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La sconfitta del partito democratico dopo il
voro del 13 e 14 aprile 2008
Quei 7 punti persi dal centrosinistra
di ILVO DIAMANTI
A leggere i titoli dei giornali di oggi c'è da stropicciarsi gli occhi. Pare
di essere tornati indietro di 10-15 anni. Ai trionfi di Forza Italia e della
Lega. Una marcia rapida verso il passato. Con la differenza che, allora,
Lega e FI erano concorrenti. Alle elezioni del 1994: vinsero insieme, nel
Polo delle Libertà. Ma FI cannibalizzò la Lega. Nel 1996 avvenne il
contrario. La Lega corse da sola, contro il Polo. E sfondò, nel Nord,
realizzando il maggiore risultato della sua storia. A spese di FI.
In queste elezioni, invece, la Lega si è affermata, anzi, ha trionfato
alleandosi con FI e AN, confluiti nel Popolo della Libertà. L'ultima
invenzione di Silvio Berlusconi. Non un leader, ma, come ha sottolineato
Mauro Calise sul Mattino, "il capo". Un accordo vantaggioso per tutti. Il
Pdl, nel Centrosud, ha, infatti, ampiamente recuperato i voti "ceduti", nel
Nord, alla Lega. Che, peraltro, ha conquistato alla causa comune consensi
che vanno molto al di là dei confini di centrodestra. Quanto alle forze
politiche di centrosinistra, si tratta di una pesante sconfitta. Al di là
delle attese. Disastrosa per la Sinistra Arcobaleno. Per capire perché e
come sia avvenuto tutto ciò, conviene precisarne meglio le misure, le
dinamiche, la geografia, la sociologia del risultato. In modo sommario e,
necessariamente, approssimativo.
1. Il successo di Berlusconi è stato netto. La sua coalizione ha ottenuto
oltre 17 milioni di voti alla Camera. Circa 3 milioni e mezzo in più
dell'alleanza Pd e IdV, che sosteneva Veltroni. La quale prevale solo nelle
regioni rosse (+14 punti percentuali). Inoltre, c'è equilibrio nelle regioni
del Centrosud (Lazio, Abruzzo e Molise: +2 punti per il Cavaliere). Mentre
nelle altre zone il successo di Berlusconi appare schiacciante: +17 punti
nel Nordovest, +19 nel Nordest, +15 nel Mezzogiorno e nelle Isole.
Difficile, per il centrosinistra, agitare la "questione settentrionale",
questa volta. Perché altrettanto grave, per questa parte politica, risulta
la "questione meridionale". D'altronde, nel Sud, la coalizione di Veltroni,
rispetto al 2006, è cresciuta di un solo punto, grazie all'IdV.
2. Dal punto di vista territoriale, il Pdl è il primo partito in 67
province, il Pd in 35, la Lega in 6. Il Pd prevale nelle tradizionali
regioni rosse (Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Marche). Inoltre, nelle
nuove regioni "rosa" del Centrosud: Molise e Basilicata. Mentre crolla in
alcune regioni dove, negli ultimi dieci anni, si era consolidato. Fra tutte:
la Campania.
3. La Lega si impone ovunque, nel Nord padano. Ma soprattutto nelle sue zone
di origine. Nelle zone pedemontane, che hanno conosciuto negli ultimi
vent'anni una grande crescita dell'economia di piccola impresa. Supera il
30% in 5 province: Sondrio, Verona, Bergamo, Vicenza e Treviso. Ma in altre
20 va oltre il 15. Da Belluno a Cuneo, passando per Brescia, Como e Varese.
La stessa mappa del '92. Che, a sua volta, riassume la propagazione del voto
leghista dal 1983 in poi. La sorpresa di chi continua a sorprendersi dei
successi della Lega, a intervalli regolari, è, quindi, fuori luogo. Oggi è
il partito che ha più storia tra quelli presenti in Italia. Viene da
lontano. Ha quasi 30 anni. È radicato. Governa città e province. Nel 1993
(qualcuno lo dimentica) conquistò Milano.
4. Il Pdl è partito più forte in quasi tutto il Mezzogiorno, isole comprese.
Soprattutto in Sicilia, dove raggiunge livelli elevatissimi. Ma è forte
anche nel Nordovest. Ripercorre e riproduce la geografia e la biografia dei
soci fondatori. FI, che, fin dall'origine, ha ottenuto le migliori
performance nel Nordovest, lungo l'asse che collega Milano alla Liguria
Occidentale; nelle isole, soprattutto in Sicilia; nella fascia tirrenica del
Mezzogiorno. An: che ha ereditato e rafforzato il bacino elettorale del Msi,
nel Centrosud, lungo l'asse che unisce il Lazio alla Puglia.
5. Malgrado il profondo rinnovamento dell'offerta politica degli ultimi
mesi, quindi, la geografia del voto non è cambiata. Le fedeltà politiche
territoriali degli italiani appaiono più forti di ogni influenza mediatica.
Più vischiose di ogni personalizzazione.
La novità, semmai, è che la Lega, per la prima volta, ottiene un risultato
travolgente insieme al centrodestra. Non "sola contro tutti". Probabilmente
perché, in questi anni, ha potuto operare all'opposizione. La posizione che
sa sfruttare meglio.
6. Infine, l'Udc ha tenuto il suo segmento di voti. Limitato, ma comunque
stabile. Le forze politiche della Sinistra Arcobaleno, invece, hanno subito
un vero tracollo. Hanno perduto il 7% su base nazionale. Nel 2006, avevano
ottenuto oltre il 10% dei voti validi. Alle elezioni dei giorni scorsi,
insieme, poco più del 3%. Oltre due milioni e mezzo di voti in meno.
7. Una voragine aperta nel centrosinistra. Che la coalizione guidata da
Veltroni ha colmato in minima parte. IdV ha sicuramente ottenuto un buon
risultato. Il 4,4%. Quasi il doppio rispetto a due anni fa. Quanto al Pd, se
consideriamo insieme i partiti che ne fanno parte (oltre a Ds e Margherita,
anche i Radicali e la lista dei Consumatori), rispetto al 2006 si osserva
una crescita molto ridotta: meno di 1 punto percentuale. Che si realizza
soprattutto nelle zone rosse e nel Centrosud. Mentre nel Nord e nel
Mezzogiorno è sostanzialmente fermo. Oppure perde qualcosa. In altri
termini: il Pd ha intercettato i voti delle forze politiche che lo hanno
promosso. Ma non è riuscito ad attrarre flussi aggiuntivi. Dal centro e
soprattutto da sinistra.
8. Così, se consideriamo il bacino elettorale di destra e sinistra delineato
dalla Cdl e dall'Unione nel 2006, oggi, il piatto della bilancia pende
decisamente a destra. In particolare, i voti delle forze politiche di
centrosinistra (l'Unione), rispetto a due anni fa, sono calati di quasi 7
punti percentuali. Esattamente quelli perduti dalla Sa. Finiti,
evidentemente, altrove. Insieme a molti socialisti. Se osserviamo i primi
flussi elettorali (elaborati da Ipsos su dati aggregati, utilizzando il
modello di Goodman), ne abbiamo conferma. Su 10 elettori dei partiti di
sinistra radicale, infatti, sembra che meno di 3 siano rimasti fedeli, altri
2 abbiano votato per il Pd e IdV, seguendo il richiamo del voto utile. La
metà di essi, invece, si è divisa equamente, fra l'astensione e altre
formazioni politiche. In minima parte di estrema sinistra, soprattutto di
centrodestra. Per il Pdl, nel Mezzogiorno. Per la Lega, in molte zone del
Nord.
Non ci soffermiamo sulle ragioni politiche di questa diaspora. Ci limitiamo,
invece, a sottolineare come contribuisca a enfatizzare un problema di
rappresentanza e di prospettiva, già evidente in passato. Come hanno
mostrato le indagini di Demos, pubblicate su Repubblica nelle ultime
settimane, il Pd prevale, sotto il profilo elettorale, fra gli impiegati
pubblici e i pensionati. Mentre il Pdl supera, nettamente, il Pd fra gli
imprenditori, i lavoratori autonomi e i dipendenti del privato. Infine, tra
i giovani (soprattutto se lavorano).
Da ciò l'interrogativo. Quale futuro può attendere una forza politica
riformista di centrosinistra asserragliata nelle tradizionali regioni rosse?
Straniera nel Nord e spaesata nel Mezzogiorno? Se non riesce a parlare ai
più giovani, alle classi produttive? Ai ricchi e neppure ai più poveri?
(16 aprile 2008)
(La repubblica di tersite, 19 aprile 2008) |
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