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              Speciale elezioni politiche 2008

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 Alemanno marcia su Roma

 

 

| speciale elezioni 2008 | la repubblica di tersite | 12 settembre 2008

Batosta/5

IL COMMENTO

Due padri per una sconfitta

di MASSIMO GIANNINI*

 

Lo tsunami del 13 aprile sommerge la Capitale. Com'era prevedibile, l'onda lunga della destra italiana Alemanno esulta per la vittoria al comunetravolge anche l'ultima, flebile "resistenza" romana. La vittoria a Sondrio o a Vicenza è un pannicello caldo, che non lenisce ma semmai acuisce la ferita profonda patita dal centrosinistra, prima a livello nazionale e poi, dopo i ballottaggi, a livello locale. Con la trionfale marcia su Roma di Alemanno la sconfitta del Pd diventa disfatta. Una disfatta che non è orfana, ma stavolta ha almeno due padri.

C'è un padre, sul piano della proiezione politica romana. Si chiama Francesco Rutelli. Nonostante l'ottimo passato da sindaco negli ormai lontanissimi anni '90, stavolta Rutelli è stato un handicap, non una risorsa.
Non è un giudizio politico, ma numerico. Il candidato alla provincia del Pd Zingaretti, nelle stesse circoscrizioni in cui si votava anche per le comunali, ha ottenuto 731 mila voti contro i 676 mila ottenuti da Rutelli. Vuol dire che quasi 60 mila elettori di centrosinistra, con un ragionato ancorché masochistico calcolo politico, hanno votato "secondo natura" alla provincia, mentre hanno fatto il contrario per il Campidoglio.

Piuttosto che votare l'ex vicepremier del governo Prodi, hanno annullato o lasciato bianca la scheda. In molti casi hanno addirittura votato Alemanno. Dunque, a far montare la "marea nera" della Capitale che ha portato alla vittoria il candidato sindaco del Pdl ha contribuito un'evidente "pregiudiziale Rutelli" a sinistra. Soprattutto nelle aree più radicali. Che magari non ne hanno mai apprezzato "l'equivicinanza" tra le disposizioni della Curia vaticana e le posizioni della cultura laica. E che forse, punendo Rutelli, hanno deciso di dare una lezione al Pd, colpevole di aver "cannibalizzato" la sinistra nel voto nazionale di due settimane fa. Con una campagna elettorale imperniata su un principio giusto (l'autosufficienza dei riformisti) ma declinato nel modo sbagliato (il principale "nemico" è la sinistra). Così Veltroni, salvo che negli ultimissimi giorni, ha finito per perdere di vista il vero avversario, cioè Berlusconi. Adottando nei confronti del Cavaliere una forma di parossistica "pubblicità involontaria", con la trovata non proprio geniale del "principale esponente dello schieramento a noi avverso", ripetuta ossessivamente, fino all'assurdo, e così trasformata in un boomerang.

Di questa disfatta, quindi, c'è un padre anche sul piano della dimensione politica nazionale. Quel padre si chiama Walter Veltroni. Il leader del Pd ha scontato un deficit oggettivo: nella partita sulla sicurezza, determinante nel giudizio degli elettori in tutta Italia e nelle singole città, ha dovuto inseguire il Pdl. E da sempre, in quello che Barbara Spinelli sulla Stampa definisce il "populismo penale", la destra eccelle storicamente sulla sinistra. Semplicemente perché, nella percezione dei cittadini impauriti (giusta o sbagliata che sia) "does it better": può farlo meglio. Ma il leader del Pd ha pagato anche un errore soggettivo: non ha capito che la sfida su Roma avrebbe richiesto un altro "metodo di selezione", più consono all'idea del Partito democratico costruito "dal basso", che gli elettori avevano iniziato a conoscere e ad apprezzare con le primarie.

La candidatura di Rutelli, al contrario, è il frutto dell'ennesima alchimia di laboratorio (o di loft). Una collocazione di "prestigioso ripiego", per un dirigente che è già stato sindaco due volte, che ha corso e perso un'elezione politica nel 2001, che è stato vicepremier nel 2006 e che ora, nel nuovo organigramma del Pd sconfitto il 13 aprile, rischiava di ritrovarsi senza un "posto di lavoro". L'opinione pubblica, di sinistra ma anche di centro e di destra, ne ha tratto la sgradevolissima
amministrative di Roma, la destra ringrazia Weltroniimpressione di una nomenklatura che usa le istituzioni come "sliding doors". Porte girevoli, dalle quali si entra e si esce secondo opportunità pratica personale, e non secondo utilità politica generale.

Ora, sul terreno di questa incipiente Terza Repubblica, per il centrodestra si aprono le verdi vallate
del governo nazionale e locale, da Milano a Roma, con la fine di quello che Ilvo Diamanti definisce il "bipolarismo metropolitano". Per il centrosinistra, al contrario, non restano che macerie. Risultati alla mano, è difficile contestare l'irridente sberleffo di uno striscione della destra che, in serata, inneggiava a "Veltroni santo subito", lungo la scalinata del Campidoglio: "Con le primarie ha fatto cadere il governo Prodi. Con le politiche ha cacciato i comunisti dal Parlamento. Candidando Rutelli ha perso Roma".

L'analisi è rozza, ma ha un suo fondamento. Ora il Pd corre un rischio mortale. All'indomani della disfatta, un regolamento di conti al vertice sarà inevitabile. Ma a un anno dalle elezioni europee, nelle quali si voterà con il proporzionale, un possibile ritorno al passato (cioè alla vecchia e agonizzante divisione Ds-Margherita) sarebbe imperdonabile.

*Massimo Giannini, editorialista della Repubblica

(fonte la Repubblica del 28 aprile 2008)

(La repubblica di tersite, 30 aprile 2008)

massimo giannini editorialista della repubblica

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