PATRIARCATO DI VENEZIA

PASTORALE SPOSI E FAMIGLIA

 

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GLI SPOSI CRISTIANI 

nel pensiero di don Germano Pattaro.

 

Venezia 16 luglio 2006, a cura di d. Silvio Zardon

 

Questo testo viene direttamente da tantissimi dattiloscritti a disposizione relativi alle numerose relazioni e conversazioni di don Germano Pattaro sul tema del “matrimonio cristiano e della famiglia”, e viene anche da alcune sue pubblicazioni come: “Gli sposi servi del Signore”, EDB, Bologna 1979; “Fidanzamento e matrimonio come esperienza di fede”, Morcelliana 1978; “Per una coscienza cristiana del matrimonio”, Quaderni di Pastorale giovanile, Venezia 1972. Questo testo, dunque, riporta le parole stesse di don Germano.

 

Inoltre, devo aggiungere che lo stile e il linguaggio di don Germano, qui evidenti, mettono  in luce che quanto egli proponeva - sempre denso di contenuto teologico e pastorale - ai moltissimi suoi interlocutori - e quanti anche di altre Chiese in Italia! -, e in primo piano ai partecipanti ai “Gruppi di Spiritualità Familiare”, veniva anche dal  vissuto quotidiano di sposi cristiani, da questa loro esperienza, che don Germano ben conosceva ed apprezzava e, in un certo modo, diventava parte rilevante del suo parlare.

  Si può così affermare che, già dagli anni cinquanta, molti di quegli sposi della nostra Chiesa, in tale modo cominciarono a sentirsi sollecitati ad approfondire il senso “teologale” della loro esperienza di sposi cristiani e gradualmente a farsi essi stessi parte attiva di un’impresa che, nella prospettiva aperta dal Consilio Vaticano II (cf LG 33-38), non riguarderà soltanto gli “specialisti della ricerca teologica”, per essere sempre più essi stessi, insieme con tutti i battezzati e con i Pastori, punto di riferimento per la Comunità cristiana e civile per il Regno, secondo il progetto di Gesù Cristo

Ed è quanto mi propongo con le seguenti tre Note.

 

GLI SPOSI SONO DI DIO

 

Chi si sposa, “si sposi nel Signore”: per Paolo il matrimonio non è in alcun modo una sistemazione di tipo morale e sociale, è anzitutto un “appuntamento” di Dio, un luogo dove incontrarlo, un tempo di grazia.  Una scadenza per una “comunione”, dove Dio celebra e manifesta amore, con quell’uomo e quella donna che si amano di un “amore sponsale”, non solo “sentito” (l’evento del “dono”dell’innamoramento), ma finalmente scelto e deciso.

 

Il matrimonio è perciò una “vocazione” che viene dall’Alto; non è dovuto il matrimonio semplicemente al fatto che quasi tutti gli uomini e le donne si innamorano e poi si sposano, alle scadenze usuali, scontate, quasi meccaniche della vita.

 

E’ la “sorpresa” di un Dio che raggiunge l’uomo dove egli sta, e gli dà d’incontrarlo dentro l’esistenza che egli vive, lì dove la vita dell’uomo è pienamente umana, cioè capita e liberamente scelta.

 

E’ la Scrittura che rivela che Dio si dispone all’uomo “fino da prima della creazione del mondo”, lo confermerà Gesù anche con i suoi atteggiamenti, raggiungendo l’uomo nelle situazioni datate della sua condizione personale, sociale e religiosa.  Dio ama abitare dove gli uomini abitano e non altrove; Dio va all’uomo, per essere con l’uomo nel cuore stesso della sua storia.

 

Così avviene anche per il matrimonio: Dio fa visita agli sposi nel loro matrimonio, a questo appuntamento Dio non vuole mancare, fa parte della comunione d’amore instaurata dal Signore con ogni cristiano già dal momento del battessimo.

 

Il matrimonio, di conseguenza, chiede agli sposi di essere prima di tutto uomini di fede., così che in questo matrimonio essi dovranno testimoniare che la volontà di Dio è decisiva per il loro amore coniugale. Non certo una volontà di controllo, liberatrice invece, e fonte di salvezza. Nella consapevolezza dei valori in gioco, che si esprimono certamente secondo l’etica e il costume dell’uomo, ma nel filtro sanante della Pasqua di morte e risurrezione di Gesù Cristo, così da esserne  l‘”annuncio” proclamato attraverso l’esistenza.

 

Per questa fede, che ispirerà la loro vita coniugale, gli sposi vivranno come “uomini di Dio”, non per essere diversi, ma per stare nella condizione coniugale di tutti, ma con uno “spirito nuovo”. Se la vocazione che li riguarda viene da Dio, essi sono chiamati a testimoniare in concreto qual è l’origine del dono ricevuto.  

 

L’amore coniugale dovrà divenire “segno” e “profezia” del Signore, così che, consapevoli ma anche nello stesso tempo stupiti loro per primi, che in questo amore Dio si faccia strada verso di loro e verso gli uomini tutti. Certi che l’amore umano uomo-donna e l’amore di Dio si incontrano nel luogo fragile dell’amore umano, non altrove.

 

La fede apre il cuore alla meraviglia di questo curvarsi di Dio su questa condizione creaturale delle sue creature, sull’amore dell’uomo e della donna.

 

Secondo il significato della logica del “servo inutile” che, riferita al matrimonio,  mette gli sposi in grado di sapere che il loro amore, che è talvolta inutile o debole a causa loro, diventa “servizio” di grazia e di salvezza a causa del Cristo della croce.

 

Una fede che chiede “povertà” e la dichiara: non per masochismo o disprezzo verso l’amore coniugale, ma per celebrare, da dentro questo amore, l’attenzione di Dio a suo favore. Povertà, quindi, come espressione di un amore che “serve”, piena di ottimismo cristiano, che configura positivamente la vita della coppia sul realismo della speranza.

 

Questa fede degli sposi è possibile solo se il loro amore, ancorato “in partenza” a Cristo, lo vogliono sempre e solo sempre sull’asse di Lui, nel quale il Padre ha sottoscritto l’alleanza definitiva con gli uomini. Sicuri quindi di non essere abbandonati a loro stessi, nella fatica responsabile dell’esistenza quotidiana, sia privata che pubblica. Contando su di Lui, su colui dal quale viene la salvezza all’uomo e, quindi, anche la salvezza sponsale, e mettendo la fede a principio normativo della vita matrimoniale e familiare, per inoltrarsi nella testimonianza alla quale Dio la chiama.

 

L’amore appartiene a Dio, lo ha donato e, per il sacrificio del Figlio Gesù sulla Croce, lo ha liberato. Ma un amore che rimane sempre “dono” suo, che però egli non impone: all’uomo e alla donna, non subirlo, ma liberamente accoglierlo e sceglierlo.

 

In questo modo i coniugi diventeranno ministri di un sacerdozio che offre al Signore della pace e della riconciliazione un amore cosciente dell’attenzione di Dio aperta su di esso.

 

 

 

IL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO SEGNO DELL’AMORE TRINITARIO DI DIO A TUTTI GLI UOMINI

 

Lo Spirito di  Cristo è Spirito di amore, un amore che “serve” e mai un amore di “potenza”. “Servo” è Cristo stesso. Egli non chiede mai all’uomo qualcosa che egli non abbia praticato per primo.

 

Anche gli sposi sono chiamati a possedere lo “Spirito” del “servizio”. Lo Spirito è l’amore stesso di Dio, divenuto dono all’uomo. Stare nello Spirito significa, allora, abbandonare la logica del possesso in ogni sua forma, secondo la logica dell’umiltà evangelica di Maria, che proclama, nell’obbedienza alla parola del suo Dio, di essere la “serva del Signore”.

 

I coniugi saranno “servi” dentro questa stessa obbedienza. Il che vuol dire che vivranno in maniera deprivatizzata, tenendo pronto il loro matrimonio al “compito ecclesiale e sociale” al quale Dio lo chiama. Non lasciando mai che la pesantezza delle cose e dei progetti diventi l’illusione di una presunta sicurezza, fondata sul ritmo dell’avere. Per non farsi, appunto, servire, invece che servire a causa delle molte cose accumulate, che “possiedono” il cuore ed esigono di essere servite.

  Spirito di servizio, quindi, ma dentro alla vita coniugale di coppia e familiare.

 

Chi serve deve avere il cuore libero, secondo l’avvertimento di Gesù che è impossibile “servire a due padroni”. La chiamata di Dio alla libertà avverte che essi possono trovarla solo in lui e non in loro stessi. Il non fidarsi di sé, esprime davanti a Dio questa consapevolezza. Non per subirla  ma per superarla continuamente nella speranza.

 

Libertà e povertà scandiscono così il ritmo della spiritualità dei coniugi, come esercizio sempre più maturo della fede, ma anche nell’esercizio quotidiano dei propri compiti e dei doveri.

Il servizio coniugale diventa in questo modo illuminato, contro gli egoismi  che si insinuano continuamente

In questo modo il servizio, viene dall’amore e sarà il nutrimento stesso della vita coniugale. Viene dalla prospettiva evangelica del “perdersi per salvarsi”, perché l’amore stia sempre in fedeltà a se stesso.  

 

 

IL SERVIZIO DEGLI  SPOSI  CRISTIANI  NELLA COMUNITA’  ECCLESIALE  E  CIVILE  PER  IL  REGNO

 

Gli sposi non sono soli, il matrimonio non è uno spazio umano che comincia e termina in se stesso; ha il suo luogo cristiano, la comunità ecclesiale, ad essa è destinato. Gli sposi sono discepoli del Signore chiamati a far circolare il loro dono, senza mai trattenerlo, con l’impegno a renderlo sempre comunicabile e comunicato.

 

Gli sposi  saranno perciò degli uomini di chiesa, non degli ecclesiastici, ma protagonisti attivi nella e della vita comunitaria. Concretamente la vita di fede è innanzitutto una vita ecclesiale, nel senso che nella comunità essi hanno ricevuto la fede, in essa sono stati interpellati dalla Parola di Gesù, che continuamente li visita nei “segni” sacramentali, onde inviarli in mezzo agli uomini. Chi pensa di essere cristiano a lato della Chiesa o nonostante la Chiesa, non ha ancora inteso che la conversione non è un percorso individuale dell’uomo a Cristo. Cristo lo chiama con coloro che sono già chiamati e lo visita assieme ai “suoi”, così lo incontra sempre e solo in compagnia di coloro che sono salvati dalla sua Pasqua.. E’ dato, infatti, di stare in e con Cristo, lì dove “due o tre si raccolgono nel suo nome”. La Chiesa non è un appoggiarsi ad una associazione o organizzazione, né, al limite opposto, un rendersi indipendente rispetto ad essa.

Gli sposi stanno al suo interno e vivono della sua ricchezza di grazia, che attraversa il loro matrimonio per la “comunione” che lega tra loro, in comunità, tutti i battezzati, i discepoli del Signore.

 

Gli sposi avranno, quindi, una fede che ama la Chiesa, così da riconoscersi nel suo temperamento e nei suoi scopi. Non passivamente, acritici o infantili. Ma attivamente, perché essi non solo sono “della chiesa”, ma anche e soprattutto, perché “sono la chiesa”, a causa del loro battesimo e, come coppia, a causa del loro matrimonio”.

Nella Chiesa, guidata dai Pastori che rendono presente Cristo e l’autenticano, ha posto la loro parola originale e competente, vanno ai sacramenti da protagonisti, ne praticano la carità secondo il carisma proprio e ne esercitano la evangelizzazione e missione come titolari di un diritto-dovere.

Il Matrimonio è nelle loro mani, nel senso che sono le stesse mani della chiesa, la quale, nel matrimonio riconosce il dono di Dio, dono ricevuto perché, tramite loro, sia custodito, vissuto, annunciato.

 

Maturare una mentalità ecclesiale, per gli sposi, significa allora, mettere la vita della chiesa al centro del proprio matrimonio.

Ciò sarà possibile se si impegnano a qualificare la loro esistenza in questa direzione, in maniera chiara e decisa. Valorizzando la vita liturgica, missionaria, di carità,  così che l’esistente quotidiano del tessuto della vita coniugale e familiare - il costitutivo della chiesa domestica - entri nella vita della chiesa e la vita della chiesa entri nel realtà della vita degli sposi e della loro famiglia.

Bisogna allora pensare alle scadenze sacramentali dei figli, alle responsabilità pastorali nei confronti degli sposi e dei fidanzati, alle catechesi dei bambini.

 

Allora, dal significato ecclesiale del sacramento del matrimonio deriva la rete  di legami che salda la comunità sponsale alla comunità ecclesiale secondo il progetto del Signore: le due comunità non sono pensabili separatamente. Non quindi per un riconoscimento esterno, con il quale la Chiesa promuove il matrimonio a “soggetto” pastorale e missionario. Ma per la fedeltà a se stessa, perché nella misura in cui la comunità dei credenti è attenta ai doni che costituiscono la sua vita, non può che incrociare anche il matrimonio, quale dono emergente e pieno di qualità che le viene dal Signore,

 

Il luogo e il tempo degli sposi sono il luogo e lo spazio di tutti, che il Signore affida ad ognuno, e quindi anche degli sposi, ai quali in questa destinazione sono affidati dei compiti a cui Dio li chiama.

 

Un loro primo impegno, all’interno della comunità ecclesiale, è discernere i “segni” di Dio, che è all’opera in mezzo agli uomini, misteriosamente ma realmente, egli opera con la forza liberante del suo Spirito. Un loro guardare critico e pieno di responsabilità.

 

In questo modo gli sposi si tengono pronti per l’annuncio del Vangelo che risuona attraverso loro sull’amore uomo-donna e sul matrimonio e sulla famiglia. L’annuncio lo faranno non con superficialità ma convinti e competenti, perché gli uomini cui il vangelo è rivolto sono loro stessi per primi, uomini come tutti, nelle stesse situazioni di tutti, di ogni altro.

 

In questo modo la parola di Dio si mantiene nello stesso amore lieto con cui il Signore la dona, perché a sua volta sia donata nella testimonianza agli uomini, esprimendo il loro amore, per la attenta conoscenza con cui vengono incontrati.

La stessa attenzione coinvolge gli sposi cristiani verso gli uomini tutti, perché Dio dà ad essi di essere testimoni del Regno, che si realizza come incontro operativo concreto della chiesa con il mondo.

 

Il modo di essere della Chiesa e del cristiano chiede agli sposi di collocarsi non davanti agli uomini, ma con loro, in mezzo a loro, per loro. Essere in mezzo agli uomini, senza confondersi per non  svendere il Dio della salvezza, facendolo diventare la copertura dei loro progetti.

 

Non confondersi non significa, allora, essere socialmente, civilmente, culturalmente “diverso”; significa invece, vivere in nome di Cristo, intera la propria umanità, così da diventare solidali con l’uomo, per mettere in circolazione ogni valore secondo la logica di Cristo, impegnati a difendere l’uomo, perché non sia mai svenduto dal potere altrui, in ogni sua forma.  Un servizio, quindi, davvero umano, libero da equivoci, teso al processo di liberazione dell’uomo.  

E proprio al modo stesso di Gesù, il quale - come dice l’apostolo Paolo - è entrato nello spessore dell’esistenza umana, così da essere riconosciuto dagli uomini “come uno di loro” (Fil 2,7).

 

Ancora, gli sposi cristiani nell’espletare questo loro compito, avranno attenzione a non voler calare dal di fuori i principi evangelici sulla realtà del matrimonio degli uomini. Essi devono sapere che il loro amore, divenuto sacramento secondo il progetto di Gesù Cristo, deve farsi riconoscere  privo di gratificazioni o di sconti nei confronti della vita, senza privilegi e senza distinzioni.

 

Il compito degli sposi potrà far accogliere il matrimonio cristiano come buono e bello e persino unico per ogni uomo e ogni donna per la testimonianza della loro fede, e non tanto e solo per la forza dottrinale o legale che lo motiva; in modo che quanto più la fede lo penetrerà e vivificherà,  tanto più il matrimonio potrà diventare una provocazione permanente, che lo converte e trasforma dall’interno della sua esistenza concreta.

 

La fede, infatti, non può mai stare a lato dell’esperienza. Attraverso le persone che vivono di essa, la fede deve diventare norma resa visibile dall’umanità personale e personalizzante dei cristiani. Il che vuol dire che la qualità umana del matrimonio dovrà far risaltare, a causa della fede di cui vice, con la spinta critica della conversione, l’intera sua vita.

Solo così il matrimonio dei cristiani sarà in grado di capire e di servire il matrimonio che è di tutti.

Il “segno profetico” del matrimonio sacramento è l’amore dell’uomo e della donna: in questo amore umano e attraverso di esso  Dio, attualizza nel tempo degli uomini il suo patto pasquale. Su di esso vigila una volontà esplicita di Dio e un appello missionario nei confronti di tutti gli uomini. Venir meno a questo amore è venir meno alle attese di Dio e a quelle dei fratelli.

 

Tutto ciò comporta uno stile di esistenza coniugale precisa e fedele. Certo si tratta di un amore umano quotidiano, esposto alla banalità, alla debolezza, alla sprovvedutezza. I coniugi cristiani non sono in una condizione diversa dagli altri, il sacramento non è un vaccino, non crea spazi asettici e sicuri. Ma  fa entrare gli sposi dentro il tessuto della vita coniugale, per praticare l’accogliersi, l’accettarsi, il condividere, il rispettarsi senza mai arrendersi alle difficoltà.

E ancora: il praticare la speranza, il perdono, il dialogo nella pazienza non omogenea dei tempi interiori e personali diversi.

 

Puntando decisamente a costruire la dimensione di “coppia”, che permetterà ai cristiani la scoperta della densità umana e personalizzante dell’amore di coppia, convinti che ciò non solo è possibile, ma reale e concreta. E permetterà loro di darne testimonianza al livello stesso nel quale gli uomini sperano di vivere questo amore, fin dal primo suo aprirsi nell’evento dell’innamoramento, per dimostrare con i fatti che questa speranza è fondata e realizzabile, così da smentire   il   cinismo  amaro  di  quanti  non  credono  più  a questa possibilità, a causa di una società  il cui costume pubblico svende, falsifica e smentisce il matrimonio desiderato dagli uomini.

Il tutto vissuto secondo la logica  appunto del dono e non del diritto, per non cedere alla logica degli obblighi e dei ruoli.

Dunque, compito degli sposi è vivere il matrimonio come il luogo dove  l’amore matura la sua compiutezza e la esprime: il che vuol dire che il matrimonio-legge o il matrimonio-contratto non può sostituire l’amore-dono. La priorità dell’amore, così ricuperato, deve far riflettere sul fariseismo mistificante che copre il suo fallimento, secondo una tradizione della cosiddetta “liberazione dell’amore”, a  difesa dell’apparenza sociale e ignara della sostanza personale e interpersonale dei valori. Una tradizione che autorizzava la trasgressione, purché il principio non subisse violazioni. Un processo, quindi, di autenticazione dovuta e non rimandabile.

 

Il compito degli sposi cristiani si apre anche alla società civile nel momento in cui essa sta prendendo coscienza che l’essere coniugi e l’essere genitori non è un punto d’arrivo di un processo biologico, psicologico o giuridico, che fa scattare competenze e impegni, come risultato dell’età. La qualità umana del matrimonio e della famiglia, non si può improvvisare: essa è l’esito di una responsabilità chiesta dalla società.

Per questo, ad esempio, esiste oggi l’organismo dei “Consultori matrimoniali e prematrimoniali”. Un luogo sociale di promozione umana a favore di una qualità nuova di esistenza civile: per ritrovare responsabilità e corresponsabilità personale e interpersonale della coppia, per un ricupero consapevole dell’identità coniugale. I cristiani sposati devono prestare attenzione a questi organismi, o per entrarvi con competenza professionale, o all’esterno con una serie di presenze tutte da inventare. Si tratta di un organismo chiamato a prestare un servizio sociale, ed è la comunità civile che lo gestisce, per questo il consultorio deve poter contare anche sull’apporto della comunità ecclesiale.