Speciale SPECIALE

il teatrino della politica

Il grande imbroglio

 

Pianeta giustizia
 

Cosa è successo il 12 aprile del 1973?

 

 Edizione speciale sul comandante Speciale 1

 


NELL'EPILOGO, dunque, il generale di fanteria Roberto Speciale da Petraperzia (Enna), "Ciccio il comandante", come ama farsi vezzeggiare dai suoi amici forzisti e di Alleanza nazionale, non batte i tacchi. Nella sua uscita non c'è traccia di uno di quei suoi "Ossequiosamente obbedisco", "Subordinatamente La saluto", con cui per dodici mesi ha omaggiato un nuovo padrone politico cui scavava la fossa: Visco.

Contesta Visco. Ma il capo della Finanza fece trasferire un investigatore contro la volontà della Procura. Per uno scherzo del destino, a occuparsi del caso Visco-Speciale saranno due magistrati che conoscono bene il comandante generale della Guardia di Finanza. Il procuratore di Roma, Giovanni Ferrara, e il sostituto Angelo Racanelli dovranno accertare se Visco abbia fatto pressioni indebite sul comandante Roberto Speciale per trasferire quattro ufficiali da Milano, nonostante il parere contrario del capo della Procura Manlio Minale. Speciale ha raccontato ai magistrati milanesi di essersi opposto a Visco dopo avere sentito Minale. Ora il viceministro dovrà rendere conto del suo comportamento davanti alle Camere e ai pm romani.

Gen_specialeEppure l'autoritratto del comandante pronto a sfidare la politica per accontentare i magistrati stride un po' con l'esperienza diretta di Racanelli e Ferrara. Tre anni fa Speciale, in una vicenda simile, non ha tenuto in gran conto le proteste della Procura di Roma. Quello stesso Speciale che oggi racconta: "Obiettai a Visco che sarebbe stato opportuno informare (dei trasferimenti) l'autorità giudiziaria di Milano e lui mi ha risposto categoricamente che non avrebbe costituito alcun problema il non avvertirla... poi incontrai il procuratore Minale che mi disse di essere allarmato", tre anni fa si comportò in modo diverso.

Alla fine del 2003, la Procura di Roma ereditò un'indagine del pm potentino Henry Woodcock che riguardava, tra gli altri, l'ambasciatore Umberto Vattani e l'ex patron del Perugia Luciano Gaucci. L'unico investigatore che padroneggiava la materia era il capitano del Gico Gianluca Trezza, che da un paio di anni si occupava a tempo pieno dell'inchiesta. All'improvviso, il primo aprile 2004, fu trasferito alla commissione parlamentare Ilaria Alpi, presieduta da Carlo Taormina. Una scelta singolare, anche perché Taormina non aveva chiesto lui, ma 'un capitano della finanza'. Il comandante del nucleo, Paolo Poletti, fu convocato in Procura e i magistrati invocarono il potere di veto previsto dalla legge. Senza esito. Il procuratore Ferrara arrivò a scrivere una lettera a Speciale, ma il comandante quella volta non mosse un dito. I tempi delle indagini si allungarono e ancora oggi la Finanza deve chiudere l'inchiesta sulla presunta corruzione di Gaucci. Intanto l'ex patron del Perugia è latitante a Santo Domingo e nessuno ricorda i bei tempi in cui Speciale era tra gli ospiti della festa nel castello dell'imprenditore sotto inchiesta.

Speciale è un garantista. Il suo aiutante di campo, il maggiore Giovanni Cosentino, che presto sarà chiamato a testimoniare sul caso Visco, è indagato a Salerno per falso e altri reati in una storia che ha portato all'arresto di quattro finanzieri. È stato coperto di encomi e promosso maggiore superando molti colleghi. Un altro fedelissimo di Speciale, il generale Walter Cretella, coinvolto in un paio di indagini, è stato promosso capo della Scuola tributaria. Il generale Raffaele Romano, incappato nelle telefonate di Luciano Moggi (chiedeva due posti per la trasferta di Madrid), è diventato capo del Reparto intelligence. È un po' la versione moderna della trave nell'occhio: Moggi gli diceva che aveva problemi a dargli i biglietti perché il suo comandante aveva 'invaso l'aereo' con quattro posti, anche per il figlio. E proprio un figlio di Speciale, Massimiliano, potrebbe essere chiamato dalla Procura di Roma per chiarire una vicenda del 2004. A 'L'espresso' risulta che durante una perquisizione ordinata dal pm di Roma Cristina Palaia negli uffici di un grande mobiliere, Alberto Adinolfi, i carabinieri si sono imbattuti per caso in una cartellina con su scritto: 'Speciale-riservato'. Dentro c'erano gli ordini per i mobili e i conteggi della ristrutturazione della casa del figlio del generale. L'ordinativo intestato a Speciale junior riporta un totale di 18 mila euro, fra tavoli di marmo, armadi, letti e divani. Ci sono poi altri conteggi a penna per 42 mila euro e alcune carte sui lavori eseguiti da un'altra ditta, tutto relativo al figlio di Speciale. I carabinieri però notano alcune stranezze e sottolineano il precedente ruolo dell'alto ufficiale al vertice delle Forze Armate, dalle quali Adinolfi aveva ottenuto diverse commesse. Nello stesso faldone l'imprenditore conservava biglietti autografi e una foto del comandante. Secondo gli investigatori però manca un dato: "Il riscontro certo" dell'avvenuto pagamento dei mobili.

Da l'Espresso

 

...ED ECCO COSA SCRIVE CARLO BONINI SU "REPUBBLICA"...

Speciale_tremonti "...Roberto Speciale è un fungo cresciuto nel sottobosco in cui, per cinque anni, il centro-destra ha coltivato un disegno di controllo degli apparati che doveva avere nell'intelligence politico-militare, il Sismi di Nicolò Pollari, e nelle Fiamme Gialle, un nuovo potente e pervasivo strumento di controllo e intervento a uso politico. Un grumo di potere non più misterioso almeno da quattro anni. Di cui il governo di centro-sinistra conosceva e conosce uomini e coordinate. Di cui ha fatto le spese (la campagna sul caso Unipol, le intrusioni abusive nelle anagrafi tributarie, il sistema di spionaggio illegale in Telecom). Ma a cui sin qui non ha voluto (o potuto) mettere mano. Per insipienza, per miopia, per divisioni interne. E a cui oggi sacrifica, non a caso, il viceministro Vincenzo Visco (l'unico, a quanto pare, ad aver avvistato per tempo "criticità" che altri non hanno voluto vedere).

Eppure, non era necessario un indovino per intuire come sarebbe andata a finire. Per comprendere quale fosse la posta in gioco. Nell'autunno scorso, con l'uscita di Pollari dal Sismi, Speciale perde il suo mentore e rimane unico custode della potente macchina che, nel luglio 2003, gli era stata consegnata con ben altre e per lui più consone mansioni. E' un Carneade, "Ciccio il comandante". E, in quell'estate, quando decidono di nominarlo comandante generale della Finanza, Berlusconi e Tremonti ne ignorano persino l'esistenza. E' Nicolò Pollari, siciliano come Speciale, che garantisce per lui. Che ne sollecita e impone la nomina.

 E' l'uomo giusto, al posto giusto, al momento giusto, ragiona l'allora direttore del Sismi. E' una muffa degli Stati Maggiori della Difesa che a fatica ha superato l'Accademia militare di Modena. Un burocrate furbissimo con un debole per le belle cose (arredi e orologi), la bella gente, i bei luoghi (Capri). Che in dieci anni (dal 1993 al 2003), da poltrone di nessuna visibilità, ha coltivato una fitta rete di benevolenze [...] ... Pollari dispone. "Ciccio" esegue. Il Sismi si gonfia di ufficiali della Finanza e, va da sé, anche del figlio di Speciale, cui per qualche tempo viene affidato (con esiti disastrosi) il centro di Abu Dhabi. Speciale ridisegna i vertici del Corpo con organigrammi dettati da Pollari e dal suo delfino, il generale Emilio Spaziante, che dalla Lombardia (di cui controlla ogni ufficiale) viene portato a Roma, come capo di Stato Maggiore. Speciale fa e disfa, ritenendo di non dover neppure informare il suo comandante in seconda.

Poi, il piano Pollari va a farsi benedire. E con lui la direzione del Sismi e l'osmosi tra la nostra intelligence militare e le Fiamme Gialle. Speciale resta il solo garante, con pieni poteri di comando, di una ragnatela pazientemente tessuta per quattro anni. Di un apparato che è stato il braccio operativo dell'esecutivo di ieri, oggi opposizione. Il tentativo di Visco di cominciare a intaccarne i gangli (Milano) è troppo. Ma è anche una magnifica occasione. L'operazione può cominciare. E Speciale ne conosce l'epilogo. Si aggiusterà la fascia in vita e si farà saltare come un martire nel governo di centro-sinistra [...]   

Speciale rifiuta la Corte dei Conti
Bertinotti: pesanti ricadute politiche

Il generale: "Mi sento violentato, andrò in pensione anticipata"
Da Milano a Roma gli atti sulla corrispondenza fra il comandante e il viceministro


 In attesa del dibattito parlamentare, mercoledì al Senato, sul caso Visco, e mentre la Procura di Roma ha chiesto al Comando della GdF copia della corrispondenza (estate 2006) tra il viceministro dell'Economia e l'ex comandante generale delle Fiamme Gialle, Roberto Speciale, quest'ultimo rifiuta l'incarico presso la Corte dei Conti che gli era stato conferito venerdì scorso dal governo dopo la sua sostituzione con il generale Cosimo D'Arrigo. E nel dibattito in corso sul caso Visco interviene anche Fausto Bertinotti, che teme "ricadute politiche molto pesanti". Mentre Clemente Mastella pensa che "al Senato la maggioranza debba presentare una mozione di solidarietà con la GdF". Visco, nel tardo pomeriggio, è andato a Palazzo Chigi, dove ha incontrato Romano Prodi e i sottosegretari alla presidenza del Consiglio Enrico Letta ed Enrico Micheli.

Speciale rifiuta l'incarico. L'ex comandante ha inviato una lettera al ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa con la quale rifiuta la nomina alla Corte dei Conti. "Voglio andare in pensione anticipata", ha detto il generale al senatore De Gregorio. "Non voglio dare l'impressione - ha spiegato Speciale - di volermi svendere per un piatto di lenticchie. Nemmeno l'ultimo degli italiani deve pensare che io voglia restare abbarbicato ad una poltrona...". Speciale avrebbe potuto far ricorso al Tar contro la decisione presa dal Consiglio dei ministri: "Sono un soldato - ha spiegato ancora - sbatto i tacchi e obbedisco, mi ha destituito il governo del mio amato Paese". Tuttavia al senatore il generale spiega: "Mi sento come se mi avessero violentato, non mi hanno dato neanche l'onore delle armi...".

Plauso della Cdl. "Non avevo dubbi sul fatto che il generale avrebbe rifiutato il 'contentino'" commenta il leader di An, Gianfranco Fini. Gli fa eco il presidente dei senatori del suo partito, Altero Matteoli: la rinuncia di Speciale "conferma la sua serietà" e prova che "il baratto indecente propostogli da Prodi e Padoa-Schioppa mirava a far passare come avvicendamento quella che invece è una vera e propria rimozione ingiustificabile e ingiustificata". Per Giuseppe Marinello, del direttivo di Forza Italia, "è la dimostrazione che la dignità personale di un galantuomo non può essere barattata neanche con un più prestigioso incarico".

Il dibattito politico. L'Unione conta sul dietrofront di Antonio Di Pietro che al Senato non voterà con l'opposizione (pur disapprovando "il brusco defenestramento" di Speciale), la Cdl accusa il governo di "cercare la rissa per nascondere la verità". Se Piero Fassino si dice convinto che il dibattito in Parlamento "sarà ulteriormente chiarificatore nel dimostrare la correttezza delle decisioni assunte dal governo", Gavino Angius lancia un appello a "Sdi, Rifondazione, Comunisti italiani, e anche noi stessi": "Siamo di fronte a un compito straordinario e storico, difendere il governo e le istituzioni dall'assalto della destra", e "difendere la presidenza della Repubblica impropriamente trascinata in una polemica politica, che dimostreremo essere priva di fondamento, contro Visco e contro il governo".

Mastella: "Maggioranza presenti mozione solidarietà a GdF". Così il Guardasigilli risponde ai cronisti che gli chiedono se tema che al Senato, mercoledì, la maggioranza possa andare sotto. "La GdF è un'istituzione che va al di là di Speciale, di chi ci è stato e di chi ci sarà. Se tutto il Parlamento gli esprimesse solidarietà, sarebbe la cosa più bella per chiudere questa ferita, un gesto politico di grande rilievo". Intanto la Cdl ha deciso di mantenere sostanzialmente invariata la mozione presentata visto che la minoranza chiedeva al governo di revocare tutte le deleghe di Visco e non solo quella sulla Gdf. Domani, comunque, i capigruppo del Polo decideranno la strategia da seguire in Aula.

Bertinotti: "Ricadute politiche pesanti". Il presidente della Camera dice di non prevedere "conseguenze, a livello istituzionale, del caso Visco-GdF, perché le decisioni sono state prese dal governo nella sua autonomia, ma ricadute politiche sì, anche molto pesanti". "Informare l'opposizione" su vicende come questa "è sempre bene - aggiunge Bertinotti - ma è importante informare l'opinione pubblica sul perché di certe scelte".

Il carteggio in Procura. Il procuratore capo di Roma, Giovanni Ferrara ha chiesto l'acquisizione dell'intero carteggio intercorso, un anno fa, tra Visco e Speciale. Una parte del carteggio - che ha riguardato anche altri importanti ufficiali della GdF - è già al vaglio del procuratore capo e del pm Angelantonio Racanelli, titolari del fascicolo aperto sulle presunte pressioni che il viceministro avrebbe esercitato sul comandante. E da Milano sono stati trasmessi nella capitale gli atti riguardanti la vicenda del trasferimento, poi rientrato, dei vertici della Finanza milanese.

 

Dai dossier al segreto di Stato, tutti i punti da chiarire

Quella oscura ragnatela
che il governo non vuole vedere

di GIUSEPPE D'AVANZO


In Occidente, solitamente, è la stampa a chiedere conto alla politica delle ragioni delle sue scelte; a pretendere luce là dove c'è ombra; a reclamare una coerenza nei comportamenti là dove avvista compromessi di basso profilo fra interessi opposti a danni del bene collettivo e dell'integrità delle istituzioni. Nel nostro bizzarro Paese avviene il contrario. E' il governo a chiedere conto alla stampa delle sue cronache pur ammettendo che contengono "elementi di verità". Già quei frammenti di realtà imporrebbero al governo attenzione - se non proprio un chiarimento.

Se si volesse esagerare in retorica, si potrebbe anche sostenere che, per un esecutivo, dovrebbe essere un dovere istituzionale e morale dar conto in pubblico delle proprie decisioni che, a occhio nudo, appaiono contraddittorie o irragionevoli.

La bizzarria nazionale capovolge la scena. Fa sentire al ministro della Difesa, Arturo Parisi, il "dovere istituzionale e morale" di chiedere conto a questo giornale delle affermazioni contenute in una cronaca in cui si raccontava la "pervasività di un potere di pressione, condizionamento e ricatto" di una consorteria che definivamo una P2 per semplificazione evocativa: un "agglomerato oscuro" (la definizione è di un membro del governo in carica) che, avvantaggiato da un sistema politico frammentato, diviso e in debito di credibilità per i vizi, le anomalie e gli sprechi che si concede, è in movimento al "mercato della politica" per offrire i suoi servigi opachi.

Anche se stravagante, la richiesta di Arturo Parisi offre tuttavia l'opportunità di ritornare sulla questione con qualche dettaglio in più, utile al lettore.
Il ministro della Difesa chiede di "dar conto" di tre questioni: (1) di documentare come si possa affermare "l'intenzione del governo in carica di tutelare, anche nella nuova stagione politica, il passato i traffici e la fortuna dei protagonisti del network" che a noi sembra governato dall'ex-direttore del Sismi, Nicolò Pollari; (2) di sapere come si può "sostenere che l'ammiraglio Bruno Branciforte (il nuovo direttore del Sismi) "viene consegnato a un imbarazzato stato di impotenza"; (3) di dar conto dei "margini di manovra dei "vecchi" che troverebbe prova nel fatto che un fidatissimo braccio destro del generale Pollari è al Personale della Difesa mentre, alle dipendenze del Direttore Generale, si interessa del reclutamento dei volontari a ferma breve delle Forze Armate".

Che, più del governo di centro-destra, il governo di centro-sinistra tuteli  "il passato, i traffici e la fortuna" di quel network, che ha in Nicolò Pollari il suo leader, non è solo documentato, è certo come il lunedì segue la domenica. Nicolò Pollari è imputato di aver accompagnato l'azione della Cia nel sequestro illegale di un cittadino egiziano. E' un delitto eversivo dell'ordine costituzionale che viola la sovranità del nostro Stato e i diritti fondamentali della persona. Non proprio una marachella. A domanda della procura di Milano, nel novembre del 2005, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi esclude che ci sia il segreto di Stato sulla vicenda. Lo stesso fa Nicolò Pollari. Il 26 luglio del 2006, il presidente del Consiglio Romano Prodi, con un sorprendente ribaltamento e senza indicare alcuna ragione, oppone il segreto di Stato che dovrebbe seppellire per sempre l'affare. Di più, ricorre alla Corte Costituzionale; solleva un conflitto di competenza; denuncia "i comportamenti criminosi" dei magistrati di Milano. I fatti, ridotti all'osso, giustificano in abbondanza l'affermazione che, nel cambio di stagione politica, le responsabilità di Pollari abbiano ricevuto dal governo Prodi una tutela che Berlusconi non gli ha mai offerto. Della legittimità dell'iniziativa del governo deciderà ora la Corte Costituzionale. Il fascicolo alla Consulta ha come "relatore" Giovanni Maria Flick, che, in passato, è stato avvocato personale e ministro di Romano Prodi. Opportunità vorrebbe che il "relatore" designato si astenesse.

Si può sostenere che il nuovo direttore del Sismi, l'ammiraglio Bruno Branciforte, sia paralizzato nel suo comando? Un esempio concreto. In un'intelligence, il settore Analisi, è un ganglio vitale. Quella Direzione ancora oggi, nel Sismi, non ha un responsabile. Se si escludono quattro nomine a "caporeparto", non si è mossa una foglia in quella "ditta", che pure qualche pasticcio ha combinato (Pollari organizza in via Nazionale un ufficio di dossieraggio e disinformazione) e dunque ha bisogno di una terapia urgente. Branciforte è ritenuto dal governo il miglior uomo in campo. Sapiente, esperto, deciso (il giudizio è largamente condiviso nelle Forze Armate). Perché un militare di cui tutti apprezzano l'energia appare agitarsi come una statua del Gianicolo? Tra gli addetti ai lavori si raccoglie una sola spiegazione. Non è oggi nelle condizioni per farlo.

Un intrigante braccio destro di Pollari, sostiene Parisi, è stato reclutato alla Difesa - è vero - ma è addirittura "alle dipendenze del Direttore Generale" (3) e si occupa di minuzie. E' una replica? Si fa fatica a capirlo. Breve riepilogo. Quest'uomo, che Pollari definisce "il mio orecchio", dirige un "centro occulto" in via Nazionale. Affastella dossier contro "i nemici" di Silvio Berlusconi. Scheda rappresentanti del popolo, liberamente eletti (per dire, Cesare Salvi, Luciano Violante, Massimo Brutti, Sergio Cofferati); magistrati (Juan Ignatio Patrone); giornalisti (Serventi Longhi, Furio Colombo). Quel che è peggio - e dovrebbe forse inquietare il ministro - organizza alla vigilia delle elezioni un'operazione di discredito di Romano Prodi, candidato dall'opposizione a governare il Paese. C'è manovra più minacciosa per la democrazia? A questo pericolo si può opporre una soluzione burocratica ("è alle dipendenze del Direttore Generale")? Nemmeno un'opportunità istituzionale, ma soltanto quella che gli antropologi chiamano shame culture, la cultura della vergogna, avrebbe dovuto imporre al ministro l'esclusione del funzionario infedele dall'ambiente professionale e sociale di appartenenza. Non è avvenuto. E dunque è davvero "velenoso" parlare di un'irragionevole tutela?

Lo ripetiamo, è incomprensibile che a episodi così gravi e non contestati che deformano il confronto democratico, la libertà degli individui, i diritti costituzionali, si oppongano decisioni così storte e argomenti così minimalisti. Perché? Perché Luciano Violante, all'ipotesi di un "agglomerato oscuro" che si è messo al lavoro, replica: "Sono abituato a giudicare le cose che vedo e se si parla di poteri oscuri quelli non si vedono". L'ufficio di dossieraggio di via Nazionale lo scheda come un "nemico" di Silvio Berlusconi e, contro i "nemici" di Berlusconi, pianifica un operazione "anche cruenta". Non è oscura l'iniziativa di quel potere né il potere. Ogni cosa è concreta, documentata, illuminata e visibilissima. Come si può non vederla o girarsi da un'altra parte, con un accenno di superbia?

Quel che si fa fatica a capire, a dir la verità, è "la natura della corrente in cui siamo immersi". Anche se, a ben pensarci, il contrasto tra i propositi dichiarati e i comportamenti effettivi evoca un'immutabilità del sistema politico italiano "dove uomini e partiti non hanno idee, o per idee si spacciano affocamenti di piccole passioni, urti di piccoli interessi, barbagli di piccoli vantaggi: dove si baratta per genio l'abilità, e per abilità qualcosa di peggio" (Giosuè Carducci a proposito del quinto ministero Depretis, 19 maggio 1883).

 

Prima rimosso il capo di stato maggiore in sole ventiquattr'ore
Poi cambiata l'intera catena di controllo delle Fiamme Gialle a Milano

Quando Tremonti epurò il vertice della Gdf
Dossier Visco sulle sostituzioni della Cdl

D'Ambrosio: "Domani spiegherò perché Speciale è pericoloso"
di CARLO BONINI

Per fulminare Romano Prodi e la sua evanescente maggioranza sul caso Visco-Speciale, per rendere nitida la gravità di un brutale tentativo di spoils system nella Guardia di Finanza, Silvio Berlusconi ha usato un argomento di indubbia efficacia: "Io mi domando se fosse successo a noi...".

Bene. E' successo. Cinque anni fa. Quando - ministro dell'Economia Giulio Tremonti - venne prima rimosso in ventiquattro ore il capo di stato maggiore della Guardia di Finanza, perché ritenuto politicamente inaffidabile, e quindi avvicendata l'intera catena di comando delle Fiamme Gialle a Milano: il comandante regionale, il comandante provinciale, il comandante del nucleo regionale di polizia tributaria.

Non si levò un fiato. Nessuno ebbe a indicare inopportuni incroci con le allora indagini sui diritti tv di Mediaset, né che tra i promossi ai nuovi incarichi vi fosse l'aiutante di campo del ministro Tremonti. Non ci fu il tempestivo e preoccupato intervento dell'Avvocatura Generale per verificare la limpidezza professionale degli ufficiali che venivano messi alla porta. Non furono sollecitate lettere allarmate alla Procura della Repubblica. Non fu chiamato in causa il capo dello Stato.
La vicenda non ha nulla di segreto, ha il pregio di mettere a nudo qualche ipocrisia e, per quel che se ne sa, è tra quelle che il viceministro Visco, in questi giorni, ha ricostruito nel suo dossier consegnato a Palazzo Chigi e di cui il senato discuterà domani. I fatti, dunque.

Settembre 2001. Giulio Tremonti è da qualche mese il nuovo ministro dell'Economia. Comandante generale della Guardia di Finanza è il generale di corpo d'armata Alberto Zignani, anche lui nuovo nell'incarico (è stato nominato in marzo). Di fatto, la Guardia di Finanza ereditata dal governo di centrodestra è quella che, per quattro anni (1997-2001), ha governato e riformato il generale Rolando Mosca Moschini, uno dei migliori e più brillanti ufficiali del nostro esercito, apprezzato all'estero, integrato per lungo tempo nei comandi Nato. Mosca Moschini, oggi consigliere militare del Presidente della Repubblica, è fumo negli occhi per il centrodestra. Nella sua lunga stagione di comando in viale XXI aprile ha aggredito un grumo di potere che ha coltivato, con il rancore, voglia di rivincita. Si è liberato di Nicolò Pollari, sostituendolo dopo neppure due mesi con un nuovo capo di Stato Maggiore, il generale Giovanni Mariella, un pugliese solare, un galantuomo di buon carattere che, di fatto, nel settembre 2001, quando Moschini lascia il comando ne raccoglie l'eredità.

Mariella dura poco. Alla fine di settembre del 2001, il centrodestra se ne libera in ventiquattro ore, sostituendolo con il generale Nino Di Paolo. Delle ragioni della sua destituzione il comandante generale Zignani non offre nessuna spiegazione. Né, soprattutto si comprende, perché, una volta avvicendato, Mariella finisca nel magazzino delle scope del Comando. Per lui non ci sono incarichi di prestigio. Non ci sono poltrone da vicesegretario del Cesis (che, a quanto pare, sono invece un esito di carriera naturale se gli ex capi di stato maggiore si chiamano Nicolò Pollari ed Emilio Spaziante). C'è solo un lungo esilio da comandante interregionale della Guardia di Finanza dell'Italia meridionale. Fino a quando, quattro mesi fa, non se lo porta via una malattia fulminante. Ai suoi funerali a Napoli, lo scorso 24 febbraio, nella basilica di san Francesco di Paola, in piazza Plebiscito, sono presenti sia il comandante generale Roberto Speciale che l'ex comandante Mosca Moschini. Ed è lui a pronunciare un ricordo che convince Speciale a lasciare infuriato la chiesa prima del feretro, per un caffè al "Gambrinus" insieme al suo seguito di ufficiali.

Ma torniamo a quell'autunno 2001. Perché accade qualcosa di più. Contemporaneamente alla destituzione di Mariella, su sollecitazione di Tremonti, viene ridisegnata competenza e gerarchia degli uffici periferici del II Reparto, l'intelligence della Guardia di Finanza (che Mariella, prima di diventare capo di Stato maggiore, ha comandato), stanza di scambio e compensazione con il Sismi, la nostra intelligence militare. Delle informazioni che raccoglieranno sul territorio, i "nuovi" reparti informazione non risponderanno più al Comando generale, ma ai comandi regionali. La "riforma" coincide con l'allontanamento di alcuni dei responsabili del reparto informazioni a Milano, come a Roma. Rende i comandanti regionali centri nevralgici nella raccolta delle informazioni, accrescendone il potere. E annuncia quel che accadrà nell'ottobre del 2002.

In un unico giro di avvicendamenti, viene sostituita l'intera catena di comando della Guardia di Finanza di Milano. Il comando interregionale della Lombardia viene assegnato al generale Emilio Spaziante. Uomo di Pollari, suo luogotenente in una piazza che esprime la nuova classe dirigente politica, i suoi interessi economici. Comandante provinciale è nominato il colonnello Rosario Lo Russo. Ma, soprattutto, al Nucleo regionale di polizia tributaria arriva il colonnello Stefano Grassi. L'ufficiale è aiutante di campo del ministro Tremonti. Ha lavorato al ministero dell'economia insieme a Marco Milanese, capo della segreteria del ministro, altro brillante ufficiale della Finanza che ha avuto quale suo compagno di corso Dario Romagnoli, poi passato allo studio tributario di Milano dello stesso Tremonti.

Gerardo D'Ambrosio, allora procuratore della Repubblica di Milano, oggi senatore dei Ds, ha un ricordo sfumato di quegli avvicendamenti. Sicuramente non prese carta e penna per redigere lettere allarmate. "Perché - dice - la legge stabilisce che il procuratore della repubblica e il procuratore generale non hanno alcun potere di intervento sui trasferimenti di ufficiali al vertice della catena di comando locale della Guardia di Finanza a meno che non si tratti di ufficiali di polizia giudiziaria. Perché in questo caso, non solo devono essere informati ma è addirittura necessario il loro consenso. Sicuramente, nessuno in quell'occasione, al contrario di come mi pare sia invece accaduto nel caso Visco, venne a sollecitare un mio interessamento a quel che stava accadendo". Aggiunge l'ex Procuratore: "La verità è che da questa storia ho tratto delle convinzioni che, domani, proverò a comunicare all'aula del Senato. Un ufficiale come il generale Speciale è pericoloso innanzitutto per la Guardia di Finanza. Se le cose fossero andate come lui dice, un anno fa avrebbe dovuto prendere la porta e denunciare Visco alla competente Procura di Roma per poi dimettersi un minuto dopo. Non mi risulta lo abbia fatto. Perché?".