Sì,
lo odio, forse da quando se non ti piacevano Ladri
di biciclette (e, più avanti, i fratelli Taviani, e
più avanti ancora Nanni Moretti), ti dicevano che eri ai
margini della Storia, se andava bene, o ti consigliavano una
vacanza in Siberia, se andava male. Lo odio perché non ho mai
potuto sopportare l’anima demagogica, populista e
stracciarola della cultura italiana (e della sinistra
italiana). Lo odio perché non ho mai potuto sopportare il ‘melodramma’,
la retorica, la tromboneria. Una volta Ennio Flaiano scrisse
che “i campi d’Italia son seminati a retorica”:
quanto aveva ragione. Lo odio perché – anche, se non altro
– il cinema neorealista è tutto meno che di sinistra, e
dunque il suo è un culto che si morde la coda.
Ma
l’avete visto, Ladri di
biciclette? Dunque. C’è quest’uomo che finalmente
trova un lavoro: di merda, deve pagare per averlo (si impegna
le lenzuola per disimpegnare la bici), ma comunque è un
lavoro: significa pane (quando ce n’era poco), e dignità
(quando ce n’era ancora meno). Ma gli rubano la bici, e lui
per riaverla attraversa una Roma sottoproletaria che è –
quella sì, forse involontariamente: ma ci ritorno dopo –
assolutamente sincera: cattiva, imbrogliona, maligna. Cornuto
e bastonato, alla fine rimane senza bici, cioè senza lavoro,
e con le ultime lire in tasca. Beh, cosa credete che faccia?
Che le usi per comprarsi una pistola e rapinare una banca? Che
salga sul Colosseo e minacci di buttarsi di sotto se non gli
danno un altro lavoro?Che
fondi una cellula anarchica contro il sistema? Macché! Siamo
italiani, non dimenticatevelo, e dunque... con le sue ultime
lire va all’osteria: un fiasco di vino e una mozzarella in
carrozza, e il mondo ti sorride. Chi ha avuto ha avuto ha
avuto/chi ha dato ha dato ha dato/scurdammoce ‘o passato/nu
ce pensamme ‘cchiù.
E
Miracolo a Milano, l’avete visto anche quello? Con
quel cretino morto di fame e di freddo, vestito di stracci,
che se ne va in giro per la città a dire ‘buongiorno’ a
tutti? Ma – mi sono sempre chiesto – che cazzo di
buongiorno ti dici? Dov’è il tuo ‘buon’ giorno? Tra le
baracche? In mezzo agli stracci? Nel fango? Ma perché non
t’incazzi, perché non fai anche tu una bella rapina, che ne
so, un borseggio, almeno uno scippo ad una borghese
impellicciata? Niente. Lui fa la fame, e dice ‘buongiorno’.
E Sciuscià? Avrete
visto anche quello. Coi due ragazzini in riformatorio – è
facile immaginarli, violentati, umiliati, riempiti di botte
– che invece di organizzare una bella rivolta, magari
prendendo in ostaggio il direttore e le guardie, che fanno?
Sognano un cavallo bianco!!!
Qualcosa
si salva, comunque. Umberto D., forse il più
antiretorico dei film neorealisti, e proprio per questo quello
che ha avuto minor successo, di critica e di pubblico, a
dimostrazione ancora una volta che quel che piaceva agli
italiani del neorealismo erano i suoi contenuti
strappalacrime, da sceneggiata napoletana, e che se appena
appena gli mostravi la verità voltavano la faccia
dall’altra parte. E Roma città aperta, un film
asciutto, rigoroso e ‘spietato’, con una grandissima prova
d’attore del grande Aldo Fabrizi (grande come è sempre
stato: permettetemi di ricordare, anche se qui non c’entra,
il tragico personaggio del palazzinaro nel bellissimo C’eravamo
tanto amati di Scola); talmente bello da avermi fatto
sopportare perfino la presenza di Anna Magnani, credo
l’attrice che più detesto nel cinema, icona della
sottoproletaria in tutte le varianti possibili: mamma ‘materna’,
femmina da sensualità da borgata (ricordate le sue sottovesti
nere e le ascelle sudaticce nella Rosa tatuata, con Raf
Vallone? Grottesco), pescivendola volgare e becera,
autenticamente ‘italiana’. E si salva, spesso, la
fotografia, povera ed essenziale, anche se, appunto, mi pare
che indulga troppo spesso ad un linguaggio più pauperistico
che povero, e molto sentimentale.
Comunque,
tornando alla questione, è di destra o di sinistra, il cinema
neorealista? Né l’uno né l’altro. Il cinema neorealista
è stato il primo esempio in Italia di cultura bipartisan. Era
di sinistra, perché la sinistra ama (credere) che i poveri
siano buoni, e dunque quel cinema li dipingeva così: buoni,
gentili, poveri-ma-belli. Era di destra, perché la borghesia
italiana del dopoguerra aveva bisogno che i poveri se ne
stessero buoni buoni, tutti ordinati e coperti, a lavorare per
la ricostruzione, ed aveva terrore ed orrore della ribellione;
e dunque l’attacchino derubato e disperato invece di
ribellarsi va a mangiarsi la mozzarella, i barboni milanesi,
invece di salire sulle barricate VOLANO IN PARADISO (!!!), e i
figli di nessuno, invece di distruggere la Bastiglia sognano
cavalli bianchi.
C’è
stato un solo film, in Italia - non neorealista ma
semplicemente realista - che abbia dipinto i poveri
come sono davvero, com’è ovvio che siano, quando
sono vittime del degrado morale e materiale indotti dalla
povertà: Brutti, sporchi e cattivi, del geniale Scola,
e naturalmente è stato accusato di essere di destra. Questo
è il destino di chi dice la verità a chi, per una ragione o
per l’altra, proprio non vuol sentirsela dire.