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Il Grande imbroglio: diciannovesima puntata

 

Difendiamo il fatturato della Fininvest, anche a costo

di una crisi di governo.

La legge Mammì alla Camera.

Nascita del paese delle banane.

   
   

 Dall'approvazione al senato della legge Mammì, Berlusconi ha avuto tre network, in collisione con la nutrita serie di sentenze della Consulta, la diretta, ha evitato il tetto pubblicitario, ha chiesto e gli sono stati concessi due anni per mettersi in regola con le limitate prescrizioni antitrust. Ma non gli basta. Si tormenta sull'unico punto mancante e vive l'approvazione degli emendamenti anti-spot come un "complotto contro di lui, bersaglio di un'infame congiura. Mette il broncio, va in giro facendo piagnistei pubblici, vittimismo, lamentazioni. Dirà il 3 aprile 1990 :" Dopo il voto al senato sulla legge Mammì, il nostro stato d'animo è di indignazione. Siamo affranti per questa decisione. Si sono create delle lobby che hanno voluto che le cose andassero diversamente dai nostri progetti. E domenica 22 aprile: " Il cittadino Berlusconi è indignato perché il suo senso di giustizia è ferito. In tre settori importanti, calcio, televisione ed editoria, accadono cose ingiuste ai miei danni". Un suo "alleato", Mammì, dirà, senza volerlo dire: "La lamentela giustificata muove a sdegno l'animo del giusto. Quella ingiustificata è come il pianto dei bambini, all'inizio intenerisce, poi rompe le scatole". (aforisma di Mammì non riferito a Berlusconi e detto molto tempo prima). Però è calzante.

In effetti tutto non va a gonfie vele e i problemi, per Berlusconi, sono tanti.  Nella vicenda Mondadori cominciano ad uscire sentenze favorevoli a De Benedetti, Berlusconi perde la presidenza. La Consulta potrebbe revocare da un momento all'altro e rendere incostituzionale il decreto Berlusconi-Agnes del 1985, per il ritardo, oltre ogni ragionevole limite di tempo, dell'approvazione di una legge. La sentenza della Corte pesa come un macigno, ma il "macigno" traccheggia nel cassetto del Presidente, Francesco Saja. Traccheggio senza stile e criticato aspramente dai banchi della sinistra indipendente e dal senatore Lipari, della sinistra democristiana: "dispiace vedere che la Corte lascia le sue sentenze stagionare come i prosciutti".

Se la sentenza esce, i network chiudono.

 La legge Mammì-Craxi-Andreotti-Giacalone (estensore ombra) approda alla camera il 12 luglio 1990.

In Transatlantico voci inquietanti parlano di una maggioranza blindata, di accordi segreti tra Andreotti e Craxi, candidati alla Presidenza della Repubblica in scadenza per il 1992. Nessun spazio per le opposizioni e per l'area De Mita-Bodrato. Via la norma anti-spot (sancita da una direttiva CEE), come vuole Berlusconi. Si prevedono voti di fiducia a raffica.

Walter Veltroni dice:" Il 18 giugno, Berlusconi, uno dei soggetti in gioco in questa legge, nel corso di un'assemblea di venditori di pubblicità Fininvest, ha detto che vi sarebbe stato il voto di fiducia sulla legge Mammì (posso mostrare il testo). Era il 18 giugno, nessuno aveva discusso di questa ipotesi. Eppure Berlusconi l'annunciava come chi sa di poter dettare legge, come chi sa di poter imporre la sua volontà. Sarebbe paradossale che il Parlamento si trovasse ad operare in una simile condizione di sovranità limitata. Così dopo il "decreto Berlusconi" ci troveremo di fronte alla "fiducia Berlusconi". Quella fiducia non sarebbe null'altro che l'esecuzione di un ordine dato. Ministro Mammì, se il governo imporrà la fiducia sarebbe un atto di prepotenza e di irresponsabilità".

Parole da condividere in pieno.

Ma l'irresponsabilità dei nostri governanti di allora supera il limite della decenza anche in questa occasione e si compie un atto che definirlo farsesco, è semplicemente il minimo che si può fare.

Nottetempo si consuma una burrascosa riunione del gruppo democristiano. Se Andreotti porrà la fiducia, sarebbe la crisi di governo per il ritiro dei ministri della sinistra. Si arriverà a tanto per difendere gli spot all'interno dei film, proibiti dalla Comunità europea e già eliminati dal Senato?

Ma l'Italia non è solo la quinta o sesta potenza industriale, ma anche la prima della repubblica delle banane.

Andreotti pone la fiducia, cinque ministri si dimettono e, invece della crisi di governo, Andreotti li sostituisce in quaranta secondi per far sopravvivere gli spot di Berlusconi. Un rimpasto di governo rapido mentre si approva una legge. Neanche nel paese delle banane, che non sia l'Italia del 1990, si sarebbe arrivati a tanto!

 Ciò che distingue i bananieri dagli imprenditori veri è che i secondi fanno i loro affari misurandosi col mercato e con le sue regole; i primi utilizzano i padrinaggi politici per piegare il mercato ai loro interessi. Berlusconi è un bananiere a ventiquattro carati, cioè un uomo d'affari che fa i suoi affari con la politica. È un lobbista di tali dimensioni da poter disporre, quando sono in gioco i suoi interessi, addirittura della maggioranza parlamentare.

 Bello ed efficace l'intervento di un senatore della sinistra indipendente che, otto giorni dopo, in Senato concluderà, rivolto ad Andreotti, così: " Non è la prima volta, signor presidente, che il suo partito si divide. È accaduto tante volte in questa seconda metà del secolo, e certo peccherei di superficialità se riducessi le contrapposizioni forti, gli assalti vicendevoli, gli assedi e le imboscate a sola lotta per il potere. Molte volte a spaccarvi sono state sono state le grandi opzioni, le idealità forti, anche una tensione etica. Ma è così ora? Forse è la prima volta che un democristiano presidente del Consiglio spacca il suo partito non su una questione decisiva per la vita del paese, ma per il fatturato di una ditta amica".

Quando questi partiti, che hanno protetto il fatturato di Berlusconi, saranno giustamente spazzati via da tangentopoli, ci penserà lui stesso a difendere i suoi interessi. Nascerà Forza Italia. Forza Fininvest.

Ma la legge che torna al Senato è manifestamente anticostituzionale e la sinistra, non arresa al varo di una legge sicuramente illegittima, rinnova le proposte correttive. Nella memoria dei senatori di allora restano quattro giornate deprimenti. Contingentati i tempi di intervento e una pioggia di voti di fiducia fanno si che la legge venga approvata senza che venga consentito nessun riesame serio.

Ancora un senatore della sinistra indipendente: " Abbiamo letto di un Berlusconi che rassicura i venditori di pubblicità dicendo loro che la libertà di spot sarà per anni garantita e che sulla legge sarà posta la fiducia. Abbiamo letto di un Berlusconi che va a palazzo Chigi, incontra il sottosegretario  Cristofori, esamina le proposte di mediazione, le boccia, e queste rientrano. Così è nata questa legge, con pressioni esterne, patrocini autorevoli, ingiunzioni, minacce, fino a quella di sciogliere le Camere.  Colleghi, Berlusconi ci scioglie!  Berlusconi pone la fiducia e interrompe  anticipatamente la legislatura!"

Il 6 agosto 1990, la legge viene approvata definitivamente.

 Il paese delle banane concede ad un uomo un monopolio privato in un settore strategico che, oltre che permettergli un arricchimento incontrollato, gli permette il controllo di una buona fetta dell'informazione e della pubblicità. Anche politica. E degli spot politici, diretti o mediati da star televisive, farà illegalmente un grande uso, per difendere il privilegio ottenuto con la compiacenza di una classe politica colpevole.

Nel mondo intanto si ride del Bel Paese.