NELL'EPILOGO, dunque, il generale di fanteria Roberto Speciale
da Petraperzia (Enna), "Ciccio il comandante", come ama farsi
vezzeggiare dai suoi amici forzisti e di Alleanza nazionale, non
batte i tacchi. Nella sua uscita non c'è traccia di uno di quei
suoi "Ossequiosamente obbedisco", "Subordinatamente La saluto",
con cui per dodici mesi ha omaggiato un nuovo padrone politico cui
scavava la fossa: Visco.
Contesta Visco.
Ma il capo
della Finanza fece trasferire un investigatore contro la volontà
della Procura. Per uno scherzo del destino, a occuparsi
del caso Visco-Speciale saranno due magistrati che conoscono bene
il comandante generale della Guardia di Finanza. Il procuratore di
Roma, Giovanni Ferrara, e il sostituto Angelo Racanelli dovranno
accertare se Visco abbia fatto pressioni indebite sul comandante
Roberto Speciale per trasferire quattro ufficiali da Milano,
nonostante il parere contrario del capo della Procura Manlio
Minale. Speciale ha raccontato ai magistrati milanesi di essersi
opposto a Visco dopo avere sentito Minale. Ora il viceministro
dovrà rendere conto del suo comportamento davanti alle Camere e ai
pm romani.
Eppure
l'autoritratto del comandante pronto a sfidare la politica per
accontentare i magistrati stride un po' con l'esperienza diretta
di Racanelli e Ferrara. Tre anni fa Speciale, in una vicenda
simile, non ha tenuto in gran conto le proteste della Procura di
Roma. Quello stesso Speciale che oggi racconta: "Obiettai a Visco
che sarebbe stato opportuno informare (dei trasferimenti)
l'autorità giudiziaria di Milano e lui mi ha risposto
categoricamente che non avrebbe costituito alcun problema il non
avvertirla... poi incontrai il procuratore Minale che mi disse di
essere allarmato", tre anni fa si comportò in modo diverso.
Alla fine del 2003, la Procura di
Roma ereditò un'indagine del pm potentino Henry Woodcock
che riguardava, tra gli altri, l'ambasciatore Umberto
Vattani e l'ex patron del Perugia Luciano Gaucci.
L'unico investigatore che padroneggiava la materia era il capitano
del Gico Gianluca Trezza, che da un paio di anni si occupava a
tempo pieno dell'inchiesta. All'improvviso, il primo aprile 2004,
fu trasferito alla commissione parlamentare Ilaria Alpi,
presieduta da Carlo Taormina. Una scelta singolare, anche perché
Taormina non aveva chiesto lui, ma 'un capitano della finanza'.
Il comandante del
nucleo, Paolo Poletti, fu convocato in Procura e i magistrati
invocarono il potere di veto previsto dalla legge. Senza esito.Il procuratore Ferrara arrivò a scrivere una lettera a
Speciale, ma il comandante quella volta non mosse un dito. I tempi
delle indagini si allungarono e ancora oggi la Finanza deve
chiudere l'inchiesta sulla presunta corruzione di Gaucci. Intanto
l'ex patron del Perugia è latitante a Santo Domingo e nessuno
ricorda i bei tempi in cui Speciale era tra gli ospiti della festa
nel castello dell'imprenditore sotto inchiesta.
Speciale è un garantista. Il
suo aiutante di campo, il maggiore Giovanni Cosentino, che presto
sarà chiamato a testimoniare sul caso Visco, è indagato a Salerno
per falso e altri reati in una storia che ha portato all'arresto
di quattro finanzieri. È stato coperto di encomi e promosso
maggiore superando molti colleghi. Un altro fedelissimo di
Speciale, il generale Walter Cretella, coinvolto in un paio di
indagini, è stato promosso capo della Scuola tributaria. Il
generale Raffaele Romano, incappato nelle telefonate di Luciano
Moggi (chiedeva due posti per la trasferta di Madrid), è diventato
capo del Reparto intelligence. È un po' la versione moderna della
trave nell'occhio: Moggi gli diceva che aveva problemi a dargli i
biglietti perché il suo comandante aveva 'invaso l'aereo' con
quattro posti, anche per il figlio. E proprio un figlio di
Speciale, Massimiliano, potrebbe essere chiamato dalla Procura di
Roma per chiarire una vicenda del 2004.A 'L'espresso' risulta che
durante una perquisizione ordinata dal pm di Roma Cristina Palaia
negli uffici di un grande mobiliere, Alberto Adinolfi, i
carabinieri si sono imbattuti per caso in una cartellina con su
scritto: 'Speciale-riservato'. Dentro c'erano gli ordini per i
mobili e i conteggi della ristrutturazione della casa del figlio
del generale. L'ordinativo intestato a Speciale junior riporta un
totale di 18 mila euro, fra tavoli di marmo, armadi, letti e
divani. Ci sono poi altri conteggi a penna per 42 mila euro e
alcune carte sui lavori eseguiti da un'altra ditta, tutto relativo
al figlio di Speciale. I carabinieri però
notano alcune stranezze e sottolineano il precedente ruolo
dell'alto ufficiale al vertice delle Forze Armate, dalle quali
Adinolfi aveva ottenuto diverse commesse. Nello stesso faldone
l'imprenditore conservava biglietti autografi e una foto del
comandante. Secondo gli investigatori però manca un dato: "Il
riscontro certo" dell'avvenuto pagamento dei mobili.
Da l'Espresso
...ED ECCO COSA SCRIVE CARLO BONINI SU
"REPUBBLICA"...
"...Roberto Speciale è un fungo cresciuto nel sottobosco in cui,
per cinque anni, il centro-destra ha coltivato un disegno di
controllo degli apparati che doveva avere nell'intelligence
politico-militare, il Sismi di Nicolò Pollari, e nelle Fiamme
Gialle, un nuovo potente e pervasivo strumento di controllo e
intervento a uso politico. Un grumo di potere non più misterioso
almeno da quattro anni. Di cui il governo di centro-sinistra
conosceva e conosce uomini e coordinate. Di cui ha fatto le spese
(la campagna sul caso Unipol, le intrusioni abusive nelle anagrafi
tributarie, il sistema di spionaggio illegale in Telecom). Ma a
cui sin qui non ha voluto (o potuto) mettere mano. Per insipienza,
per miopia, per divisioni interne. E a cui oggi sacrifica, non a
caso, il viceministro Vincenzo Visco (l'unico, a quanto pare, ad
aver avvistato per tempo "criticità" che altri non hanno voluto
vedere).
Eppure, non era necessario un
indovino per intuire come sarebbe andata a finire. Per comprendere
quale fosse la posta in gioco. Nell'autunno scorso, con l'uscita
di Pollari dal Sismi, Speciale perde il suo mentore e rimane unico
custode della potente macchina che, nel luglio 2003, gli era stata
consegnata con ben altre e per lui più consone mansioni. E' un
Carneade, "Ciccio il comandante". E, in quell'estate, quando
decidono di nominarlo comandante generale della Finanza,
Berlusconi e Tremonti ne ignorano persino l'esistenza. E'
Nicolò Pollari, siciliano come Speciale, che garantisce per lui.
Che ne sollecita e impone la nomina.
E' l'uomo
giusto, al posto giusto, al momento giusto, ragiona l'allora
direttore del Sismi. E' una muffa degli Stati Maggiori della
Difesa che a fatica ha superato l'Accademia militare di Modena.Un burocrate furbissimo
con un debole per le belle cose (arredi e orologi), la bella
gente, i bei luoghi (Capri). Che in dieci anni (dal 1993 al 2003),
da poltrone di nessuna visibilità, ha coltivato una fitta rete di
benevolenze [...] ... Pollari dispone. "Ciccio" esegue.Il Sismi si gonfia di ufficiali della Finanza e, va da sé,
anche del figlio di Speciale, cui per qualche tempo viene affidato
(con esiti disastrosi) il centro di Abu Dhabi. Speciale
ridisegna i vertici del Corpo con organigrammi dettati da Pollari
e dal suo delfino, il generale Emilio Spaziante, che dalla
Lombardia (di cui controlla ogni ufficiale) viene portato a Roma,
come capo di Stato Maggiore. Speciale fa e disfa, ritenendo di non
dover neppure informare il suo comandante in seconda.
Poi, il piano Pollari va a farsi
benedire. E con lui la direzione del Sismi e l'osmosi tra la
nostra intelligence militare e le Fiamme Gialle. Speciale resta il
solo garante, con pieni poteri di comando, di una ragnatela
pazientemente tessuta per quattro anni. Di un apparato che è stato
il braccio operativo dell'esecutivo di ieri, oggi opposizione. Il
tentativo di Visco di cominciare a intaccarne i gangli (Milano) è
troppo. Ma è anche una magnifica occasione.
L'operazione può cominciare. E Speciale ne
conosce l'epilogo. Si aggiusterà la fascia in vita e si farà
saltare come un martire nel governo di centro-sinistra [...]
Speciale rifiuta la Corte dei
Conti
Bertinotti: pesanti ricadute politiche
Il generale: "Mi sento violentato, andrò
in pensione anticipata"
Da Milano a Roma gli atti sulla
corrispondenza fra il comandante e il viceministro
In attesa del dibattito parlamentare, mercoledì al Senato, sul caso Visco,
e mentre la Procura di Roma ha chiesto al Comando della GdF copia
della corrispondenza (estate 2006) tra il viceministro
dell'Economia e l'ex comandante generale delle Fiamme Gialle,
Roberto Speciale, quest'ultimo rifiuta l'incarico presso la Corte
dei Conti che gli era stato conferito venerdì scorso dal governo
dopo la sua sostituzione con il generale Cosimo D'Arrigo. E nel
dibattito in corso sul caso Visco interviene anche Fausto
Bertinotti, che teme "ricadute politiche molto pesanti". Mentre
Clemente Mastella pensa che "al Senato la maggioranza debba
presentare una mozione di solidarietà con la GdF". Visco, nel
tardo pomeriggio, è andato a Palazzo Chigi, dove ha incontrato
Romano Prodi e i sottosegretari alla presidenza del Consiglio
Enrico Letta ed Enrico Micheli.
Speciale rifiuta l'incarico. L'ex comandante ha inviato una
lettera al ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa con la
quale rifiuta la nomina alla Corte dei Conti. "Voglio andare in
pensione anticipata", ha detto il generale al senatore De
Gregorio. "Non voglio dare l'impressione - ha spiegato Speciale -
di volermi svendere per un piatto di lenticchie. Nemmeno l'ultimo
degli italiani deve pensare che io voglia restare abbarbicato ad
una poltrona...". Speciale avrebbe potuto far ricorso al Tar
contro la decisione presa dal Consiglio dei ministri: "Sono un
soldato - ha spiegato ancora - sbatto i tacchi e obbedisco, mi ha
destituito il governo del mio amato Paese". Tuttavia al senatore
il generale spiega: "Mi sento come se mi avessero violentato, non
mi hanno dato neanche l'onore delle armi...".
Plauso della Cdl. "Non avevo dubbi sul fatto che il
generale avrebbe rifiutato il 'contentino'" commenta il leader di
An, Gianfranco Fini. Gli fa eco il presidente dei senatori
del suo partito, Altero Matteoli: la rinuncia di Speciale
"conferma la sua serietà" e prova che "il baratto indecente
propostogli da Prodi e Padoa-Schioppa mirava a far passare come
avvicendamento quella che invece è una vera e propria rimozione
ingiustificabile e ingiustificata". Per Giuseppe Marinello,
del direttivo di Forza Italia, "è la dimostrazione che la dignità
personale di un galantuomo non può essere barattata neanche con un
più prestigioso incarico".
Il dibattito politico. L'Unione conta sul dietrofront di
Antonio Di Pietro che al Senato non voterà con l'opposizione (pur
disapprovando "il brusco defenestramento" di Speciale), la Cdl
accusa il governo di "cercare la rissa per nascondere la verità".
Se Piero Fassino si dice convinto che il dibattito in
Parlamento "sarà ulteriormente chiarificatore nel dimostrare la
correttezza delle decisioni assunte dal governo", Gavino Angius
lancia un appello a "Sdi, Rifondazione, Comunisti italiani, e
anche noi stessi": "Siamo di fronte a un compito straordinario
e storico, difendere il governo e le istituzioni dall'assalto
della destra", e "difendere la presidenza della Repubblica
impropriamente trascinata in una polemica politica, che
dimostreremo essere priva di fondamento, contro Visco e contro il
governo".
Mastella: "Maggioranza presenti mozione solidarietà a GdF".
Così il Guardasigilli risponde ai cronisti che gli chiedono se
tema che al Senato, mercoledì, la maggioranza possa andare sotto.
"La GdF è un'istituzione che va al di là di Speciale, di chi ci è
stato e di chi ci sarà. Se tutto il Parlamento gli esprimesse
solidarietà, sarebbe la cosa più bella per chiudere questa ferita,
un gesto politico di grande rilievo". Intanto la Cdl ha deciso di
mantenere sostanzialmente invariata la mozione presentata visto
che la minoranza chiedeva al governo di revocare tutte le deleghe
di Visco e non solo quella sulla Gdf. Domani, comunque, i
capigruppo del Polo decideranno la strategia da seguire in Aula.
Bertinotti: "Ricadute politiche pesanti". Il presidente
della Camera dice di non prevedere "conseguenze, a livello
istituzionale, del caso Visco-GdF, perché le decisioni sono state
prese dal governo nella sua autonomia, ma ricadute politiche sì,
anche molto pesanti". "Informare l'opposizione" su vicende come
questa "è sempre bene - aggiunge Bertinotti - ma è importante
informare l'opinione pubblica sul perché di certe scelte".
Il carteggio in Procura. Il procuratore
capo di Roma, Giovanni Ferrara ha chiesto l'acquisizione
dell'intero carteggio intercorso, un anno fa, tra Visco e
Speciale. Una parte del carteggio - che ha riguardato anche altri
importanti ufficiali della GdF - è già al vaglio del procuratore
capo e del pm Angelantonio Racanelli, titolari del fascicolo
aperto sulle presunte pressioni che il viceministro avrebbe
esercitato sul comandante. E da Milano sono stati trasmessi nella
capitale gli atti riguardanti la vicenda del trasferimento, poi
rientrato, dei vertici della Finanza milanese.
Dai dossier al segreto di Stato, tutti i punti
da chiarire
Quella oscura ragnatela
che il governo non vuole vedere
di GIUSEPPE D'AVANZO
In Occidente, solitamente, è
la stampa a chiedere conto alla politica delle ragioni delle sue
scelte; a pretendere luce là dove c'è ombra; a reclamare una
coerenza nei comportamenti là dove avvista compromessi di basso
profilo fra interessi opposti a danni del bene collettivo e
dell'integrità delle istituzioni. Nel nostro bizzarro Paese
avviene il contrario. E' il governo a chiedere conto alla stampa
delle sue cronache pur ammettendo che contengono "elementi di
verità". Già quei frammenti di realtà imporrebbero al governo
attenzione - se non proprio un chiarimento.
Se si volesse esagerare in retorica, si potrebbe anche sostenere
che, per un esecutivo, dovrebbe essere un dovere istituzionale e
morale dar conto in pubblico delle proprie decisioni che, a occhio
nudo, appaiono contraddittorie o irragionevoli.
La bizzarria nazionale capovolge la scena. Fa sentire al ministro
della Difesa, Arturo Parisi, il "dovere istituzionale e morale" di
chiedere conto a questo giornale delle affermazioni contenute in
una cronaca in cui si raccontava la "pervasività di un potere di
pressione, condizionamento e ricatto" di una consorteria che
definivamo una P2 per semplificazione evocativa: un "agglomerato
oscuro" (la definizione è di un membro del governo in carica) che,
avvantaggiato da un sistema politico frammentato, diviso e in
debito di credibilità per i vizi, le anomalie e gli sprechi che si
concede, è in movimento al "mercato della politica" per offrire i
suoi servigi opachi.
Anche se stravagante, la richiesta di Arturo Parisi offre tuttavia
l'opportunità di ritornare sulla questione con qualche dettaglio
in più, utile al lettore.
Il ministro della Difesa chiede di "dar conto" di tre questioni:
(1) di documentare come si possa affermare "l'intenzione del
governo in carica di tutelare, anche nella nuova stagione
politica, il passato i traffici e la fortuna dei protagonisti del
network" che a noi sembra governato dall'ex-direttore del Sismi,
Nicolò Pollari; (2) di sapere come si può "sostenere che
l'ammiraglio Bruno Branciforte (il nuovo direttore del Sismi)
"viene consegnato a un imbarazzato stato di impotenza"; (3) di dar
conto dei "margini di manovra dei "vecchi" che troverebbe prova
nel fatto che un fidatissimo braccio destro del generale Pollari è
al Personale della Difesa mentre, alle dipendenze del Direttore
Generale, si interessa del reclutamento dei volontari a ferma
breve delle Forze Armate".
Che, più del governo di centro-destra, il governo di
centro-sinistra tuteli "il passato, i traffici e la fortuna"
di quel network, che ha in Nicolò Pollari il suo leader, non è
solo documentato, è certo come il lunedì segue la domenica. Nicolò
Pollari è imputato di aver accompagnato l'azione della Cia nel
sequestro illegale di un cittadino egiziano. E' un delitto
eversivo dell'ordine costituzionale che viola la sovranità del
nostro Stato e i diritti fondamentali della persona. Non proprio
una marachella. A domanda della procura di Milano, nel novembre
del 2005, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi esclude
che ci sia il segreto di Stato sulla vicenda. Lo stesso fa Nicolò
Pollari. Il 26 luglio del 2006, il presidente del Consiglio Romano
Prodi, con un sorprendente ribaltamento e senza indicare alcuna
ragione, oppone il segreto di Stato che dovrebbe seppellire per
sempre l'affare. Di più, ricorre alla Corte Costituzionale;
solleva un conflitto di competenza; denuncia "i comportamenti
criminosi" dei magistrati di Milano. I fatti, ridotti all'osso,
giustificano in abbondanza l'affermazione che, nel cambio di
stagione politica, le responsabilità di Pollari abbiano ricevuto
dal governo Prodi una tutela che Berlusconi non gli ha mai
offerto. Della legittimità dell'iniziativa del governo deciderà
ora la Corte Costituzionale. Il fascicolo alla Consulta ha come
"relatore" Giovanni Maria Flick, che, in passato, è stato avvocato
personale e ministro di Romano Prodi. Opportunità vorrebbe che il
"relatore" designato si astenesse.
Si può sostenere che il nuovo direttore del Sismi, l'ammiraglio
Bruno Branciforte, sia paralizzato nel suo comando? Un esempio
concreto. In un'intelligence, il settore Analisi, è un ganglio
vitale. Quella Direzione ancora oggi, nel Sismi, non ha un
responsabile. Se si escludono quattro nomine a "caporeparto", non
si è mossa una foglia in quella "ditta", che pure qualche
pasticcio ha combinato (Pollari organizza in via Nazionale un
ufficio di dossieraggio e disinformazione) e dunque ha bisogno di
una terapia urgente. Branciforte è ritenuto dal governo il miglior
uomo in campo. Sapiente, esperto, deciso (il giudizio è largamente
condiviso nelle Forze Armate). Perché un militare di cui tutti
apprezzano l'energia appare agitarsi come una statua del Gianicolo?
Tra gli addetti ai lavori si raccoglie una sola spiegazione. Non è
oggi nelle condizioni per farlo.
Un intrigante braccio destro di Pollari, sostiene Parisi, è stato
reclutato alla Difesa - è vero - ma è addirittura "alle dipendenze
del Direttore Generale" (3) e si occupa di minuzie. E' una
replica? Si fa fatica a capirlo. Breve riepilogo. Quest'uomo, che
Pollari definisce "il mio orecchio", dirige un "centro occulto" in
via Nazionale. Affastella dossier contro "i nemici" di Silvio
Berlusconi. Scheda rappresentanti del popolo, liberamente eletti
(per dire, Cesare Salvi, Luciano Violante, Massimo Brutti, Sergio
Cofferati); magistrati (Juan Ignatio Patrone); giornalisti
(Serventi Longhi, Furio Colombo). Quel che è peggio - e dovrebbe
forse inquietare il ministro - organizza alla vigilia delle
elezioni un'operazione di discredito di Romano Prodi, candidato
dall'opposizione a governare il Paese. C'è manovra più minacciosa
per la democrazia? A questo pericolo si può opporre una soluzione
burocratica ("è alle dipendenze del Direttore Generale")? Nemmeno
un'opportunità istituzionale, ma soltanto quella che gli
antropologi chiamano shame culture, la cultura della vergogna,
avrebbe dovuto imporre al ministro l'esclusione del funzionario
infedele dall'ambiente professionale e sociale di appartenenza.
Non è avvenuto. E dunque è davvero "velenoso" parlare di
un'irragionevole tutela?
Lo ripetiamo, è incomprensibile che a episodi così gravi e non
contestati che deformano il confronto democratico, la libertà
degli individui, i diritti costituzionali, si oppongano decisioni
così storte e argomenti così minimalisti. Perché? Perché Luciano
Violante, all'ipotesi di un "agglomerato oscuro" che si è messo al
lavoro, replica: "Sono abituato a giudicare le cose che vedo e se
si parla di poteri oscuri quelli non si vedono". L'ufficio di
dossieraggio di via Nazionale lo scheda come un "nemico" di Silvio
Berlusconi e, contro i "nemici" di Berlusconi, pianifica un
operazione "anche cruenta". Non è oscura l'iniziativa di quel
potere né il potere. Ogni cosa è concreta, documentata, illuminata
e visibilissima. Come si può non vederla o girarsi da un'altra
parte, con un accenno di superbia?
Quel che si fa fatica a capire, a dir la
verità, è "la natura della corrente in cui siamo immersi". Anche
se, a ben pensarci, il contrasto tra i propositi dichiarati e i
comportamenti effettivi evoca un'immutabilità del sistema politico
italiano "dove uomini e partiti non hanno idee, o per idee si
spacciano affocamenti di piccole passioni, urti di piccoli
interessi, barbagli di piccoli vantaggi: dove si baratta per genio
l'abilità, e per abilità qualcosa di peggio" (Giosuè Carducci a
proposito del quinto ministero Depretis, 19 maggio 1883).
Prima rimosso il capo di stato
maggiore in sole ventiquattr'ore
Poi cambiata l'intera catena di controllo delle Fiamme Gialle a
Milano
Quando Tremonti epurò il vertice della
Gdf
Dossier Visco sulle sostituzioni della Cdl
D'Ambrosio: "Domani spiegherò perché
Speciale è pericoloso" di CARLO BONINI
Per fulminare Romano Prodi e la sua
evanescente maggioranza sul caso Visco-Speciale, per rendere
nitida la gravità di un brutale tentativo di spoils system nella
Guardia di Finanza, Silvio Berlusconi ha usato un argomento di
indubbia efficacia: "Io mi domando se fosse successo a noi...".
Bene. E' successo. Cinque anni fa.
Quando - ministro dell'Economia Giulio Tremonti - venne prima
rimosso in ventiquattro ore il capo di stato maggiore della
Guardia di Finanza, perché ritenuto politicamente inaffidabile, e
quindi avvicendata l'intera catena di comando delle Fiamme Gialle
a Milano: il comandante regionale, il comandante provinciale, il
comandante del nucleo regionale di polizia tributaria.
Non si levò un fiato. Nessuno ebbe a indicare inopportuni
incroci con le allora indagini sui diritti tv di Mediaset, né che
tra i promossi ai nuovi incarichi vi fosse l'aiutante di campo del
ministro Tremonti. Non ci fu il tempestivo e preoccupato
intervento dell'Avvocatura Generale per verificare la limpidezza
professionale degli ufficiali che venivano messi alla porta. Non
furono sollecitate lettere allarmate alla Procura della
Repubblica. Non fu chiamato in causa il capo dello Stato.
La vicenda non ha nulla di segreto, ha il pregio di mettere a nudo
qualche ipocrisia e, per quel che se ne sa, è tra quelle che il
viceministro Visco, in questi giorni, ha ricostruito nel suo
dossier consegnato a Palazzo Chigi e di cui il senato discuterà
domani. I fatti, dunque.
Settembre 2001. Giulio Tremonti è da qualche mese il nuovo
ministro dell'Economia. Comandante generale della Guardia di
Finanza è il generale di corpo d'armata Alberto Zignani, anche lui
nuovo nell'incarico (è stato nominato in marzo). Di fatto, la
Guardia di Finanza ereditata dal governo di centrodestra è quella
che, per quattro anni (1997-2001), ha governato e riformato il
generale Rolando Mosca Moschini, uno dei migliori e più brillanti
ufficiali del nostro esercito, apprezzato all'estero, integrato
per lungo tempo nei comandi Nato. Mosca Moschini, oggi consigliere
militare del Presidente della Repubblica, è fumo negli occhi per
il centrodestra. Nella sua lunga stagione di comando in viale XXI
aprile ha aggredito un grumo di potere che ha coltivato, con il
rancore, voglia di rivincita. Si è liberato di Nicolò Pollari,
sostituendolo dopo neppure due mesi con un nuovo capo di Stato
Maggiore, il generale Giovanni Mariella, un pugliese solare, un
galantuomo di buon carattere che, di fatto, nel settembre 2001,
quando Moschini lascia il comando ne raccoglie l'eredità.
Mariella dura poco. Alla fine di settembre del 2001, il
centrodestra se ne libera in ventiquattro ore, sostituendolo con
il generale Nino Di Paolo. Delle ragioni della sua destituzione il
comandante generale Zignani non offre nessuna spiegazione. Né,
soprattutto si comprende, perché, una volta avvicendato, Mariella
finisca nel magazzino delle scope del Comando. Per lui non ci sono
incarichi di prestigio. Non ci sono poltrone da vicesegretario del
Cesis (che, a quanto pare, sono invece un esito di carriera
naturale se gli ex capi di stato maggiore si chiamano Nicolò
Pollari ed Emilio Spaziante). C'è solo un lungo esilio da
comandante interregionale della Guardia di Finanza dell'Italia
meridionale. Fino a quando, quattro mesi fa, non se lo porta via
una malattia fulminante. Ai suoi funerali a Napoli, lo scorso 24
febbraio, nella basilica di san Francesco di Paola, in piazza
Plebiscito, sono presenti sia il comandante generale Roberto
Speciale che l'ex comandante Mosca Moschini. Ed è lui a
pronunciare un ricordo che convince Speciale a lasciare infuriato
la chiesa prima del feretro, per un caffè al "Gambrinus" insieme
al suo seguito di ufficiali.
Ma torniamo a quell'autunno 2001. Perché accade qualcosa di più.
Contemporaneamente alla destituzione di Mariella, su
sollecitazione di Tremonti, viene ridisegnata competenza e
gerarchia degli uffici periferici del II Reparto, l'intelligence
della Guardia di Finanza (che Mariella, prima di diventare capo di
Stato maggiore, ha comandato), stanza di scambio e compensazione
con il Sismi, la nostra intelligence militare. Delle informazioni
che raccoglieranno sul territorio, i "nuovi" reparti informazione
non risponderanno più al Comando generale, ma ai comandi
regionali. La "riforma" coincide con l'allontanamento di alcuni
dei responsabili del reparto informazioni a Milano, come a Roma.
Rende i comandanti regionali centri nevralgici nella raccolta
delle informazioni, accrescendone il potere. E annuncia quel che
accadrà nell'ottobre del 2002.
In un unico giro di avvicendamenti, viene sostituita l'intera
catena di comando della Guardia di Finanza di Milano. Il comando
interregionale della Lombardia viene assegnato al generale Emilio
Spaziante. Uomo di Pollari, suo luogotenente in una piazza che
esprime la nuova classe dirigente politica, i suoi interessi
economici. Comandante provinciale è nominato il colonnello Rosario
Lo Russo. Ma, soprattutto, al Nucleo regionale di polizia
tributaria arriva il colonnello Stefano Grassi. L'ufficiale è
aiutante di campo del ministro Tremonti. Ha lavorato al ministero
dell'economia insieme a Marco Milanese, capo della segreteria del
ministro, altro brillante ufficiale della Finanza che ha avuto
quale suo compagno di corso Dario Romagnoli, poi passato allo
studio tributario di Milano dello stesso Tremonti.
Gerardo D'Ambrosio, allora procuratore della
Repubblica di Milano, oggi senatore dei Ds, ha un ricordo sfumato
di quegli avvicendamenti. Sicuramente non prese carta e penna per
redigere lettere allarmate. "Perché - dice - la legge stabilisce
che il procuratore della repubblica e il procuratore generale non
hanno alcun potere di intervento sui trasferimenti di ufficiali al
vertice della catena di comando locale della Guardia di Finanza a
meno che non si tratti di ufficiali di polizia giudiziaria. Perché
in questo caso, non solo devono essere informati ma è addirittura
necessario il loro consenso. Sicuramente, nessuno in quell'occasione,
al contrario di come mi pare sia invece accaduto nel caso Visco,
venne a sollecitare un mio interessamento a quel che stava
accadendo". Aggiunge l'ex Procuratore: "La verità è che da questa
storia ho tratto delle convinzioni che, domani, proverò a
comunicare all'aula del Senato. Un ufficiale come il generale
Speciale è pericoloso innanzitutto per la Guardia di Finanza.Se
le cose fossero andate come lui dice, un anno fa avrebbe dovuto
prendere la porta e denunciare Visco alla competente Procura di
Roma per poi dimettersi un minuto dopo. Non mi risulta lo abbia
fatto. Perché?".