Come si faceva...   il pane


Fare il pane è facile saperlo fare è arte

Ricordo che mia nonna lo faceva cosí.... La sera precedente al giorno in cui doveva fare il pane, impastava una piccola quantitá di farina con acqua tiepida ed il "criscito" (lievito naturale ottenuto da una parte di pasta di pane lasciata dalla precedente panificazione). L'indomani mattina presto completava l'impasto mescolando l'acqua calda, in cui aveva fatto sciogliere del sale prima, e la farina nella fazzatora (madia) fino a trasformarla in pasta: lavorava (ammassava) con le mani a pugno chiuso per circa due ore, su e giù, su e giù, sino a farla diventare solida e compatta.
Lasciava lievitare la pasta nella fazzatora (madia), coperto da un panno bianco e delle coperte pesanti, possibilmente di lana; se era d'inverno, sotto la fazzatora ci sistemava un braciere pieno di carboni accesi per aiutare la pasta a "crescere".
Dopodiché controllava se l'impasto era cresciuto, poi, distendeva sul tavolo la pasta lievitata cospargendolo con un po' di farina per non farla appiccicare, l'allungava e la tagliava a pezzi. Ogni pezzo lo arrontondava con le mani a forma di panello e avvolto in un salvietto lo deponeva in un cestino (o canistro) o nella madia per una seconda lievitura; un po' di pasta la lasciava in un piatto che utilizzava come lievito (criscito) per la prossima volta che faceva il pane.
...pane... Infine i panelli li copriva con coperte di lana e li lasciava a crescere per tre ore. Intanto che il pane cresceva accendeva la legna nel forno che, per essere pronto per la cottura, doveva essere caldissimo. Adoperava sempre della legna ben secca, la quale produce una fiamma limpida senza mandar fumo, o ne mandi ben poco; e le fascine le faceva ardere successivamente ad una per volta su vari punti del forno, cosicché a questo si scaldava uniformemente dappertutto, e poi toglieva con l'attizzatoio la brace ardente verso la bocca del forno, disponendola ammucchiata ai due lati. Alla porta del forno c'era sempre, immancabilmente, una pila di pietra piena d'acqua che, serviva per bagnare gli stracci per ripulire il forno dalla brace e dalla cenere prima di depositare la pasta a cuocere. Gli stracci erano legati ad un tondino di ferro lungo forse due metri tanto da poter raggiungere tutte le parti interne del forno. Alla buca piccola del forno accendeva le fascine, perché la fiamma mantenesse caldo il forno e vi facesse luce.
I pezzi di pane uno alla volta li metteva su una pala di legno e li sistemava con ordine nel forno.
Infine la bocca del forno la chiudeva con una grossa pietra o da una porticina di ferro. Dopo circa un'ora e mezza, due ore, apriva il forno e con la pala estraeva i pezzi di pane (le scanate) e li metteva sul tavolo, o nella madia a raffreddare, infine li conservava nello stipo.
Ad Airola, al giorno d'oggi, sono rare le famiglie che fanno il pane in casa, molti però tengono ancora il forno di mattoni nelle abitazioni. Nei tempi passati le famiglie che non avevano il grano dovevano acquistarlo. La trebbiatura allora si eseguiva con i buoi sull'aia, restavano nel grano molte impurezze e il grano "scognato" (trebbiato) richiedeva una buona lavatura e conciatura. In una bella giornata di sole si preparavano due tini di legno quasi pieni di acqua. Si immergeva il grano in un tino, si prendeva con il crivello (o crivo), si muoveva con le mani e si passava nell'altro tino per la stessa funzione; da questo tino veniva messo nei cesti e portato su panni distesi a terra ove era sparso. Ogni tanto il grano si rivoltava con la zappa di legno. Dopo che si era asciugato bene, si conciava per togliere altre impurezze. Il grano lavato si conservava in sacchi in attesa della sfarinatura. Quando, invece, occorreva fare il pane il grano veniva portato al più vicino molino ad acqua, per essere macinato ed ottenere così la farina necessaria.

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