Il
Presidente Ciampi ha assegnato la medaglia d'oro al merito
civile a Cheikh Sarr, il giovane immigrato senegalese annegato
alla vigilia di Ferragosto per salvare la vita di un italiano.
È accaduto poco sotto Livorno (Livorno, in questo agosto, è
come predestinata a farci parlare di sé e di noi), sul
litorale di Marina di Castagneto, a pochi passi dalle
invisibili ville della nobiltà toscana incastonate in una
delle pinete più protette e intatte d'Italia. Il mare era
cattivo, gonfiato da una furente libecciata, e in poche ore,
su quella costa, ne ha portati via quattro, incauti o
sfortunati. Il quarto è stato Cheikh, ma avrebbe dovuto essere
un altro: lo sconosciuto italiano salvato dal gesto generoso e
istintivo di un venditore ambulante nero.
La
storia, a dispetto della sua moralità quasi didascalica. (il
nero che salva il bianco, di questi tempi, è inevitabilmente
una pedata bene assestata al razzismo), ha però una coda
acida, sgradevole: il salvato, mentre il salvatore moriva, se
ne è andato senza un grazie, e di lui non si conosce niente,
né il nome né lo stato d'animo. Il vero "giallo dell'estate",
al dunque, sarebbe ritrovare questo fuggiasco miracolato. E
senza la malagrazia dei media, cioè senza assillarlo,
perseguitarlo, mostrificarlo - chiedergli però, gentilmente,
discretamente, di farci sapere qualcosa su quel tremendo
pomeriggio. Di darci una ragione del suo comportamento, che in
assenza di spiegazioni ci appare, adesso, l'altra faccia della
medaglia di Cheikh: demerito civile.
È proprio
per evitare questa facile e retorica specularità - il nero
eroico, il bianco vile e ingrato - che sarebbe bello, e forse
importante, che il vivo si facesse vivo, appunto, dando un
significato meno desolante alla sua storia, e al gesto di
Cheikh.
Il
panico, lo choc, perfino l'imbarazzo, sono attenuanti forti,
comprensibili. Nessuno può sindacare più di tanto sugli attimi
stravolgenti che spostano in un fiato vita e morte, nessuno è
certo, in quei frangenti tempestosi, di sapere come ci si deve
comportare. Ma dopo, vuotati i polmoni e sfumata l'angoscia,
tornati alla propria casa e alle proprie persone, saputo
(perché è impossibile non saperlo) che qualcuno ha regalato per
te la propria vita: com' è possibile, dopo, che questo nostro
connazionale (tale lo definiscono, con certezza, i testimoni)
continui a scappare?
Nell'intreccio spietato dei due destini, tra l'altro, oggi è il
senegalese a rappresentare la vita, ed è l'italiano il vero
annegato, sparito tra i flutti di un'insensibilità che ci
appare insopportabile. Davanti a quel litorale, nei giorni
scorsi, si è cercato per giornate intere, in elicottero,in
barca, scrutando la risacca dalla spiaggia, di ritrovare i
quattro morti, uno per uno, perché è civile dare sepoltura, e
consolante. L'unico corpo mai ritrovato, fin qui, è quello del
vivo. Se qualcuno lo conosce, sa chi è: lo consigli. Non è
necessario svelare l’identità, tanto meno la foto segnaletica,
come si fa per i vari "mostri" di ogni ordine e grado
schiaffati sul giornale: Basterebbero le parole. Una lettera,
una telefonata, un segno di avere capito che cosa è accaduto
il 14 agosto a Marina di Castagneto, giorno di salvataggio, ma
giorno di salvezza solo se il ragazzo nero Cheikh, in viaggio
per il Senegal con una medaglia d'oro, potesse ricevere il
"grazie" che conta più di tutti, quello dell'uomo al quale ha
lasciato il suo posto sulla Terra.
Michele
Serra (La Repubblica)