione di avere degli estranei dentro casa). Attraverso i figli queste forze addirittura riescono ad entrare dentro le famiglie e stravolgerne gli equilibri interni. I figli possono diventare degli elementi destabilizzanti delle famiglie se un genitore, ad un certo punto, non picchia un pugno sul tavolo e dice profondamente convinto: “Qui si vive questo valore!”. Conosco delle carissime persone che hanno sempre dato una educazione cristiana ai loro figli, che improvvisamente non riescono più neanche a dire una preghiera prima di mangiare perché i figli si oppongono, non vogliono più che si preghi davanti al piatto della minestra. Siamo in lotta, eh!

Oggi educare dei figli, ed educarli cristianamente non è una bazzecola: è una cosa grossa; è una responsabilità enorme! Perciò ritengo che dobbiamo metterci tutta la più buona volontà, altrimenti non c’è niente da fare. Può capitare che, anche mettendocela tutta, non si ottenga il risultato sperato, ma guai se non lo facciamo, perché il Signore è stato generoso, ha seminato dappertutto a piene mani, anche sui sassi. Ci può essere un figlio che esce di casa, che non va più a messa (“Non voglio più saperne del tuo Dio, non me ne importa niente, vado via a badare ai maiali e vado con le prostitute, sperpero tutto”), ma non possiamo disperare. Dobbiamo avere pazienza perché un giorno possono riaffiorare in lui le luci che ha visto in casa quand’era bambino e ricordarsi della casa del padre dove c’era un po’ di pace in più (“Cosa sto facendo?”) e, chissà, ritornare magari già adulto e dire: ”Avevi ragione tu, babbo, è tutto uno schifo quello che pensavo”.

Non sappiamo come andrà la vita; dobbiamo soltanto avere pazienza perché Dio, con noi, ha fatto una grande scelta: quella della nostra libertà e l’ha pagata cara, perché noi abbiamo la libertà anche di sputare in faccia a Dio. E Dio non può fare nulla, perché si può amare solo nella libertà, e anche noi dobbiamo lasciare liberi i nostri figli, dargli fiducia, perché se li controlliamo di continuo, non possono crescere. Diceva con ragione Dostojevsky: ”Preferisco il male fatto in libertà, del bene fatto con costrizione”, perché il male fatto in libertà può convertirsi in bene, ma il bene fatto con costrizione non potrà mai convertirsi in bene.  

 

 

LA FEDE DEVE DIVENTARE NORMALITÀ

Il figlio deve capire da solo, nella libertà, chi è Dio. Può capire che Dio lo ama soltanto dai nostri gesti, dalle nostre parole, dai nostri volti, da ciò che facciamo tutti i giorni. Molte persone sono brave a fare una cosa per una settimana, ma farla tutti i giorni per anni, è dura. Però lì si vede la profonda convinzione, e solo lì può entrare il vangelo. Ciò che si fa diventa profezia se viene fatto ogni giorno nelle nostre case con profonda convinzione. Certe cose, magari piccole, diventano un’abitudine, ma l’azione che diventa abitudine, diviene forte, tenace, tant’è che se non si fa, manca. Una settimana fa a pranzo, eravamo io, Ornella, Paolo e Filippo (i grandi non c’erano), e ci dicevamo (a noi piace parlare a tavola, è un momento prezioso. La televisione buttatela in un’altra stanza): “In fondo per noi è normale dire una preghiera prima di mangiare, aprire una pagina di vangelo, ma nelle altre case no. È vero - diceva Paolo – in altre famiglie non si fa e piuttosto si bestemmia e diventa normale bestemmiare, invece a casa nostra è così normale pregare che se non ci fosse, mancherebbe”. Ecco che un fatto abitudinario incide negli anni e modella i comportamenti. Se in una casa non si è mai pregato prima di mangiare, la volta che lo si fa si nota che c’è qualcosa che non è normale; può irritare, diventa bigottismo, ipocrisia, perché non fa parte di te.

La fede deve diventare normalità. La stessa Eucaristia domenicale dovrebbe entrare nelle nostre realtà domestiche e la nostra stessa realtà domestica dovrebbe entrare nel cuore dell’Eucaristia. La mensa eucaristica e la tavola della casa dove si mangia a cena e a pranzo, devono essere la stessa cosa. Se mio figlio o mia moglie, a tavola, mi porgono un bicchiere d’acqua, devo ringraziare con lo stesso grazie che pronuncio in chiesa a messa. Se andate in Grecia e fate un piacere a qualcuno, vi dirà ancora oggi: Eucaristò! Eucaristia vuol dire “grazie” e quando andiamo all’Eucaristia diciamo grazie al Signore per ciò che ha fatto per noi (e invece chissà cosa ci sembra di fare!). Gesù nell’ultima cena non ha fatto niente di molto diverso di quello che si faceva nelle case dove il padre di famiglia, attorniato da moglie e figli, spezzava il pane e diceva: ”Benedetto sei tu Signore, Dio del cielo e della terra, che ci doni il pane per vivere”, e poi lo distribuiva. L’Eucaristia non è poi così astratta; deve diventare la nostra quotidianità; il nostro gesto, anche banale, deve essere preziosissimo e profetico quanto quello che si fa in chiesa.

Certo, il ministero sacerdotale rimane grande. Noi non potremmo mai trasformare in corpo e sangue un pezzo di pane e un calice di vino: è un compito che spetta ai sacerdoti, ma quello che possiamo fare noi genitori, i sacerdoti non lo possono fare, perché è un compito che spetta a noi. Qui non si intendono i genitori in senso generale, bensì ognuno di noi, unico e irripetibile davanti a Dio: quello che puoi fare tu Sandro, quello che posso fare io Daniele nessun altro lo può fare. Un giorno Dio, proprio a te, dirà: ”Restituiscimi la mia Parola. Tu cosa ne hai fatto?”. Non andrai a vedere cosa hanno fatto gli altri (andiamo sempre a vedere cosa hanno fatto gli altri), conterà quello che avrai fatto tu davanti i tuoi figli, cosa gli avrai o non avrai dato.  

 

 

LA PASSIONE DELLA PAROLA

I peccati che nessuno confessa sono quelli di omissione e sono i più grandi. ”Io non ho distrutto la Parola, l’ho lasciata lì, non ho fatto niente di male”. “Certo che non hai fatto niente di male, ma io volevo che tu facessi qualcosa. Dovevi aprire la Parola in casa e cercare di entrarci dentro”. Il Signore non vuole che tutti diventino teologi, esegeti, vuole la passione della Parola. Bisogna innamorarsi della Parola, e non è una cosa facile perché aprire la Bibbia è noioso. La Dei Verbum afferma che la Bibbia contiene la Parola di Dio, ma spesso la Parola di Dio bisogna cercarla, bisogna raschiare con umiltà, con perseveranza.

Non è semplice trovare il gusto della Parola, ma il Signore vede se ci mettiamo buona volontà (anche se capiamo pochissimo) e per Lui è preziosa l’intenzione di mettercela tutta. Come per l’obolo della vedova dirà: ”È tutto quello che poteva fare e l’ha fatto”, ed allora i piccoli gesti di un semi analfabeta di amare il Vangelo, di aprirlo, di cercare di capire, di dire ai figli che alla sera bisogna pregare, dire grazie al Padre nel cielo, diventano più preziosi di cento teologi con le loro esperienze. Dio legge nel cuore della gente e apprezza le piccole cose.  

 

I FIGLI PROFETI DENTRO CASA

Desidererei aggiungere un’altra cosa: anche i figli diventano profeti dentro casa. Non pensiamo che solo noi insegniamo ai figli. Non so quello hanno imparato i figli da me, ma so bene quello che ho imparato io da loro. Gesù prendeva un bambino, lo metteva al centro e diceva: “Ecco, se volete entrare nel Regno di Dio andate a scuola da lui”. I bambini hanno una sincerità e una spontaneità che noi non abbiamo più. Se vogliamo sapere cos’è il Paradiso, basta guardare con attenzione negli occhi di un bambino: in quella trasparenza di sguardo voi noterete, magari in maniera impercettibile, qualcosa che non è di questo mondo.

Nel Vangelo di Matteo, Gesù minaccia guai a chi scandalizza una piccola creatura e dice: ”Attenti, perché il suo angelo è sempre al cospetto, vede sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli”. C’è una linea diretta tra il Padre celeste e il bambino, soprattutto quando è piccolo. Ma anche quando crescono, i figli ci possono insegnare qualcosa perché ci prendono in castagna con la loro autenticità ed il loro essere giudici spietati sulle nostre gesta: ”Vedi? Parli, parli, ma quando arriva l’ora di fare le cose, anche tu sbagli, eh!”, magari non lo dicono esplicitamente, ma lo fanno presente con un piccolo gesto. A quel punto bisogna essere disponibili ad ammettere l’errore e dire: “Hai ragione - guai a negare - Anche per me è dura essere buono, come per te, ma la Parola è qui e la dobbiamo rispettare”. Il gesto sarà una grande scuola perché impareranno anche loro ad essere umili, ad ammettere gli errori, perché è difficile perdonare, ma ancora più difficile è chiedere di essere perdonati. Chiedere di essere perdonati significa umiliarsi, dire “Ho sbagliato”, non è facile vedere l’errore e non è facile ammetterlo.

Provate ad immaginare la seguente scena: al mattino presto, è ancora buio; c’è la finestra già illuminata di una casa al piano terreno su una via. Un passante vede dalla finestra quattro figure – il babbo, la mamma e due figli – che prima di fare colazione si fanno un segno di croce inchinando un po’ la testa. Credo che soltanto un passante insensibile, con il cuore di pietra non recepisca qualcosa davanti ad una scena così. La gente si chiederà: “Chissà cosa c’è in quella famiglia”. È la profezia del gesto, la profezia silenziosa e umile. Noi non sappiamo cosa provochiamo quando manovriamo le cose in casa (magari quando sbucciamo una mela), ma è dai gesti più banali che scopriamo le persone, non dalle prediche. È molto facile parlare; oggi c’è una logorrea continua, libri, discorsi. Invece bisogna parlare con la vita, soprattutto in casa.  

 

 

SCELTE DI VITA COERENTI

Quando si è davanti ai figli è la nostra vita che deve parlare, sono i nostri volti che devono esprimere una qualche passione, delle scelte decisive che denotano la profonda convinzione ed il legame ad un valore. Non possiamo comprare una automobile di lusso da settanta milioni; il cristiano ne compra una da venticinque e gli altri li destina ai poveri. Se acquisto la macchina di lusso con che faccia vado a dire ai miei figli che bisogna essere cristiani, leggere il vangelo? Le nostre scelte di vita devono essere coerenti: il cristiano deve assumere un atteggiamento umile, sobrio, non può ostentare ricchezze, quando dall’altra parte della sponda ci sono quelli che muoiono di fame. Guai passare insieme a un figlio davanti a un povero senza degnarlo di un’attenzione; magari diamogli solo una moneta, ma dimostriamo interesse. Il figlio deve sapere che nel povero è presente Gesù e lo sa soltanto nel momento in cui vede il padre o la madre che hanno un atteggiamento verso il povero come se ci fosse Gesù davanti. Altrimenti non sarebbero credibili, non potrebbero raccontare di Gesù che dice: ”Un giorno avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere”. Potrebbero venire rimbeccati: “Ma tu cosa hai fatto quella mattina quando siamo passati e c’era un poveraccio che ci chiedeva qualcosa?”. “Sai, la città è piena di gente farabutta che va a chiedere l’elemosina”. È vero, dobbiamo spiegare anche quelle situazioni, ma se lì c’era un povero vero? I poveri diventano tutti falsi perché ci fa comodo.

A volte sbagliamo perché facciamo le cose d’istinto come ci nascono dal cuore, poi magari ci riflettiamo. La vita è fatta di cose che vengono fatte così. Se il nostro cuore ha la tendenza a fare una cosa la facciamo, altrimenti no. È molto facile fare mandare le offerte in Kossovo, una cosa bellissima da lodare, però nel vangelo c’è scritto che in quella strada è passata una persona e ha visto un disgraziato, è scesa immediatamente, ha curato le ferite, le ha bendate, l’ha messo su un asino, lo ha portato in albergo, cioè s’è dato da fare. Oggi, invece, la carità è una mediazione: ormai si fa solo passare la carta di credito e abbiamo fatto il nostro gesto di carità e siamo a posto.

Il volto del povero è sporco, la sua mano trema, ma non la vediamo più, perché abbiamo fretta, non abbiamo più il tempo per fermarci. Ma così non siamo più credibili quando raccontiamo le situazioni ai figli perché loro vogliono vedere cose concrete: con loro non si scherza. Ma se siamo in grado di ascoltarli quando ci danno lezioni in questo senso, allora i figli diventano profeti. Io ho imparato molto dai miei figli.

Ricordo una volta (è come se mi fossi tolto un gran peso dallo stomaco perché avevo sbagliato) che avevo rimproverato troppo forte mio figlio, anzi i due i più grandi. Ho riflettuto e capito che avevo sbagliato io; mi ci è voluta almeno un’oretta, ma poi ce l’ho fatta, ho bussato e sono andato a chiedergli scusa. Hanno fatto una faccia… ma è servito. È uno sforzo enorme chiedere scusa a un figlio, soprattutto se ha 17-18 anni; non è semplice, perché non è facile stare nella fermezza e nella tenerezza insieme, nell’impartire dei valori e poi chiedere perdono perché hai sbagliato.

Siamo sempre sul filo di una lama e non esiste una teoria per dire come bisogna fare: s’impara vivendoci, s’impara nell’esperienza e con ogni figlio è diverso. Soltanto se siamo impastati di disponibilità,. di ascolto, di bene riusciamo ogni volta a capire, se no non ce la facciamo. Un’altra volta (mi piace raccontarvi qualcosa che avviene nelle nostra casa) mio figlio Davide (aveva allora 18-19 anni) ne aveva combinata una grossa. Sono andato con mia moglie in camera sua, e gliene ho dette di tutti i colori, l’ho maltrattato, l’ho umiliato e poi siamo andati via sbattendo la porta. Dopo mezzora bussa - ero nello studio - e mi dice: ”Ti ringrazio di quello che mi hai detto; dovresti fare più spesso quello che hai fatto oggi”. Parole testuali. Mi sono reso conto quanto oggi i ragazzi smarriti non hanno più nessuno che gli dice con profonda convinzione il perché una cosa non si deve fare. La ragione è che, spesso, i genitori diventano dei Peter Pan, vogliono essere amici dei loro figli, quindi va bene tutto quello che va bene a loro. Ci vengono i sensi di colpa perché non abbiamo mai tempo di stare con loro e quando ci stiamo facciamo tutto quello che vogliono loro. Questo è volergli male, perché hanno bisogno di un riferimento preciso, magari per scontrarsi con quel riferimento, magari si ribellano, ma lo devono avere, altrimenti si smarriscono, girano a vuoto, non sanno più chi sono.  

 

 

LO SMARRIMENTO DEI RAGAZZI

La sofferenza dei ragazzi, oggi, non è data dal fatto che non hanno da mangiare o non hanno soldi, anzi sono pieni di quattrini! La sofferenza dei ragazzi di oggi è lo smarrimento, il vuoto, il senso del nulla; annegano nel troppo, non sanno più che cosa fare, perché hanno tutto e i genitori hanno la malattia di buttargli sopra tutto, tutto in eccesso. I figli non vogliono questo, qualche volta hanno voglia di un bel pugno sul tavolo, che si dica loro: no! È molto facile dire sì ai figli: ”Sì, va bene vai!”. È dura dire di no, eh, perché, subito dopo, lo sappiamo, il genitore pensa: ”Poverino, adesso quanto soffre che gli ho detto no, perché, vedi, gli altri ce l’hanno e io gli ho detto no”. Questa è la trappola, e poi come va a finire? Basta vedere com’è la società intorno a noi. Se i ragazzi non hanno più l’attenzione dei genitori, se sentono che i genitori non sono più legati ad un valore preciso e non ci tengono che vivano degli ideali, allora tutto va avanti alla giornata, manca il mordente, la vita diventa piatta, annoiata, sempre davanti ai rumori, non c’è più dialogo, si spegne tutto.

La profezia deve tenere conto di questo. I sociologi, gli antropologi, gli psicologi, tutti questi esperti che dibattono i problemi, anche in televisione, si pongono il problema dei ragazzi e si chiedono: “Come facciamo?”. In definitiva, però, viene sempre fuori che i nostri figli hanno perso il senso della memoria, il senso del futuro. Cioè non sanno più cosa c’era prima di loro e davanti vedono solo buio, perciò sono come avvolti in un turbine di eterno presente dove vivono continuamente alla giornata.  

 

 

"CREDETE NELLO SPIRITO TRA DI VOI"

Ho trovato uno scritto di un grande teologo, Bonhoeffer, che, rivolgendosi proprio a due sposi, diceva una cosa molto bella: ”Voi dovete credere nello Spirito prima di voi”. Noi sposi, dobbiamo credere nello Spirito prima di noi: non veniamo dal nulla! Aprire la Parola di Dio, significa aprire lo Spirito a ciò che è venuto prima di noi. Sono passati duemila anni dal primo scritto di questa Parola e su queste pagine centinaia di migliaia, milioni di persone hanno pianto, hanno dato la vita per la Parola, hanno fatto salti mortali per portarla sino a noi. Si racconta che nei lager sovietici alcuni prigionieri imparavano brani a memoria - ognuno imparava il suo - per poter ogni giorno ricordare la Parola perché gliela avevano sottratta. Pagavano con la vita l’amore per questa Parola. Dunque lo Spirito deve essere presente, ma deve condurci alla memoria di quello che è venuto prima di noi.

Poi Bonhoeffer dice: ”Credete nello Spirito dopo di voi”, perché lo Spirito non è solo per ieri e per oggi, ma anche per domani. Solo così potete dare anche ai vostri figli la possibilità di vedere qualche luce anche davanti, di sfondare la coltre della nebbia o del buio che impedisce loro di vedere: ”Cosa sarà domani, il lavoro, non c’è, come facciamo a fare una famiglia, si sfasciano tutte le famiglia; babbo, tu dici bene, ma non sai come sono le ragazze oggi, mica sono come la mamma …”.

I miei due figli più grandi sono due bei ragazzi; tutti i giorni arrivano telefonate di donne che gli stanno sotto: è un macello. Fare una famiglia oggi non è uno scherzo: devi trovare il lavoro, oppure andare all’università, poi c’è il dottorato, la ricerca, si arriva a trentacinque, trentasei anni e forse trovare un lavoro decente. Poi individuare una casa, aumentare lo stipendio un po’ misero e forse mi sposerò a quaranta, quarantacinque anni. Per fare che? Il futuro è questo. Allora credete nello Spirito dopo di voi, perché lo Spirito va al di là di tutte queste cose. Noi siamo piccole cellule come l’erba del campo che al mattino cresce e alla sera è già appassita. Lo Spirito ci insegna a contare i nostri giorni e giungeremo alla  sapienza del cuore. Questo dobbiamo dirlo ai figli, e allora forse avranno più coraggio perché si sentiranno meno soli.

”Ma soprattutto - diceva Bonhoeffer - credete nello Spirito tra voi”. Lo Spirito che vi fa stare insieme, perché quello è più importante di tutto. Nello Spirito che c’è tra voi, vostro figlio vede la presenza di Dio. Sul sacramento del Matrimonio possiamo fare tanti discorsi, però, sostanzialmente, è la potenza dello Spirito che lavora attraverso un uomo e una donna che sono uniti. Un uomo e una donna uniti, uno sposo e una sposa uniti, hanno una potenza di Spirito enorme. Potenza profetica perché dove c’è lo Spirito, c’è profezia. È un miracolo incontrarlo, ma se si incrociano un uomo e una donna che si amano, la gente dice: ”Ma cosa hanno quei due?”. Da come si guardano, dai gesti (senza ostentazioni: la poesia è fatta di allusioni, di cose appena adombrate) traspare la profezia.

Dio non è presente nei tuoni e nei turbini: Dio è presente nel venticello leggero che soffia. La profezia sa essere anche leggera, delicata e credo che oggi sia finito il tempo dei toni alti. Quelli che urlano non appartengono allo Spirito; lo Spirito ha bisogno di testimoni delicati, convinti, dolci, teneri, disposti al dialogo, disposti a comprendere il diverso. Questa è la profezia oggi. Il testimone parla anche col silenzio: è capace in casa di creare silenzio, di dare il suo tempo allo Spirito.  

 

 

LA MENSA EUCARISTICA E IL BANCHETTO MESSIANICO

Ma lo Spirito dice anche del nostro futuro escatologico e questo lo dico soprattutto in riferimento ai grandi mali che ci affliggono (di fronte ai piccoli mali riusciamo a tirare fuori un po’ di grinta). Conosco tra di voi qualcuno al quale la morte ha strappato la sposa. Ho conosciuto un uomo che si prodigava per gli altri: tornato a casa, ha trovato il figlio di vent’anni impiccato. Anche questo male (con l’emme maiuscola) non può toglierci la speranza, perché Dio ha promesso che il male, un giorno, non ci sarà più, ha promesso che i morti risorgeranno.

Questo futuro promesso da Dio lo dobbiamo mettere al centro della nostra vita (non tirarlo fuori solo davanti alle bare) perché è un futuro di gioia e lo voglio raccontare ai miei figli anche quando stiamo bene, non solo quando stiamo male. Troppo facile dire le preghiere quando uno è morto, bisogna avere il coraggio di dirle prima. Lo Spirito lavora al centro della nostra vita, altrimenti la profezia è una profezia da venerdì santo e basta. Nell’Eucaristia dell’ultima cena, Gesù, dice delle parole mirabili che purtroppo non abbiamo in mente perché nella liturgia non vengono riportate: ”In verità, in verità vi dico: io non berrò più di questo frutto della vite fino a quando lo berrò, un giorno, nuovo, con voi, nel Regno del Padre mio”.

Nella mia vita desidero che la tavola della mia casa, l’altare dell’Eucaristia nella messa e la tavola del banchetto messianico che ci aspetterà un giorno, siano la stessa cosa. Credo che se abbiamo impressa nel cuore questa immagine di un banchetto dove ritroveremo le persone care che sono morte, dove il Signore, con i fianchi cinti, passerà a servirci a tavola, e ci asciugherà le lacrime – questo è vangelo -, non possiamo non essere profeti nelle nostre case. Grazie.

 

  AL SOMMARIO

 

 

 

IL DIALOGO

 

 

·     L’importanza del tempo che dedichiamo ai figli. È un fatto di quantità o di qualità? (Paolo)

·     A volte si perde la pazienza con i figli (specie se piccoli) per le piccole difficoltà domestiche. È giusto “scomodare” il Signore pregandolo per delle cose in fin dei conti banali come quella di darmi un po’ della sua pazienza?

L’immagine dello Spirito che sta prima, dopo e tra di noi sposi mi richiama alla mente la Trinità . (Elisabetta)

·     Qual è il progetto di Dio sulla famiglia di questi tempi, che cose vuole dalla famiglia cristiana, possiamo un po’ intravederlo? (Giovanna)

   

Risponde Daniele Garota  

Invito il Patriarca a tenere a mente quest’ultima domanda perché poi dovrà rispondere lui. Quello che vuole Dio da noi, è bene che lo dica lui. Io cerco di rispondere alle prime due domande.

Lessi tre o quattro mesi fa sul Corriere della Sera un breve articolo di Giuseppe De Rita, direttore del CENSIS ed esperto di società. È un laico intelligente e scriveva: “Sono padre di otto figli. Il problema dei giovani, oggi, esiste. Ho dato del tempo ai miei figli,  non una grande quantità di tempo, però quello che gli ho dato, gliel’ho dato con la qualità”. Credo che sia giusto così.

C’è una cosa che anche noi grandi non sopportiamo, ed è la noia. Quando le cose diventano troppo lunghe, specialmente in una società come la nostra che corre veloce, vengono a noia, non se ne può più. Quindi, con i nostri figli dobbiamo agire sulla brevità e sulla qualità. A parte il fatto che abbiamo proprio poco tempo, dobbiamo fare attenzione a non disperderlo.

Non cerchiamo sempre di dire tutto incominciando da Adamo ed Eva: cogliamo invece quel piccolo attimo, discutiamo su quello. Dobbiamo essere sintetici sulle cose, sui problemi; soprattutto se un figlio ti fa una domanda o mostra un bisogno, guai a non avere tempo disponibile per una risposta, magari solo per dire: ”Ci ho pensato tante volte anch’io e non sono ancora riuscito a dare una risposta”. Può capitare, ma è un guaio, perché quando un figlio formula una richiesta, è in grado di recepire molto. Ci sono momenti, invece, in cui parliamo, parliamo e vediamo che non entra nulla. Inutile discorrere quando ti accorgi che non ti ascoltano, dai solo fastidio. Quindi è molto importante la qualità, essere brevi ed efficaci nelle cose che facciamo.

È giusto importunare il Signore per ogni piccola cosa? Penso di no. Il Signore non può occuparsi di ogni nostra stupidaggine. Non possiamo scomodare il Signore pregandolo perché nostro figlio sia promosso a scuola; i piccoli crucci dobbiamo risolverceli da soli. L’importante è saper ricondurre sempre, anche le piccole cose, ad una visione più ampia che è quella del senso della nostra vita: è quello che ci interessa. Che cosa faccio per impegnarmi? Non abbiamo un Dio Deus ex machina che fa tutto lui, per cui basta spingere un bottone come con il telecomando. No, Dio non è così, non ha la bacchetta magica.

Dobbiamo capire che Dio ha bisogno anche di noi. Il Dio trinitario è il Dio che si mette all’interno di una dinamica di bisogno, perché se non lo fosse non sarebbe il Dio dell’amore e della libertà. Dio è stato così buono con noi, ci ha amato così tanto, da diventare un piccolo bambino che ha bisogno di una madre, di carne e ossa, di aggrapparsi al seno di una mamma, di succhiare il latte. Dio piangeva, e Maria lo accudiva. Dio ha avuto bisogno, per amore, della nostra carne debole. E ancora oggi Dio ha bisogno di noi. Non pensiamo che Lui sia lassù, e può far tutto. Dio ha bisogno di noi e se non c’è il nostro “sì”, Lui non può fare quelle cose che vorrebbe fare.

Con Filippo (l’ultimo arrivato) abbiamo avuto un dramma durante la gravidanza di Ornella. Secondo i medici sembrava che questo piccolo non fosse normale, bisognava sbarazzarsene. Oggi negli ospedali è così! Abbiamo visto un degrado enorme negli anni che abbiamo frequentato i reparti di ginecologia: i medici diventano cinici. Lì dentro non c’è una creatura umana, c’è un grumo di viscere che può essere fatto crescere oppure buttato. Non c’è più una creatura. Se Dio ha previsto amorosamente di far venire al mondo una creatura e quella mamma dice: ”No, io abortisco, perché adesso ho la carriera davanti, non mi interessa un figlio, mi impiccia”, quel figlio non viene alla luce e Dio non può fare nulla perché ha bisogno del sì di ogni mamma come ha avuto bisogno del sì di Maria affinché lo Spirito entrasse nel suo grembo e venisse alla luce Gesù. Senza il sì di Maria, Gesù non sarebbe mai nato. Forse sto dicendo una cosa che non va tanto bene, però la grandezza di Maria è stata tutta in quel sì. Se Maria avesse detto “no” all’angelo, Gesù non poteva nascere, o perlomeno non sarebbe potuto nascere in quel modo, perché sono sicuro che, per certi aspetti, Gesù assomigliava alla madre, perché era anche carne della carne della mamma, come è carne della nostra carne il figlio che nasce.

Perciò è una grande responsabilità di fronte a Dio anche quello che possiamo fare noi. Credo non vada bene chiedere sempre a Dio che faccia ciò che possiamo fare noi.

Risponde il Patriarca

Condivido pienamente il discorso di Daniele, però dico ad Elisabetta: ricorri pure al Signore, a Dio Padre, sempre, con fiducia, con tenerezza, anche nelle cose piccole. Perché Dio si è fatto chiamare Padre? Confermo quanto ha detto Daniele e lo vedo nella mia vita: il Signore non mi risolve i miei problemi, ma farei molta fatica se non ci fosse Lui, se non potessi parlarne con Lui, se non potessi dire la mia amarezza, la mia sofferenza, se non potessi dirgli qualche volta: ”Guarda, Signore, che non ce la faccio più, lo sai. Non so più dove mettere i piedi, non so più su che strada camminare, non so più cosa fare”, con la certezza che Lui non mi lascerà solo, ma che soccorrerà la mia libertà, darà forza al mio discernimento. Ad un certo punto, laddove mi troverò, dirò: ”Guarda un po’, dove il Signore mi ha condotto, eppure ci sono andato con le mie gambe”.

Il Signore non è il tappabuchi che risolve tutti i nostri problemi, Egli non ci esonera assolutamente mai dalla nostra libertà e dal nostro impegno, dal nostro cercare, dal nostro faticare. Dio non ci solleva mai dalla fatica ma dà sempre conforto, forza, e sostegno. Perciò io tratto Dio come un Padre e sono come un bambino di fronte a Lui. Non saprei vivere senza trattarlo così.

Perché Dio si è fatto chiamare papà, Abbà? Devo fare come Gesù. Pensatelo sulla Croce, quando dice: ”Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. È un’espressione drammatica, non so chi la capisca. Vi assicuro che io fatico sempre tutte le volte che medito questo mistero doloroso, ma c’è un’altra frase subito dopo: ”Abbà, Abbà, nelle tue mani consegno me stesso”. Il mio spirito vuol dire: “tutta la mia vita”. Gesù si è consegnato totalmente all’Abbà. quindi questa consegna è un atto che ci deve accompagnare. In fondo la certezza dell’amore di Dio si esprime nel fatto che la nostra vita si svolge nell’impegno totale della nostra libertà, altrimenti Dio ci farebbe il più grande torto: ci fa liberi e poi non ci lascia vivere così?

Ma la vita si svolge anche proprio nel segno della tenerezza di Dio, come fate voi che accompagnate sempre i vostri figli, anche nel momento della severità. E se, dopo aver sgridato un figlio, voltate la faccia, piangete. Come fa Dio. È scritto, sapete, Dio sgrida, poi volta via la faccia e piange.

Giovanna chiede come sarà il matrimonio, la famiglia? Io non lo so, non lo sa nessuno. Però dico due cose. La prima è che grazie a Dio tante cose sono cambiate oggi nella famiglia. Ad esempio, quand’ero ragazzo non c’era il rispetto. Mi ricordo di quando i figli davano il “voi” ai genitori. Mio padre non ha mai voluto il “voi” ed era giudicato negativamente perché permetteva il “tu” ai figli. In molti casi anche la moglie dava del “voi” al marito. Pensate com’era imperioso il marito, cinquanta, sessanta anni fa. Guardate come è cresciuto in questi anni nella famiglia il rispetto per la libertà della donna, la condivisione dei ruoli da parte del marito.

C’è un altro aspetto che riguarda il comportamento con i figli. Mio padre non mi ha mai dato nemmeno un buffetto, non mi ha mai dato un bacio ma non mi ha mai schiaffeggiato. E ci siamo voluti bene. Con i nipoti era una di una tenerezza incredibile. Una volta non si dialogava coi figli. Anche mio padre non dialogava, lui comandava. Non credo che questo mi abbia traumatizzato. Adesso però non è più così, grazie a Dio. Oggi c’è veramente il dialogo. Non so come sarà la famiglia, ma so che molte cose sono cambiate in meglio. E queste cose bisogna acquisirle, bisogna che siano note.

La seconda cosa è che credo veramente che due sposi che si aprono all’azione dello Spirito, vengano condotti da Dio. Non mi preoccuperei perciò molto di chiedermi come sarà la famiglia di domani. Credo che occorra avere gli occhi molto aperti sulle cose che crescono, che maturano. Oggi non sono più eludibili il rispetto della libertà, il rispetto della persona, la tenerezza nei rapporti fra genitori con i figli. Allo stesso tempo credo che il Signore conduca due sposi, li conduce dentro. Abbiate una grande fiducia nel vostro carisma. Se voi abitualmente pregate, se voi siete in questo atteggiamento di disponibilità al Signore, egli non vi lascia senza aiuto.  

 

Precisazione di Daniele Garota  

Sono perfettamente d’accordo con quanto detto dal Patriarca, perché noi siamo delle piccole cose nelle mani di Dio, questo è evidente. Quello che mi premeva dire è che non dobbiamo sottrarci alle nostre responsabilità, perché anche Dio ha bisogno di noi. C’è un episodio nel diario di Leon Blois, dove racconta: “Una sera sono tornato. Ero triste, triste. Sono entrato in casa e la mia Veronique era già coricata, non stava però dormendo. Allora io mi sono seduto lì, accanto al suo letto e le ho detto: «vedi quant’è triste il tuo ‘babbino’, stasera è pieno di amarezza». Allora lei si è alzata e mi ha abbracciato e mi ha coperto di baci e io mi sono commosso a non finire”.

È vero che noi dobbiamo chiamare Dio ‘babbino’ (perché Abbà vuol dire proprio questo) perché siamo bambini nelle mani di un Padre amoroso e tenero, ma è anche vero che noi dobbiamo comprendere quando questo ‘babbino’ ha bisogno di noi. Ci sono dei momenti in cui i nostri figli hanno bisogno di noi, e li copriamo di attenzioni, ma quanto è bello e importante quando i figli capiscono che noi siamo nella sofferenza e abbiamo bisogno di loro. E allora il loro ‘babbino’ ha bisogno anche delle loro tenerezze e questo credo faccia bene e aiuti anche loro.  

 

Conclusione di Don Silvio  

Giovanna domanda qual è il progetto della famiglia. Sono d’accordo con la risposta del Patriarca. Vorrei solo aggiungere che sarebbe bene se rafforzassimo l’idea che il progetto di Dio sulla famiglia è il matrimonio, sono gli sposi. Quando faccio i corsi per la formazione al matrimonio, chiedo sempre: ”Cosa volete nella vostra vita coniugale?”. Di solito le ragazze mi chiedono di dire qualcosa ai loro fidanzati affinché possano rimanere innamorati sempre.

“Fare coppia” è un tema molto importante. La famiglia è fondata sulla coppia e constatiamo tutti che la coppia è una realizzazione assai difficile. Spesso sento gli sposi lamentarsi reciprocamente l’uno dell’altro, per cui le coppie rischiano di essere una fabbrica di musoneria. Penso che il Signore voglia che le coppie riflettano sulla loro responsabilità di far sì che l’amore sia vero in casa e anche fuori.

 

      AL SOMMARIO

 

SINTESI DEI GRUPPI DI DISCUSSIONE

 

In ciascun gruppo, a rotazione, hanno sostato per una ventina di minuti i relatori del mattino (Daniele Garota e mons. Silvio Zardon) e il Patriarca per rispondere ad eventuali interrogativi dei partecipanti.

 

 

 

GRUPPO “A” (coordinato da Daniela e Alessandro Giantin)  

 

Una prima riflessione emersa nella discussione si è incentrata sulla constatazione che spesso l’esercizio della profezia nei confronti di parenti ed amici può mettere a rischio i rapporti interpersonali. Ci si è chiesto se non sia il caso di “alleggerire” il peso di una testimonianza che se portata con estrema coerenza può produrre l’effetto di compromettere le relazioni. È accertato che il “profeta” risulta scomodo e il confronto con altre persone può mettere in crisi. Sorge allora la necessità di porre l’accento non tanto su “cosa fare o cosa dire”, ma su “come essere”: la testimonianza viene quindi espressa più da semplici azioni svolte nel silenzio che non da gesti o discorsi eclatanti. Sarà la gente, allora, a chiedersi o a chiederci la ragioni del gesto.

Si sono poi sottolineati alcuni passaggi dell’intervento di Daniele Garota. In particolare hanno colpito tre affermazioni secondo cui: a) ci sarà chiesto di rendere conto della Parola ricevuta; b) gli sposi, i genitori, insieme, possono fare grandi cose; c) c’è bisogno di attingere per poter dare.

È stata poi presa in considerazione la “profezia della coerenza”, osservando che anche la gerarchia della Chiesa è chiamata ad una forte testimonianza, nel segno di una maggior trasparenza e carità. A questo riguardo è stato osservato come sia necessario che tra “ordinati” e “sposati” si instauri una maggiore collaborazione ed un aiuto vicendevole nella consapevolezza che i ministeri, derivanti dai rispettivi sacramenti, hanno pari valore nella Chiesa.

Relativamente a tutte le dimensioni della testimonianza, parlare, comunque, è sempre molto più facile che mettere in pratica. Al proposito vengono richiamate le ampie osservazioni di Daniele riguardo all’educazione dei figli: a volte essi, nonostante tutto, sono causa di discordia per la coppia. Non ci si può, comunque, dimenticare di mantenere vivo, ciascuno singolarmente, il proprio rapporto con Dio rimanendo al servizio della sua Parola.

Durante la sua presenza nel gruppo, il Patriarca, che ha attentamente ascoltato gli interventi, ha suggerito di riflettere ed assodare se nella nostra Diocesi risulta attiva una pastorale post matrimonio così come è vivace la pastorale di formazione dei fidanzati al matrimonio. Egli ha pure invitato i presenti a non avere paura: il sacramento del matrimonio è fatto per l’uomo ed è ricco di grazia.  

 

  AL SOMMARIO

GRUPPO “B” (coordinato da Cecilia e Piergiorgio Dri)  

 

Dagli interventi dei partecipanti, è emersa la constatazione che la testimonianza di Daniele Garota nasce da una forte esperienza di fede di coppia che si è messa al servizio della Parola mettendola al centro della propria vita. Da ciò emerge l’indicazione che gli sposi devono consolidare il loro rapporto con Dio e curare costantemente la conoscenza della Parola. Preso atto dell’esperienza di Daniele e Ornella e tenendo fede al tema della Assemblea, la discussione ha avuto per oggetto la “profezia”. Posto che Gesù è il profeta per eccellenza che ci chiama all’azione profetica e ci dona la capacità di imitarlo, è richiesto da parte nostra un sì iniziale - come quello di Maria - che nasce dalla fiducia e dalla speranza, dalla certezza che Dio è presente in una comunità orante: è quindi importante la preghiera. È un sì che ci espone anche al rischio di non essere compresi o addirittura di dover affrontare il “martirio”, ma essere profeti non esclude la necessità di cogliere, a nostra volta, dei segni che ci parlano.

Il ministero educativo degli sposi esige da parte della coppia l’annuncio profetico nei confronti dei figli che si deve esprimere in maniera forte, con gioia, in competizione con le “agenzie” esterne che emettono messaggi spesso in contraddizione con la esperienza che essi vivono in famiglia. Ma gli sposi possono esprimere la loro profezia anche quando mancano i figli, percorrendo altre strade: nel lavoro, nelle relazioni parentali, nel porsi al servizio della evangelizzazione

Nel dibattito sono intervenuti anche il Patriarca, Daniele Garota e mons. Silvio Zardon nel breve periodo in cui hanno sostato nel gruppo. Il Patriarca Marco ha sottolineato che gli sposi devono agire in famiglia con la consapevolezza che non tutto quanto andrà seminato si potrà raccogliere secondo le aspettative. I genitori non sono padroni della fede dei loro figli; devono accettarli sempre, anche quando deludono. Anche se si ha l’impressione di seminare sui sassi, bisogna continuare a farlo, sapendo che ciò, un giorno porterà frutto. È importante, però, che l’azione profetica della coppia sia accompagnata dalla preghiera fiduciosa in Dio nella certezza che il Padre ci ascolta sempre.

Daniele Garota, precisando che nella sua famiglia non c’è niente di speciale, ha convenuto che l’incontro con Sergio Quinzio è stato determinante per far nascere in lui l’amore per la sacra Scrittura. Per quanto riguarda i figli, non è sempre facile per loro sostenere la fatica di avere dei genitori “diversi” e in ciò vanno aiutati. Daniele ha voluto, infine, attirare l’attenzione sulla paura che abbiamo delle cose “ultime” e la sua ricaduta sui figli. Nella famiglia di oggi, ai figli non è dato di fare esperienza diretta con la sofferenza e con la morte di persone care, poiché questi eventi si consumano in luoghi lontani. Di qui la mancanza di una profezia “escatologica” che bisogna recuperare parlando ai nostri figli della morte come momento che non pone termine a tutto, ma che prelude al ricongiungimento nella risurrezione.

Don Silvio, infine, ha posto l’accento sulla primaria necessità che gli sposi capiscano che è un dovere esercitare il ministero profetico, e ciò si realizza non tanto con la dottrina quanto mettendosi in intimo rapporto con Dio, attraverso la sua Parola sia personalmente che assieme alla propria comunità.  

 

 

  AL SOMMARIO

GRUPPO “C” (coordinato da Nadia e Giambattista Fiorese)  

 

Innanzitutto il gruppo ha sottolineato la soddisfazione ed il compiacimento per il modo con cui Daniele Garota ha affrontato il tema dell’Assemblea, per l’incisività della sua esposizione, la coerenza dell’esperienza vissuta alla luce della Parola. Tutti si sono sentiti coinvolti dalle sue argomentazioni e si sono ritrovati nelle situazioni di vita familiare descritte anche se sono state tralasciate le dimensioni della sofferenza e del dolore che nella coppia sono spesso una strada per riconoscere il disegno di Dio. Anche in queste situazioni i genitori devono essere profeti per i figli indicando loro come la fede non può essere invocata per avere la soluzione ai nostri problemi, ma per avere un aiuto a superarli nella speranza.

Analizzando le relazioni della mattinata, i partecipanti hanno rilevato come una assoluta novità il fatto che il ministero profetico sia insito nel ministero coniugale e hanno constatato, al contempo, come sia unico ed inderogabile il ruolo dei genitori nell’esercizio del ministero educativo. Continuando a porre l’attenzione sul rapporto coi figli, è andata affermandosi la convinzione che essi, in quanto dono di Dio, vanno accettati incondizionatamente ed educati all’accoglienza della Parola sempre nel pieno rispetto della loro libertà. La loro adesione alla fede (che i genitori hanno comunque il dovere di trasmettere con gioia e serenità) deve essere cosciente e maturare attraverso una libera accettazione. In questo contesto acquista notevole importanza per i figli una forte condivisione di esperienze di fede con i loro coetanei, per non sentire il peso della proposta diversa vissuta quotidianamente a contatto con le altre realtà. Le coppie presenti osservano (anche in base alla loro esperienza) che l’affermazione di Garota che i figli assumono anch’essi un ruolo “profetico”, diventa vera nel momento in cui ci si mette in atteggiamento d’ascolto nei loro confronti.

È stato rilevato come il ministero profetico non sia limitato all’ambito del rapporto con i figli, ma che si deve esprime anche al di fuori del tessuto familiare, anche se, in alcuni casi, l’esercizio della testimonianza risulta difficile qualora sussistano, all’interno della coppia, posizioni di diversa sensibilità nei confronti della fede. Costituiscono un problema anche le situazioni “irregolari”, in cui i credenti vivono il disagio di sentirsi “al di fuori” della Chiesa. Sono stati portati comunque esempi positivi in cui la sensibile attenzione all’educazione dei figli da parte di genitori non credenti o posti in situazioni particolari, ha favorito e stimolato nei figli stessi l’inclinazione alla ricerca di risposte alla loro ansia nei confronti delle tematiche della fede.

Nel suo intervento nel gruppo, Daniele Garota ha chiarito il legame tra la realtà Eucaristica e il sacramento del Matrimonio facendo rilevare come in ambedue ci sia in comune l’elemento della corporeità che apre alla speranza in una dimensione escatologica: è prerogativa, infatti, della nostra fede credere alla risurrezione della carne. Nell’Eucaristia c’è la presenza di un Dio che si è fatto carne e si è dato a noi come cibo; nella realtà sacramentale del Matrimonio egli ha voluto che la più alta manifestazione di amore tra i coniugi si esprimesse nell’essere una carne sola, facendo l’esperienza della sessualità. La mensa familiare, nella realtà domestica, è luogo di rendimento di grazie come la mensa Eucaristica.

  Don Silvio, infine, ha invitato alla serenità: la dimensione degli sposi “profeti” va capita ed approfondita senza che ne sorga un motivo di disagio. Gli sposi devono cominciare a comprendere che la chiamata ad essere profeti deriva innanzitutto dal Battesimo: la “profezia” è una vocazione battesimale, che gli sposi, con il sacramento del Matrimonio, assumono come coppia.  

 

 

  AL SOMMARIO

GRUPPO “D” (coordinato da Alessandra e Paolo Sambo)  

 

Gli spunti di riflessione scaturiti dalla discussione hanno toccato vari aspetti del ministero profetico/educativo degli sposi, a partire dai rapporti con i figli in relazione alle difficoltà che si incontrano nella trasmissione della fede. Ribadito che su questo versante è indispensabile condividere esperienze con altre coppie, si è constatato come sia inevitabile che, ad un certo punto della loro vita, i figli rivendichino comunque una libertà di scelta. È necessario, da parte degli sposi, mantenere una certa serenità di giudizio per non assumere un atteggiamento anche inconsapevolmente critico nei confronti dei figli che può degenerare in aperto conflitto. È, però, indispensabile essere estremamente chiari nel manifestare le proprie convinzioni ed avere comunque fiducia nell’operato del Signore.

Anche la quantità e la qualità del tempo dedicato ai figli assume una notevole importanza, soprattutto in rapporto agli impegni personali e di coppia nel lavoro e nella comunità ecclesiale. In questo contesto si è inserito il discorso sul ruolo dei nonni ed i pareri sono risultati contrastanti, anche perché riflettenti situazioni personali diverse. Affidare i figli ai nonni può essere una cosa positiva per vari aspetti, purché l’azione educativa proceda in sintonia e non provochi conflitti. I genitori che ricorrono al famigliare anziano perché impegnati (nel lavoro o socialmente) non devono crearsi complessi di colpa a meno che non subentri una certa qual strumentalizzazione o lo si faccia in gran parte per egoismo. La ricchezza del rapporto tra genitori e figli non è proporzionale alla quantità del tempo che si passa a casa, ma all’intensità della testimonianza che si offre loro con la vita. È indubbio che gli anziani, oggi in gran parte estromessi dalla vita attiva e decisionale della famiglia, possono svolgere un ruolo importante nella vita dei nipoti.

Nel suo intervento nel gruppo, Garota ha affermato che i nonni possono dare ai nipoti ricchezze che i genitori non hanno; anch’essi cioè possono svolgere il loro compito di “profeti” nella famiglia e nella società. Sarebbe opportuno recuperare queste forze talora ancora valide che, per reazione, tendono ad appartarsi e  rinchiudersi su se stesse.

È stato rilevato che, qualche volta, gli impegni ecclesiali degli sposi vanno a scapito della famiglia. Interpellato a questo proposito, il Patriarca ha ribattuto di non avere soluzioni a tutti i problemi dei genitori ma ha invitato gli sposi a credere con più convinzione alla grazia sacramentale che sempre ci accompagna: essa non ci cautela da sbagli e fatiche, ma la certezza assoluta che il Signore ci è vicino, ci deve dare fiducia nel nostro operato. In relazione al comportamento da tenere con i figli, il Patriarca ha affermato che è bene essere inequivocabili perché i figli hanno bisogno di certezze e devono imparare a discernere il bene dal male.

È stato toccato anche il problema dei separati e dei divorziati che rappresenta una grande sofferenza per la Chiesa. Pone indubbiamente dei quesiti il fatto che molti sposi, dopo la separazione, abbiano trovato un nuovo compagno riacquistando la serenità. La vita è fatta di tanti enigmi e non si può procedere per schemi, altrimenti si rischia il fariseismo. È indubbio che ci sono tante persone buone e generose tra i divorziati, mentre, viceversa, tra coloro che sono “a posto”, ci sono tanti egoismi per cui non è possibile emettere giudizi indiscriminati.

Don Silvio è intervenuto nel gruppo per ribadire che il Signore chiama gli sposi affinché gli diano una mano a diffondere il suo amore. Per fare ciò è necessario essere in armonia con il Signore, in comunione personale e di coppia con lui; l’impegno della preghiera e della conoscenza della Parola ci fa sentire in sintonia con Dio.  

 

 

  AL SOMMARIO

GRUPPO “E” (coordinato da Piero Martinengo)  

 

Il gruppo si è inizialmente soffermato con ammirazione sulla figura di Daniele Garota: è piaciuta la testimonianza di fede, resa nei gesti quotidiani nei quali tutti ci si ritrova. Si è soprattutto avvertito in Daniele l’amore per la Parola che “egli vive e gode”: ciò gli deriva senza dubbio da una particolare formazione ed impostazione di vita. Si avverte, difatti, una mancanza di tempo che non permette di impostare un serio cammino di fede in coppia e di stabilire un contatto arricchente con i figli. Una possibile risposta sta nel cercare di sentirsi coppia anche stando lontani, sia per quanto riguarda la crescita nelle fede, sia nei confronti dei figli. Con i figli, inoltre, è sì importante accettarne le scelte, ma altrettanto chiederne le motivazioni invitandoli al confronto con quelle che guidano la nostra vita. È importante anche, qualora si verificasse, ammettere di non avere risposte ai loro dubbi. È stato anche osservato che non bisogna divenire schiavi del tempo: anch’esso è un dono di Dio da utilizzare con discernimento. Occorre, quindi, porsi degli obiettivi concreti e saper cogliere le occasioni che si presentano sia per trovare lo spazio della preghiera che per dialogare con i figli.

L’affermazione di Garota sull’importanza delle piccole abitudini di cui ci si deve servire per trasmettere la fede ai figli, ha suscitato delle perplessità nei presenti in quanto l’abitudine tende a svuotare le cose dei loro contenuti. Nel suo intervento all’interno del gruppo, Daniele spiega che le “buone abitudini” assunte da piccoli non si dimenticano, e ci permettono poi di fare più facilmente delle “buone scelte di vita”. Di fronte alla preoccupazione di molti sull’allontanamento dei figli dalle nostre scelte di vita, Daniele ha affermato che un certo distacco è fisiologico, ma non implica necessariamente l’assenza di dialogo: a volte basta uno sguardo, un cenno (non devono avvertire un senso di sfiducia; cercano o hanno l’orgoglio di essere se stessi). Tanto è vero che il dialogo non cessa quando i figli, maggiorenni e sposati, lasciano la famiglia. A partire da questa affermazione, per associazione di idee, si è sottolineato come gli sposi possano esercitare la loro profezia e il loro ministero educativo anche in ambiti esterni alla famiglia. Il discorso di Daniele è quindi rivolto a tutti gli sposi, compresi quelli che non hanno figli.

Partendo da un’osservazione circa la frustrazione patita dai catechisti che vedono vanificati i loro sforzi nel trasmettere la fede ai bambini con famiglie scristianizzate, il Patriarca ha detto: «Questo è un problema per tutta la Chiesa occidentale che si pone da alcuni decenni e che deve essere affrontato. Fino a non molto tempo fa il catechismo consisteva nel mettere in bocca ai bambini la fede che già vivevano in famiglia e nella società. Oggi invece dobbiamo introdurli in un mondo inesplorato: non è più catechismo ma iniziazione cristiana, e per fare ciò non abbiamo ancora gli strumenti adeguati. Va fatta una profonda riflessione, va ristrutturata la pastorale, ma di questo devono farsene carico anche e soprattutto le famiglie. Anche per quanto riguarda l’idea cristiana del matrimonio non c’è più oggi consenso da parte del contesto sociale, non c’è più l’idea del ‘per sempre’, non solo per gli sposi ma anche per i seminaristi. Siamo esploratori di un mondo nuovo, ma non per questo dobbiamo scoraggiarci, visto che il Signore ci ha fatto vivere in questa situazione».

 

    AL SOMMARIO

 

 

OMELIA DEL PATRIARCA CARD. MARCO CÈ

alla celebrazione Eucaristica  

Isaia 45, 1-46

Prima lettera di San Paolo ai Tessalonicesi 1, 1-5

Matteo 22, 15-21

 

Innanzitutto ringraziamo la Comunità di S. Barbara per averci accolto con tanta gentilezza e generosità. Vedo la chiesa abbellita, ornata come una sposa che si prepara per il suo sposo e so che questo è stato fatto con l’impegno di tutti. Esprimo per questo il mio apprezzamento e desidero, anche a nome di don Gianfranco [6] , ringraziare tutti per come avete ornato la vostra chiesa.  

 

 

In ascolto della Parola  

 

Fratelli e sorelle nel Signore, riflettiamo insieme qualche momento sulla lettura evangelica che abbiamo ascoltato. Non possiamo, infatti, ascoltare la parola di Dio e poi conversare d’altro. Quando Dio parla, dobbiamo prima di tutto ascoltarlo, far tacere tutte le altre voci, convinti che la sua Parola ha qualcosa da dirci proprio in questo momento. La parola di Dio è il Vangelo, non sono le mie frasi: io cerco solo di farla risuonare nel nostro cuore, di meditarla, ma la parola di Dio è quella ascoltata nel Vangelo.

Nel brano di oggi, siamo nell’ultima settimana della vita di Gesù. Egli è arrivato a Gerusalemme, dove sarà catturato, processato, condannato a morte e morirà sulla croce. Gesù è consapevole di tutto ciò. Il testo testimonia il clima di inimicizia che si era creato intorno a Gesù, un’atmosfera avversa.

I farisei erano la classe colta, erano considerati i capi spirituali del popolo. ”I farisei, avendo udito che Gesù aveva ridotto al silenzio i sadducei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi”. I farisei vogliono creare delle difficoltà a Gesù e gli mandano dunque i propri discepoli, con i seguaci del partito di Erode, a dirgli: ”Maestro, sappiamo che tu sei veritiero, e insegni la via di Dio. Sappiamo anche che tu non hai soggezione di nessuno, cioè tu dici sempre la verità senza guardare in faccia ad alcuno. Dicci allora il tuo parere: - ed ecco la domanda insidiosa - È lecito o no, pagare il tributo a Cesare?”. Dire Cesare equivale a dire l’imperatore: la Palestina allora era territorio occupato dall’impero romano e l’imperatore esigeva le tasse. Porre questa domanda significava chiedere se fosse lecito o meno pagare le tasse al potere di occupazione.

Se Gesù avesse detto di sì lo avrebbero accusato di collaborazionismo, di stare dalla parte dei nemici di Israele; se avesse detto no, l’avrebbero accusato presso il rappresentante dell’imperatore romano dicendo che era un sovversivo, un agitatore di folle contro il potere costituito. Tentano cioè di porre un tranello a Gesù con domande insidiose: qualunque fosse stata la risposta, avrebbero avuto modo di accusarlo.

“Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché mi tentate?»”. Notate come il motivo della tentazione attraversi tutto il Vangelo, dalle prime pagine quando Gesù inizia il suo ministero pubblico, fino a quest’ultima settimana della sua vita. Spesso Gesù è trattato insidiosamente, gli vengono tesi trabocchetti, viene messa alla prova la sua fedeltà al Signore.

“«Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo» - cioè la moneta corrente, una moneta di metallo - Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?» - sono l’immagine e l’iscrizione stampate dalla zecca sulla moneta - Gli risposero: «Di Cesare» - cioè dell’imperatore - Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio»”.

Chiediamoci ora cosa vuol dirci il Signore con questo brano, che mi sono sforzato di collocare nel tempo e nel contesto del clima psicologico che circondava Gesù. Il Signore ci dà tre grandi insegnamenti.  

 

 

Cristiani dentro la storia  

 

Il primo suggerimento enuncia che noi cristiani non viviamo al margine della storia limitandoci a dire le nostre preghiere e godendo in cuor nostro la fede. Noi cristiani siamo chiamati da Dio a vivere dentro la storia, nelle situazioni concrete che il Signore ci ha chiamato a sperimentare.

Oggi ci sono qui tanti sposi venuti da tutte le parti della diocesi, consapevoli che il dono che Dio ha fatto loro con il sacramento del Matrimonio va speso con responsabilità cristiana, con consapevolezza evangelica nella vita di tutti i giorni. Si può essere profeti - cioè immagine di Dio - si può parlare di Dio, anche nella vita di tutti i giorni. Anzi, è proprio all’interno della realtà di essere sposi, di essere papà e mamma, nella concretezza di una famiglia, nel lavoro, nelle responsabilità che ciascuno ha, che dobbiamo vivere la nostra vita di fede, la nostra fedeltà a Dio.

Quindi, il cristiano non è al margine della società, ma è dentro la vita di tutti.  

 

 

Al di sopra di tutto  

 

Il secondo insegnamento di Gesù è che il Signore è al di sopra di tutto. Il primo pensiero della nostra vita deve essere Dio. Il Signore della vita è il Signore: ”Adorerai il Signore Dio tuo e servirai lui solo”. Questo primo comandamento deve essere anche il supremo principio della nostra vita. Quindi dobbiamo vivere dentro la società, dentro la vicenda di tutti, ricordando sempre che il Signore della storia, il Signore della vita, del matrimonio e della famiglia è Dio stesso.

Dio Padre, che è amore, provvidenza, conduce la nostra vita giorno per giorno, come un babbo e una mamma conducono la vita dei propri figli.  

 

 

Vivere in pienezza l’impegno civile  

 

Il terzo insegnamento che proviene dal Vangelo di oggi è che non si serve il Signore soltanto dicendo le preghiere e venendo a messa la domenica. Certo, bisogna pregare ogni giorno e non si è cristiani autentici se non si partecipa ogni domenica all’Eucaristia, ma non si serve il Signore soltanto così. Noi rendiamo a Dio ciò che è di Dio anche rendendo a Cesare ciò che è di Cesare, cioè vivendo in pienezza la nostra cittadinanza comune (la nostra umanità) e vivendo totalmente la nostra cittadinanza civile (tutti i nostri doveri), impegnandoci a costruire un mondo che sia secondo Dio.

Si onora Dio anche pagando il proprio tributo a Cesare, cioè compiendo giorno per giorno il nostro dovere, impegnandoci nella società in cui viviamo perché sia sempre più umana, più rispettosa dei diritti delle persone, sempre più giusta, più fraterna, meno emarginante soprattutto nei confronti dei più poveri e dei più piccoli. Dio si serve così.

Il tributo a Dio si paga nella preghiera e nella fedeltà all’Eucaristia domenicale, ma anche dimostrando la fedeltà alla vita, al dovere di coniugi, di padri e di madri, oltre che di cittadini che hanno delle responsabilità civiche, professionali, che operano per costruire un mondo in cui l’uomo sia al centro e non venga mai strumentalizzato ma onorato. Il Signore, infatti, ha voluto il mondo e ne ha messo l’uomo al centro.

Che il Signore ci aiuti a servirlo sia direttamente che nei fratelli, nella comunità degli uomini in mezzo alla quale noi viviamo.

 

    AL SOMMARIO

 

ALL'ELENCO DELLE ULTIME ASSEMBLEE


[1] Responsabile della Pastorale diocesana degli Sposi e della Famiglia di Venezia

[2] Membri della Commissione Diocesana della Pastorale degli Sposi e della Famiglia di Venezia

[3] Da una citazione da don Germano Pattaro fatta durante l’Assembla di Quarto d’Altino (1997)

[4] Responsabile della Pastorale diocesana degli Sposi e della Famiglia di Venezia

[5] Ornella e Daniele Garota vivono a Isola del Piano, nei pressi di Urbino, in un casolare dove praticano agriturismo e la coltura biologica. Hanno quattro figli, tutti maschi, i due maggiori di 20 e 19 anni, i due minori di 12 e 4. Proprio dal dialogo col figlio Paolo (il terzo), in occasione della prima comunione, nasce il pretesto per scrivere un libro - Credere con un figlio - al quale si rifà in parte la conversazione di oggi. La formazione di Daniele è legata all’esperienza del monastero di Montebello, che ha raccolto attorno a sé figure di spessore come Sergio Quinzio, Guido Ceronetti e Vittorio Messori.

Essendo Ornella molto schiva, la conversazione è stata tenuta da Daniele, anche se possiamo essere certi che essa è il frutto di una intensa condivisione tra i due sposi. Daniele è innamorato delle sacre Scritture al cui studio dedica parte del proprio tempo. Le sue pubblicazioni:

-        Immagini dal mondo contadino - Roma  - 1982  

-        Una fede difficile - EDB - Bologna - 1993

-        Dio la carne e le ossa - EMP - Padova - 1996

-        Ha collaborato al volume “I Santi sposati” - Milano - 1989

 

[6] Don Gianfranco Pace, parroco della comunità di S. Barbara