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Il Grande imbroglio: quindicesima puntata

 

Berlusconi protagonista di una tranche

di comunismo reale

   
   

 

Il 9 febbraio 1988, alla tradizionale conferenza stampa della Corte Costituzionale, si dibatte il tema della disciplina dell'emittenza televisiva privata e il presidente, Francesco Saja, afferma che se il parlamento non si affretta ad emanare una legge, ci penserà la Consulta, chiamata a pronunciarsi sulla conversione del Decreto Berlusconi - Agnes, legge n°10, 1985. Monito bizzarro dal momento che il Pretore di Torino e quello di Genova avevano sollevato dubbi di costituzionalità fin dal 25 febbraio 1985!

Ma, a parte l'opposizione comunista, nessuno ha fretta. Non la Fininvest, non i socialisti e i DC, non il ministro delle Poste e Telecomunicazioni, Oscar Mammì; se la prende calma anche la Corte.

Tra la Consulta e la Politica intercorrono progetti di modifica, cadenzati da date che non vengono mai rispettate. Walter Veltroni ironizza, mercoledì 13 aprile in un'audizione in commissione cultura rivolgendosi a Berlusconi chiamato dalla commissione: " Un complimento va alla sua capacità di imporre, attraverso un alto grado di egemonia, i tempi della decisione politica in un settore così delicato" (Atti Parlamentari. Camera dei deputati. X legislatura. Commissione VII. 13 aprile 1988). Berlusconi sbalordisce tutti: " E' necessaria una regolamentazione del settore delle comunicazioni…."  Un capovolgimento di linea inaspettato; perché?

Craxi sta per cedere la poltrona a De Mita, non amico di Berlusconi, ma prima lo ha incatenato ad un accordo programmatico che prevede, in materia di televisioni, la ratifica dell'esistente (duopolio Rai Fininvest, tre reti a testa), ma anche lo sbarramento dell'ingresso della FIAT in tele Montecarlo e anche gli editori forti non possono entrare nelle televisioni se non si sbarazzano dei giornali. Berlusconi ci rimette "il Giornale" (che resta in famiglia), ma si leva di torno possibili concorrenti agguerriti ed ottiene la diretta: BRAVO CRAXI!

Nella stesa seduta in commissione cultura, Berlusconi snocciola i risultati di sondaggi che mostrano che gli italiani non vogliono tornare al monopolio Rai.

Un breve commento.

I sondaggi li aveva commissionati Berlusconi, alla Abacus. La domanda fatta al campione era: volete che si oscurino le emittenti Fininvest e si torni al monopolio della Rai?

Naturalmente una valanga di no.

Nessun italiano che conta si è messo a spiegare che la scelta non era tra il duopolio o il monopolio, ma tra la pluralità di televisioni indipendenti l'una dall'altra, con una pluralità di imprenditori concorrenti tra loro e lo status quo, cioè un imprenditore solo, monopolista delle televisioni private. Se ci fosse stata una classe politica con le palle, meno compromessa e meno avvezza ai giochi di potere si sarebbe potuto andare contro l'opinione pubblica, almeno fino a che non gli si spiegava bene come dovrebbe funzionare "il mercato" in un paese liberale. Così, noi, con le mamme dei bambini incatenati ai Puffi, o le massaie di Voghera e le giovani appassionate delle telenovelas o gli anziani in attesa di Mike e di "O.K. il prezzo è giusto" e noi felici, davanti alla TV,  col telecomando, contenti della "pluralità" apparente,  abbiamo assistito, masochisti, all'applicazione di una tranche di comunismo reale nel nostro paese. In seguito, non avendo capito ancora niente, perché solo il PDS, gli ex-comunisti, lo dicevano, e venivano tacciati da comunisti, appunto, contro il libero mercato, che avevano cambiato nome ma non il vizio di essere comunisti, si è santificato il tutto con un referendum popolare. Abbiamo dato retta a quella teoria di soubrettes, nuovi e vecchi comici più o meno demenziali, noti simulacri televisivi, politici arruffoni e rampanti che i network berlusconiani quotidianamente armavano con micidiali slogan. Da questo punto di vista, siamo stati e siamo un popolo che ci meritiamo questo ed altro.

Nei paesi occidentali a democrazia evoluta, non sarebbe mai potuto succedere.

I fatti narrati si svolsero nel 1988 e Berlusconi era considerato uno di sinistra, un socialista.

Per questo rimandiamo volentieri, se volete, ad un confronto vivace tra Walter Veltroni e Silvio Berlusconi nella solita audizione della commissione cultura. È un limpido esempio dell'arroganza con cui il  Cavaliere si confronta con chi gli contrappone considerazioni sensate e pacate, arroganza permessagli dalla connivenza colpevole di Craxi, nell'Italia distratta e sonnecchiante della vigilia di tangentopoli.

Nessuno che pensi che Berlusconi, spazzati via i referenti politici dalla magistratura, ha sentito il bisogno di "scendere in campo", forte dell'armata televisiva pronta a suonare la carica solo se aggrotta le ciglia, per porsi lui in prima persona a difendere i suoi interessi?