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              Un voto in panchina

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 Speciale elezioni politiche 2008

Tersite

EDITORIALE
di Tersite

 

Lettera a Walter Veltroni, candidato premier del PD

UN VOTO IN PANCHINA

di Tersite

IL 13 E 14 APRILE siamo chiamati a scegliere da chi vogliamo essere governati per i prossimi cinque anni. Una campagna elettorale inondata da fiumi di promesse, sollecitando l’elettore a non disperdere il voto ma esprimerlo in modo “utile”. Utile nel senso maggioritario: cioè o di qua o di la. Di spogliare il voto della sua radice ideologica e darne un senso pragmatico.

Lei caro Walter non può pretendere tanto da chi come me fa uso dell’arma della critica e dell’analisi: chiedere un voto pragmatico è come chiedere di prostituirsi, di vendere l’anima al diavolo, sperando ancestralmente che il diavolo ti ricompensi per la fiducia concessa. Con il pragmatismo di stampo anglosassone lei si pone nel modo più equidistante dal voler sanare la vera contraddizione che vive l’umanità, lasciando le cose come stanno conservando una realtà fortemente caratterizzata dall’egemonia del denaro e della ricerca del successo.

Un uomo politico “democratico” non può chiedere tanto. Non può pretendere che il “sogno” di un mondo migliore venga abbandonato, solo perché la forza della realtà impone delle scelte contingenti. Un uomo senza speranza, senza sogni è un uomo spogliato, nudo della ragione e nelle mani di qualsiasi demiurgo che manipola la realtà materiale facendogli credere che basti un “volemoce bene” per sentirsi e stare meglio.

Lei ha scelto di correre da solo. Ha fatto una scelta radicale. Ha scelto di diventare adulto. Di svegliarsi e di non “sognare” più. E adesso chiede agli elettori di fare altrettanto: scegliere tra due forze solamente: "tanto le altre non contano". Ma, non sono (le altre) forze politiche che non contano: sono le istanze materiali della gente che contano, caro Walter. E queste istanze nelle due forze maggiori che si contendono il governo del paese, sono state lasciate inascoltate, marginalizzate. Al massimo le sofferenze della gente vengono lenite concedendo paternalisticamente un elemosina: un contentino, un tozzo di pane giusto per la sopravvivenza.

Se circa 10 milioni di italiani sono sotto la soglia di povertà, non ci potranno essere ricette riformiste per fare uscire queste “povere” famiglie dallo stato di bisogno. E’ sotto gli occhi di tutti che larga parte del ceto medio italiano si sta “proletarizzando”, cioè ha perso la capacità reddituale di poter acquistare quei beni e servizi che esso stesso produce. Di chi sono le responsabilità?

Delle questioni eticamente sensibili, meglio non parlarne: l’Italia non è la Spagna di Zapatero. E tanto basta per capirci.

Sono fortemente dispiaciuto del suo strappo con la sinistra. Oggi Lei promette più diritti per i deboli: maggior salario, più garanzie sociali. Ma sono state proprie le rivendicazioni fatte dalla sinistra – che lei chiama radicale – nel governo Prodi, e che le forze politiche moderate del suo schieramento hanno sempre osteggiato. Se il governo Prodi, può cucirsi addosso qualche merito, questo è possibile grazie a quella sinistra “massimalista” da cui Lei si è voluto separare. E che ha lottato all'interno della maggioranza per farle diventare legge!

Caro Walter, Lei apostrofa negativamente massimalista una cultura politica che si fa carico di sanare le contraddizioni di un sistema economico che in nome del profitto lascia 4 miliardi di persone di questa pianeta nello stato di forte povertà sfruttando e minacciando la vita stessa del pianeta in cui viviamo.

Non esiste caro Walter uno sviluppo sostenibile. Sono giochi di parole per non mettere in discussione l’organizzazione socio-economica del capitalismo, affinchè si difendano i suoi interessi e si conservi il suo dominio. Solo un mondo nuovo, non costruito e fondato sulla produttività e il surplus delle merci può arrestare la distruzione del pianeta e vincere sulle contraddizioni di una società fondata sulla divisione in classi che vede l’uomo dominare e sfruttare un altro uomo, suo fratello.

 Ecco perché il voto non deve essere un atto di volontà ancorato alla sacralità costituzionale del diritto di votare i propri rappresentanti. Ma deve essere frutto di una piena consapevolezza di essere cittadini e cioè detentori di diritti naturali "indifferibili".  

Il voto dev'essere espressione non di un mero rito per dimostrare la democraticità di un popolo, ma uno strumento di lotta a difesa di quei diritti inalienabili dell'uomo, che possiamo universalmente racchiudere in DIRITTO DI LIBERTA' DAI BISOGNI.

Non si tratta di scegliere il meno peggio, anche se questo è già un prodotto del ragionamento. Ma di domandarsi se il modello di società o di comunità che si vuole costruire si fonda sull'uguaglianza o sulla "divisione in classi".  Uguaglianza che non deve essere intesa come eliminazione delle differenze: ogni persona è di per se naturalmente differente da un'altra; ma parliamo di uguaglianza economica. Solo eliminando questa differenza è possibile costruire una società giusta sana e non violenta.

Perché questo non è possibile? Perché la classe economica impone la "LEGGE DELLA PRODUZIONE CAPITALISTICA" quale "LEGGE NATURALE DELLA POPOLAZIONE" e pretende su questa base di non mettere in discussione – convinzioni ormai largamente accettate da buona parte della "gente" – tale legittimità.

Ma questo truffaldino assunto è confutabile in radice: se una società per funzionare ha necessità di sviluppare ogni tipo di professione - dal ricercatore al netturbino - come mai poi li retribuisce differentemente?

Sta qui la contraddizione insanabile di una società fondata sull'utopia di una società divisa in classi, ma che ci dicono può essere giusta libera e democratica! Ma mi chiedo e Le chiedo: come si può esseri giusti se non si riconosce anche al netturbino il suo valore sociale eguale economicamente a quello intellettuale o imprenditoriale?

La vera ragione di tutto ciò è che la classe dominante vuole una società fondata sulla divisione in classi per potersi garantire la continuità del PROCESSO DI ACCUMULAZIONE DEL PROFITTO. Condizione necessaria per assicurarsi l'asservimento delle masse e di ogni tipo di lavoratore, fosse esso netturbino che laureato.

Non si tratta dunque di "legge naturale della popolazione" ma di una volontà necessitata. Solo la quantità del lavoro non retribuito permette l'accumulo del profitto alla classe dominante. Solo se  si comprime il salario manifatturiero è possibile assicurare privilegi alle classi elevate.

 E solo se comprendiamo che il livello del salario dei lavoratori dipende dal livello di voracità di accumulazione del profitto, che possiamo esprimere un voto cosciente e consequenziale. E non scegliere il meno peggio!

Ci aspettano anni terribili sotto il profilo delle condizioni economiche: le politiche riformiste restringeranno ancora di più il potere d'acquisto dei salariati. Ma questo è una storia ancora tutta da scrivere, anche se scientificamente già svelata.

Si può credere o "si può fare": a noi la scelta. Aldilà di ogni illusione riformistica, la domanda di fondo resta: voto o non voto!?

Personalmente continuo a pensare che oggi è meglio sedersi, magari su una panchina al parco, e farsi rapire dal "sogno" che domani sia possibile festeggiare tutti i giorni il NON COMPLEANNO.  
 

un saluto

vito feninno

(La repubblica di tersite, 12 aprile 2008)

 
 

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