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Batosta/5
IL COMMENTO
Due padri per una sconfitta
di MASSIMO GIANNINI*
Lo tsunami del 13 aprile
sommerge la Capitale. Com'era prevedibile, l'onda lunga della destra
italiana
travolge
anche l'ultima, flebile "resistenza" romana. La vittoria a Sondrio o a
Vicenza è un pannicello caldo, che non lenisce ma semmai acuisce la ferita
profonda patita dal centrosinistra, prima a livello nazionale e poi, dopo i
ballottaggi, a livello locale. Con la trionfale marcia su Roma di Alemanno
la sconfitta del Pd diventa disfatta. Una disfatta che non è orfana, ma
stavolta ha almeno due padri.
C'è un padre, sul piano della proiezione politica romana. Si chiama
Francesco Rutelli. Nonostante l'ottimo passato da sindaco negli ormai
lontanissimi anni '90, stavolta Rutelli è stato un handicap, non una
risorsa.
Non è un giudizio politico,
ma numerico. Il
candidato alla provincia del Pd Zingaretti, nelle stesse circoscrizioni in
cui si votava anche per le comunali, ha ottenuto 731 mila voti contro i 676
mila ottenuti da Rutelli. Vuol dire che quasi 60 mila elettori di
centrosinistra, con un ragionato ancorché masochistico calcolo politico,
hanno votato "secondo natura" alla provincia, mentre hanno fatto il
contrario per il Campidoglio.
Piuttosto che votare l'ex vicepremier del governo Prodi, hanno annullato o
lasciato bianca la scheda. In molti casi hanno addirittura votato Alemanno.
Dunque, a far montare la "marea nera" della Capitale che ha portato alla
vittoria il candidato sindaco del Pdl ha contribuito un'evidente
"pregiudiziale Rutelli" a sinistra. Soprattutto nelle aree più radicali. Che
magari non ne hanno mai apprezzato "l'equivicinanza" tra le disposizioni
della Curia vaticana e le posizioni della cultura laica. E che forse,
punendo Rutelli, hanno deciso di dare una lezione al Pd, colpevole di aver
"cannibalizzato" la sinistra nel voto nazionale di due settimane fa. Con una
campagna elettorale imperniata su un principio giusto (l'autosufficienza dei
riformisti) ma declinato nel modo sbagliato (il principale "nemico" è la
sinistra). Così Veltroni, salvo che negli ultimissimi giorni, ha finito per
perdere di vista il vero avversario, cioè Berlusconi. Adottando nei
confronti del Cavaliere una forma di parossistica "pubblicità involontaria",
con la trovata non proprio geniale del "principale esponente dello
schieramento a noi avverso", ripetuta ossessivamente, fino all'assurdo, e
così trasformata in un boomerang.
Di questa
disfatta, quindi, c'è un padre anche sul piano della dimensione politica
nazionale. Quel padre si chiama Walter Veltroni. Il leader del Pd ha
scontato un deficit oggettivo: nella partita sulla sicurezza, determinante
nel giudizio degli elettori in tutta Italia e nelle singole città, ha dovuto
inseguire il Pdl. E da sempre, in quello che Barbara Spinelli sulla Stampa
definisce il "populismo penale", la destra eccelle storicamente sulla
sinistra. Semplicemente perché, nella percezione dei cittadini impauriti
(giusta o sbagliata che sia) "does it better": può farlo meglio. Ma il
leader del Pd ha pagato anche un errore soggettivo: non ha capito che la
sfida su Roma avrebbe richiesto un altro "metodo di selezione", più consono
all'idea del Partito democratico costruito "dal basso", che gli elettori
avevano iniziato a conoscere e ad apprezzare con le primarie.
La candidatura di Rutelli, al contrario, è il frutto dell'ennesima alchimia
di laboratorio (o di loft). Una collocazione di "prestigioso ripiego", per
un dirigente che è già stato sindaco due volte, che ha corso e perso
un'elezione politica nel 2001, che è stato vicepremier nel 2006 e che ora,
nel nuovo organigramma del Pd sconfitto il 13 aprile, rischiava di
ritrovarsi senza un "posto di lavoro". L'opinione pubblica, di sinistra ma
anche di centro e di destra, ne ha tratto la sgradevolissima
impressione
di una nomenklatura che usa le istituzioni come "sliding doors". Porte
girevoli, dalle quali si entra e si esce secondo opportunità pratica
personale, e non secondo utilità politica generale.
Ora, sul terreno di questa incipiente Terza Repubblica, per il centrodestra
si aprono le verdi vallate
del
governo nazionale e locale, da Milano a Roma, con la fine di quello che Ilvo
Diamanti definisce il "bipolarismo metropolitano". Per il centrosinistra, al
contrario, non restano che macerie. Risultati alla mano, è difficile
contestare l'irridente sberleffo di uno striscione della destra che, in
serata, inneggiava a "Veltroni santo subito", lungo la scalinata del
Campidoglio: "Con le primarie ha fatto cadere il governo Prodi. Con le
politiche ha cacciato i comunisti dal Parlamento. Candidando Rutelli ha
perso Roma".
L'analisi è rozza, ma ha un suo fondamento. Ora il Pd corre un rischio
mortale. All'indomani della disfatta, un regolamento di conti al vertice
sarà inevitabile. Ma a un anno dalle elezioni europee, nelle quali si voterà
con il proporzionale, un possibile ritorno al passato (cioè alla vecchia e
agonizzante divisione Ds-Margherita) sarebbe imperdonabile.
*Massimo
Giannini, editorialista della Repubblica
(fonte la Repubblica del 28 aprile 2008)
(La repubblica di tersite, 30 aprile 2008) |
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