Il non politico
(sic), l'imprenditore di successo (sic), l'uomo del fare (sic), colui
che non perde occasione di tacciare di dirigismo e di centralismo
l'opposizione, è l'uomo che del centralismo e del dirigismo politico
degli anni del CAF ha tratto i maggiori benefici. Non ha dovuto
elaborare strategie per "vincere nel mercato libero": gli è stato
regalato, dalla politica, l'intero mercato privato! E lui nei ministeri
elargiva denaro a piene mani.
Torniamo ai 15 giorni prima dell'approvazione della legge Mammì, il 17
luglio 1990. Conosceremo un rigiro di uomini "ministeriali" corteggiati
dalla Fininvest e dalla Fininvest pagati nell'approssimarsi del voto
finale.
In
quella data, Remo Toigo, fornitore di attrezzature elettroniche,
costituisce a Segrate la "Federal Trade Misure", denominazione di una
s.r.l. con un capitale di soli 20 milioni e senza personale. Avrà dal
ministero delle Poste e Telecomunicazioni un appalto per 28 miliardi e
800 milioni! Soldi dei contribuenti e spesi inutilmente visto che il
Ministero è fornito di uomini e mezzi per la bisogna
L'idea è del ministro delle poste Mammì e di Davide Giacalone, 28 anni,
PRI, suo assistente, "invaghito" di Silvio Berlusconi cui dedicherà
pagine apologetiche in un libro del 1992 : " La guerra delle antenne"
Sperling e Kupfer editori. Amore totalmente corrisposto. Dice di lui
Berlusconi: " è uno dei più competenti per quanto riguarda la
tecnicalità e la legislazione in materia di televisioni".
Ed
infatti è lui il redattore ombra della legge Mammì.
Il
direttore dell'Azienda di Stato per i Servizi Telefonici, il gaudente
Giuseppe Parrella, poi in carcere con Giacalone, estorce a Toigo il 60%
della società e passa una quota di tangenti a Giacalone. Il rampante e
ruspante giovanotto dirà di aver preso i soldi per il partito e per
finanziare la campagna elettorale di Oscar Mammì, contraddetto da La
Malfa che ammette una quota di tangenti per il PRI, ma sostiene che il
"grosso" finisce nell'arricchire personalmente il Giacalone. In quel
periodo il Giacalone compra un lussuoso attico a Trinità dei Monti a
Roma e un casale in Toscana, presso Scansano, in Maremma.
Giacalone controlla una società, "Giac & Giac" cui la Fininvest, fa un
contratto di consulenza, grazie alla sua "tecnicalità", per 480 milioni.
Il problema è che Giacalone è un "ministeriale" incaricato di redigere
la legge che riguarda la Fininvest. La sede della società è in un
ufficio romano. I proprietari di tale ufficio si chiamano Oscar Mammì,
Alessandra Mammì e Lorenzo Mammì. Indovinate chi sono.
In
un libro di Giacalone, fuori commercio, " Della politica e della sua
moralità", a pag. 13 si può leggere: " Se un politico ruba, si accomodi
pure in galera: ma non è l'onestà il primo precetto cui deve attenersi".
Finirà in galera due volte: il 18 maggio 1993, a S. Vittore e il 30
maggio, a Regina Coeli.