Storie e Storielle di Edmondo Marra Volume III
 
VOLUME III
STORIA e storielle
Edmondo Marra






















Benvenuti
nella
Terra della Voltorara




Volume III
STORIA
e storielle







































Il disegno di copertina è di Maristella














Scrivere di Storia è per specialisti della materia , dotati di rigore di ricerca e capacità di sintesi, ma raccontare il passato condito di verosimile e di soggettivo può essere un metodo per avvicinare gli altri alla conoscenza di un mondo che non interessa più a nessuno, senza grosse pretese ma con lo scopo di far sorridere o riflettere su vicende che più o meno hanno interessato nostri antenati.
E tutto ebbe inizio una sera d’inverno del 2002,quando con mio figlio andavo a dormire da mio padre al Campanaro per tenergli compagnia .Era ultra novantenne, ma con una freschezza mentale che faceva impressione e farlo parlare di quello che si ricordava di Volturara fu facile e piacevole.




































































- Figlio mio,ne ho viste e sentite tante che non saprei da dove incominciare. Sono stato in Piazza per più di 70 anni e sono arrivato al 2000 facendomi i fatti miei e cercando di non calpestare i piedi a nessuno. Non lascio niente e scomparirò nel tunnel della morte come migliaia che ho visto andare via , ma il consiglio che ti do è di lasciar perdere tutto e di pensare solo al lavoro e a dedicarti alla famiglia , perché in questo paese è tutto perso! L’isolamento della valle porta di per sé egoismo e grettezza , e più ignoranti sono, più cattivi si manifestano. E maligni ! , sono maligni e cazzomio fino all’inverosimile con tre << facce >> come le palle di Bartolomeo Colleoni , una davanti , una di dietro e una all’occorrenza.
Guardano i peli negli occhi degli altri e non vedono le travi nei loro.
Criticoni e cascettoni ,cercano padroni per essere protetti e per comandare sugli altri, senza regole , in base a principi di prepotenza e sopraffazione. Se sei buono di cuore, per loro sei un fesso. Se hai valori rischi di passare per un “fissato”. Allora si calmano , quando te ne sei andato o godono a passarti davanti senza salutare in segno di spregio. E’ stato sempre così ! carnefici e vittime nello stesso tempo, come in una polenta che si gira nella pentola ed è sempre la stessa.. E portano la loro grettezza e la loro protervia in quella strada verso la Cerreta , accompagnati da improperi mentali , o bisbigliati in crocchi , che spingono il corteo come in un soffio gelido e cupo per allontanarli forse più velocemente e per sempre dal ricordo dei più.
Un paese senza storia e senza nomi, dove importante è buttare tutto nello schifo, per non creare né valori né miti, in un gestire quotidiano senza controlli , che alla fine penalizza tutti.
Le storie che mi chiedi di raccontare partono da lontano e hanno fatto il cammino di questo popolo. Sono per lo più storie di miseria e povertà, ma qualche volta erano storie piene di umorismo ed umanità , semplici ed immediate.
Di questo secolo che ci ha appena lasciato ricordo nitidamente il Terremoto del 1980, la II guerra mondiale,il Fascismo,la I guerra mondiale,Vito , Coremo , Cappiello e le tante,le troppe guerre per le elezioni politiche ed amministrative per il predominio di alcune famiglie sulle altre , per “comandare” senza risolvere alcun problema serio , ma solo per soddisfare i loro capricci e quelli dei tanti che ci campavano attorno. Se ne salvano pochi in tanti anni e quei pochi all’ultimo se ne sono dovuti andare chiusi nella morsa delle cattiverie e delle malignità. Posso sembrarti pessimista , ma questo paese non ha mai prodotto niente di buono e quel poco che poteva essere costruito lo hanno buttato nel fango della dimenticanza. Un tira a campare senza programmazione che ha arricchito i furbi e buttato gli altri nel baratro dell’emigrazione , della povertà e dell’ignoranza. Oggi queste cose possiamo dirle . Ne possiamo perlomeno parlare, ma fino a cinquanta anni fa dovevi calare la testa e gli occhi quando passavi davanti a loro e con la coppola in mano potevi al massimo dire “ aggi pacienzia ” , in segno di sottomissione e di rispetto , per una necessità economica o sanitaria che veniva o non veniva soddisfatta solo per mero capriccio o per sfizio . E si trattava di necessità serie ed urgenti per un figlio che non aveva da mangiare o che era ammalato grave e non si avevano i soldi per le medicine. Il potere era tutto in mano a loro , le proprietà erano tutte in mano a loro, la Chiesa era in mano a loro ed ai loro figli. Noi avevamo solo i valloni per i nostri bisogni fisiologici e gli alberi di mele rosse per soddisfare una fame che non ti lasciava mai.
Si salvava chi aveva un poco di proprietà e la casa , che più che casa era un tugurio dove dormivamo in troppi,mangiavamo in troppi e vivevamo a stretto contatto con la vacca o l’asino della stanza affianco. Aleggiava tra i vicoli e nelle case una puzza di sterco di animali che solo l’aria bellissima della campagna ci faceva dimenticare per un poco.
Si partiva di mattina alle quattro e si tornava la sera tardi ,per poi ripartire e tornare con in tasca un pezzo di pane di granturco sempre più duro e sempre meno masticabile.
Nessuno sapeva niente ,nessuno sapeva scrivere, andavamo in campagna o in montagna e tornavamo dalla campagna o dalla montagna.
La domenica ed i giorni di festa erano un po’ diversi,quando con l’abito meno sporco andavamo in chiesa ad ascoltare la messa e vedevamo i chiazzaiuoli che andavano avanti e indietro a discutere animatamente su non so quali problemi. Per sfuggire a tanta miseria molti scappavano in America con un odio ed un rancore verso tutti . Qualcuno ritornava coi debiti del viaggio ,ancora più povero di prima. Pochi riportavano indietro la pelle e qualche risparmio per costruirsi una casa o comprare un pezzo di terra per sfamare la famiglia. Altri cercavano di arruolarsi nei Carabinieri,ma era difficile perché le informazioni le davano a modo loro,come sempre. Io non fui accettato perché uno zio del mio nonno materno era stato in carcere dopo il 1861 per problemi di brigantaggio.
Quando ero malato nel secondo dopoguerra , la sera veniva spesso a trovarmi tuo nonno Costantino. Era un pozzo di conoscenza ! Trascorrevamo serate intere a parlare del passato e dei tempi di una volta ,quando più grande era la miseria e più forte il senso dell’amicizia e della solidarietà tra le famiglie.
Una sera gli chiesi di parlarmi della sua infanzia . Lo vidi mettersi con lentezza le mani ad accarezzare i capelli e chinare il capo , poi come in trance , incominciò a parlare
- Dell’infanzia ricordo poche cose e due code,quella delle vacche da portare al Dragone a pascolare e quella dell’asino che dovevi tenere ben stretta per non sentire più di tanto la fatica a salire alla montagna a raccogliere legna.
E la guerra. Ricordo la preoccupazione di mia madre per le notizie che arrivavano dal fronte ,dalle Alpi. Ogni mese uno o due giovani morti ,Ogni giorno il pensiero che potesse arrivare la notizia che era toccato anche ad uno dei suoi familiari .Un continuo informarsi , poi il mormorio su un nome che diventava voce popolare in poche ore ed era una lenta e mesta processione verso la casa dello sfortunato ragazzo a consolare il dolore di una madre o il silenzio duro di un padre che aveva perso un figlio per una guerra che nessuno voleva e di cui nessuno conosceva le ragioni. Toccò anche a noi e non riuscimmo a farcene una ragione. Mio fratello Michele,appena sposato , lasciò la propria giovinezza su una montagna sperduta ,dilaniato da una granata. Era il 1916 ed io mi salvai ,grazie a lui che era già partito al mio posto. Ma la chiamata alle armi non si arrestava mai, e ragazzi sempre più giovani venivano prelevati e portati via dai Carabinieri senza sapere dove andavano e se e quando sarebbero ritornati. Molti diventavano disertori nascondendosi dentro le “mete di paglia”, quegli enormi accumuli di paglia che servivano da riserva per gli animali per l’inverno. Alla fine ne morirono oltre sessanta.
Quello che ricordo ancora nitidamente è il volto scavato,ma austero del mio dottore, Don PietroAntonio Pennetti ,che mi voleva tanto bene e mi raccontava sempre storie antiche di orchi e di briganti. Diceva sempre , anche se io non gli credevo , che i briganti li aveva visti davvero,e che anzi lo avevano sempre rispettato e lo avevano anche chiamato qualche volta in montagna a curare qualche loro compagno ferito. Vecchio e ammalato,
tornava la sera dal Comune dove svolgeva la funzione di Sindaco del paese, e spesso veniva a prendermi a casa perché restassi con lui e la moglie a cena.
Aveva una casa grande piena di belle cose e dei grandi quadri alle pareti .E mi incantavo a guardare quei personaggi austeri, seri in volto con barbe lunghe e tutti con una penna in mano, che seppi poi essere lo stemma di famiglia.
“Don dottore” , così lo chiamavo , mi spiegava ad uno ad uno chi erano e quello che avevano fatto per Volturara. In particolare si soffermava sempre pensieroso,davanti al ritratto di un uomo con la barba lunga e occhi fissi in lontananza , ma dallo sguardo dolce e accattivante.
“Questo è mio nonno Pietro,mi disse una sera, e poi continuò,visse più di novanta anni ed ha visto tutto quello che è successo in questo paese anche prima della rivoluzione francese. Nacque nel 1734 e morì nel 1824,ebbe 5 maschi e 4 femmine che sposò alle migliori famiglie volturaresi e irpine.
Tante storie che ti ho raccontato le ho apprese da lui,tramite mio padre, che me le trasmetteva quando ero piccolo come te, davanti al fuoco nelle sere d’inverno sempre piene di neve.
Erano altri tempi. Per andare a Napoli ci voleva una giornata e la vita si svolgeva sempre in questa pianura e tra queste montagne,sempre piene di banditi pronti a spararti se non gli davi quello che volevano. Chi poteva girava armato e chi poteva , come la nostra famiglia , aveva uno o più guardiani che ci accompagnavano in giro per preservarci da brutte sorprese. La gente si alzava la mattina prima dell’alba e tornava a casa all’imbrunire dopo una giornata faticosa in campagna , che brulicava di gente e di animali. In piazza i soliti mestieranti pronti ad azzannarsi tra di loro o ad allearsi all’occasione propizia contro altri per avere il sopravvento. C’era un Consiglio comunale quasi ogni giorno e si fittavano i terreni comunali. Chi aveva soldi poteva aumentare il capitale . Gli altri dovevano accontentarsi di ricevere la terra in sub affitto ( alla parte) da questi grandi affittuari, che appoggiati da due o tre famiglie, mettevano i prezzi che volevano, anche con la forza. Alla fine non solo non pagavano l’affitto , ma si impossessavano dopo alcuni anni dei terreni e con complicità di familiari e amici sul Comune ne divenivano proprietari. Oltre l’affitto pretendevano che i contadini dovevano portar loro gratis la legna per l’inverno, ed erano processioni lente e continue al Terminio con quegli asini ,talmente sovraccarichi con un incedere lento e faticoso , che ti dava l’idea di cosa fosse la fatica. Le mogli poi dovevano lavare sempre gratis “i panni” alle loro signore ed erano decine e decine che si mettevano sotto la cascata del torrente al vecchio mulino a lavare coperte e lenzuola nell’acqua corrente , trascurando figli e famiglia. Capitava spesso che se le portavano anche a letto , in una specie di jus primae noctis ripetuto nel tempo. Guai a ribellarsi. Arrivava la miseria più nera, perché nessuno ti accettava più come affittuario,per una solidarietà di cattiveria tra loro, ed al primo furto di vivande o alimenti per sfamare i figli ti arrestavano per mesi. Chi aveva soldi faceva il servizio militare in paese nella guardia civica,gli altri scelti con bussolotti quasi sempre falsificati venivano mandati alla guerra a morire . Chi non voleva partire era costretto a scappare sulle montagne per poi essere ucciso da bandito. La sera , al calar delle tenebre , nel buio assoluto per passare da una casa all’altra si munivano di un tizzone ardente , preso dal fuoco, per farsi luce nei vicoli pieni di fango e di merda di vacca. C’era un funerale ogni giorno. Morivano giovani, bambini e vecchi . Molti nascevano già morti e molte mamme morivano con loro. E poi tanti preti,troppi! Da piccolo , un giorno, ne contai 29,nella sola Chiesa Matrice in piazza.
Le Chiese erano 5 fino al 1856. Tre in piazza ( Chiesa Matrice di San Nicola,Oratorio a sinistra della Chiesa Matrice e la Chiesa di San Sebastiano di fronte,dove hanno costruito l’Asilo Infantile,) una al Carmine dedicata alla Madonna del Carmine e a San Francesco, e una in contrada San Carlo dedicata a San Carlo Borromeo ,ormai da alcuni anni abbandonata. Da quell’anno si aggiunse un’altra Chiesa alla Pozzella,fonte di polemiche e di imbrogli per anni, dedicata all’Immacolata Concezione. Misero la legge che i morti della Pozzella non potevano essere presi ed accompagnati al Cimitero dai preti delle altre chiese. Era un modo per far campare il parroco di turno. Poi l’Oratorio a fine ottocento fu spostato al Carmine , dove venne anche costruito il Cuore di Gesù ,perché trovarono un neonato deceduto , abbandonato tra le sterpaglie ”.
Don Dottore vedeva che seguivo interessato i suoi racconti e per tenermi contento mi diceva che potevo tornare e che ero abbastanza grande per capire che la vita è uno svolgersi di situazioni che ognuno pensa di avere in esclusiva personale , ma che in definitiva è invece un ripetersi monotono di vicende che in senso assoluto sono sempre ripetitive della quotidianità dell’uomo nella sua secolare e misera aspettativa di sopravvivere alle malattie,alle guerre ed alla cattiveria umana. E’ l’esperienza nella sua essenza suprema che fa agire con disinvoltura uno e con rischi un altro in un divenire di vicende che al momento sembrano importanti ,ma che poi si perdono nella tempesta delle miserie umane.
Nonno Costantino continua a parlare assorto in pensieri che vengono da lontano.
- Tornai perché le storie erano affascinanti e me ne raccontò tante,ma proprio tante che ci vorrebbero mesi per ricordarle tutte. E , sapendo che tu vuoi ascoltarle incomincerò da lontano.
E così decise di raccontarmi alcune delle storie che conosceva , una per sera, come in un libro antico che aveva letto , per tenermi compagnia. E le ripeto a te e a tuo figlio perché , un giorno quando non ci sarò più possiate dire che il tuo vecchio padre ha contribuito a far ricordare un passato che nessuno vuol conoscere, ma che tutti dovrebbero sapere per evitare che stupidi errori vengano ripetuti e che personaggi ormai presenti da secoli non abbiamo la stessa possibilità di prendere in giro il prossimo distruggendo la voglia di crescere e di migliorarsi degli altri.




































Un viaggio nel tempo

Quella sera ,seduto davanti a me su un pezzo di legna a mo di sedia, tuo nonno Costantino allungò i palmi delle mani verso la fiamma sotto i quali il fumo si fermava disegnando figure che simili a fantasmi guizzavano verso l’alto disperdendosi in una nuvola che ristagnava nella stanza senza canna fumaria. Il nero brillante della fuliggine sulle pareti appiccicata lì da decenni e la fiamma che alterava i tratti del volto messo di fronte a me creava un’atmosfera misteriosa ed un pò allucinante che mi metteva brividi addosso. Ma il desiderio di conoscere vecchi racconti mi teneva inchiodato alla vecchia cassapanca sulla quale ero seduto . Era la sera del primo racconto. Fuori c’era la neve ed in quella masseria persa sotto la Foresta, la luce della luna planava sulla coltre bianca riflettendo una miriade di puntini luminosi che sembravano diamanti adagiati per terra. In lontananza , dalla montagna, un ululato riverberava a ritmo costante un mondo che di li a poco sarebbe scomparso. I cani sparsi intorno alla casa riprendevano il suono e rispondevano con lenti richiami in un dialogo a distanza che sapeva di musica e sentimenti e che ti ricordava che solo l’uomo con le sue storture mentali può distorcere o distruggere un mondo che si basa sull’armonia e sull’equilibrio dinamico del ciclo della vita anche con ferocia,ma mai con crudeltà.
Da te , figlio mio, ho appreso dell’esistenza dei cromosomi, e da quello che ho capito è che sono come la tastiera di un pianoforte , in cui i tasti sembrano divisi ma che nell’insieme creano sfumature di suoni che ben accordati creano poesia e sensazioni, ma strimpellati a casaccio danno solo rumori molesti ed assordanti .
Solo l’uomo fa i salti della quaglia sulla tastiera della vita per meri scopi personali o di sopraffazione sugli altri,ma la Natura segue sempre e da sempre il suo ritmo abituale che ha lo scopo di mantenere il volere di Dio,grande nella sua misericordia e perdono.
Io sono sicuro che i tasti del pianoforte di ognuno di noi nascono con canzoni già scritte dai nostri antenati , e che lo svolgersi della vita è un dejà vu .E’ un affrontare le situazioni con una storia secolare nella mente e che la risposta immediata che diamo ai problemi di ogni giorno è l’esperienza di un antenato più o meno lontano nei secoli che l’ha vissuta prima di noi e che ce l’ha consegnata in quei bastoncini che Qualcuno ha creato per vedere fin dove vuole o sa arrivare l’uomo con tante esperienze accumulate senza saperlo.
Nonno Costantino riparlò di Don Dottore e del nonno Pietro e tornò indietro nel tempo a duecento anni prima quando i medici erano barbieri e i notai erano gli unici a sapere leggere e scrivere ed a loro tutti si rivolgevano per comprare un fondo o per donare prima di morire un pezzo di terra alla Chiesa per un posto in Purgatorio o in Paradiso con messe periodiche in suffragio della loro anima. Era un microcosmo di povertà e di miseria che vedeva nell’aldilà un mondo migliore di questo da raggiungere al più presto per porre fine alle sofferenze quotidiane.
I preti,salvo rare eccezioni , erano vampiri in attesa del malato di turno che lo gratificasse di una donazione in vita e post mortem .
Capitava qualche volta che a letto del moribondo il prete si avvicinava il più possibile e chiedendogli se volesse donare i suoi beni per una messa perpetua in memoria della sua anima con la mano dietro la nuca gli alzava la testa in segno di assenso, ed il gioco era fatto. Un’altra anima aveva contribuito al patrimonio ecclesiastico. D’altronde il prete valeva come garante legale dell’atto che veniva trascritto con la testimonianza del sagrestano nell’apposito registro ed era valevole a tutti gli effetti di legge.
Storie di preti e di potere ,perse nel deserto della memoria , a volte simpatiche o originali, a volte crude o crudeli.
Come la storia di quel contadino talmente affezionato alla sua cavalla , che quando morì volle farle celebrare una messa dal suo amico prete, e quest’ultimo per accontentarlo , nella celebrazione mattutina incominciò a parlare in latino con frasi strane e sibilline , concludendo la funzione religiosa, tra lo stupore dei suoi colleghi che non riuscivano a capire , con una benedizione che faceva pressappoco così
<< Peronia,peronia , messa cavallonia, per carlini trenta sia benedetta l’anima della iommenta, per carlini cinquanta sia benedetta l’anima di tutti quanta!>> ( pregate,pregate per questa messa dedicata ad una cavalla, per i trenta carlini ricevuti sia benedetta l’anima della giumenta, sia benedetta inoltre l’anima di tutti gli altri che hanno dato i rimanenti venti carlini). In effetti come ebbe a dire al sagrestano che gli chiedeva spiegazioni, aveva detto un messone che valeva pè tutto lo mentone ( mucchio ) cioè con una sola messa corposa,aveva soddisfatto le esigenze del padrone dell’animale e degli altri parrocchiani che avevano richiesto altre messe.
O come quella del Parrocchiano che aveva ricevuto in dono un pollo da un contadino nel suo giro per la campagna e chiamato d’urgenza ad officiare la benedizione di una salma,non ebbe il tempo di portare il pollo a casa. Decise allora di nasconderlo sotto la tonaca nella cotta e si recò a casa dell’estinto. Nel fare la benedizione il pollo fece capolino da sotto la tonaca ed il sagrestano accortosi del fatto cominciò a recitare il latino per avvertire il parroco :
<< cala la cotta,domine , ca se vereno li zampari>> ( cala la tonaca,signore, perché si vedono le zampe del pollo ) .
E Il parroco , rimettendo il pollo a posto con una mano, di rimando:
<< hai fatto bene a parlare in germano,si no se ne accorgeno sti tammari >>
( hai fatto bene a parlare in modo incomprensibile per non far capire quello che hai detto a questi cafoni).
Altre storie di preti te le racconterò con calma , adesso cominciamo dall’inizio. Da quando nacque il mondo, o meglio questo mondo.






























Il Terremoto del 4 e 5 Dicembre del 1456

Tutto ebbe inizio dopo la distruzione totale,dopo il secondo diluvio universale che fece ballare la nostra Provincia per molti minuti. I pochi sparuti superstiti uscivano da sotto le pietre ,fradici di fango e di neve e in ginocchio non sapevano se pregare per essere sopravvissuti o per pregare di essere risparmiati da quei tuoni e quei bagliori che ancora continuavano in lontananza e facevano presagire l’apparizione davanti ai loro occhi del Grande Distruttore che li avrebbe seppelliti tutti per sempre,per punirli dei loro peccati e delle loro eresie.
Un << mentone >> di pietre, un mucchio di macerie che quella luna grande specchiandosi sulla neve faceva apparire come un punto nero nel candore del bianco. I lamenti e le grida si disperdevano tra le gole dei torrenti mischiandosi agli ululati dei lupi ed al latrare dei cani che sembravano scambiarsi il grido di dolore e appena la stanchezza fermava ogni rumore ci pensavano altre scosse violente e sussultanti , come se un gigante desse spallate ritmiche per uscire da sotto terra , a far riprendere una nenia che si affievoliva sempre di più man mano che le ore passavano. La scossa più lunga durò sei minuti e sbriciolò interi paesi e città. Napoli ebbe 40.000 morti,Avellino fu distrutta.
Una manciata di sopravvissuti scappò sul castello che aveva subito seri danni,ma poteva permettere loro di superare quel rigido inverno ,grazie alle provviste che il padrone aveva accumulato. Don Giacomo Antonio della Marra e sua moglie Donna Biancamano Zurlo fecero aprire le porte del castello per accogliere quei poveri disgraziati che in lenta processione , inzuppati di acqua e di lacrime , arrivavano alle prime luci dell’alba con in mano tizzoni fumanti per farsi luce . Quella notte era durata un’eternità!.
A giorno fatto dalle finestre del castello la vallata sembrava intatta nel suo candore intorno al lago, come se l’uragano non avesse lasciato tracce, ma nei giorni seguenti tutti dovettero ricredersi,perché l’acqua del lago incominciò a decrescere fino a scomparire quasi del tutto lasciando uno strato di melma spesso e nauseabondo. Solo allora si accorsero che sotto la Costa si era aperta una voragine che aveva inghiottito tutta l’acqua, come risucchiata dal nulla. Nelle settimane seguenti i coraggiosi scendevano a valle con cautela in perlustrazione e quantizzarono i danni. Dei tanti casali sparsi intorno alla piana , non ne era rimasto in piedi nessuno ed i sopravvissuti si contavano sulle dita di una mano. Solo in località Serra i piccoli tuguri , forse perché costruiti sulla roccia, avevano mantenuto ed i sopravvissuti erano parecchi. In località Tavernole anche l’altro lago del paese era scomparso del tutto,
risucchiato in una voragine apertasi con le scosse del tremendo terremoto.
In una sola notte era cambiata la topografia della vallata e la storia dei suoi abitanti.
Del passato era rimasto in piedi solo il Castello sulla collina e mucchi di macerie sparse un pò dovunque, che il tempo ed il fango avrebbero ricoperto con una folta vegetazione.
La capacità di adattamento dell’uomo alle condizioni avverse ed improvvise ancora una volta ebbe il sopravvento e quelle poche centinaia di persone salvatesi si diedero da fare per rimettere a posto un mondo,che non poteva e non doveva scomparire.
Rimisero a posto il Castello,salvezza immediata nel dopo terremoto con le sue provviste,messe a disposizione dal feudatario, e si raccolsero nella fede intorno alla nicchia di San Michele Arcangelo , protettore dalle sventure umane e della pioggia.
Avevano costruito il Castello intorno ad un pozzo e l’acqua piovana attraverso un sofisticato sistema di filtrazione nel terreno si raccoglieva nel pozzo e faceva da riserva nei lunghi e nevosi inverni o in caso di attacchi di nemici dall’esterno. Quando la pioggia scarseggiava nella zona venivano anche dai paesi vicini a pregare San Michele perché facesse il miracolo di far piovere ed allora si fermavano di pregare , solo quando le prime gocce incominciavano a cadere dal cielo . Cosa che avveniva puntualmente dopo un periodo più o meno costante.
Ricostruirono le prime case sulle macerie e ricostruirono con le proprie mani nella piazza del Re Travicello la Chiesa Madre con un piccolo Campanile laterale che dedicarono a San Nicola , il cui culto portato dalle Puglie dai piccoli commercianti , i viatecali, soppiantò quello di Santa Felicita Patrona del paese fino ad allora. .L’inaugurazione della Chiesa agli inizi del nuovo secolo rappresentò l’inizio di un nuovo mondo e mise nel dimenticatoio della storia l’avvenimento di cinquanta anni prima . Nella fede trovarono la panacea alle loro sofferenze ed in questi anni costruirono fuori le mura anche la Chiesa della Madonna del Carmine , che dedicarono anche a San Francesco e la Chiesa di San Sebastiano, che dotarono, con i propri lasciti di un patrimonio terriero sempre più consistente negli anni e che dava da mangiare a tante famiglie con affitti e sub affitti.
Nuove generazioni di volturaresi che videro nella piana davanti al paese una nuova occasione di lavoro. Migliorò l’agricoltura,la pastorizia e l’allevamento delle mucche.
Dalle montagne si spostarono nella campagna che divenne la principale fonte d sostentamento. Diedero tutto all’Università ( così si chiamavano i Comuni fino al 1806) e pagavano un fitto per ogni tomolo che coltivavano. Con i soldi raccolti , il bilancio dell’Università provvedeva a pagare i medici che curavano gratis tutti,poveri compresi e a pagare le tasse al padrone di turno che comprava il piccolo feudo per qualche migliaio di ducati.La popolazione cresceva negli anni , fino a quando nel 1520 i Lanzichenecchi di passaggio misero a ferro e a fuoco il paese e distrussero completamente l’insediamento alla Serra, che era sopravvissuto al terremoto.Rimasero circa in trecento abitanti in una lotta perenne contro le avversità naturali e quelle create dall’uomo tra ignoranza,superstizioni e fede. Mucca e zappa per le campagne, asini e legna in una perenne processione verso la Faieta,armati sempre di accetta per evitare spiacevoli incontri tra lupi,orsi e qualche fuoriuscito che alla chiamata in guerra del padrone di turno preferiva scappare in montagna piuttosto che farsi ammazzare da una freccia o una spada di un nemico che non conosceva neppure.Un paese senza storia e senza protagonisti con un paio di famiglie referenti del feudatario che esigendo le tasse per consegnarle al padrone facevano il bello e cattivo tempo con i loro bravi che spadroneggiavano sui contadini.

La venuta degli ebrei.

Un altro evento che trasformò non poco la vita ed il futuro del paese si preparava all’orizzonte.Il Re cacciò da Napoli verso la metà del 500 tutti gli ebrei , in una delle tante diaspore, e molti per sfuggire alla morte , si rifugiarono sulle montagne dell’Irpinia Cambiarono nome e religione e ripartirono da zero. Molti di noi, e nessuno lo sa, discendono da loro . Per capirlo basta guardare i cognomi, che proprio in quei tempi cominciarono a distinguere le persone e le famiglie. Quelli che hanno il nome di una città o di un sostantivo concreto hanno nei cromosomi la voglia di emergere che è tipica del loro popolo. I naturali del luogo li accettarono senza problemi e si mischiarono a loro creando le premesse di un miglioramento sociale ed economico che ebbe ripercussioni nei secoli a venire. Nascosti e scaltri , seppero crescere in silenzio ,mantenendo per generazioni un legame tra di loro di solidarietà e di vincoli matrimoniali fino a quando si confusero con il resto delle popolazione.








1647 la rivolta di Masaniello e la Peste del 1656

Lo chiamarono il periodo della rivolta dei popoli ed il suo ricordo restò per decenni e decenni nella mente di chi lo aveva vissuto e nelle generazioni seguenti. La rivolta era iniziata a Napoli dove un pescivendolo , Masaniello, si erse a capopopolo e cacciò il Re dalla città. Seguì un periodo dove tutti gli ordini sociali furono sovvertiti. Comandavano i “fessa” e tutti i potenti rischiavano la vita.Si estese in tutto il Regno in un baleno e non ci fu paese dove il popolo non prese possesso del potere e cacciò chi aveva comandato fino ad allora.
Furono abolite tutte le tasse e un senso di liberazione si impadronì della gente. Il mondo tanto vagheggiato di libertà , uguaglianza e privo di balzelli sembrava essere arrivato e con esso il Paradiso terrestre. Ma era un sogno e come tutti i sogni svanì ben presto. L’intervento di nazioni straniere rimise sul trono il Re e Masaniello fu impiccato l’anno seguente in piazza. .
L’ordine fu ristabilito in tutto il Regno in brevissimo tempo e molti,troppi pagarono con la vita quel breve periodo di felicità.
Per difendere le insegne del Re, il padrone di Volturara Gian Vincenzo Strambone corse a liberare Ariano in mano ai rivoltosi.Molti errori determinarono l’entrata in città dei rivoltosi che lo decapitarono, esponendo
il suo corpo alla furia dei cani randagi. Il Re per premiare la fedeltà della famiglia donò al figlio Andrea il titolo di Principe di Voltorara e Duca di Salsa.
Per la prima volta lo Otrale ha il suo Principe ed era tanto in gamba che risolse molti e molti problemi,anche se appena prese possesso del feudo successe la fine del mondo.
Era il 1656 e già da tempo si vociferava che la “Pesta” uccideva uomini e animali a Napoli e nelle sue Province. Le preghiere per tenere lontana questa infame malattia , mandata da Dio per punire la gente della sua cattiveria , erano l’unico rimedio e trovava tutti d’accordo per la prima volta. Nobili e poveri , eretici e preti. Stavolta era una cosa seria . Non c’erano rimedi . Per sfuggire alla guerra c’erano le montagne,ma stavolta niente poteva fermare questo alito silenzioso e strisciante che penetrava tra le fessure delle case e consumava tutto sul suo cammino.. Cadevano come mosche,morivano come mosche,senza accorgersene . Ma il rimedio che trovarono era semplice e lo stabilirono in assemblea pubblica in piazza appena si sentirono le notizie che si avvicinava. Chiusero tutte le strade di accesso al paese ed da quel momento allontanarono tutti quelli che si avvicinavano al paese con le buone o con le cattive. Pattuglie armate di frecce e di schioppo circolavano sul territorio e sulle strade di accesso e tiravano al primo movimento di persone o animali sospetti. Il Sindaco in carica diede ordine di isolare i malati ai primi sintomi della malattia e appena dopo morto lo bruciavano. Durò sei mesi fino alla fine dell’anno ed i morti si contarono sulle dita di una mano. Basti pensare però che a Napoli furono 40.000 e che a Montemarano rimasero vive solo 22 persone. Un’altra ed importante barriera la creò il Dragone con le sue melme puzzolenti che frenarono il contagio. In effetti l’isolamento dal resto del mondo che è stato e sarà sempre penalizzante per uno sviluppo economico e sociale ,in quell’occasione si dimostrò l’arma vincente.
Passò così anche quel castigo di Dio , e lentamente il paese si riprese e continuò a cresce di abitanti superando le seicento unità . Il paese era in mano ai Pennetti,esattori del padrone , che poterono mandare i propri figli a scuola e tenere i mano il potere con medici,avvocati e notai, e alcune altre famiglie come i figli del barone Decio Masuccio di cui uno , Antonio
( 1618 - 1681) , divenne prete e famoso scrittore a Napoli, i Di Meo da cui nacque Patrammeo ( 1726 – 1786 ) , i Maurello , che finirono a metà settecento per mancanza di eredi maschi e i Di Feo che con Giuseppe, notaio e Antonio , il figlio comandavano in tutte le congreghe e altrove. Non si hanno molte notizie di questi personaggi, se non i nomi, e qualche atto notarile di compravendita di terreni, ma erano uomini duri che si facevano rispettare. O eri lupo o pecora e quando una pecora voleva diventare lupo , erano << cazzi amari >>. I padroni della piazza potevano permettersi di fare tutto , ma quando si trattava di problemi che riguardavano il Dragone o i vaccari , dovevano stare attenti , di fronte ai capipopolo che di volta in volta imponevano scelte nell’interesse di tutti.















1714 trasporto vacche a Napoli

Rimase famosa nella memoria di tutti la vicenda del 1714 quando 590 vacche , per ordine del Marchese Serra dovevano essere trasportate a Napoli per la macellazione.
Prelevate nel Dragone da soldati armati di tutto punto ,per far fronte ad eventuali contestazioni , furono trasportate verso Napoli , ma giunte a Monteforte, dovettero far ritorno a Volturara, perché nello breve spazio di una mattinata a voce di popolo una folla abbastanza numerosa , si era radunata in piazza e il capopopolo di turno era salito dal Sindaco minacciandolo apertamente di far riportare la vacche a Volturara,perché l’economia ne avrebbe sofferto in modo grave. Come sempre era accaduto prima e sarebbe accaduto anche in seguito , il Sindaco dovette implorare il marchese Serra di ritornare sulle proprie decisioni e riportare le vacche a Volturara per evitare tumulti popolari con danno diretto alla sua persona. Fece insomma capire che una schioppettata nelle spalle gliela avevano promessa a chiare lettere.
Il ruolo dei capipopolo nelle vicende di Volturara è stato sempre importante nei secoli ed ha rappresentato , anche se in modo frammentario , le volontà scaturite dal passa parola di fronte ad un problema gestito in modo non corretto o non capito dalla loro mentalità.
Famosi sono restati nel ricordo dei racconti Colone e Mazzocca, una donna che quando si muoveva faceva tremare tutti.
Capipopolo e capifamiglia patriarcali e dispotici, duri e inflessibili,spesso feroci e senza pietà. Ci sono sempre state due Volturara. Una fatta da persone senza stimoli, con un tira a campare senza fregarsene di niente, tra zappa e vino ,senza scocciare e senza voler essere scocciati nel proprio microcosmo e l’altra fatta di voglia di emergere, di primeggiare o perlomeno di “stare in mezzo” e partecipare per criticare ogni iniziativa.
I primi hanno sempre odiato la piazza , gli altri stanno sempre e solo in piazza per i loro scopi , in un passeggio avanti e indietro in cui vengono stritolati situazioni e persone, problemi e famiglie. Se vuoi stare in mezzo,figlio mio, devi imparare a sopportare le loro fesserie, tanto tre più tre in piazza non fa mai sei,ma zero. E ogni volta che comanda uno , si alleano con il suo avversario , per poi lasciare anche quest’ ultimo appena diviene vincitore in un gioco perverso in cui credono di fare corrente di opinione e di essere superiori a tutti. E le mogli a sgobbare da mattina a sera , pur di aver il proprio uomo in piazza, seguace fedele di una o dell’altra famiglia importante , per ottenere qualche favore o pezzo di terra da coltivare “alla parte”, Hanno sempre bisogno di essere sudditi di una o dell’altra corrente per appoggiarla incondizionatamente nelle sue malefatte nella gestione del bilancio comunale . Pronti a gongolare in caso di vittoria del loro referente o soffrire e criticare in caso di sconfitta. O vincono o perdono , senza sapere che restano fregati sia nel primo che nel secondo caso, vittime di marpioni che una volta saliti sul Comune spartiscono la torta come il famoso arciprete dell’aneddoto, che avoca a se tutte e quattro le parti del pollo che doveva dividere con gli altri , protetti da referenti esterni a livello provinciale, di cui sono amici personali ed ai quali portano regalie periodiche per vincere questa o quell’altra causa , abbiano o meno ragione.
E’ alla fine il gioco della vita , che qui da noi purtroppo assurge a livelli insopportabili, per la troppa ignoranza e saccenteria,che unite a malignità ed individualismo esasperato, determinano un’arretratezza unica in Provincia. Più ignoranti sono e più si credono padreterni .Per migliorare la situazione bisogna partire dalla scuola e dalla Chiesa, ma senza insegnanti o catechisti volturaresi .
Tornando a noi ed ai capifamiglia, occorre ricordare che ai tempi del bisnonno di Don Dottore , ogni nucleo familiare si chiamava fuoco e pagava le tasse in base al numero dei componenti.






















Il Catasto Onciario 1742

Dopo l’eruzione del Vesuvio del 1731 , con fuoco e cenere fino a Volturara, Carlo III di Borbone per non farsi sfuggire nessun introito fece istituire in ogni paese e città il Catasto Onciario con i nomi di tutti i capifamiglia e componenti della famiglia . Fu il primo passo verso la modernizzazione e la prima vera schedatura dei popoli. Ti contavano anche i peli ,e dovevi pagare sul guadagno . Alla fine pagavi al Re, pagavi al padrone feudatario e pagavi al Comune ( Università ) per i pochi servizi che riusciva ad offrire. Di buono il Sindaco dava il servizio della condotta medica gratis per tutti. Dall’inizio del 700 i medici erano due Don Antonio e Don Gaetano Pennetti, che si prodigavano in un ambiente povero, misero , senza il minimo necessario , in condizioni precarie , specie in occasione delle tante epidemie che mietevano vittime a decine. Il Catasto Onciario fu la Bibbia di Voltorara, dalla quale partì un futuro delineato nelle proprietà e nello stato sociale.
E’ interessante conoscerlo, perché capisci subito che nobili a Volturara non ce ne sono mai stati dopo il Barone Decio Masuccio e che tutti i notabili hanno un’origine popolana .I Marrandino che venivano da Taurasi ,per esempio, erano scarpari e qualcun altro era barbiere in piazza.
I miglioramenti li hanno avuti nella Cultura, mandando i figli a scuola, e non era facile, o facendo un figlio prete che a sua volta inculcava le prime nozioni a qualche nipote ,permettendogli poi di andare a studiare in seminario e di potersi prendere una laurea che gli avrebbe dato ricchezza e potere. Iniziavano così le dinastie che controllavano il paese in tutti i suoi aspetti economici e sociali. Le professioni più in voga erano i medici, gli avvocati, i notai e soprattutto i farmacisti.
Ma la scelta principe era sempre l’abito sacerdotale e durante tutto il 700 troviamo un centinaio di preti , in moltissime famiglie, che non sono pochi in un paese che contava al massimo 2000 abitanti.
Preti dal carattere forte che determinavano scelte economiche e soprattutto politiche. Non c’era e non ci sarà una rivolta in seguito che non vedrà come protagonista o organizzatore un prete , che trascinerà nelle sue scelte le vicende dell’intera sua famiglia. Scelte spesso sbagliate di fronte allo svolgersi degli avvenimenti con Governi nella capitale che cambiavano dalla sera alla mattina mettendo in un angolo o portando al potere famiglie che si trovavano da un momento all’altro o in paradiso o all’inferno.
La seconda metà del settecento vede il paese crescere nell’economia e nel numero degli abitanti. Ed accresce l’influenza dei Pii Stabilimenti di San Sebastiano, un’organizzazione che gestiva l’Ospedale dietro la Chiesa Madre, la Ruota dei proietti,la Chiesa di San Sebastiano in Piazza ed una grande quantità di terreni e selve affittati a centinaia di contadini che ne traevano la principale fonte di sostentamento. Nel 1754 fu abbattuto il vecchio campanile che risaliva al 500 e venne costruito quello ancora esistente con pietre della Maroia e con l’apporto di tutti i cittadini. Nella costruzione le fondamenta cedettero sul lato destro, ma lo si continuò a costruire lo stesso dandogli l’impressione di pendere su quel lato. Dopo il 1861 verrà fatta la parte superiore e la cupola in pietra. Quest’ultima verrà abbattuta da imbecilli nella baraonda del dopo terremoto del 1980 con il silenzio complice degli amministratori. Il Presidente della Congrega di San Sebastiano di quell’anno era il notaio Giuseppe Di Feo, che doveva essere anche il Sindaco.
Delle seconda metà del settecento non abbiamo grosse notizie, ma da quello che mi raccontava Don Dottore , fu un periodo di mutamenti e di turbamenti con personaggi forti e determinati come Alessandro Marra che comprò da Sindaco nel 1768 il vecchio comune dai preti,o come Sebastiano De Cristofano , o Lodovico Petito , che incominciò le prime opere di bonifica alla bocca del Dragone o come Giuseppe Masucci ,patriarca assoluto che visse quasi cento anni ad esigere le tasse per il marchese Berio facendo il bello e cattivo tempo,imponendo la sua legge e carcerando chi non si adeguava al suo volere. Padrone assoluto del territorio, determinava Sindaci,amministratori e medici . A stento sapeva mettere la firma, ma quanto a scaltrezza e furbizia non lo batteva nessuno.Rimase famoso un Parlamento in Piazza quando prima del voto dichiarò che tutti dovevano votare per Don Giuseppe Pennetti e non per Don Andrea. Così fu, all’unanimità !. Poi vennero Nicola De Cristofano , Gennaro Petretta,Nicola Salierno ,meteore analfabete , ma potenti. Gestori determinati e crudeli in un clima di sopraffazione e di prepotenze che i loro figli e nipoti pagarono nel tempo, in un “cane,canazzo come me fai te fazzo” ( cane,cagnaccio come ti comporti tu con me , così mi comporterò io con te) che ha rappresentato la filosofia di vita di tutta la storia di questo sfortunato paese che ha voluto bene a tanti , ma che in pochi gli hanno corrisposto amore.
In questa storia senza protagonisti ,arriviamo alla fine del 700 che rappresenta la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova realtà propedeutica ai giorni nostri .E prima di parlarti del nuovo secolo , mi piace soffermarmi si alcuni episodi di fine settecento che coperti di uno strato di polvere , rischiano di restare sepolti per sempre. Da questo momento ,non commenterò più quello che ti racconterò,ma lascio a te l’interpretazione e le considerazioni , anche perché ci avviciniamo a fatti suffragati da documenti che tu puoi aggiungere e molto vicini al nostro modo di intendere le cose. Sta a te metterli insieme e ricordarteli per trasmetterli ad altri.

1799 la rivolta di Voltorara e Montemarano. Il Sindaco Nicola De Cristofano.

Con l’arrivo dei francesi a Napoli e la fuga del Re Ferdinando in Sicilia la rivolta si diffonde in tutto il Regno,dove le idee della rivoluzione francese di uguaglianza,fratellanza e libertà fanno proseliti tra il popolo ed ovunque si innalzano alberi della libertà ( un palo piantato in terra con un cappello giacobino ed un bandiera bianca). Le notizie contraddittorie ed incontrollate fanno gioire ora l’una ,ora l’altra fazione . A Volturara da Gennaio a Maggio l’albero della libertà viene piantato cinque volte e cinque volte estirpato. Il Sindaco non sa più cosa fare . Comanda il Re e organizza una leva di giovani, appena eletto il 2 settembre 1798, portandoli a proprie spese a Sessa dove si raccoglie l’esercito borbonico per frenare i francesi.
A Febbraio arrivano i francesi a Volturara , ed il popolo fedele al Re , insieme con il popolo di Montemarano organizza la difesa del paese ricacciando gli stranieri dopo otto giorni di combattimenti . I francesi mandano allora l’esercito a mettere e ferro e a fuoco il paese . Il Sindaco alza le mani e chiede perdono a nome di tutti, risparmiando molte vite umane. Va avanti ed indietro a Napoli per far capire che i volturaresi sono amici dei francesi e per dimostrarlo concretamente manda a proprie spese centinaia di giovani con i francesi a Montoro e a Solofra per liberarle dai reazionari borbonici. Appena il tempo di gustare un po’ di calma ed ecco arrivare da Giffoni, attraverso le montagne i seguaci del Re il 23 Maggio. Va incontro all’esercito borbonico e per l’ennesima volta alza le mani in segno di resa e di amicizia. Dichiara di essere nemico giurato dei francesi e di aver spiantato lui personalmente l’albero della cosiddetta libertà ( lo chiama infame per farsi credere) a varie riprese. Fa celebrare un Te Deum in onore del Re dallo zio arciprete e sicuramente maledice il giorno in cui era diventato Sindaco. Tutta la questione alla fine gli è costata un migliaio di ducati e per quei tempi non era poco. Ma non finisce qui,perché l’anno dopo deve portare a Napoli una cinquantina di compaesani a testimoniare che durante il periodo delle rivolte era rimasto fedele alla corona. Fortuna vuole che portò le persone adatte e che il giudice gli credette.Se la cavò con un ulteriore spavento,ma senza condanne.





La medela ( Condotta medica ) di Volturara.
Guerra tra i due medici condotti dottori fisici Giuseppe Pennetti ( 1752-1822) di Gaetano ( 1707-1780°) e Andrea Pennetti ( 1749-1818) di Antonio,( 1704-1771),cugino di Padre Alessandro Di Meo .

Una storia di altri tempi,dimenticata come milioni di altre storie ,ma utile a farci conoscere e capire un periodo di cui non abbiamo molti documenti.
Su tutto il rapporto di Carlo De Marco del 1796 dal quale si evince un clima socialmente teso con amministratori e Sindaci facinorosi e delinquenti e capipopolo capaci di strumentalizzare il voto dei consigli comunali ( si chiamavano Parlamenti ),svolti in Piazza con banditori pubblici che chiamavano a raccolta i capifamiglia su argomenti che interessavano la Comunità ( il Comune si chiamava Università e lo sarà fino al 1806).
La famiglia dei Pennetti che con due medici ( Giuseppe e Andrea ,due avvocati ( Vincenzo e Nicola) un notaio ( Carlo) e diversi sacerdoti condizionano le scelte di tutto il paese,facendo eleggere Sindaci a seconda dei propri bisogni e/o tornaconti,con guerre di carta bollata infinite e senza esclusione di colpi.
Nel settecento a Voltorara c’erano due medici condotti Gaetano Pennetti ed Antonio Pennetti,quest’ultimo zio di Padre Alessandro Di Meo ,che prendevano come stipendio 50 ducati ciascuno.
Alla morte di Antonio nel 1771 subentra il figlio Andrea ,senza deliberato del Parlamento dei capifamiglia percependo 50 ducati.
Alla morte di Gaetano ,Andrea ,approfittando del Sindacato di un suo cugino, pretende,avendo grossa considerazione di se e credendosi un nuovo Esculapio , tutti i 100 ducati con la scusa che la popolazione era raddoppiata nel frattempo.
Nel 1779
Giuseppe riceve la condotta che era stata di suo padre Gaetano,affiancando Andrea e prendendo 50 ducati l’uno.
1780
Andrea Pennetti ritenendosi più valido ed esperto del collega pretende uno stipendio maggiore e la scelta di un collega anche esterno se Giuseppe non risulta di suo gradimento ,o restare solo e prendersi 200 ducati. Giuseppe fa ricorso.
1781
In pubblico Parlamento in Piazza il Sindaco Nicola Di Feo concede al dr Andrea Pennetti,di cui è cugino, ducati 150 all’anno mentre il dr Giuseppe Pennetti riceve solo 50 ducati all’anno stante la sua “tenue abilità ed inespertezza” . Michele Masucci chiede che ai due medici vengano dato 100 ducati ciascuno,ma la sua proposta viene respinta .Il segretario comunale è Nicola Pennetti,fratello di Andrea. Inizia un contenzioso che durerà più di venti anni. Giuseppe impugna il deliberato.
1783
Il tribunale della 3° Ruota decide che i duecento ducati devono essere divisi in tre parti di cui due parti ad Andrea Pennetti ,ducati 133, grana 33 e cavalli 4 perché ritenuto più esperto e una parte a Giuseppe Pennetti , ducati 66 e cavali 8.
1786
(in un documento Carlo De Marco rivolto al Caporuota Basilio Palmieri sostiene che Voltorara da 12 anni è stata in mano di gente facinorosa contro le leggi e gli ordini di S.M. a alla S.V. che ha deciso darsi il possesso per questo anno alli governanti fortunatamente eletti tra le persone per bene e che per riparare all’avvenire convenga escludersi dai Parlamenti tutti coloro che sono stati servi della pena e li malviventi ed inquisiti tutti colli loro congiunti consanguinei ed affini sin al quarto grado e vedersi e rivedersi con precisione rigore e zelo li conti da 12 anni in qua ,tolti i cavilli e dilazioni....)
1793 Domenica 1 Settembre
Dopo 10 anni si riparla del problema.
In Parlamento pubblico in Piazza chiamato il Sindico Lodovico Petito con il I eletto Michele De Cristofano,il II eletto Giuseppe Mele ed il III eletto Pietrangelo Di Meo decide che i due medici condotti Giuseppe ed Andrea Pennetti debbano ricevere 100 ducati a testa. ( Andrea Pennetti accusa il collega di aver fatto eleggere a Sindaco ,Ludovico Petito, un uomo cha non poteva a tal carica aspirare ,perché da poco tempo era uscito dalla regia Galea ( carcere) a piano di infiniti altri acciacchi. Costui nel primo giorno da Sindaco il 1 Settembre uniti con se pochissimi cittadini aderenti convocò Parlamento col quale conchiuse che darsi si fussero anche al Dr Giuseppe 100 ducati.).
1794
Andrea Pennetti non riconosce il deliberato del parlamento dell’Università di Voltorara e si prende anche gli altri 100 ducati del collega e parente, “con orrore e scandalo universale” ,
Giuseppe denuncia Andrea affermando che non solo non cura i cittadini,ma si fa anche pagare da loro per le prestazioni professionali prestate e che spesso andandosene a zonzo nei paesi vicini lascia tutto il lavoro sulle sue spalle.
1794
La Real Camera di Napoli da ragione a Giuseppe,ma Andrea si oppone.
1795
Il Sindaco Gennaro Petretta conferma i 200 ducati ad Andrea Pennetti,
ammettendo che è più bravo di Giuseppe anche di fronte alla Real Camera di Napoli .La Real Corte ,dove Giuseppe è difeso da Vincenzo Pennetti conferma i 100 ducati a testa ai due medici. Allora il dr. Giuseppe chiede la restituzione dei soldi che gli spettano e che il Sindaco per puro capriccio non vuole dargli.
1796
In una lettera alla Real Camera Giuseppe fa la cronistoria del contenzioso mettendo in cattiva luce Andrea e chiedendo la restituzione dei soldi che gli spettano,dal momento che Andrea, a suo dire , non ha lavorato per niente,
lasciando sulle sue spalle tutto il peso di assistere l’intera popolazione volturarese.La Real Camera da i due terzi ad Andrea ed un terzo a Giuseppe.
1797
Giuseppe decide di non curare più nessuno gratis e si nega ai malati .
Andrea chiede tutti e 200 ducati per se.
1799
Il parlamento il 7 Settembre ,con il Sindaco Nicola De Cristofano,appena eletto e parente di Giuseppe ,decide di dare a Giuseppe 133 ducati,carlini tre e cavalli quattro.
Andrea stanco di essere trattato come “uno schiavo venduto” con lettera scritta al Sindaco si sospende dal servizio e presenta ulteriore reclamo alla regia Camera.
1801
nuovo colpo di scena!
Ritorna come Sindaco Gennaro Petretta,estimatore di Andrea e denigratore professionalmente di Giuseppe. Appena eletto il 27 settembre convoca il Parlamento in Piazza e fa ritornare come medico condotto Andrea Pennetti con 150 ducati e dando a Giuseppe solo 75 ducati.
1802
Nel parlamento del 31 Gennaio il Sindaco,stanco della faccenda, licenzia tutte e due i medici. cosicché “ il denaro che si da ad essi s’impiegherà in usi migliori ed in sollievo della povera gente e chi vuole il medico lo chiami a sue spese”.
Giuseppe denuncia il Sindaco accusandolo di non fare il proprio dovere. Dai suoi comportamenti l’Università potrebbe “ ritrovarsi in danno irreparabile per saziare l’altrui privata ingordigia”.Il Sindaco risponde con una contro denuncia dando spiegazioni anche sulla sua attività amministrativa .
Giuseppe Pennetti porta alla Real Camera alcuni volturaresi a testimoniare la pessima amministrazione del Sindaco insieme all’Arciprete del paese,Don Nicola Benevento ,suo parente.
3 Ottobre
il nuovo Sindaco Nicola Di Feo,soprannominato Colarazzo, in parlamento pubblico decide di dare 150 ducati ad Andrea e 75 a Giuseppe,minacciando il licenziamento in caso di ulteriori liti e di fare ricorso ad un medico forestiero. Giuseppe Masucci fu Luca,padre di Leonardo Masucci vota per primo e invita tutti a votare come lui all’unanimità. L’unico che vota contro la proposta Masucci è Ferdinando Santamaria , definito un uomo del barone.
La reazione è immediata con una denuncia di Giuseppe Pennetti in cui chiede la nullità dell’atto del Parlamento per diversi motivi tra cui la minaccia di Giuseppe Masucci,che viene definito prepotente e capopopolo .
Andrea ribatte che il voto del Parlamento è valido e che il Sindaco,accusato di omicidio ,uomo di Capozzi e amico di Giuseppe Pennetti è stato costretto a riprenderlo in servizio a voce di popolo ed invita la Camera regia a far licenziare Giuseppe.
La causa viene discussa nel 1803.
All’ultimo momento gli avvocati difensori dei due medici decidono di presentarsi davanti alla real Camera , ma si avvalgono della facoltà di non rispondere.La storia continua per anni senza un verdetto definitivo.
Giuseppe Pennetti muore il 4 Agosto 1822,scosso per la morte avvenuta nel 1817 dell’unico figlio maschio Gaetano a 23 anni. Nel 1819 il fratello sacerdote Francesco Saverio lo definisce in non retti sensi,perché smemorato. Delle tre figlie due si sposano una a Cassano e l’altra a Montella,mentre la terza Teresa sposerà Luigi Di Meo , medico,Sindaco nel 1820,21 e 22 ,acceso carbonaro che verrà penalizzato nella repressione degli anni venti.Con lui finisce il ramo di Gaetano Pennetti,essendo anche un altro fratello Alessandro sacerdote e non avendo figli nemmeno l’altro fratello Vincenzo,famoso avvocato a Napoli.Costretto a rincorrere per una vita uno stipendio che sia uguale a quello di Andrea l’altro medico condotto , che accusa di prepotenza,di superbia e di poco impegno nel lavoro attacca vari Sindaci ( Gennaro Petretta,Nicola Di Feo,Nicola De Cristofano) che non vogliono riconoscergli l’assiduità nel lavoro e l’equità di stipendio ,aiutato dal fratello avvocato Vincenzo, e porta decine di cittadini , compreso l’arciprete Nicola Benevento a Napoli davanti alla Regia Camera per dimostrare la bontà delle sue tesi,quasi mai riconosciute.
Andrea Pennetti ,celibe, zio di Don Dottore PietroAntonio ( 1836 - 1918) e Gerardo( 1829-1905°). Dalla travagliata storia della sua condotta medica esce la figura tipica del buon medico volturarese che conscio delle sue qualità assume l’atteggiamento del superuomo che deve essere cercato per la sua professionalità e rispettato per la qualità di lavoro.Non esita a farsi pagare dai malati, nonostante che l’essere condotto lo proibisce, né esita a farsi aspettare dagli stessi per essersi recato in altri paesi vicini o chiamato per lavoro o per semplice divertimento., né tanto meno esita a mandare tutti al diavolo se osano paragonarlo al cugino Giuseppe del quale si crede nettamente superiore. Pretende il triplo dello stipendio del collega e trova diversi Sindaci,che a torto o a ragione lo assecondano,anche perché il fratello Nicola ,cancelliere comunale per tutto il secondo settecento fa il bello e cattivo tempo sul Comune che si chiama ancora Università.
Non esita a dare del delinquente al Sindaco Lodovico Petito che nel 1793 divide in due parti uguali lo stipendio della condotta medica tra lui ed il collega Giuseppe.
Alla fine episodi di ripicche e vendette di cui è stata sempre piena la storia di Volturara.
Una storia simile si vivrà a Volturara nel dopoguerra del XX secolo.

Prestito al Sindaco Mattia de Cristofano con causa che dura quattro generazioni

Una causa lunga 50 anni attraverso quattro generazioni per dei prestiti avuti da Mattia De Cristofano di Vincenzo nel 1739,1748 e 1751 da parte di Salvatore e Bartolomeo Di Donato una famiglia di notabili atripaldesi,
conosciuti per essere arroganti e prepotenti. Mattia aveva chiesto i prestiti quando era Sindaco di Volturara nel 48,49,50 e 51,per far fronte alle spese di gestione. Ne pagano le spese il figlio Domenico con suo fratello sacerdote Don Sebastiano ed il figlio di Domenico , Mattia junior che a fine secolo deve ancora rispondere all’amministratori dei beni degli atripaldesi anche loro ormai deceduti da anni.
Il nipote Mattia viene condannato nel 1792 a pagare 170 ducati al Barone Nicola M. Belli amministratore dei beni degli atripaldesi. Nello stesso anno muore lo zio sacerdote Don Sebastiano,lasciando Mattia unico erede delle sue proprietà . Mattia fa ricorso adducendo di non aver ereditato quasi niente dal nonno .Il tribunale nel 1798 nomina due esperti delle cose di campagna Benedetto Masuccio e Domenico Mele. Nel 1803 Mattia muore. Il Barone se la prende con i figli di Mattia. Nel 1805 viene messa in vendita la masseria ed altre proprietà dei De Cristofano. Nessuno compra.

Pennetti e Masucci a fine settecento

A fine settecento i Pennetti, fino a quel momento padroni incontrastati del territorio e referenti del feudatario vengono affiancati da Giuseppe Masucci,che diventa erario del Marchese , con i figli Michele e Pasquale. I Masucci si alleano con Andrea Pennetti contro il ramo di Giuseppe nella querelle raccontata e si spostano dalla Pozzella dove abitano, in Piazza acquistando nel 1809 dal Marchese il Palazzo baronale per 720 ducati , tramite Don Mario Capozzi di Salza, con la quale famiglia ,che produrrà proprietari e deputati,manterrà contatti di rispetto e di sudditanza politica . E’ l’inizio di una ascesa che vedrà i figli di Don Pasquale ed i loro discendenti divenire dal 1830 in poi i referenti di tutti i notabili e della popolazione in una saga di potere e di partecipazione che dura fino ai giorni nostri. Profondi conoscitori della mentalità e del modo di agire dei volturaresi hanno cavalcato con successo i cambiamenti profondi avvenuti nella società nel corso dei decenni, mantenendo carisma e rispetto da parte dei più , con la capacità di spegnere i bollori di chiunque abbia tentato di metter loro i bastoni tra le ruote, notabile,mezza calzetta o fessa che sia stato. Usando per ognuno di loro il metodo adatto per ridimensionarlo. Con alleanze quando era possibile e/o con le maniere forti quando altri mezzi non erano sufficienti.
I Pennetti dal canto loro continuarono a sfornare professionisti e ,spesso, menti illuminate, senza avere per oltre un secolo alcun potere politico – amministrativo e bisogna aspettare la fine dell’800 , con Vincenzo Pennetti , e l’inizio del 900 con Don dottore per riprendersi una supremazia persa da tempo. Il declino si ha con la morte di D. Luigi,podestà dal 1930 al 1934 e la scomparsa totale della famiglia da Volturara nell’immediato dopo guerra , quando l’ultimo discendente dovette vendere la casa a Silvio Sarno per andarsene per sempre.

Fine 700 Vescovo di Montemarano contro il Clero di Voltorara

Onofrio Maria Gennari nativo di Maratea fu l’ultimo Vescovo della Diocesi di Montemarano che comprendeva Volturara,Castelvetere e Castelfranci. Eletto da Papa Clemente XIV vi rimase fino alla morte avvenuta nel 1805, nonostante ripetute richieste ,mai accettate, di trasferimento in altra sede per motivi di salute ,legati all’altitudine che gli procurava fastidi.In effetti ebbe continui contrasti con il Clero di tutti i paesi della Diocesi ed in particolare con il Clero di Volturara che allora comprendeva 32 elementi.
La querelle riguardava una antica usanza secondo la quale il Clero di Volturara doveva partecipare in toto alla processione di San Giovanni che si teneva ogni anno in Montemarano nel mese di Agosto, usanza abolita intorno al 1750 dal suo predecessore Passante.
Ripristinata nel 1790 con decreto Reale provocò contrasti in seno al Clero di Volturara che si spaccò in due tronconi con 19 favorevoli e 12 contrari.
Il Sinodo diocesano del 1791 mise in evidenza in modo palese questo strappo con gli oppositori che dichiararono pubblicamente di essere stati maltrattati dal Vescovo in occasione della processione di San Giovanni di quell’anno ,minacciando di far ricorso al Re contro le decisioni del Sinodo, anche se tre di loro , pur rimanendo in contrasto col Vescovo , ritirarono la loro adesione al fare ricorso al Re. Gli altri 19 , con in testa l’Arciprete Don Nicola Benevento , ribadirono la loro fedeltà al Vescovo dicendo pubblicamente che durante la citata festa e processione di San Giovanni erano stati trattati in modo gentile e garbato e che erano stati ospiti nel Convitto ecclesiastico mangiando cibi scelti ,preparati nella cucina del palazzo vescovile, e che al ritorno a Volturara avevano lodato l’operato del vescovo nei loro confronti , mettendo in evidenza l’accoglienza ricevuta ed esaltando in modo particolare il pranzo che era stato abbondante per qualità e quantità.
Il ricco menù comprendeva:
buona minestra, con bollito di carne vaccina e di agnello frameschiato
ragù impasticciato dell’istessa carne di agnello
formaggio e frutti con ottimo pane e miglior vino.
Le incomprensioni ed i rancori continueranno negli anni , acuendosi nel 1799 quando il vescovo verrà accusato di essere amico dei francesi e come il Sindaco di Volturara , l’anno dopo deve discolparsi di fronte al tribunale per aver accettato dal popolo la carica di Presidente della Municipalità . La causa si chiuderà solo nel 1802 con assoluzione piena.
Il Vescovo Gennari morirà nel 1805 e da allora non venne nominato altro vescovo a reggere la Diocesi di Montemarano per motivi di opportunità .
Solo nel 1818 , per essere troppo piccola e priva di seminario , verrà aggregata alla Diocesi di Nusco fino alla fine del 900.












La Banda Rinaldi ( Nicola Rinaldi, Aniello Rinaldi, Antonio Di Feo, Giosuè Raimo ). La spia .

Negli anni che vanno dalla fine del 700 al 1873 la zona di Volturara è piena di banditi e briganti, che assumono valenza spesso politica legata alle cacciate ed ai ritorni del Re borbonico in carica. Ogni tentativo delle autorità di frenare il fenomeno si rivela vano perché “essendo situata la Terra di Voltorara alla falda di una montagna,la quale ha comunicazione da un lato colle montagne di Montella,Bagnoli ed Acerno, e dall’altro con quelle di Serino, e Giffoni ,perciò nell’inseguimento tali facinorosi internandosi nelle montagne suddette dalla gente di armi se ne perde la traccia,né per quante ricerche e maneggi si fussero fatti sin ora non si è potuto avere una spia fedele per essere a giorno nel luogo del loro ricovero”.
Nel 1805 si tenta di affrontare definitivamente il problema e viene mandato a Volturara il tenente Lorenzo De Conciliis con l’ordine di tentare con ogni mezzo di chiudere la questione. Nel mese di Aprile vengono arrestati parecchi fuorilegge,responsabili di assalti ai viatecali e viandanti nei mesi precedenti.Il tenente De Concilliis organizza un reparto di guardia paesana scelta tra persone del paese probe ed attaccate al governo. Minaccia i governanti di accollare loro l’importo di eventuali furti perpetrati ai danni dei cittadini ed arresta Giuseppe Gambale di Montemarano e Giuseppe Marra di Voltorara “rei di omicidi ,uomini facinorosi e componenti della comitiva di criminali della zona insieme al loro ricettatore Michele Masucci “protettore della medesima comitiva e detentore di armi proibite”.
Grazie alle “fedeli” spie , riesce a sapere il nascondiglio dei briganti sulla Faieta in un luogo quasi inaccessibile e con una squadra arriva sul posto.
In una grotta piena di cibo e di danaro scovano Antonio Giggi di Chiusano,
rimasto di guardia .Lo arrestano e restano in attesa dell’arrivo dei suoi complici. Un’attesa vana,perché gli altri capita la trappola , prendono il largo. Dopo una notte al freddo della montagna , alle prime luci dell’alba decidono di tentare l’irruzione in altre grotte della zona, su indicazione del chiusanese, il quale furbescamente indica loro nascondigli ormai abbandonati da tempo.
Un clima di paura si impadronisce del paese ! La spiata scatena l’ira dei briganti e la loro vendetta sembra una mannaia sulla testa di molti.
Chiedono protezione e sul posto viene mandata una squadra di 24 soldati che deve affiancare il tenente ancora in zona.Si decide di provare uno stratagemma per tendere una trappola mortale ai briganti .
Scovano un certo Francesco Ferrandina in carcere dal febbraio del 1799 per due omicidi , il quale in cambio dell’amnistia per i suoi reati per tornare in libertà si offre volontario , con una finta evasione ,per unirsi ai briganti e poi tradirli e consegnarli alla giustizia. Un piano perfetto che riceve il benestare del Re in persona con la sola clausola che il Ferrandina ha due mesi di tempo per mettere in atto il piano. Allo scadere del tempo le autorità si riservano qualsiasi iniziativa contro la sua persona. La paura che, una volta libero, tenti di fare il doppio gioco rende nervosi gli ufficiali e fa quasi frenare l’iniziativa. Si decide in ultimo di tentare, non dopo aver minacciato di morte per l’ennesima volta il Ferrantina. Alla fine di Novembre il galeotto, aiutato dall’oscurità e senza trovare guardie sul suo cammino , evade dal carcere di Avellino. Da questo momento di lui si perdono le tracce e dai documenti nelle nostre mani non sappiamo il seguito della vicenda. Possiamo azzardare qualche ipotesi su quello che sia avvenuto . E’ infatti facile intuire che una volta libero , si sia reso uccel di bosco senza mantenere la sua promessa o che al massimo i briganti , invece di accettarlo nel loro gruppo, lo abbiano ucciso prima che diventasse per loro pericoloso . Anche perché continuarono a scorazzare tra le montagne del Terminio e solo nel 1809, precisamente il 10 Ottobre, Aniello Rinaldo,il capo dei briganti volturaresi e luogotenente di Laurenziello fu ammazzato in uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine.

1806 fine del Feudalesimo medievale.Inizio di una nuova epoca con il ritorno dei Francesi nel Regno di Napoli.

Il 4 Dicembre 1806 è una tappa fondamentale nella storia dei Comuni,che fino ad allora si chiamavano Università. Con l’arrivo dei francesi nel Regno delle Due Sicilie e la fuga di Ferdinando di Borbone a Palermo in questo giorno con una Legge viene posto termine al Feudalesimo.
Da noi i possedimenti del feudatario di Voltorara che era il Marchese Francesco Maria Berio di origine genovese passano al Comune. Viene istituito il primo Consiglio comunale. Il Sindaco è Giuseppe Savina,fratello del sacerdote Pasquale,vice parroco del paese.
Gli eletti sono Giuseppe Masucci fu Luca e Giovanni Marra di Giuseppe.
Il primo Consiglio Comunale ( decorionato) è composto da Carlo Pennetti,Nicola Di Meo,Nicola Di Meo,Nicola Pasquale,Domenico Raimo,Nicola Di Marino,Angelo Di Marino,Giacomo Raimo,Nicola Di Cristofano,Matteo Picone analfabeta, Segretario Nicola Pennetti.
I possedimenti ormai divenuti comunali vengono dati in fitto a chi economicamente può permetterselo, perché il Comune ha bisogno di soldi per sanare il Bilancio. Poche famiglie che mettono il monopolio sulla gran parte dei terreni e dei boschi da tagliare.
Una nuova classe dirigente ,definiti grandi affittuari, che a loro volta ,non potendo gestirli in prima persona, li affittano “ alla parte “ ai piccoli coloni che li coltivano chiamando a lavorare la sterminata e poverissima schiera dei “bracciali” con l’unico guadagno di un pasto o di una manciata di sementi o ancora una “pizza” di pane di granturco da portare ai figli affamati. Negli anni ,gestendo il potere amministrativo in prima persona , comprano dal Comune con pochi ducati e,spesso senza niente, interi appezzamenti di terreno che entrano a far parte dei loro patrimonio familiare,diventandone usurpatori. Centinaia di cause contro il Comune per mantenere un possesso troppo spesso illegittimo ,ma quasi sempre vincente per troppe connivenze e/o imposizioni. Chi tenta di rimettere qualcosa a posto viene bloccato,
denigrato ed isolato. Alla fine dell’ottocento si giunge al paradosso che tutti i Consiglieri comunali devono ritenersi decaduti perché tutti dichiarati usurpatori di terreni comunali. Ogni tanto per mantenere la calma sociale si tenterà qualche quotizzazione dei terreni comunali donandoli al popolo come nel Luglio del 1861 in piena rivolta contro i Piemontesi facendo apparire concreta la chimera del possesso dei terreni quotizzati. L’anno successivo , dopo parecchie epurazioni e sicuro controllo del territorio la quotizzazione e la conseguente spartizione dei terreni tra i poveri viene bloccata e sospesa con cavilli burocratici. La prima vera quotizzazione verrà effettuata nel 1900 in pieno periodo di emigrazione verso le Americhe,quando Volturara si riduce in tre anni a due terzi della popolazione preesistente.Altre quotizzazioni avverranno senza successo negli anni 30 fino all’occupazione delle terre del 1948 quando i comunisti di Volturara ( Pupetto,Casieri, Sandruccio De Meo) con parte del popolo occuperanno le terre comunali rivendicandone il possesso. Il Sindaco Renato Masucci per non provocare disordini concede di fare le graduatorie per l’assegnazione. Quando vede che anche alcuni proprietari avevano presentato la domanda fingendosi poveri blocca tutto e le tante dure lotte devono dichiararsi tutte perse Gli stessi organizzatori dell’occupazione demoralizzati prendonoo quasi tutti la via dell’emigrazione scomparendo per sempre da Volturara.

1809

Quello che successe nel 1809 fu ricordato per decenni e decenni. In un paese dove gli omicidi erano all’ordine del giorno, quell’anno successe di tutto.
Tra Agosto e Ottobre Volturara era un campo di battaglia ed alla fine si contarono una decina di omicidi negli scontri tra forze dell’ordine e briganti e tra bande di briganti rivali tra di loro. Tutto si calmò il 10 Ottobre con l’uccisione del capobrigante Aniello Rinaldo e con l’arresto nello stesso giorno di tre sacerdoti Don Mattia Rinaldi,zio di Aniello,Don Mattia Mele,Don Lorenzo Pedecino , e di Don Nicola De Cristofano .

1814 morte dell’arciprete Don Nicola Benevento
1815 morte dell’arciprete Don Pasquale Savina

Alle ore 16 del 25 Marzo 1814 l’Arciprete Don Nicola Benevento muore di broncopolmonite dopo 41 anni nell’arcipretura.
Il suo vice Don Pasquale Savina , oratore famoso in tutta la Provincia gli dedica un discorso di addio commovente e pieno di significati , come si usava fare una volta e ne prende il posto come Arciprete.
Il paese per una volta ha una persona giusta al posto giusto in un momento difficile dove tutti girano armati o in compagnia di altri per paura di essere rapiti dai tanti feroci briganti che infestano le montagne.
Dura lo spazio di una primavera finché una sera ritornando a casa dopo la messa se li trova davanti all’uscio . La paura per un uomo mite come Don Pasquale determina uno brutto scherzo. Cade stecchito ai loro piedi !

1820 i moti carbonari

I moti carbonari videro Volturara protagonista di primo piano, e ,
nonostante l’isolamento politico e geografico, una schiera di intellettuali volturaresi si unì ai tenenti Morelli e Silvati a Monteforte per poi marciare su Napoli a chiedere la Costituzione al Re Ferdinando.
Il fulcro del movimento fu la casa dei Benevento al Campanaro , con Don Cosmo , Don Domenico e Don Carmine . Erano riusciti a prendere in mano il Comune con il medico Luigi Di Meo, loro cugino che avevano eletto a Sindaco e con lo stesso Domenico Benevento che era diventato il I Eletto. Venivano dall’esperienza napoletana dove avevano compiuto gli studi e dalla partecipazione all’esercito napoleonico nel quale Luigi Di Meo era stato ufficiale col grado di Tenente. La loro società segreta ,la vendita carbonara << Costanza invincibile>> , era collegata con le altre società irpine e soprattutto con quella di Montella ,gestita dal capitano Nicola Clemente. Il 2 Luglio 1820 i volturaresi ed i montellesi si ritrovano dietro al Serrone , dove ,al comando del capitano montellese , erano pronti a marciare su Avellino. Come si dirà in seguito , qualcosa non funzionò.
Ci furono contrasti insanabili tra i due gruppi , forse dovuti ad antichi e mai sopiti rancori di possesso del territorio che erano costati parecchie vittime nei secoli , ed allora Luigi Di Meo il Sindaco in carica prese il comando del drappello ed al grido di viva la Costituzione , viva la Libertà si mise in marcia seguito dall’entusiasmo dei volturaresi e dal rancore dei montellesi che decisero di andarsene per conto loro .
Furono nove mesi entusiasmanti , ma ben presto il giro di vite imposto dal Re colpì ad uno ad uno i partecipanti , rendendo loro la vita difficile negli anni successivi fino al 1840 , quando con la liberazione dal controllo della polizia di Don Domenico Benevento , che aveva ormai 54 anni si chiuse un’epoca che li aveva visti isolati e maltrattati nel lavoro e nella vita.
Nessuno di loro ,né i loro figli parteciperanno in prima persona agli avvenimenti né del 1848 , né del 1861.

1827 il Capourbano viene ammazzato.

Gli anni tra il 1820 ed il 1840 furono turbolenti e difficili con parecchi morti ammazzati nel contrasto tra liberali della carboneria e i fedeli dell’assolutismo borbonico. In particolare nel 1827 si ebbero numerosi scontri sul territorio . Ci lasciarono la pelle
1 Luglio
Nicola Di Marino 48 anni fu Angelo e Antonia Picone marito di Giovanna Luciano,possidente. CAPOURBANO .
2 Agosto
Sulla Maroia Angelo Pisacreta di Bonaventura di 21 anni.
11 Ottobre
nella caserma della Gendarmeria Luigi Galluccio ,gendarme di 30 anni da Aiello
29 Novembre
alle Pantanelle Alessandro Petito 18 anni bracciale di Michele e Serafina Solito
Nella memoria di tutti restò per tempo immemorabile che il figlio di
Don Nicola Marino, il notaio Mattia, eletto a sua volta capourbano fumò nella sua pipa i capelli del brigante che aveva ammazzato il padre.
Per il suo pessimo carattere , nessuno dei discendenti ha mai più dato il nome di Mattia ai loro eredi.

1854 Nicola Volpe accusato di spargere il Colera e scatenare una sommossa popolare contro lo Stato borbonico.

In Agosto 1854 , il morbo asiatico che affliggeva la Capitale e le diverse contrade del Regno, avvicinavasi al territorio di Volturara. E le voci che precorrevano su le vittime di tanto flagello, eran congiunte alle altre che,non la Divina ,sebbene la mano dell’uomo era quella da cui tanto male partiva, collo spargimento di sostanze velenose. Tra le verità e le chimere ondeggiava perciò l’animo della popolazione e, nella crassa ignoranza , alle ultime piuttosto prestava fede.
Avveniva nel 15 detto , che Nicola Volpe dello stesso Comune ,penetrò nel fondo del paesano Giuseppe Pascale dove , dopo la di lui partenza , ebbe costui a causare il guasto di taluni piedi di granone , colla mancanza delle spighe ; e di più una piccola e tenera zucca franta ed internamente annerita , che fu raccolta e gittata . Sia per opera del Pascale , sia di un uomo, e di due donne che, da fondi limitrofi, osservarono Volpe nella proprietà di quello , si levò voce che colà Volpe erasi portato per introdur veleno negli ortaggi. A tal riguardo , la popolazione s’incitò , si radunò e , ritenuto Nicola Volpe autore dello spargimento di veleno, accorse a torme per disfarsene , tentando financo di scassinare la porta della propria casa , dov’erasi rinchiuso per sottrarsi da pericoli. Alla notizia di questo fatto, fece sopra luogo la forza pubblica , il Sindaco, e il sacerdote Don Vincenzo Masucci ; ed a sedare il tumulto fu fatta visita domiciliare presso Volpe , ma niente di criminoso essendosi rinvenuto , si cercò persuadere il pubblico che l’idea di veleno era chimera. Volpe intanto fu arrestato , e l’ordine pubblico ottenne la sua calma. Per incarico del Sig. Intendente della Provincia , procedevasi a raccogliere le pruove del fatto , in linea di polizia ,da che ne seguì anche l’arresto di Giuseppe Pascale, come fonte da cui si ritenne essere scaturito tutto lo avvenimento.
Gli arrestati col loro interrogatorio eran negativi , Volpe sostenendo di non esser penetrato ne anco nel fondo di Pascale , e questi di non aver nemmeno elevato il pensiero di veleno.
Occupavasi di poi la Giustizia Regia , per ordine Superiore , della istruzione giudiziaria , ed assodava che nello avvenimento non vi era concorsa la idea di essersi con ciò voluto turbare la interna sicurezza dello Stato.
Nell’interrogatorio in carcere
Nicola Volpe di Angelo di anni 27 afferma di non essere mai entrato nel fondo alla Foresta di Giuseppe Pascale, il quale il 16 Agosto mentre rincasava nel rione Freddano lo aveva picchiato affermando che aveva sparso il veleno della malattia nel suo fondo e che vedendo che il popolo voleva linciarlo attribuendogli la colpa di diffondere la malattia si era rifugiato in casa , rischiando di essere ucciso se non fosse intervenuta la forza pubblica.
Giuseppe Pascale 48 aa di Emanuele afferma che un certo Michele de Meo,pelecce, gli aveva riferito di aver visto Nicola Volpe entrare nel suo fondo , per cui recatosi sul posto aveva trovato una zucca rotta e annerita, ma non aveva pensato nemmeno lontanamente al veleno. Ciò nonostante la voce che Nicola Volpe avesse sparso del veleno si era diffusa in paese con una rapidità improvvisa.
Il 14 settembre iniziano gli interrogatori dei testimoni
Don Vincenzo Masucci sacerdote di Sebastiano afferma di essere accorso alla casa del Volpe e di aver calmato con le parole l’ira del popolo , fin quando non era arrivata la forza pubblica.
Don Nicola Benevento di Alessandro dice di aver saputo dell’avvenimento , ma di non aver mai detto né in pubblico né in privato che l’accaduto fosse stato messo in atto scientificamente per creare turbative interne alla Stato e spingere il popolo alla ribellione contro il Re e che il tutto dipendeva dall’ignoranza della plebe che credeva il colera creato dalla mano dell’uomo e non da quella divina.
Don Ferdinando De Cristofano di Sebastiano ,avvocato , afferma di essere accorso in via Freddano in qualità di guardia urbana e ripete la stessa versione del testimone precedente.
Michele de Meo,pelecce, conferma di aver visto Nicola Volpe entrare nel fondo da una fornace piena di calce posta lì vicino e di averlo riferito ingenuamente a Giuseppe Pascale , senza aver pensato che avesse sparso del veleno.
Teresa de Feo di Salvatore afferma di aver visto il Volpe entrare nel fondo e di aver pensato che avesse potuto spargere il veleno , date le voci che giravano che “sotto l’ombra del morbo dominate si andava spargendo veleno per distruggere l’Umanità”, aggiunge di non averlo detto a nessuno e di essersi ritirata in casa.
Teresa Buonanno di Domenico ripete la stessa deposizione della precedente testimone.
Michele Masucci ,chiovetto , di Nicola ,Angelo Zirpolo fu Nicola,Michele Gioiella barbiere di Geremia confermano i fatti ed affermano chi gli arrestati sono brave persone dediti ai lavori di campagna.
Don Michele Masucci farmacista e II Eletto funzionante da Sindaco afferma di essere accorso in via Freddano verso le 23 del 16 Agosto e di aver arrestato Nicola Volpe per sottrarlo all’ira della folla. Mentre lo trasportava in carcere, in piazza , la folla aveva ripreso a tumultuare gridando,fischiando e lanciando anche alcune pietre all’indirizzo del Volpe.
Aniello Pagnozzi , Caporale al comando della Brigata della Gendarmeria Reale ,conferma la deposizione del Sindaco f.f.
Dal registro del Tribunale si evince l’esistenza di piccoli procedimenti penali a carico dei due arrestati. Nicola Volpe era stato arrestato tre mesi prima per furto nel fondo di Giosuè Clora e rimesso in libertà dopo due mesi di carcere.
Con sentenza del 26 Ottobre 1854 il Giudice assolve i due imputati sia dall’accusa di voler spargere veleno del colera per distruggere l’Umanità sia dall’intendimento di voler sovvertire l’Ordine interno dello Stato ( siamo alla vigilia della sommosse che porteranno alla caduta dei Borbone e all’Unificazione dell’Italia) liberandoli dal carcere di Volturara dopo due mesi e dieci giorni di reclusione.

1855 Empia esecrazione del sangue della Madonna in luogo pubblico in pregiudizio di Alessandro Volpe

Nel giorno 28 Giugno ultimo Michelantonio Marra fu Giuseppe di Volturara verso le 22 stando nella sua bottega di pizzicagnolo in questa pubblica piazza , venne in briga col paesano Alessandro Volpe ,colà recatosi per farsi pesare della suola , e nel diverbio il Marra ingiuriò l’avversario di ladro quindi proferì l’esecranda bestemmia << del sangue della Madonna col mannaggia >> . Di questo fatto Alessandro Volpe se ne querelò chiedendo la punizione del colpevole. Con altra dichiarazione pari del giorno 5 Luglio il querelante Volpe dichiarò che per parte sua rinunziava alla querela avanzata contro Marra ,rimettendo l’ingiuria sofferta ; e riguardo poi alla bestemmia non aveva altre pruove a somministrare alla giustizia. La perizia eseguita con l’intervento dei periti , del querelante e dei testimoni presenti al fatto stabilì che il luogo ove fu pronunziata l’empia esecrazione è pubblico , perocché è una pizzicheria aperta al pubblico , ed ha comunicazione con la bettola che si tiene dallo stesso Marra. Nel compilarsi istruzione acclarate la seguenti pruove
I testimoni Antonio de Marino e Nicola D’Onofrio affermano di aver sentito la bestemmia dal Marra nella Pizzicheria.
Don Raffaele Gioiella ,Antonio D’Onofrio e Alessandro Gioiella affermano di aver visto il diverbio , ma di non aver sentito la bestemmia.
Alessandro Volpe riferisce la sua versione dei fatti davanti al giudice e dice di essere entrato nella bottega per pesare della suola , e che avendo visto una “piastra” d’argento sul tavolo , scherzando l’aveva presa ed aveva chiesto al pizzicagnolo di cambiarla in spiccioli . Vedendo che il Marra era caduto nello scherzo , gli aveva detto che scherzava e che la piastra era sua , perché stava sul tavolo della bottega.
La reazione del Marra , che poteva essere di allegria , invece è piena di rabbia . Incomincia ad inveire contro il giovane chiamandolo ladro e bestemmiando , affermando di volerlo quasi ammazzare. Poi si scaglia contro la moglie apostrofandola con “porca fottuta ,stai attenta la prossima volta“. Di qui la denuncia per bestemmia in luogo pubblico.
Giovanni Cianciulli e Michele Gioiella , chiamati a testimoniare affermano che Michelantonio Marra è un pessimo soggetto,che il locale è sporco , che lo stesso è stato in galera per omicidio e per altri reati e che è un grosso bestemmiatore.
Richiamato a testimoniare Alessandro Volpe il querelante ritratta
la denuncia , perché Il Marra gli ha chiesto scusa.
Nel continuare le indagini si verifica che Micheleantonio Marra nel 1846 fu accusato di detenzione di arma vietata con due mesi di prigione; nel 1848 assolto per ingiurie contro Agnese Benevento ;1851 danno volontario contro Don Raffaele Gioiella;1851 ferite e percosse ai danni di Antonio D’Elia con 29 giorni di arresti domiciliari; 1854 assolto da danno forestale alla Cerreta .
Il 16 Agosto 1855 Il pubblico ministero , visti gli atti , chiede l’arresto di Micheleantonio Marra.
Il 14 Settembre 1855 la Gran Corte Criminale di Avellino assolve l’imputato.

L’amante del prete 1858

Avendo pienamente verificato che il sacerdote Don Giovanni de Cristofano persevera nello illecito attacco colla donna Fortuna Discepola che vive da serva in casa di Gelsomina Benevento , perciò a mettere codesto sacerdote nel dovere di edificante ecclesiastico ella lo sospenderà dalla celebrazione della messa e gli intimerà di recarsi tra i Riformati di Montella fino a nuovo ordine…..

1858 Giovanni Marino arrestato per bestemmia

Intorno alle ore 22 e ½ del 22 Novembre 1858 , nel largo della strada consolare che da Montemarano mena a Melfi , in Avellino ed altrove , precise non guari ( molto) lontana dalla taverna esercitata da Nicola Chiancone ,un uomo ,dappoi liquidato per Giovanni Marino di Volturara,
sacrilegamente eruttò la seguente bestemmia esecranda , dirigendola ad un compagno di lui , che standogli avanti , credeva ostacolarlo nel cammino col traino che guidava “mannaggia l’anima di chi ti ha creato” profferendola ad alta voce ed al cospetto di molti individui.
Venne là per là arrestato il Marino e tradotto al carcere locale. Soggettato indi ad interrogatorio protestò la propria innocenza.
Tre testimoni presenti all’accaduto lo narrano come dianzi . Dichiarando di avergliene udito la bestemmia “ mannaggia l’anima di chi ti ha creato “ profferita dall’arrestato.
Altri la depongono per detto altrui nell’atto dell’arresto , sendosi trovati non guari lontani dal luogo del reato.
I vicini depongono che nel giorno dell’avvenimento non furon nella loro abitazione ,laonde sepper la bestemmia per pubblico racconto .Eglino hanno casa accanto alla strada consolare e dicono che questa sia frequentata e sogliono rimanervi abitualmente persone riunite.
Gli individui che resero le dichiarazioni in margine distante furon spettatori del fatto , ma udirono unicamente “ e come il Signor vi ha fatto così ……” dal labbro del prevenuto rivoltosi ad un suo compagno di viaggio , che col carro ostacolavagli il transito.
Le abitudini morali dell’impriggionato vanno plausibilmente deposte. Egli dacché subì condanna per complicità in un omicidio ( son anni parecchi) non ha fatto mai osservare in contrario sulla sua condotta, che anzi è stato dal pubblico di Volturara sua terra natale ammirato per essersi unicamente dato al travaglio.
Attuatasi perizia sul luogo onde istabilire la sua pubblicità se sia ovver no capace di abituale crimine , è risultato che il punto ove venne dilabrata la bestemmia è posto in mezzo la strada rotabile , ma al di fuori dell’abitato ,
quindi non solito a rimanervi l’abituale riunione d’individui .
Il catturante Carmineantonio Gambale non ha dati lumi per la maggiore accerto del vero.
I periti sotto giuramento affermano che non trattasi di un luogo pubblico,perché fuori dall’abitato di Montemarano.
I testimoni
Generoso Di Dio,garzone del tavernaro chiama come testimone Gabriele Valentino figlio di un trainante di Marigliano di 10 anni che afferma di aver udito per intero la bestemmia.
Maria Todino,moglie del tavernaro ,filatrice,afferma di non essere stata presente al fatto,ma di averlo udito da latri.
Costantino Fusco trainante di Montamarano dice le stesse cose.
Grazio Corso ,domestico del tavernaro afferma di aver udito solo la seconda parte della bestemmia.
L’imputato Giovanni Marino 34 aa fu Nicola ,garzone di trainante al servizio di Michele Giammarino di Lacedonia, condotto davanti al giudice afferma di non aver bestemmiato , ma di aver detto solo “ ma mò vuoi camminà,mannaggia l’aria toia”!
Il giudice invita a deporre tutti i vicini del tavernaro,ma nessuno era presente
al fatto.
Il Giudice chiede al Sindaco di Volturara Gennaro Vecchi notizie sull’imputato . Il Sindaco invia quattro persone dal giudice.
Michele Raimo fu Giovanni ,ciglione, afferma che venti anni prima Nicola Raimo aveva commesso un omicidio ,uccidendo Nicola Pasquale fu Salvatore . Condannato ed espiata la pena era tornato al paese mantenendo una condotta irreprensibile, fino a che non era emigrato a Lacedonia intorno al 1850,prendendo moglie.
Serafino Marra di Giuseppeantonio , Alessio Risoli e Mattia De Feo fu Michele confermano la deposizione.
Il Giudice ordina ai periti Fabrizio Gambale fu Francesco di aa 73 e Don Giuseppe Todino un sopralluogo per stabilire se il luogo del fattaccio è pubblico o no .
Dai registri del tribunale di Volturara si evince che Giovanni Raimo la sera del 7 Novembre 1841 fu complice di Daniele Mele , che aveva ucciso premeditatamente a coltellate Nicola Pasquale , morto nei 40 giorni successivi.
Il Giudice ordina per il 29 Dicembre un confronto mettendo Giovanni Marino in mezzo a tre individui quasi simili a lui e chiamando di nuovo i testimoni per il confronto.
Gabriele Valentino , Generoso di Dio,Orazio Corso, Giovanni Doto,Carmela Sullo lo indicano e lo toccano con la mano.
Il Giudice il 17 Gennaio convoca i periti , nominando altri tre periti nuovi per definire se il luogo del fatto era pubblico o meno .
I periti affermano che è strada pubblica ,posta fuori dell’abitato , in aperta campagna e no di abituale riunione.
Il 26 Gennaio viene chiesto al Tribunale di Avellino di convalidare l’arresto dell’imputato
Il 28 Gennaio 1859 la Gran Corte criminale di Avellino non accoglie la richiesta ed ordina la scarcerazione dell’imputato .
Giovanni Marino per aver detto “ Mannaggia l’anima di chi ti ha creato” si era fatto 66 giorni di carcere a Montemarano.

La paura fa venire i capelli bianchi 1861

Felice Petretta , proprietario terriero di Volturara fu rapito dai briganti e portato nella grotta di Don Arcangelo sulla Costa .
Febbrili trattative con la famiglia che alla fine pagò il riscatto chiesto dai malviventi. L’esperienza vissuta fu fatale per il povero Felice che, appena tornato a casa , vide i suoi capelli diventare bianchi di un colpo ed il suo fisico ammalarsi di giorno in giorno .Rifiutò il cibo e l’acqua e nello spazio di quindici giorni morì, forse per la paura subita. Era il 6 Novembre 1861. A nulla valse l’impegno del figlio Andrea che chiamò al capezzale del padre i migliori medici in circolazione

La scandalosa 1862

Giovanna Solito di Antonio nata nel 1820 era sposata a Cairano,ma si divise col marito e tornò a Volturara. Viene definita scandalosa perché faceva il mestiere più vecchio del mondo.

Vita da brigante 1861 - 1870.

C’era una volta….potrei incominciare così ,come se raccontassi una favola dove si parla di orchi e di fate.
C’era una volta , e non sono passati più di cento cinquanta anni,una banda di briganti. Stavano rintanati nei boschi,verso la cima delle montagne. Dormivano in grotte,nei pagliai. Quando c’era bel tempo restavano a cielo aperto alla rugiada. Anche un pagliaio odora di chiuso e una grotta assomigliava troppo ad un gabbia per uccelli,dove resti incastrato senza aver possibilità di fuga.
Dormivano con un occhio aperto ed un altro chiuso,sempre all’erta come le lepri. Se erano stanchi e nemmeno un occhio ce la faceva a restare aperto,un brigante restava di guardia per tutti e gli altri dormivano un sonno profondo. Inganni non ne volevano i briganti!Non si sa mai che ti può riservare questo mondo infame!
Il popolo tremava di paura. Chi tremava di più erano i signori,perché i briganti toglievano loro i ducati d’argento ed i marenghi d’oro .Ma anche i poveracci non erano tranquilli. Gli zappatori ed i bracciali dovevano recarsi in campagna a lavorare. Avevano occhi e orecchie. Potevano vedere e sentire,anche senza volerlo,per caso. Per chi aveva visto od udito , la testa era in pericolo.
Ai primi dell’Ottocento fu rapito dalla Banda Laurenziello Giovanni Marra,già Sindaco di Volturara nel 1780.
Nel 1861 dopo l’unità d’Italia in mano ai rapitori finirono
Ferdinando Picardi,mentre dormiva nella sua casina. Don Gennaro Vecchi di Don Andrea,Sindaco in carica. Don Pietro Lepore di Giuseppe.
Tutti rilasciati in seguito a pagamento di riscatto. Per Ferdinando Picardi la famiglia sborsò 2975 lire.



1862 Una promessa mantenuta

Antonio Raimo ( 1836 – 1930° ) ammanettato e circondato da carabinieri scende dal Campanaro con sguardo fiero, di chi non ha paura di quello che lo attende. Siamo agli inizi del 1862 , in pieno periodo del brigantaggio ed il giro di vite del nuovo Sindaco Salvatore Sarno porta in galera ad uno ad uno tutti i sospettati di brigantaggio. E’ una scena usuale in una Volturara dove quasi tutte le famiglie hanno un componente carcerato . Di fronte agli arresti chi piange ,chi si dispera, chi sfida le autorità più per rabbia che per convinzione politica. Antonio Raimo è un duro ,forse un po’ sconsiderato ,
ma passare per la piazza davanti ai tanti curiosi e mostrare paura , non rientra nel suo carattere di montanaro solitario. Accetta la realtà come una sfida e la sua baldanza lo rende euforico mentre il piccolo corteo che sta per entrare nella Chiesa di San Sebastiano si ferma come in trance e tutti girano lo sguardo ad osservare l’arrestato che cammina tra due ali di gente.
Antonio si ferma e chiede alla guardia che lo tiene per la catena
- Chi è quella bambina che portano a battezzare ?
La guardia titubante gli risponde che è la figlia di uno soprannominato Toto, al che Antonio nel silenzio generale con voce forte afferma
- quando uscirò di galera sarà mia moglie !, e continua nel suo incedere.
Gli anni di galera furono molti , ma venti anni dopo Antonio mantenne la sua promessa e, scontata la pena portò all’altare Maria Michela Masucci , la bambina che aveva ricevuto il battesimo il giorno del suo arresto.
Antonio Raimo alias Trigna visse quasi cento anni ed ebbe molti figli, uno dei quali morì nella prima guerra mondiale ed un altro Giosuè soprannominato lo Spirito visse 104 fino al 1978 , lasciando decine di figli e nipoti.

1862 Il Tiglio di Pagliuchella

l’unico tesoro dei briganti non ancora trovato nel territorio di Volturara Irpina dopo centocinquanta anni è manco a farlo apposta quello di Pagliuchella. Erano in tre a conoscerne l’esatta ubicazione e il destino ha voluto che nessuno di loro abbia mai potuto goderselo.
Scavarono di notte davanti alla sorgente dell’Orso e nascosti i ducati d’oro in una cassa di legno , per ricordarsi dell’esatta ubicazione piantarono tre tigli con il tesoro sotto quello centrale.
Salvatore Di Meo e Pagliuchella furono uccisi nello stesso giorno del 2 Luglio 1862 ,mentre l’altro, Giuseppe Nardiello, scappò nelle lontane Americhe per non essere arrestato o ucciso e non volle rivelare il posto a nessuno nella speranza di ritornare al paese per poterselo godere in vecchiaia. Gli altri componenti della banda cercarono per anni scavando decine di buche nella zona,senza mai più trovarlo. Passò il tempo ed agli inizi del nuovo secolo ,quaranta anni dopo ,mio nonno Antonio Marra , emigrato in America sentì parlare di un capobrigante volturarese morto da poco che si vantava di avere abbandonato una cassa di marenghi d’oro sotto un tiglio al suo paese ,preferendo la libertà alla ricchezza.
Nelle calde sere degli anni sessanta ,quando ero ospite della sua masseria a Santo Marco , mio nonno mi raccontava ogni sera una storia di briganti che aveva sentito dal padre che le aveva vissuto in prima persona. Mi raccontò anche di Giuseppe di Zeza ,che in America ripeteva a tutti di aver nascosto i marenghi sotto il tiglio , e che lui non aveva mai creduto a quella storia perché gli unici tigli erano in Piazza e a Santo Marco ed era impossibile poterci mettere un tesoro dentro.
Una sera d’estate del 2003 ,comodamente seduto davanti al bar in piazza,
discutevamo con degli amici del libro che avevo scritto sul brigantaggio volturarese ,quando Antonio Di Nolfi,mio assessore, entra in discussione dicendo che il nonno di suo nonno raccontava di un tesoro sotto un tiglio al sierro dell’Orso lasciato dai briganti . Come folgorato , cerco di saperne di più e Antonio , dietro mia insistenza , decide di accompagnarmi sul posto.
Ai miei occhi si presenta una raduna di una suggestione incredibile. Una sorgente che sgorga dalla roccia ,sormontata da un albero che si ricurva su di essa come ad accarezzarla e di fronte un tiglio che ha sicuramente 150 anni .
E’ il posto dove fu ucciso Ferdinando Candela , alias Pagliuchella, come si evince dal certificato di morte , ed il tiglio di fronte alla sorgente è “sicuramente” quello piantato da Pagliuchella in quella lontana primavera del 1862. Il tesoro è lì sotto !
Chi avrà il coraggio di scavare può arricchirsi, ma attenti !Antonio dice che suo nonno gli raccontava di una maledizione che farà morire chi lo trova.

1865 Due garzoni quattordicenni orfani di padre accusati di complicità in Brigantaggio

Angelo Di Mattia fu Luca di Volturara di aa 14 (statura bassa,fronte piccola,capelli castani,occhi cervoni,naso grande,senza barba, labbra grande,pelle giallastra,corporatura giusta).
Domenico Di Vecce di Acerno
Il 10 Febbraio 1865 le guardie al comando del sergente Francesco Cirino di Serino in perlustrazione su ordine del Maggiore del Battaglione mandamentale Gaetano Nicolais avvistano sul monte la Spina tracce di cavalli passati da poco e più avanti avanzi di pasta fatta a mano e resti di baccalà. Accelerato il passo, intravedono due individui che scappano nel bosco facendo perdere le loro tracce . Fermano allora due ragazzi di 14 anni Di Vecce Domenico fu Pasquale di Acerno e Di Mattia Angelo fu Luca di Volturara, ”garzoni” del vaccaio serinese Raffaele De Feo. Il sospetto è che i due hanno trascorso del tempo e forse pernottato con i briganti che hanno lasciato tracce di pasta e baccalà. Alla loro risposta negativa se avessero riconosciuti i briganti, li arrestano per complicità in brigantaggio come manutengoli e li trasferiscono in carcere a Serino dove vengono interrogati e successivamente ad Avellino dove rimangono per molti giorni. Il 30 Maggio dopo tre mesi e mezzo di carcere sono sottoposti a nuovo interrogatorio.
Domenico Di Vecce afferma che le guardie da lontano avevano scambiato lui ed il suo compagno per dei briganti armati di fucile per via dei bastoni lunghi che avevano in mano.
Per quanto riguarda i resti di pasta e baccalà sulla neve , il luogo dove erano stati ritrovati era molto più in basso da dove si trovavano loro due e che potevano essere stati lasciati dai venditori di olio che ogni giorno si recavano da Acerno a Serino
Angelo Di Mattia conferma la deposizione del compagno.
Vengono interrogate tutti i pizzicagnoli e venditori di alimenti di Volturara ed Acerno per capire chi sono i due che disperatamente negano sia di non essere loro i due fuggitivi,sia di non aver mai visto alcun brigante nella zona.
Per Volturara si presentano i pizzicagnoli
MicheleAntonio Marra di aa 40 .Afferma di non conoscere il Di Mattia
Agostino Cianciulli fu Giuseppe di aa 30
Antonio Di Cristofano fu Gennaro,manda a dire che si trova a Pratola per affari.
Alessandro Marra fu Ermenegildo di aa 40,Angelo Ingino fu Giovanni di aa 60 e Pietro Ristaino fu Giusepe di aa 60 affermano di non conoscere il ragazzo.
La Giunta comunale dichiara che il Di Mattia non ha conti in sospeso con la giustizia e che da due anni manca da Volturara,facendo il garzone nel serinese.
Il 13 Luglio 1865 dopo molti mesi passati in carcere e grazie alla testimonianza di loro compaesani e alla responsabilità che i Sindaci dei due paesi si prendono nell’affermare che sono solo ragazzi onesti e lavoratori,la sentenza del tribunale di Avellino li assolve ed i due vengono rilasciati ed liberati dall’accusa di essere complici dei briganti.
Per la cronaca a Volturara Irpina in quel periodo c’era il primo dei tanti Commissari prefettizi che la storia del paese ha vissuto dopo la decadenza del Consiglio comunale e gli assessori f.f. da Sindaco sono Gennaro Vecchi e Salvatore Sarno i due grandi rivali che si alterneranno a Sindaco il primo per 13 anni ,il secondo per 10.

1865 Generoso Sabarese accusato di brigantaggio

Il 1 Luglio 1865 il maresciallo d’alloggio Comandante la stazione di Volturara Viotto Giuseppe dichiara nel suo rapporto che alle ore 8 pomeridiane il Capitano Comandante dei bersaglieri della Guardia Nazionale di Avellino di perlustrazione nell’inseguire i briganti gli consegna Giannone Raffaele fu Saverio di aa 55 di mestiere sensale di grano di Montella e Generoso Savarese di Donato di aa 30 di Mercogliano domiciliato in Volturara Irpina di mestiere scalpellino catturati dal bersagliere Zaino Michele fu Nicola di aa 22 calzolaio di Avellino.
Il Savarese fermando il Giannone che da Montella andava a Santo Stefano sul suo asino ,con una mano bloccava l’animale e con l’altra gli afferrava il collo sussurrandogli sottovoce che non poteva passare per Volturara perché la truppa aveva assediato il paese ,ma che se gli dava due o più carlini lo avrebbe fatto passare. Il bersagliere li aveva invitati in caserma.
Il giorno dopo interrogato dal giudice , Raffaele Giannone afferma che la mattina precedente era uscito da Montella dove non c’era nessun soldato e si era avviato a Serino per esigere soldi per la vendita di grano ai fratelli Lillo e Pietro Mariconda di Serino stesso passando per forza per Volturara dove aveva saputo esservi una grande quantità di truppa alla ricerca di briganti.
Qui giunto era stato avvicinato da una sconosciuto che gli aveva chiesto,non avendo la carta di passaggio( lasciapassare ), due carlini per poter passare.Il bersagliere che era poco distante vedendoli parlare sotto voce li aveva arrestati entrambi.
Viene interrogato Generoso Savarese di Donato ( alto un metro e sessanta,capelli castagni,occhi castagni,naso filato,barba rada ,mento tondo,colorito normale) aa 30 nato a Mercogliano e domiciliato a Volturara sposato con prole,scalpellino,analfabeta. Afferma di vivere alla giornata ,che non ha fatto il soldato e che ha fatto precedentemente cinque giorni di prigione per minaccia a mano armata con fucile contro la moglie. Afferma inoltre che il giorno precedente era completamente ubriaco e che il bersagliere che era con lui era lo stesso ubriaco fradicio per aver bevuto a volontà nella cantina di Marianna Marra moglie di un certo Pasqualeantonio.Al montellese aveva chiesto una caraffa di vino e soggiunge di sapere che dopo mezzogiorno non si poteva uscire da Volturara perché circondata da soldati.
Nelle indagini successive dal certificato penale Raffaele Iannone risulta impegolato in una rissa nel 1847 e arrestato in seguito per furto.
Generoso Savarese carcerato varie volte per lesioni e minacce con coltello o pistola alla moglie Cristina De Cristofano.Si evince inoltre dai documenti che si chiama Generoso Sabarese di Torelli di Mercogliano,dove era nato il 4 Febbraio 1835.
Il 19 Luglio una supplica dell’avvocato di Giannone rivolta al giudice per scarcerare un padre di famiglia innocente ,con molti figli che rischiano la fame .Si allega un certificato del Sindaco di Montella che attesta le buone qualità del Giannone.Il Tribunale militare di guerra per la lotta contro il brigantaggio il 9 Agosto chiede al Sindaco di Volturara se l’1 Luglio Volturara era stata assediata dall’esercito per impedire la fuga ad eventuali briganti,ottenendone una risposta affermativa dall’assessore f.f. da Sindaco Gennaro Vecchi , quale afferma che Sabarese Generoso serba buona condotta e che solo di Domenica è dedito al vino.
Gli imputati vengono accusati del reato di complicità con i briganti; in effetti secondo il bersagliere che li aveva arrestati Sabarese avvicinandosi all’orecchio del Giannone gli avrebbe detto di avvertire i briganti che l’esercito aveva assediato Volturara e che vi era grosso pericolo per la loro incolumità.
Finalmente il 1 Settembre 1865 dopo due mesi di prigione la sentenza contro i due è completamente assolutoria dal reato di complicità in brigantaggio e pertanto vengono rimessi in libertà.

1875 prete mandante di omicidio .

<< Dove lo trovate , lo prendete >> , con queste parole si rivolge al brigadiere dei Reali Carabinieri recatosi a casa sua per arrestare il fratello Alfonso autore di un omicidio nella piazza di Volturara alcuni minuti prima, con la voce del popolo che mormorava il suo nome come mandante.
Se ci aggiungiamo che tre mesi prima era stato fatto segno da un colpo di pistola alle spalle da uno, rimasto sconosciuto, e che due anni prima aveva sfidato a duello Don Luigi De Meo reo di essere stato scelto al suo posto come maestro di scuola superiore, minacciandolo di “prenderlo a palate”, ci facciamo un idea di che carattere fosse il sacerdote Don Alessandro Petito
( 1833 - 1884) .
Ne si possono dimenticare le due sospensioni a divinis da parte del Vescovo nel 1858 e nel 1863 , per essersi recato più volte a Napoli senza il permesso del Parroco. Eppure come maestro di scuola e quindi educatore doveva essere un punto di riferimento di comportamento e di azione. D’altronde la storia dell’omicidio è una storia complessa con colpi di scena e testimoni falsi che mettono in luce un paese dove la vita non era facile e dove chiunque avesse un ruolo lo usava per gestire potere personale con arroganza e spesso con prepotenza. Don Alessandro era in definitiva uno dei tanti preti che invece di scegliere l’abito talare per dedicarsi alla parola di Dio , usava il suo stato per avere una vita agiata e piena di privilegi.
E non erano pochi i sacerdoti che si rendevano colpevoli di reati gravi che solo il tempo ha cancellato dalla memoria . Quanti di loro nella storia venivano arrestati per l’impegno politico o per reati comuni o per liti e tentati o riusciti omicidi. In definitiva però la lezione che riceviamo è che queste storie mettono in evidenza ,e con grande risalto , le figure di altri uomini di fede come Alessandro o Giuseppe De Meo , che sono stati fulgidi esempi di cultura e disponibilità verso gli altri, e che hanno portato nelle loro prediche o impegni la parola di Dio senza secondi fini , ma solo per fede incrollabile.

Volturaresi 1887. La Piazza rovina il paese !

In un pubblico discorso nel 1887 Antonino Del Vecchio,Regio Commissario Speciale inviato a Volturara per risanare il bilancio parlando dei Volturaresi diceva:
“ Nelle infime classi popolari,nel villico che lavora e produce,lo dico con sicura coscienza,la pubblica educazione è molto più innanzi che negli alti ceti sociali . Nella classe che si intitola civile ,parlo di pochi ,il contatto assume un’attitudine di esplorazione ed una diffidenza affatto giustificata . I naturali del luogo si lacerano a vicenda:non c’è fama incontaminata che non si tenti di maculare,non vi è condotta onesta che non si denigri ,non uomo politico ,la cui fama non sia lacerata da malignazione .La insinuazione poi è un vizio predominante di questo paese e vi lascia nel cuore un senso di disgusto. Signori è tempo che cessi questo sconvolgimento di senso morale. Vi muova a pietà l’onore del natio loco.
E se questo onore paesano vi è caro,insorgete tutti a combattere questo pernicioso sistema : riabilitare nella stima della Provincia il Comune di Volturara ed operate in modo che gli uffici pubblici al solo nome del vostro paese ,non si preoccupino,né guardino con diffidenza gli atti che partono da voi. Se non fosse per pochi mestatori , che invece di lavorare se ne stanno sotto il Tiglio maestoso dell’unica vostra Piazza , colla predominante idea di addentare tutto e tutti, e coll’evidente scopo di pescare nel torbido,
specialmente nei negozi municipali , in Volturara si potrebbe vivere una vita tranquilla”

1892 2 e 3 Luglio un gelo terrificante ed inaspettato distrugge i raccolti.

“E’ un vero flagello di Dio. Per effetto di detta brina buona parte del ricolto è perduto. Le piante di granone,di patate e fagioli i cui prodotti costituiscono i generi di premissima necessità del paese,sono completamente distrutte,gli steli di ogni pianta e le foglie si sono seccate al segno da potersi dire spoglie. Se si dà uno sguardo alla campagna si è certamente di ritirarlo contristato in pensando alle verdi piante che lo adornavano cangiate in un giallo nero dalla brina gelata caduta da renderlo un vero lutto.Ed il popolo geme per tal fatto, e rimpiange le dure fatiche ed i semi sparsi con speranza di fertile ricolto. Si affanna e si dispera in pensando alla fame che soffrirà e all’angustia che gli cagioneranno i proprietari dei fondi per avere soddisfatto il fitto annuo”.

Sacerdote spara 1894

Il sacerdote Don Antonio Candela il 28 Settembre 1994 ferisce a colpi di pistola Costantino Santoro . Il Santoro ,benché ferito gli si avventa contro e nella colluttazione che ne segue l’ecclesiastico riporta la frattura di un braccio e colpi di bastone alla testa . Il 29 Maggio 1895 viene condannato a quattro mesi e dieci giorni di carcere rigoroso.
9 Novembre 1897 su invito della Curia di Nusco Don Ermenegildo Marra comunica a Don Antonio Candela la cessazione della sospensione a divinis e la riabilitazione ,con la promessa di una condotta di vita irreprensibile.
Fu Maestro nella scuola per oltre un ventennio.

Vincenzo Sperduto

Erano ormai passati sette giorni da quando aveva incominciato a sparare all’impazzata su chiunque si avvicinava o veniva a contatto con lui.
Aveva visto il sangue schizzare dalla testa di quel contadino di cui non ricordava nemmeno il nome e non sapeva farsene una ragione.
Un attimo di follia che aveva sconvolto la sua vita , ma del quale non riusciva a pentirsi nemmeno rifugiandosi nella preghiera.
Lo avevano tutti accusato ingiustamente di aver rubato le galline in quella masseria ed avevano anche inventato delle prove per incastrarlo e farlo arrestare.
Che paese di merda ! che gente di merda! Vincenzo Masucci non è un ladro, e guai a chi vuole dimostrare il contrario.
Povero si, ma non mariuolo ! invece alla fine, nessuna comprensione da nessuno , solo cattiverie ed infamità . E lui non poteva permetterlo. Andare in galera senza aver fatto niente è uno schiaffo che non può perdonare a nessuno .
E allora se deve andarci in prigione perlomeno ci andrà dopo aver sparato a quasi dieci persone, così si ricorderanno di che pasta era fatto Vincenzo Masucci.
La testa fra i capelli , cerca di trovare una soluzione concentrandosi a tal punto che sembra dormire o forse si addormenta davvero . E nel sonno l’idea di andarsene lontano arriva come uno schiocco di frusta.
La sera cala lentamente e andare alla casa di Alfonso Cristofano,spiegarli la sua situazione , pagare profumatamente per avere un biglietto per le lontane Americhe si risolve in due ore.
Non gli Stati Uniti ,dove ci sono troppi paesani ,ma in Brasile per scomparire per sempre e non avere nessuno ricordo di un paese che lo ha maltrattato ingiustamente.
A piedi arriva a Napoli e al molo dove l’impiegato gli chiede nome e cognome risponde
- mi chiamo Vincenzo Sperduto e voglio andare in Brasile!
Scomparirà nel tunnel dell’emigrazione.

La strega di Volturara fine 800

Alla fine dell ‘ 800 una certa Arcangela era considerata come una strega ed una veggente.
La gente in special modo le donne vanno a casa sua per parlare con i defunti morti,e ,dietro pagamento chiedono di sapere dove stanno i loro cari nell’al di là.

1900 Elogio di Vincenzo Pasquale per la dipartita di Vincenzo Pennetti

Di gran cuore mi associo alla proposta del Sindaco ed a tutte le proposte che faranno per onorare degnamente il non mai abbastanza compianto concittadino Avv.to Vincenzo Pennetti perché le onoranze fatte a quelli , che si ispirano al vero ed al bello furono sempre da tutti i popoli considerate non come semplice atto di cortesia,ma di sacro dovere ; e questo dovere sento in me,lo vedo in voi,nella cittadinanza tutta,cui fu caro lo amato nostro concittadino del quale se imprendo a parlare non intendo con un discorso farne l’apologia perché mi manca la lena, e da tanto non mi sento ma dirò alla buona poche e brevi parole ,che la verità ed il cuore mi sapranno dettare. Tradirei,in su le prime,la verità non commemorando Vincenzo Pennetti qual forte e leale lottatore politico,quantunque l’obbiettivo della sua lotta fosse stata sempre in opposizione al sentimento della maggioranza assoluta del paese,pure fu leale ,disinteressato ed onesto sempre,come onesto fu sempre il sentimento del suo paese. Oggi che l’affarismo si è infettato nei grandi e piccoli centri,le scuole di Casale ha creati i così detti capipartiti che facendo il loro pro,si sono intrufolati in tutti gli affari di tutti i colori,Vincenzo Pennetti forte disprezzatore di queste abominevoli miserie ,
attraversando con piè fermo la via ingombra di fango e di putredine ne uscì illibato; e questa è una virtù inestimabile e superiore a qualunque politica; e poiché qualunque opinione essere deve degna di rispetto ,ne consegue che qualunque odio di parte spegnersi deve di fronte all’uomo onesto,che coi forti studi divenne l’onore della famiglia , del paese e della Provincia. Egli trentatreenne poco visse,molto oprò ; e moltissimo avrebbe oprato se la inesorabile morte innanzi tempo non l’avesse spietatamente rapito all’affetto della inconsolabile consorte , dei cari figlioletti che piangono e benedicono le sue memorie,ai desolati genitori che dal dolore sopraffatti lodano le sue azioni , al paese che oggi,in attestato di stima e di affetto onora ed elogia le sue virtù,colle quali seppe meritare il plauso e la stima di quanti lo conobbero, e conquistare col suo elevato ingegno un modesto onorato posto fra gli illustri cultori delle lettere e delle giuridiche scienze. A rendere sempre più omaggio ed onore alla memoria del caro estinto propongo farsi a spese del Comune decente funerale in suffragio dell’anima sua che si ispirò sempre al bello ed al vero,all’amore di patria,dei suoi cari congiunti e delle relazioni nella quale il 5 Dicembre 1900 da tutti compianto cristianamente morì lasciando nei cuori di tutti una dolorosa ferita non mai sanabile ed uno sconfortante vuoto che mi costringe dolorosamente ad esclamare “ Ahi gli uomini dei quali il mondo è indegno, rari passano sulla Terra , e presto tornano al cielo!”

1903 5106 abitanti dei quali i tre quarti sono poveri.

Un paese povero ed arretrato vede partire per le Americhe decine e decine di famiglie.






Filicione ‘nfossa due montellesi

La storia è inverosimile e sicuramente inventata, ma la racconto lo stesso perché rientra in un discorso di rancori ed odio tra Volturara e Montella.
Vito Di Meo , filicione, mi parla sempre di una Volturara antica e cattiva , dove la legge del taglione rappresentava fino a cinquanta anni fa l’unica giustizia terrena e dove i prepotenti erano uomini di carattere ,a cui
puzzava il baffo. Capipopolo e caporecazzi che imponevano leggi e regole , in barba a qualsiasi legge o regola.
Siamo agli inizi del novecento e suo padre Giuseppe,rampollo , si fa per dire,
di una famiglia prepotente e numerosa , sfida i montellesi sulla proprietà di un pascolo in località Vallone del Cavallo, cacciandoli in malo modo per pascolare le sue vacche.
La risposta dei montellesi è unica e rigorosa. Chi si mette contro di loro deve morire! Peppo re filicione lo sa e decide di giocare d’astuzia.
Accende il fuoco davanti al pagliaio, pianta una mazza che ricopre con il mantello,con la punta coperta dal cappello. Lui si nasconde con la scoppetta carica dietro un albero in attesa della vendetta. La trappola è pronta e può funzionare. Passano le ore , ed al calar della notte due ombre furtive si avvicinano al pagliaio,intravedono la figura curva vicino al fuoco e sparano. Quando si accorgono che è tutto un trucco, è troppo tardi. Filicione alle loro spalle li fulmina a bruciapelo con due scoppettate . Con calma serafica scava una buca profonda, vi deposita i corpi dei due montellesi e ritorna a casa , come se niente fosse successo.
Passano gli anni , senza che i due siano mai stati ritrovati .Solo verso gli anni trenta Peppo sul letto di morte , non riuscendo a trattenere il suo terribile segreto. e non volendo morire portandosi nella tomba un rimorso che lo ha attanagliato per più di trent’anni racconta tutto ai figli……
Dopo ottanta anni viene fuori questa storia di orrore e di morte che assurge a esempio di un mondo scomparso , ma vero. Centinaia di morti in secoli di convivenza forzata per confini che oggi nessuno più osserva. La forza dei montellesi contro l’astuzia dei poveri , Davide contro Golia , la potenza politica contro l’individualismo feroce di un popolo che anche quando è assurto a ruolo di eroe lo ha saputo e voluto nascondere nell’oblio del tempo che scorreva , senza protagonismi ma con determinazione e coerenza.
Isolamento e coerenza contro un mondo esterno che esalta sempre i sentimenti più negativi e faceva irrigidire gli animi in una tensione razziale che spesso sfociava in episodi crudeli , come risposta a vessazioni e maltrattamenti subiti.

1910 La Storia di Don Matteo e Don Vincenzino . Le Gemelle.

Una delle storie più intense del novecento volturarese vide come protagonisti due sorelle e due giovani notabili di Volturara.
Due storie d’amore intrecciate da una grande gioia di vivere e chiuse in modo drammatico da un destino atroce e ineluttabile.
Un opuscolo scritto nel 1912 e ritrovato in uno scaffale polveroso con i frammenti dei più vecchi che ancora ricordano quella storia da bambini sentita dai genitori nelle notti a lume di petrolio hanno provocato brividi e riflessioni che riempiono la mente e fanno rivivere quel periodo.
Giuseppina e Maria Masucci , gemelle, figlie di Don Annibale Masucci
( 1836 – 1903 ) nacquero l’1 Dicembre 1880 , quando il padre era Sindaco del paese. Un’infanzia felice e una gioventù trascorsa tra studi e ricami. Molti i giovani del paese che facevano la corte alle due inseparabili ragazze appartenenti a una delle famiglie più in vista e le gemelle scelsero due giovani veramente in gamba. Giuseppina si fidanzò con lo studente in Medicina Matteo Marrandino ( 1876 - 1939) di quattro anni più grande di lei,mentre Maria scelse Vincenzino Pasquale ( 1880 - 1957 ),figlio di Don Vincenzo, il farmacista in piazza. Primi anni del novecento trascorsi con serenità e gioia in attesa di un matrimonio da celebrare con entusiasmo.
All’improvviso il dramma! Il 4 marzo del 1910 Giuseppina muore di broncopolmonite virale e la sorella Maria che non l’abbandona mai un istante viene colpita dalla stessa malattia che conduce alla morte anche lei l’8 Luglio dello stesso anno.
I due fidanzati affranti giurano sul letto di morte delle due ragazze che non si sposeranno mai più!. Vincenzino parte per l’America, ritornando due anni dopo in cerca di un equilibrio interiore che non riesce a ritrovare e nemmeno l’opuscolo del padre pubblicato nel 1912 ,dedicato a questa delicata storia d’amore riesce a lenire il suo dolore. Passano gli anni e con gli orrori della Grande Guerra 15-18 viene dimenticata anche la vicenda delle figlie di Don Annibale.
Matteo esercita con dedizione e abnegazione la professione di medico chirurgo ,restando nel cuore dei volturaresi per la sua bontà d’animo e per l’impegno continuo profuso in difesa dei malati,soprattutto quelli poveri,ai quali dava anche soldi per comprarsi le medicine.
Vincenzino apre un bar in piazza,nel locale sotto casa che la fidanzata Maria morendo gli aveva lasciato come pegno estremo d’amore insieme ad altre proprietà. Non si sposerà ,mantenendo fede al giuramento fatto.
Matteo invece nel 1934 all’età di 58 anni si sposa con Amelia,la sorella di Don Michele Masucci,sperando di costruirsi una vecchiaia serena insieme al fratello sacerdote Don Marcellino. Da quel momento invece è un susseguirsi di guai che portano il medico all’esaurimento nervoso con diversi ricoveri in ambienti psichiatrici,l’ultimo dei quali a Napoli ,dove muore nel 1939. Una folla immensa in pianto ed in preghiera veglia per giorni e notti nella Chiesa del Carmine quello che consideravano tutti un santo oltre che un validissimo medico, che dava invece di chiedere e che aveva sempre una parola buona per tutti.
Il mormorio del popolo riferì subito le sventure di Don Matteo all’essere venuto meno al giuramento che aveva fatto in quella notte di trenta anni prima sul feretro di Maria,la sua fidanzata di non sposarsi mai.
Ancora oggi i più anziani ricordano bene tutta la triste vicenda.

La storia di Clelia Marra 1911

Figlia dell’avvocato Don Alfonso Marra e sorella di Don Roberto,legale e Giannangelo , medico fu protagonista di una storia di cronaca nel 1911. In via Gennaro Vecchi davanti a tutti sparò, uccidendolo, ad un volturarese che
l’aveva violentata .Assolta ,si sposò nel 1913 con Pasqualino Del Giudice,
seguendolo a Trani dove lavorava. Negli anni venti tornò ad Avellino col marito che poi lasciò crescendo con amore le due figlie avute da lui.

1917 due ufficiali caduti nello stesso giorno

Nella I Guerra mondiale sul dosso Faiti il 14 Maggio 1917 caddero due ufficiali volturaresi amici per la pelle,appartenenti allo stesso battaglione in due azioni distinte.
Atlante Di Meo sottotenente , guardia forestale fu dilaniato dallo scoppio di una granata e risulterà tra i 30.000 dispersi della guerra sepolti nel Sacrario di Re di Puglia.
Ciriaco Del Percio tenente e studente in Giurisprudenza cadrà alla testa del suo plotone raggiunto al petto da una pallottola .Sarà sepolto nel sacrario di Re di Puglia al Gradone 6.
Ambedue decorati con medaglia d’argento al valor militare.

La Spagnola del 1918

L'epidemia dell'influenza spagnola del 1918 fece centinaia di vittime a Volturara.Vecchi e giovani,bambini e donne. Nessuna famiglia fu risparmiata. Si contavano quattro o cinque morti al giorno.
Una delle vittime illustri fu il Sindaco in carica Don PietroAntonio Pennetti,medico che morì l'8 Novembre.
Le salme venivano caricate a spalla senza bara e, coperte da un lenzuolo, venivano portate al Cimitero.
Un giorno,si racconta,il cadavere che stavano trasportando, verso la Croce,luogo in cui si incrociano via D. Alighieri e via Vallicella con via Cupone e Orto Leonardo,si alzò dalla connola ,formata da due tavole ad angolo obliquo portata a spalle da quattro becchini e con voce tremante chiese di non essere portato al Cimitero perché non era morto .I becchini noncuranti continuarono a camminare.
Strada facendo uno di loro gli rispose rimproverandolo con voce
dura:" E' inutile che ti lamenti tanto pure ti dobbiamo portare domani !
ed il lavoro è troppo,non possiamo perdere tempo "!.
Lo seppellirono ancora vivo scaricandolo direttamente dalle spalle nella fossa già pronta .

1920 Lettera di Alessandro Sarni a suo nipote Monsignore
Caro Amilcare 8 - 12 - 1920

Ho letto il giornale il “ Corriere d’Italia”del 21 scorso portante la notizia che S.S. Papa Benedetto xv siasi degnato di nominarti “Cameriere Segreto soprannumerario” titolo onorifico,nella gerarchia ecclesiastica in omaggio e premio alla tua cultura letteraria scientifica,alla giovanile e feconda attività nel Provicariato generale della Diocesi Ulifana, ed al tuo apostolato di fede e d’amore per il bene della tribolata Umanità,che e’ pure il bene di tutti e di ciascuno.Tale attestazione di benemerenza ti eleva e distingue dalla folla anonima dell’odierna società dell’homo hominis lupus.Ed ora che la gotta mi concede un po’ di calma e lascia libera la mia mano, ti scrivo la presente per esprimerti tutto il mio compiacimento,e farti i più sentiti complimenti auspicanti alle maggiori ascensioni.
Con questo augurio mi sia lecito un monito di mia personale esperienza,perché possa servirti di norma nell’aspro cammino della vita e nello sconvolgimento generale,politico,economico,sociale,e morale,di tutto un vecchio mondo di negazione,di oppressione,e di miseria,crollante sotto il peso di orrendi delitti e di nequizie umane!
Quando io venni al mondo nel primo Dicembre del 1842 in Volturara Irpina antichissimo territorio della distrutta Sabazia dal ferro romano regnava ancora la Santa Alleanza dei Potentati della Terra e la ragione umana,che distingue l’uomo dal bruto,e lo avvicina a Dio,non aveva posto tra gli uomini!
Il Diritto era la forza, e la violenza legalizzata ridotta a sistema di governo. Il Dovere l’ubbidienza al più forte. La Morale una sfacciata ipocrisia. La Giustizia rifugiata in cielo in grembo a Giove di là da venire!
Tutto lo scibile umano,l’educazione e l’istruzione, veniva impartita dai Preti,nelle Scuole Pie e nei Seminari Diocesani, ed ai preti era ancora confidata la Polizia di Stato!
La indagine del Perché di tutte le cose e del mondo,nel quale si vive, e senza del quale l’uomo non può vivere, e cesserebbe di esistere,costituiva un Delitto, ed era punito con la morte civile dell’individuo,assai più feroce dell’antica schiavitù pagana!
Dalla Scuola Pia io passai ben presto al Seminario Nuscano ;quotato per uno dei migliori sotto il governo della negazione di Dio. Re Bomba Ferdinando II di Borbone così appellato dalle stesse Corti di Europa!!!
Quantunque io primeggiassi per sapere e per condotta disciplinare in tutti i Corsi ed in tutte le classi sopra ai miei compagni di studio,da meritare costantemente l’ottimo distinto tra tutti gli alunni ottimi,e conseguire il premio mensile,che elargiva l’Eccellentissimo Vescovo Monsignor Adinolfi,pure la mia rapida ascensione doveva spezzarsi di fronte al veto del Perché,ed essere colpito dalla pena della morte civile dell’anima e del corpo,che costituiscono la personalità umana!
Io volevo sapere il Perché delle cose e del mondo,che ci circonda. E spesso e volentieri ne domandavo ai miei Maestri e Superiori.La risposta,che ne avevo,era questa:”Allorché tu entrasti in Seminario,il Perché lo lasciasti abbasso alla Postiera ”.Naturalmente io non ero soddisfatto di questa loro risposta . E ad ogni occasione volevo reiterarla. La risposta era sempre la stessa,con qualche appendice o monito, e pena contravvenzionale al veto del Perché. Finché,al meglio dei miei studii,a 14 anni appena, quando io ignoravo che cosa fosse Politica di governi o di Stato,un’enciclica episcopale del medesimo R. mo Ill. mo Vescovo,che mi premiava tutti i mesi ed in tutti i corsi annuali ,decretò la mia espulsione dal Seminario nuscano e l’annotazione nella lista degli assendibili politici dello Stato.
Era questa la pena della morte civile,inflitta senza essere inteso e senza pubblico giudizio,con la quale si isolava e bandiva dalla Società l’individuo-uomo,lo si escludeva dal frequentare altri Istituti culturali, e lo si privava di conseguire qualsiasi diploma professionale,negandogli per tal modo il diritto alla vita,che e’ annessa e connessa alla produzione e riproduzione delle sussistenze!
La mia condanna era irreparabile in quei tristi tempi!. Ma il pensiero e la volontà vincono le difficoltà:Anche Cristo fu condannato alla pena infamante della Croce come fellone! Ed il Cristianesimo doveva redimere l’Umanità dagli dei falsi e bugiardi del Cielo e della Terra!
Io venni ricoverato occultamente ,ed ammesso nel Convitto dei padri Dottrinari in Sorbo Serpico ,mediante la cooperazione di un mio zio Nicola Benevento,che aveva in moglie la sorella di mia madre,vicegiudice del Regio Giudicato di Volturara,titolare il Mainente oriundo di Bagnoli Irpino.
Nel detto Convitto proseguii gli studii letterari e filosofici,e divenni professore nello stesso Convitto .I tempi precipitavano. Il Re Bomba,negazione di Dio,era decesso,e saliva al trono il figlio Francesco II.
All’alba del 1860 io fui rivoluzionario, e ribelle a tutte le oligarchie e consorterie. Conseguii diplomi e Laurea in Giurisprudenza nella Università di Napoli,che fu e rimase la mia sede principale.
Nel 1866 capitanai il grande movimento della gioventù studiosa,proclamando pel primo in Italia “il principio della libertà d’insegnamento,libera Università ed abolizione dell’istruzione ufficiale”. Posi il Siloca alle porte del Regio Ateneo e ne consegnai le chiavi al risorto Municipio di Napoli,che appoggiò il movimento divenuto popolare,indi represso con la forza da un governo frangifede!
Quel mio grido di libertà,che per oltre mezzo secolo,si ripercuote nelle Aule Parlamentari dell’attuale legislatura,tarlata e rachitica,uscita dal suffragio dell’ignoranza!
Collaborai nel giornalismo avanzato per la redenzione dei popoli oppressi. Previdi la immane catastrofica guerra mondiale dei decorsi anni 1914 - 1918,a distanza di un secolo dalla Santa Alleanza del 1815,non peranco cessata con la pace,peggiore ancora della guerra!
Pubblicai nel 1867 il Giornale per tutti,Politico-letterario-scientifico,per la reintegrazione della coscienza umana.Indi il battagliero Fieramosca per combattere le ingiustizie sociali. Non volli entrare nella Magistratura togata,che e’ un punto interrogativo?,complice di tutte le nequizie umane, e se ne lava le mani come Pilato !.Non accettai impieghi,ne’ croci.Conobbi Camerille di Corti e di Stato, ed ebbi orrore!!!
Ho avuto fede,e speme,nell’avvento di un nuovo mondo della Verità e della Legge della Vita,che armonizzi il Pensiero con la Natura,e faccia del Cielo e della Terra il Paradiso comune; e cessi l’Inferno delle tribolazioni di questo nostro basso Pianeta,che pure e’ opera divina
Ed ora abbi fede,e credimi sempre aff.mo Zio Alessandro Sarni



Il butto dei cani 1928

Nel 1928 il Podestà Cappiello mise una tassa sul possesso dei cani. La voce popolare diceva che siccome era donnaiuolo e la notte girava per consolare qualche donna disponibile era ossessionato dalla presenza di una moltitudine di cani che mettevano in pericolo il suo fondoschiena.
Per non pagare la tassa molti volturaresi incominciarono a disfarsene andandoli a buttare sopra il Mulino sulla strada per Ammonte .Da allora il punto preciso da dove venivano lanciati nel vallone sottostante per ucciderli fu chiamato “butto dei cani”. Ancora oggi conserva quel nome.
La strada è abbandonata e quasi mai più percorsa. Fino agli anni sessanta c’era più gente che la percorreva che in Piazza a passeggiare.

Don Riccardo Carluccio 1869 - 1948 , il Parrocchiano.

Parroco della Chiesa dell’Immacolata Concezione alla Pozzella Abitava al vico Benevento II che da lui prese il nome de “ l ’Arco del parrocchiano ”.
Espressione pura della commistione tra sacro e profano ,sapeva unire ai doveri ecclesiastici una salutare inclinazione alle donne. Come molti preti di Volturara aveva amante e figli; se lo ricordano ancora quando andava alla Cerreta con l’amante sulla sua carrozza,coperta d’inverno ed aperta d’estate, trainata da un cavallo bianco.
Aveva un fratello Salvatore,celibe, cui voleva far sposare una donna per poi prendersela in casa per ovvi motivi. Il fratello non volle mai. Alla fine donò tutti i suoi averi non ai numerosi nipoti ,ma ai monaci che le rivendettero ai privati.
Come per ogni volturarese che combinava qualcosa anche per lui c’era una canzone:
“Carrozza,carrozzella
Passa uai ( guai ) Aitanella”
Aitanella ( Gaetana ) era una ragazza di Montella che lavorava in casa di Don Riccardo come serva.
Ancora oggi ricordano che suo figlio Michele partì negli anni 50 per l’Argentina.






Il Conte ed il Marchese

Don Enrico Masucci,dentista e suo cugino Don Alessandro Masucci erano discendenti di una famiglia di notabili volturaresi e frequentavano ambienti In a Napoli durante il corso di Studi universitari.
Erano protagonisti dei migliori salotti e la vita mondana napoletana li vedeva partecipi tra Teatri e ristoranti. Una sera incontrarono dei Nobili che colpiti dal loro savoir faire e dalla loro affabilità li vollero ospiti a casa loro. Per non sfigurare si presentarono Enrico come Conte ed Alessandro come Marchese; da allora le loro amicizie aumentarono e furono protagonisti per anni della Napoli bene.
Nel tornare a Volturara raccontarono loro stessi l’episodio che li aveva visti protagonisti ed i due epiteti rimasero per la vita come soprannomi.

Farmacista anni 30

Dopo la prima guerra mondiale,alla morte di Don Giuseppe Di Meo,essendo suo figlio Don Giacinto partito da Volturara per svolgere la professione di medico in Toscana,la Farmacia Di Meo fu affidata ad un farmacista di Napoli. Personaggio simpatico ed estroverso passava intere giornate in piazza nel Bar della moglie di Carmelo Benevento ( oggi Bar Terminio). La maggior parte delle volte la farmacia rimaneva chiusa e dovevano andarlo a chiamare mentre giocava a carte. Stanco delle chiacchiere sul suo conto di scarso impegno ,venuto a sapere che la farmacista di Aquilonia cercava marito ,partì alla volta di quel paese ,senza dire nulla a nessuno. Lo stanno aspettando ancora a Volturara ,perché arrivato a Aquilonia sposò la farmacista e si fermò per il resto dei suoi giorni in quel ridente paese.

Nicola Lomazzo e Mussolini 1936

Si racconta che Mussolini appena giunse a Volturara per le Grandi Manovre del 1936 chiese notizie di un certo Nicola Lomazzo . Alla sorpresa del Podestà Costantino Sarno , che non riusciva a capire il motivo di tale interessamento , Mussolini spiegò che durante la prima guerra mondiale aveva un caporalmaggiore suo diretto superiore che lo aveva punito per una mancanza fatta. E siccome si ricordava il nome e sapeva che era di Volturara voleva salutarlo, prima di ripartire per Roma.
Il podestà , sicuro di fare un piacere al suo capo supremo, va direttamente a casa di Nicola Lomazzo, e gli racconta il desiderio del Duce di volerlo rivedere.
Si dice che Nicola , al ricordo del fatto e capendo con chi aveva avuto a che fare , cambiò diverse volte colore, ma promise di andare in paese a salutare il Duce, che però lo sta ancora aspettando, perché da quel momento per paura di ritorsioni scomparve per molti e molti mesi senza lasciare tracce.

Violenza carnale 1936

Durante le grandi manovre si verificò un episodio di violenza carnale di un bersagliere ai danni di una contadina di Volturara. Nel processo che ne seguì il bersagliere fu assolto,perché la ragazza anche durante il processo gli rivolgeva occhiate di compiacenza e sorrisi.

Il figlio di Mussolini 1937

Costantino Sarno, il podestà , avrebbe fatto dormire con Mussolini , di cui si vantava di essere amico personale,durante le Grandi Manovre dell’Agosto 36 a casa del notaio Ercolini sul ponte della Pozzella una bella ragazza volturarese .Dall’unione sarebbe nato un figlio ancora vivente , che somiglierebbe in modo impressionante al Duce.

Paracadutista ucciso 1943

22 Settembre.
Il primo aereo alleato passa nel cielo di Volturara nelle prime ore del mattino. La contraerea tedesca apre il fuoco e lo colpisce. L’aereo perdendo quota , si abbatte al suolo in una nuvola di fumo e di fiamme in contrada Tortoricolo. Si saprà che dei due piloti, uno muore nell’impatto dell’aereo con il suolo,l’altro,il pilota, lanciatosi con il paracadute era sceso in contrada Mela e si era nascosto nel pagliaio di Domenico Candela.
Ma aveva la sorte segnata !
I tedeschi, che avevano l’accampamento in contrada Ceraso , si precipitano sul luogo e , visto che il Candela non collabora , lo picchiano. Poi incominciano a sparare all’impazzata cercando di far uscire allo scoperto il soldato nemico. Nella sventagliata di mitra che investe il pagliaio ,il soldato alleato nascosto viene ferito alle gambe. L’urlo di dolore segna la sua fine. Dopo averlo fatto uscire allo scoperto , lo fucilano all’istante. Dopo mezz’ora, verso le dieci , avviene il primo bombardamento alleato. Una squadriglia di aerei lascia cadere alcune bombe sull’abitato provocando lievi danni in via Cupa e 3 morti ed un ferito grave in via Nocecupone.
La notte passa tranquilla e il giorno dopo molti ,pensando che il peggio sia passato , decidono di rientrare in paese.
Il telo del paracadute del pilota ucciso fu usato in seguito da Emanuele Candela per confezionare l'abito da sposa della fidanzata Rosa Marra .

L’aereo lancia scarpe 1943

Erano settimane che decine e decine di famiglie si erano radunate a San Michele , come richiamate da un atavico bisogno di difendersi dai nemici. Il castello con la chiesa di San Michele era il grembo protettore di una madre ,
pronta ad aiutare i figli nel momento di bisogno. I tedeschi partiti dal paese l’8 settembre 1943 erano ritornati all’improvviso l’11 ed avevano messo sottosopra il paese. Quasi tutti erano scappati sulle montagne per sfuggire all’ira di Mussacchione ,quel sergente tedesco che voleva uccidere tutti.
Antonio Monzione, sulia , teneva la cucciolata sempre vicino a se e solo di sera scendeva in paese con Don Ettore Di Meo a fare provviste di patate per sfamare tante bocche.
Onorio ha undici anni e passa intere ore a seguire le evoluzioni degli aerei sopra il cielo di Volturara e quante volte con le mani sulla testa pensa di nascondersi quando le raffiche di mitra dalle Mezzane si scagliano contro aerei alleati che attraversano il cielo di Volturara.
Osserva quell’aereo che colpito in pieno si dirige a cadere dietro le montagne di Montemarano e quella farfalla che volteggiando nell’aria cade lentamente al suolo. Non può capire che è un soldato alleato che una volta toccato terra sarà uccisi dai tedeschi inferociti contro tutti. E’ il 22 settembre.
Non piove da mesi e l’autunno fresco e caldo come solo a Volturara sa essere tranquillizza un pò tutti in attesa che quei maledetti tedeschi se ne vadano sotto la spinta delle truppe alleate che si sanno vicine , partite da Salerno ed in arrivo da Acerno verso Avellino attraverso le montagne del Terminio.
La sera del 23 Don Ettore decide di scendere in paese , convinto che dopo il bombardamento del giorno prima , la situazione si sia calmata. A nulla valgono i pianti e le richieste delle figlie di non tornare in paese per paura dei tedeschi. E’ irremovibile.
E’ il 24 settembre 1943 ore 12 , il cielo è azzurro e l’aria calda .Onorio guarda dalla terrazza di San Michele la vallata di Volturara e il rumore che sale da Bolofano gli fa girare lo sguardo. Uno stormo di aerei sale verso il paese e dalle loro pance escono aggeggi di varie dimensioni.
- tatì, l’apparecchi ottano scarpe! ( Papà gli aerei lanciano scarpe)
Punti neri che riempiono il cielo e seminano terrore e morte. Una nuvola di polvere arriva fin sulla chiesa di San Michele , nascondendo allo sguardo tutta la vallata. Sembra un mare di nebbia ,come si vede nella mattine di primavera guardando dall’alto di un monte.
La prima bomba cade sulla casa di Don Ettore Di Meo, uccidendolo insieme alla moglie,ad una figlia e alla sorella. La seconda scoppia davanti al Campanile, la terza inesplosa nei pressi del torrente Pozzella,la quarta centra in pieno il rifugio al Monnezzaro dove si erano c’erano una trentina di persone. E’ una carneficina!. Molte per fortuna si schiantano sul Mortariello. Alla fine i morti tra i civili saranno 45.

Questi non hanno mai fatto del bene ! 1943

Il 24 Settembre 1943 il tremendo bombardamento alleato su Volturara distrugge il paese provocando 45 morti tra i civili.
Una scena , che riassume la storia di Volturara nella sua interezza, ancora oggi è ricordata da chi fu testimone oculare.
Una bomba cade sulla casa di un notabile in Piazza distruggendola. Da sotto le macerie lamenti strazianti attirano l’attenzione di alcune persone . In particolare un giovane cerca di prestare aiuto e chiama il primo che arriva invitandolo ad aiutarlo.
La risposta ,di fronte a tanto dramma, fu sconcertante e cinica, : << Lasciali perdere!. Questi non hanno mai fatto bene a nessuno ! >> e se ne andò .
Si seppe anche in seguito che il signore deceduto aveva provocato il bombardamento sul paese , che gli era costato la vita , riferendo agli americani la presenza certa dei tedeschi a Volturara.

La sera in cui Costantino Sarno rinnegò il fascismo 1943

Tutto avrei potuto immaginare , fuorché Costantino Sarno avesse abiurato il fascismo. Eppure la storia che segue me la ha raccontata il testimone diretto di quell’avvenimento .
Interprete classico del gerarca fascista , autoritario , e fedele al Duce fino all’inverosimile Costantino Sarno era stato Podestà di Volturara dal 1935 al 1941 e vantava l’amicizia personale col Duce stesso che aveva portato a Volturara nel 1936 per le Grandi Manovre dell’esercito italiano. Non amato ma temuto , era rimasto in disparte dal marzo del 1942 ,quando era stato sostituito nella carica dal maestro elementare Nicola Picardi.
Quella sera dell’ottobre 1943 Costantino Sarno sta rincasando ,
quando viene fermato in piazza da una pattuglia di soldati marocchini comandati da un ufficiale francese, arrivati dopo i bombardamenti del 22 e 24 Settembre a prendere il controllo del paese. L’Ufficiale dopo avergli chiesto i documenti decide di arrestarlo perché è sicuro che sia un fascista e che merita di essere passato per le armi.
Superato il primo momento di paura , Costantino Sarno viene salvato dal suo sangue freddo ,già dimostrato in più di una circostanza in due guerre combattute con decorazioni al valor militare. Dice all’ufficiale di non essere stato mai fascista e chiama a testimone il primo volturarese che passa .
Gennaro Mele dei Carpati, 17 anni, sta ritornando a casa e alla domanda perentoria dell’ufficiale che gli chiede se conosce il signore che gli sta davanti risponde affermativamente , alla seconda se quel signore è stato mai fascista il giovane risponde di sapere con certezza che non lo è mai stato .
Costantino Sarno salva la pelle ! e viene rilasciato.
La storia non finisce qui , perché Gennaro ,tornato a casa e raccontato l’accaduto al padre , riceve un sacco di botte dal genitore , a cui l’ex Podestà, suo vicino di casa ,era antipatico, perché alcuni anni prima gli aveva ucciso con un colpo di pistola il cane colpevole di abbaiare troppo.

Quanno scurao 23 Marzo 1944

Era giovedì 23 Marzo 1944 e all’improvviso scurao ( si oscurò il cielo ) e venne il buio. Era il Vesuvio che si era svegliato e portava nel vento cenere e lapilli .Una paura ancestrale s’impadronì della popolazione e degli alleati accampati a Volturara. Sul Terminio in località Chiuppito cadde un aereo. E furono in molti ad andare a vedere cosa fosse successo. Uno sciacallaggio rimasto famoso negli anni nei racconti di piazza rievoca scene selvagge. Ai tre militari morti nel disastro aereo fu tolto tutto . Ad uno di essi per prendergli le scarpe fu tolto il moncone di piede,che penzolava, rimasto intrappolato nella caduta. In ultimo restò una coperta e per prendersela in due fu tagliata in due pezzi sul posto.

Za ‘Rbina 1944

Za ‘Rbina era la sorella del Parrocchiano ( Don Riccardo Carlucci ) e durante la guerra visse una scena che è ancora oggi nel 2000 proverbio popolare.
Presentatasi alla macelleria di Zi Nanno , aspettava paziente il turno per ritirare la carne con la tessera che il governo fascista aveva immesso per razionare i viveri della popolazione. Di fronte ad evidentissimi favoritismi del macellaio alla fine sbottò nelle famose parole “ ai nostri ,ai nostri”, che si usano ancora oggi nel linguaggio comune. Da allora i giovani ogni volta che la incontravano,l’apostrofavano con le sue stesse parole irritandola a tal punto che sbottava in continuazione contro tutto e tutti,minacciandoli persino di morte.

1944 Un soldato italoamericano a Volturara.

Il sergente Anthony Picardi appartenente al 742 ° Squadrone giunse in visita a Volturara Irpina ,il paese dove sua madre,suo padre e sorella più grande erano nati.
“ Arrivati nella Piazza del paese ,la gente ci guardava e ci chiedeva : siete americani ? Risposi “si” in italiano. Corsero per cercare i molti parenti per dir loro che ero arrivato dall’America. Non sapevo di avere tanti parenti in Italia. Incontrai mio zio,mia zia e i miei cugini. Tutti erano felici,
abbracciandomi e baciandomi. Incontrai mia nonna, che a quel tempo aveva novant’anni. Quella sarebbe stata la mia prima e l’ultima volta che l’avrei vista. Mi abbracciò e mi disse: figlio mio. Fu un momento molto emozionante. Non riuscivo a capire come mi aveva riconosciuto. Disse che avevo la faccia di mio padre ed aveva capito immediatamente chi fossi”.
Picardi distribuì dei regali caramelle,zucchero ,caffè ,sigarette ed altre cose Aveva risparmiato questi oggetti proprio per l’occasione.

La storia di Gaetanino De Feo 1945

Settembre 1945 dopo la fine della guerra i giovani soldati ritornano sbandati alla spicciolata a piedi,affamati,sporchi. E’ un continuo arrivo pieno di allegria e di saluti in una Volturara distrutta .Gaetanino De Feo (quagliarella) viene salutato da Armando Meo ( iaia ) dietro l’Uorto della Chiesa ,dopo aver fatto insieme il viaggio a piedi da Salza passando per le montagne di Santo Stefano. La notizia del suo arrivo fa tirare un sospiro di sollievo al padre e ai fratelli che scendono dalla Morece a cercarlo.
Gaetanino NON LO TROVERANNO MAI !
Molti confermeranno di averlo visto a Volturara nelle ore precedenti ,ma di lui nessuna traccia. Lo cercherà tutto il popolo per le montagne e nei valloni pensando ad una disgrazia. Tutto inutile. Dopo mesi arriva la notizia della sua morte in un ospedale tedesco per complicanze di una brutta tonsillite,avvenuta un anno prima. Gaetanino era già morto quando lo hanno visto a Volturara ! Resta uno dei grandi enigmi tramandati fino ai giorni nostri. Ancora oggi molti anziani affermano con sicurezza che quella sera del settembre 1945 lo “spirito” di Gaetanino era tornato a Volturara per rivedere il suo paese per l’ultima volta.

La casa sulla collina 1947

Andando verso Avellino prima di imboccare la Superstrada sulla destra c’è una collinetta denominata Toppolo Iangili ,alla cui sommità si vedono ben distinti i ruderi di una masseria.
Tutti,evitano di salirci. Che io ricordi nessuno mai ne parla. Come se una maledizione aleggi su quei ruderi che si vedono troppo bene ,nonostante da cinquant’anni nessuno vi abiti. La normalità vorrebbe che gli arbusti e le spine l’avessero di già coperti ,annullandoli in un oblio che tutti vorrebbero. Ma le pietre sono là in bella vista e i viandanti non possono fare a meno di guardarle e forse provare un brivido di freddo nelle ossa mentre strani pensieri attraversano la mente.
la storia racconta che vi abitavano due donne ,dopo la II guerra mondiale,Teresa Cristofano, Cacchiuolo con sua figlia. Un pomeriggio arrivarono in sette –otto per derubarle. La reazione delle donne fu scomposta e la decisione dei rapinatori drammatica e feroce. Le uccisero a colpi di roncola per non far sentire rumore e le lasciarono agonizzanti per terra, in un mare di sangue.

Melella , la moglie di masto Fabio

Roba di cinquanta e più anni fa.
Alessandro Di Meo alias Lisandro re Clelia aveva un forno al Campanaro e distribuiva pane a quasi tutto il paese. (L’altro era Vincenzo Cristofano, Panettiere alla Pozzella).
Una mattina un incendio doloso distrusse tutte le sue “fascine” ( fasci di rami secchi , usati per accendere il fuoco nel forno) . Lo sconforto si impadronì di Alessandro che per mesi e mesi visse in un stato di paura e di apprensione. Alla gente confidava che non era tanto preoccupato per il danno subito,
quanto per altri possibili attentati che gli potevano capitare ,non riuscendo a spiegarsi la causa dell’accaduto ,dal momento che non aveva nessun nemico. Una specie di paura si impadronì del paese e tutti guardavano tutti con sospetto ,soprattutto al Campanaro e a vico Sidonne, per la presenza di questo misterioso piromane , che poteva farsi vivo da un momento all’altro ed in chissà quale posto. .
Un giorno Melella la moglie di Masto Fabio ,sua vicina di casa , in punto di morte volle chiamare il prete. Non voleva morire portando con se il segreto di un terribile peccato che avrebbe continuato a mantenere in paese quel clima di sospetto. Era stata lei ad appiccare il fuoco alle fascine di Alessandro. Voleva vendicarsi perché il fornaio non le aveva voluto dare del pane solo perché non aveva i soldi per pagarlo.

San Michele e le elezione del 1952

Era dal 1946 che Renato Masucci , con l’appoggio del fratello Don Achille, era diventato Sindaco e l’opposizione con a capo il cugino Annibale Masucci cercava di dargli battaglia per toglierlo dal Comune . L’occasione si presenta nelle elezione amministrative del 1952 , quando alla lista di Renato contrappone la sua con il simbolo di San Michele, scelta per scopo augurale o forse per ingraziarsi il Clero che era sempre potente elettoralmente. Una fortissima gelata l’8 Maggio colpisce Volturara bruciando tutti i raccolti. Una vera catastrofe per una popolazione già povera.
Le parole incominciano a girare in sordina per poi diffondersi in pochi giorni a voce di popolo. San Michele , offeso per essere stato strumentalizzato politicamente come simbolo di una lista , ha determinato la gelata per far capire il suo disappunto. L’Angelo vendicatore ha mal sopportato la scelta fatta da Annibale ed i suoi amici e si fa capire velatamente e subdolamente che se la lista dovesse vincere , la punizione potrà essere ancora più forte.
Uno strano clima di tensione incomincia a serpeggiare tra la gente. I dubbi crescono e si manifestano prima in modo sporadico, poi in un crescendo di mormorii e di anatemi verso i candidati . Siamo ancora in periodo
post bellico con una mentalità arretrata e bigotta e credere che i Santi possano determinare situazioni negative è ancora nei pensieri della gente. D’altronde San Michele si manifesta nei simulacri come un guerriero nell’atto di sottomettere e di sconfiggere il diavolo , come nell’atto di sconfiggere qualunque nemico che si fosse posto sul suo cammino . In pochi giorni nell’animo della gente nasce il sillogismo che votare la lista di Annibale Masucci equivalga a votare il diavolo , con tutte le conseguenze per chi si fosse permesso di farlo . Sarebbe diventato nemico personale del Santo.
Quando alla fine di Maggio si vota , la sconfitta preparata con atavica furbizia dagli amici del Sindaco determina una debacle completa per la lista di Annibale Masucci . La vittoria schiacciante del Sindaco in carica durerà ininterrottamente fino alla fine del 1964, con un ventennio di fila che non ha precedenti e , sicuramente non si verificherà nemmeno in futuro,nell’intera storia di questo paese.

Disavventura del sen Nicoletti anni 50

Il sen Nicoletti di Avellino,uomo di destra tiene un discorso in Piazza dal balcone di Edoardo Masucci. Siamo alla metà degli anni 50. I comunisti soffrono la sua presenza e decidono di preparargli un tiro mancino.
Naturalmente chi deve muoversi è il solito Casieri che con Giggio si porta all’inizio del paese verso Bucarone ,dove mettono di traverso sulla strada degli enormi macigni. L’oscurità della notte e la debole luce dei fari dell’autovettura di Nicoletti combinano il resto. Il senatore va diritto sulle pietre in mezzo alla strada e scassa la macchina. Carabinieri,confusione ed inizio di indagini. Una scena,che i due mascalzoni non vogliono perdersi.
Il ritorno sul luogo del delitto però ,come era da immaginarsi , è l’inizio dei loro guai. Il brigadiere non appena vede Casieri ridere sotto i baffi ,lo arresta e lo porta in caserma. La denuncia è automatica ed il processo ai due si conclude con la condanna a cinque anni di carcere,evitato con raccomandazioni e promesse di non organizzare mai più altre bravate del genere.

Petrolio a Volturara anni 50

Periodo di raccolta di barbabietole da zucchero nella campagne volturaresi di fine anni 50. Un barlume di ricchezza che naufragò negli anni seguenti .
Centinaia di camion che venivano a prelevare nelle campagne quintali e quintali di barbabietole caricandosi oltre misura nel rispetto della legge del cottimo , più ne porti , più te ne paghiamo.
Un incidente banale sul un piccolo ponte alle Peraine porta un camion a scassare il serbatoio della nafta che cade copiosa , dato che ,sentito il rumore,l’autista si era fermato subito a guardare il danno. Dopo alcune ore e dopo aver lasciato sul ponte litri e litri di nafta ,il camion se ne va maledicendo Volturara e la sua arretratezza ,non immaginando che la sua disavventura avrebbe provocato un seguito ricco di colpi di scena che tennero il paese in attesa per settimane ,coinvolgendo quasi tutti i giovani.
Erano passati due o tre settimane dall’episodio,quando Casieri decide di mettere in atto il piano che lo avrebbe portato alla fine ad un’altra denuncia a suo carico.
Facendo finta di passeggiare si porta con alcuni amici sul ponte ed incomincia ad annusare per terra.. La puzza di nafta è evidente e con moto di stupore prende fra le mani un pugno di terra impregnata di una sostanza che sembrava proprio petrolio. Gli amici incominciano a scavare con le mani e più vanno giù più sentono e vedono quel liquido nerastro che per loro potrebbe essere fonte di ricchezza inaspettata. La notizia fa il giro del paese ed i soliti sapientoni si portano nella zona per appurare il miracolo. Il figlio di Don Luigi Pennetti ,Vincenzo ,diventa l’esperto del gruppo e si fa carico di mandare una zolla di terra ad Avellino per le analisi finali e definitive. Nel contempo inizia la psicosi del ritrovamento del petrolio in ogni zona di Volturara. Alla Sava delle macchie d’olio sull’acqua provoca la venuta di Casieri e compagni ,che danno spago alla scoperta ,chiamando l’esperto della situazione che come al solito dice che potrebbe trattarsi di petrolio. L’ultimo colpo lo danno al povero Don Vincenzo Pennetti ,quando nel vallone del Monnezzaro da un cunicolo prelevano un materiale nerastro,
sicuramente delle muffe ,che viene prelevato con tutte le precauzioni per essere analizzato. Il risultato delle analisi,naturalmente negativo,provoca l’ennesima denuncia del Brigadiere a Casieri per turbativa dell’ordine pubblico recapitata a mano nel negozio di Giovanni il barbiere in piazza,dove erano soliti preparare i loro scherzetti.

Il trovatello di Volturara 1955

Mariuccio re Capacchione ,che diventerà poi suo cognato sposando la sorella di Casieri Giovanna si presenta in piazza in “Vespa” con dietro il cesto per vendere uva insieme ad un ragazzino sporco e con cenci addosso. Con aria sconsolata afferma di averlo trovato sulle Tavernole ed è sicuramente un bambino “ sperso”,nel senso che è un trovatello che chissà da dove viene. Muto come un pesce con un cappello rotondo in testa sembra un brutto anatroccolo e l’istinto di Casieri lo spinge a prendersene cura. Va subito nel negozio di sarto e barbiere di Giovanni Meo ,suo amico in Piazza e lo costringe a cucirgli un paio di calzoni nuovi con le buone e con le cattive promettendogli che lo avrebbe pagato dopo facendo una colletta tra gli amici. Poi si avvia verso il Freddano e da Ossequio assume l’aspetto di chi chiede l’ultimo ed estremo favore con un viso rattristato per la sventura del povero ragazzo. Racconta la sua storia e commuove la moglie di Ossequio riuscendo a farsi regalare una camicia. Riattraversa la piazza sempre seguito dal ragazzino muto e silenzioso e si avvia verso il Campanaro. Una piccola folla di ragazzini segue la scena e si accoda ai due. Arrivato al negozio di scarparo di Tore re Matella con aria contrita riracconta la storia del bimbo ed alla fine ottiene un paio di scarpe ,che avrebbe pagato dopo la colletta pubblica. Ormai la piazza segue la situazione con attenzione ed aspetta il risultato finale. Lavato per bene con addosso i nuovi panni il ragazzino sembra un altro e Casieri chiama il fotografo per immortalare la scena e consegnarla ai giornali di Avellino che avrebbero dovuto dare risalto alla tenera storia. L’arrivo del Brigadiere,come al solito rompe un’atmosfera deamicisiana e dolcissima. Chiama Casieri e lo invita ad andare in caserma perché denunciato per sottrazione di minore.
Al povero Casieri che cade dalle nuvole il brigadiere racconta che il padre del ragazzo Peppo re Betta inviperito lo aspetta per ammazzarlo di botte per avergli rubato il figlio. In effetti il ragazzo Gerardo Petretta era di Volturara e non un trovatello come aveva riferito Capacchione. Casieri era stato tratto in inganno dal mutismo del ragazzo e dalla furbizia di Mariuccio re Capacchione che gli aveva teso un bel tranello per ridere alle sue spalle.
La denuncia del padre in seguito fu ritirata ,ma Casieri per diversi giorni dovette girare alla larga dalla piazza per paura delle botte di Giuseppe Petretta che voleva vendicarsi del torto subito.

1956 nevone

Il 21 Febbraio iniziò a nevicare. Per venti giorni non la smise mai. Alla fine la neve raggiunse i due-tre metri di altezza e si poteva arrivare comodamente ai primi piani delle case senza scale .Centinaia di tetti sfondarono per il troppo peso della neve. Il Comune per far fronte all’emergenza chiese la collaborazione dei cittadini per pulire le strade e tetti delle case ,pagando uomini e donne.

1956 elezioni amministrative

Nell’odierno ricordo una stagione intensa che riporta alla luce personaggi dimenticati ,ma non per questo non importanti.
Un mondo preludio al nostro ,con personaggi tipici e a volte caratteristici in un’onda lunga di emigrazione che si prendeva gli sconfitti e chi non aveva niente nonostante tutto.
Per le Amministrative quattro Liste in campo in un frazionamento politico-amministrativo che si basava come sempre sull’esasperazione del personalismo e dei rancori piuttosto che sulla volontà comune di costruire qualcosa.
La Stella di Renato Masucci capolista con l’appoggio di Don Achille ,il fratello già vincente da due tornate elettorali.
Il Gallo ,antagonista per eccellenza capeggiato dall’Ingegnere Giuseppe Di Feo. Comprendeva fra gli altri Annibale Masucci,Marino Raimo,Edoardo Masucci,Rocco Sarno.
La Stella e Corona dei Monarchici con a capo Vincenzo Pennetti ,ultimo discendente di una grande e potente famiglia contrapposta ai Masucci. Alla fine prese meno voti del numero di Consiglieri in lista.
La Trombetta,lista dei Comunisti impegnati nella difesa dei diritti dei lavoratori con magri risultati. Ne facevano parte Eliseo Catarinella, Vincenzo Di Meo ”Pupetto” , Raimo Gerardo e Terremoto.
Campagna elettorale infuocata e discorsi infuocati ( famoso quello di Pupetto che anagrammando il nome del capolista della Stella Renato Masucci minacciava dal palco “Accisum Tanero” senza che nessuno capisse niente di quello che voleva dire e prendendosela in continuazione con una ragazza molto attiva nella lista sempre di Renato Masucci).
Altrettanto famosa la frase dell’Arciprete Don Alessio Lepore ,sostenitore della lista del Gallo. Era in Chiesa a celebrare messa ed alla notizia della sconfitta parafrasando il Vangelo affermò davanti ai fedeli allibiti :
” Andate,andate che il Gallo ha perduto. Avete fatto della mia Chiesa una spelonca di ladri”.
Al che un ragazzo,forse Pasqualino D’Andrea, gli rispose con fare preoccupato: “ ma, zi Arcipré ! fuori piove!”
E Don Alessio di rimando : “ Andate ,andate ,andate lo stesso ,banda di manigoldi!”.
Per la cronaca vinse la Stella con pochissimi voti sul Gallo. Molti giurarono che i brogli elettorali furono enormi. Si diceva che qualcuno e ne facevano anche il nome, di notte avesse scritto sulle schede bianche una croce per votare la lista di Renato Masucci.
Un’appendice colorita ma feroce ricorda che a quasi tutti i galli di Volturara fu torto il collo per mostrarli poi come trofeo per la piazza ,le strade e davanti alle case degli sconfitti. Volturara era un tappeto di piume.

1957 L’invasione dei rospi

Il nevone dell’anno precedente con l’enorme quantità d’acqua contenuta nel Dragone ben oltre la primavera del 1957 determinò un fenomeno strano e pericoloso. A primi dell’estate Volturara fu invasa da milioni e milioni di rospi. Ne parlarono la radio ed i giornali a livello nazionale e mondiale. La Domenica del Corriere, il settimanale più diffuso all’epoca dedicò all’avvenimento la copertina. Le strade erano un brulicare continuo di rospi che entravano nelle case , nei letti . Si disse che qualcuno li aveva trovati finanche nel pane appena sfornato. Era semplicemente allucinante. Tutti con le scope in mano da mattina e sera a non farli entrare in casa e per strada centinaia e centinaia andavano a finire sotto le ruote delle macchine, degli autobus e dei tanti traini e carretti che popolavano il paese. Un vero flagello di Dio che tenne in apprensione per mesi la popolazione fino a quando con i primi freddi il fenomeno si arrestò fisiologicamente.

Festa di San Sebastiano 1960

Il culto di San Sebastiano martire,con il corpo trafitto da una moltitudine di frecce,a Volturara Irpina,si perde nella notte dei tempi e tanti e tanti volturaresi portavano e portano questo nome. Nei secoli scorsi il 18 Gennaio la sua statua era portata in processione per le vie del paese con accompagnamento musicale e spari. A suo nome era intitolata in Piazza dove adesso si erge la casa comunale una Chiesa,,ed un Pio Stabilimento che amministrava un sostanzioso patrimonio che nel 700 comprendeva:La Chiesa ,Il Pio Ospedale dietro la Chiesa Madre,Il Carcere affianco all’Ospedale,la ruota dei Proietti,dove venivano raccolti i neonati abbandonati dai genitori e molti terreni dati in fitto alla popolazione. Il bilancio,amministrato da un cassiere eletto dal Consiglio Comunale era abbastanza sostanzioso ed appetito da tutti coloro che partecipavano alla vita pubblica. Con la interdizione al culto della Chiesa Madre nel 1856 ,perché inagibile,la Chiesa di San Sebastiano costruita nel 1646 ai tempi della rivolta di Masaniello, assurse a ruolo di Chiesa principale fino alla fine del secolo ,
quando fu inaugurata la nuova ed attuale Chiesa Madre. Ai primi del novecento la Chiesa di San Sebastiano fu demolita ed al suo posto fu costruito un Asilo Infantile che durò fino al terremoto del 1980.
Ricostruito,l’edificio fu nel 1990 adibito a Casa Comunale.
Nei secoli scorsi la festa di San Sebastiano era un momento importante della vita religiosa volturarese ,ma con la demolizione della Chiesa fu abolita e la statua del Santo fu relegata in un angolo della Chiesa Madre ,nella navata di dx dietro il pulpito delle prediche in un angolo buio. Nel 1960 Casieri ,al secolo Alessandro Di Meo, per poter partire per il Canada e raggiungere la moglie decise di organizzare una festa religiosa ,a dimostrazione della sua conversione da un comunismo esasperato che gli aveva procurato due condanne penali e da una condotta di vita non proprio irreprensibile che gli impedivano di avere il visto di partenza dalla autorità preposte. L’intercessione di un noto politico provinciale e del Vescovo di Nusco gli offrivano l’unica possibilità di porre rimedio alle sue marachelle precedenti a condizione di un avvicinamento alla vita religiosa per avere il perdono ed il visto per emigrare in cerca di migliore fortuna. La scelta cadde su San Sebastiano ,perché Casieri vedeva in quel Santo dimenticato e martoriato dalle frecce ,il simbolo delle sue sofferenze. Ottenuto il permesso dell’Arciprete ed organizzato un Comitato Festa composto da tanti giovani nelle sue stesse condizioni, il 30 Giugno 1960 di fronte ad una folla strabocchevole ed entusiasta San Sebastiano ebbe il suo grande ,ma unico giorno di gloria del XX secolo. Casieri ebbe il visto e raggiunse la moglie in America. Gli altri che erano con lui lo seguirono nelle tante nazioni del mondo. Di tanti di loro si perse il nome ed il ricordo nelle generazioni che seguirono ,solo nella mente dei vecchi e nei discorsi di piazza ogni tanto si parlava di quell’anno in cui Santosavastiano era uscito in processione per il paese per l’unica volta. Era divenuto senza volerlo il simbolo dei poveri e dei dimenticati! alla fine fu anche lui dimenticato per l’ennesima volta nel tunnel del dopoterremoto. Nel 1999 all’improvviso Casieri ,dopo un’assenza di 40 anni,durante i quali si era completamente estraniato dal mondo dei volturaresi all’estero ,torna al paese,anziano,ma pimpante. Riparlare di quel periodo e di quella festa del Giugno 1960 è stata una conseguenza inevitabile,ma bella.

Fuitiva anni 60

Erano gli anni sessanta.
Ai Cancielli una grande luna piena illumina una notte piena di stelle. Il cane incomincia ad abbaiare alle ombre che si avvicinano alla masseria.
Carmela si sveglia di soprassalto e scuote Mariuccio che dorme.
” Mariu’,Mariu’ lo cane allucca,so’ venuti li mariuoli !”
Mariuccio mugugna qualcosa nel sonno e si rigira sull’altro lato. Non le resta che alzarsi e andare a vedere. Lei piccola e minuta ha paura ,trema un po’, pensa che sia il freddo della notte. Scende la scala esterna e si ferma sotto la vigna scrutando nel buio alla ricerca di un qualcosa che la faccia gridare.
L’abbaiare del cane è assordante ,ma non vede niente che possa preoccuparla - mah! Sarà qualche volpe,chissà !. Prende l’ascistarulo appoggiato sulla finestra e lo accende per capire meglio. Si avvia verso la stalla per vedere se gli animali stanno a posto. Il pensiero di svegliare i figli le attraversa la mente proprio quando le calano addosso il sacco.
Grida soffocate,bestemmie ,rumori in un momento mescolate all’abbaiare del cane ,poi il silenzio ;solo la fiamma dell’ascistarulo tra le pietre e l’erba nel soffio del venticello della notte. La macchina aspetta poco distante. La mettono in mezzo sul sedile di dietro incuranti delle urla ,mentre l’autista parte di slancio preoccupato ,ma deciso.
Minacce di botte inducono Carmela a stare zitta ,mentre il sacco vibra sotto il tremore della sua paura. Quanto tempo è passato? La macchina si ferma. La fanno scendere e tenendola per le braccia l’accompagnano dentro. La luce fioca di una lampada rafforza il nervosismo dell’uomo che aspetta , lo rende più cupo. Con un gesto sbrigativo toglie il sacco dalla testa della donna per rassicurarla ,per dirle che l’ama .
L’espressione del volto diventa una maschera di rabbia e di stupore.
“ Stronzi! aiti pigliato la mamma, stronzi !”
Le ricala il sacco sulla testa quasi a nascondere il tutto e si cala sul tavolo a battere i pugni.
I tre compari capiscono tutto,guardandosi a volo. Rimettono in moto la macchina ,imprecano e corrono. Passando davanti al Cimitero di Montemarano si fanno un segno di croce propiziatorio e liberatorio e si buttano giù per la scorciatoia verso i Cancielli. Davanti la masseria il cane ricomincia ad abbaiare fino a quando un calcio lo zittisce.
Carmela un po’ sollevata dal ritorno a casa indica la stanza dove dorme la figlia. Uno dei tre entra a controllare Michele se è sveglio .L’altro preleva la ragazza insonnolita e prendendola per un braccio la porta nella macchina quasi trascinandola.
Il rumore del motore si perde nella notte,mentre Mariuccio si gira sull’altro lato borbottando nel sonno.
La storia non finisce qui ! La ragazza pur violentata non accetta di sposare il montemaranese che l’aveva fatta rapire e ritorna a casa dopo alcuni giorni. Si sposerà con un volturarese un paio di anni dopo ed insieme a lui emigrerà in Belgio. Li ho visti un paio di settimane fa in vacanza a Volturara. Mi hanno detto che resteranno tutta l’estate ,poi ritorneranno in Belgio per accudire i loro nipotini.

Coremo , l’ultimo delitto con l’accetta.

Coremo era un pastore montellese che abitava sopra a Cruci con la moglie.
Fu trovato in montagna ammazzato da una gragnola di accettate agli inizi degli anni 60.
L’importanza del fatto , al di là delle motivazioni che potevano essere passionali o di interesse, deriva dall’essere stato l’ultimo omicidio eseguito con l’accetta avvenuto a Volturara .Ultimo di una catena secolare e numerosa che ha fatto conoscere il paese in Provincia ed oltre per ferocia e cattiveria. L’accetta è stata sempre fedele compagna dei montanari , pronta a procurare da vivere , ma pronta anche ad essere usata come strumento di morte per un popolo che non si poteva permettere una pistola o un fucile per mancanza di mezzi economici. Appoggiata a braccio flesso nella piega interna del gomito con la punta rivolta all’infuori per evitare ferite accidentali in qualche caduta ha rappresentato il deterrente per chi aveva cattive intenzioni, ed ha sempre procurato un senso di sicurezza per chi doveva abituarsi a vivere per giorni o per mesi nelle montagne lontano da casa a custodire un gregge o una mandria. Oggi non esiste quasi più , ma bisogna riconoscere che è stato uno dei mezzi più utili a far vivere interi popoli , anche se in impeti di rabbia o di odio ha procurato centinaia di vittime , sparse su tutto il territorio ed in particolare verso la bocca del Dragone ,luogo strategico , dove appostarsi per eliminare qualche avversario o nemico . E’ il caso di Arcangelo Di Meo , che nel 1901 uccise il fratello Mariano per motivi di interesse , legati alla vendita di un gregge con una decina di “ accettate ”, buscandosi 16 anni di carcere. Di omicidi o tentati omicidi nel secolo scorso ne sono stati perpetrati molti o legati a singoli avvenimenti o a bande che hanno attraversato il territorio nel secondo dopo guerra. Ci si ricorda ancora di Antonio Mele che negli anni 50 ammazzò Mario sciascione sempre con l’accetta davanti all’arco del parrocchiano al Candraone. Per la cronaca nessuno fu arrestato per il feroce fatto di sangue che ebbe come vittima Coremo.

Ottorino l’ultimo eremita di San Michele

Negli ultimi secoli fino agli anni 60 San Michele ha avuto sempre il suo eremita. Il custode che viveva sulla collina ,custodendo il Santuario dai ladri ed aprendolo ai fedeli che a frotte salivano a pregare San Michele Arcangelo.
A memoria d’uomo prima di Ottorino c’era stato Masto Fabio ,personaggio caratteristico e ricordato in molti racconti persi nel tempo. Alla sua dipartita il posto di eremita fu preso da Ottorino i cui lineamenti sfocati dal tempo lo rivestono di pantaloni e panciotto di velluto marrone,di statura medio bassa su un viso ben rotondo. Si accompagnava con una cavalla rossiccia che portava una barda ai cui lati pendevano due sacchette sempre piene o di grano o di fagioli o ancora di patate ,frutto della bontà dei popolani che lo aiutavano a sopravvivere per custodire il Santo.
Nel palmo della mano con il gomito flesso portava sempre una cassettina del diametro di una decina di centimetri con davanti l’effigie del Santo per raccogliere le offerte in danaro che tra la povertà generale riusciva a racimolare. Una vita tranquilla tra la collina e le cantine dove consumava tutte le elemosine raccolta durante la giornata e la casa di Fiorangela,cugina del Rettore del Santuario Don Marcellino Marrandino che era sempre pronta ad accoglierlo. Finché un giorno di Agosto un fulmine ,attirato dagli zoccoli di ferro, cadde diritto sulla cavalla che pascolava dietro la collina uccidendola sul colpo.
La fine di una vita tranquilla! L’inizio di un calvario finito male .Ottorino dando la colpa al Diavolo acerrimo nemico di San Michele e che il Santo aveva scacciato dalla collina ,mettendoselo sotto i piedi, non trovò pace fin quando armato del pugnale che aveva da sempre nella cintola ,sferrò un colpo negli occhi del serpente posto ai piedi della statua nella Chiesa del Santo ,quasi per accecarlo o per offenderlo del torto subito. La voce corse in paese e giunse alle orecchie dei carabinieri che lo denunciarono per oltraggio alla statua ,subì un processo da cui uscì indenne ,ma provato.
Non passò molto tempo. Una mattina qualunque Ottorino fu trovato ,guarda caso, bruciato nel fuoco della sua cucina. Si disse in paese che forse ubriaco come al solito inavvertitamente era caduto nelle fiamme trovando la morte. Una voce tra la gente però sussurrava che Ottorino aveva osato sfidare e offeso il Diavolo e ne aveva pagato le conseguenze con l’unico mezzo che il Diavolo sapeva usare. Da allora nessun eremita salì più sul Santuario di San Michele e col terremoto del 1980 la chiesa ed il castello caddero sotto i colpi di quella sera maledetta .

Elezioni amministrative del 1975

Erano dieci anni che Raimo Marino comandava il paese , anche se dal 1972 aveva dovuto mettere come Sindaco al suo posto l’assessore Amabile Raimo per le note vicende legate alla Società che doveva gestire il Terminio nel suo sviluppo come area turistica, e che era stata fermata da ricorsi e denunce. Qualcuno disse che avendo lo stesso cognome firmava sempre lui solo col cognome Raimo , dando la responsabilità però al suo sostituto Amabile, ma era una delle solite zizzanie volturaresi .
L’attesa era enorme e ripercorreva le grandi sfide degli anni precedenti . Una grande coalizione di tutte le famiglie contrarie aveva superato gli steccati dei rancori personali ed aveva presentato una nuova lista di ispirazione democristiana con a capo il dr Edoardo Masucci, medico di famiglia e dirigente Inps, che non era ben visto da parecchi suoi stessi alleati e che Giusino Cristofano, ormai padrone della politica dopo la dipartita di Don Achille Masucci ,aveva dovuto sorbire forse a malincuore. Ma l’avversario doveva essere sconfitto e tutto poteva essere utile.
Si arriva al grande giorno e la situazione appariva nei sondaggi ancora favorevole alla lista di Marino Raimo “ la Stretta di Mano”.
Un martellamento continuo ed implacabile sulla popolazione per non perdere altri cinque anni con una sconfitta che nessuno avrebbe saputo assorbire .I primi risultati danno ragione a Raimo Marino che si era ripresentato di nuovo come capolista, nettamente in vantaggio con i voti di lista , ma ad un conteggio finale per il gioco delle preferenze date ad ogni singolo consigliere, la Colomba vince le elezioni con un minimo scarto , ponendo fine al decennio di Raimo. Inimmaginabili le scene di sconforto da una parte e di giubilo dall’altra.
Si vocifererà in seguito che un componente di un seggio elettorale, appartenente alla Colomba con una minuscola punta di matita infilata sotto l’unghia del mignolo dx , nello spoglio, mentre cacciava le schede dall’urna, tracciava di nascosto un segno sul simbolo della Colomba sia sulle schede bianche facendole diventare valide per la Colomba, sia su molte schede votate Stretta di Mano , facendole annullare per doppio voto. Un gioco inimmaginabile che capovolse una situazione che sarebbe stata a netto vantaggio della lista di Raimo Marino , che dovette incassare una sconfitta che non meritava. Lo stesso gioco delle preferenze era stato messo in atto dall’esperto Giusino in modo scientifico per togliere voti al suo avversario. A chi era fedele di Raimo , sapendo di non poter ottenere il voto di lista, faceva chiedere solo preferenze dai suoi , che dovevano far capire all’elettore di turno che erano voti non importanti .Nessuno riusciva a comprendere che ogni sedici preferenze diventavano una voto di lista e che moltiplicato per decine e decine si arrivava ad ottenere moltissimi voti di lista inaspettati che alla fine superarono quelli di Raimo Marino, determinandone la sconfitta clamorosa ed immeritata.
Per la cronaca fu un’amministrazione difficile con il Sindaco costretto alle dimissioni dopo un anno e con vari assessori facenti funzione di Sindaco a turno fino al 1978 ,anno delle nuove elezioni. Da rimarcare la non elezione a consigliere comunale dell’imprenditore Silvio Sarno , cancellato nelle preferenze dai suoi stessi alleati e rimasto tra i non eletti, insieme a Ferdinando Zirpolo che subentrò in secondo momento al consigliere Salvatore De Cristofano , dimessosi dalla carica per un contenzioso con il Comune che ne sanciva l’ineleggibilità.

Dal dopoguerra al dopoterremoto

Nel 1945 tutti coloro che erano prigionieri in Germania o in Austria tornarono alla meno peggio a Volturara a piedi,su camion,nascondendosi nelle montagne. Erano decine e decine, giovani sporchi e stanchi che avevano un solo pensiero, tornare a casa. Trovarono un paese distrutto nelle case e nelle coscienze,ma la voglia di ricominciare ebbe il sopravvento.
Il tempo di riflettere,poi il desiderio di una vita migliore ne spinse tanti a partire . Argentina,Venezuela,Stati Uniti. Fu un esodo sempre più imponente che durò fino alla fine degli anni cinquanta.Una borghesia conservatrice e bigotta,un popolo rintanato come da sempre nelle campagne e sulle montagne,un paese senza avvenire. Strade in terra battuta,le case che arrivavano fino a piazza Carmine ed una miriade di masserie che solo da alcuni decenni avevano preso il posto dei pagliari dove in promiscuità vivevano uomini ed animali,un tasso di analfabetismo del 90%, un’altissima mortalità infantile,una speranza di vita molto corta con malattie polmonari ed artrosi anchilosanti. Tutti bevevano in modo esagerato,mettevano al mondo figli in modo esagerato,ma era una povertà piena di allegria nelle campagne con canti corali che si sentivano a chilometri e le giornate passavano lente tra le poche mucche al pascolo nel Dragone e dintorni e la raccolta di grano,granturco,fagioli ( famosi in tutta la Regione ) e patate. La sera stanchi vicino al fuoco si raccontavano storie di spiriti e di fate,leggende di uomini e di orchi. Poi tutti a dormire su materassi di spoglie di granturco
( sacconi ).La mattina le donne si mettevano gli zampitti e tornavano nei campi a vangare. Gli uomini con scarponi pieni di chiodi sotto ( centrelle ) si avviavano con il proprio asino in montagna a fare legna per i lunghi inverni freddi. D’estate sulle aie era una continua festa con la “pisatura del grano” con i “muilli” ed il pulirlo scuotendo nell’aria i “chiurnicchi”. Si “spignoliavano” i fagioli ,si spogliavano le pannocchie di granturco per ore chiacchierando e magari corteggiando qualche ragazza. Se c’erano poi problemi con i genitori bastava fare una fuitiva per apparare tutto con un matrimonio riparatore. Famoso restò l’episodio di Sbirduchella quando al posto della figlia rapirono la madre,uscita per aver sentito dei rumori,
complice l’oscurità della notte , dopo averle calato sul capo un sacco. Solo davanti all’organizzatore del rapimento si accorsero dell’errore e ovviarono al tutto ritornando indietro a prendere la figlia lasciando sul posto la madre. Storie di famiglie scomparse come tante,inghiottite dal mondo. Il padre lo trovai a Roma dove si era trasferito con la moglie presso un figlio inserviente in un Ospedale romano,che suonava una fisarmonica per strada. La rapita non accettando il rapimento sposò un altro e negli anni cinquanta si trasferì all’estero dove tuttora vive con figli e nipoti.
Storie di uomini che si sono persi,storie di uomini che sono ritornati. La nostra memoria è corta. Quello che stanno facendo al popolo albanese in questi anni fa scordare quanta miseria c’era allora,quante migliaia di italiani sono partiti stipati come bestie su navi che non li hanno mai più riportati indietro. Quante montagne hanno attraversato per arrivare in Francia clandestini,presi dalla polizia e riportati indietro.
Gli anni 50 furono gli anni dell’emigrazione in Venezuela. Centinaia di volturaresi partiti attratti da un miraggio che si rivelava ogni giorno di più un calvario. Ne sono rimasti poche decine. Gli altri hanno patito la fame con la voglia di ritornare nella miseria di Volturara ma senza una lira in tasca per il viaggio di ritorno. Qualcuno andò in Argentina,pur di non tornare. Altri passarono negli Stati Uniti. Molti riuscirono a tornare al paese ma la miseria era tanta che dopo alcuni mesi si rimisero in viaggio per la nuova mecca dell’emigrazione , il Belgio con le sue miniere e la Francia. Qui ebbero più fortuna ma anche più morti in un lavoro a cottimo,massacrante,con incidenti mortali per troppa voglia di lavorare e di non tornare. Oggi in Belgio c’è una comunità volturarese di seconda e terza generazione molto numerosa che si fa onore nella Società belga.
Siamo alla fine degli anni cinquanta,l’Italia comincia il suo boom economico. Emergono altre frontiere, Milano,Torino e la Svizzera. Ripartono in centinaia. E’ l’ultima grande ondata che svuota Volturara di intere classi d’età. Finisce l’era dei padroni e dei Signori. Inizia la nuova Società con la partecipazione del popolo ai problemi ed alla vita pubblica.
Come sempre nella storia di Volturara c’è stato il binomio emigrazione e miseria. Le ondate degli anni cinquanta hanno colpito il paese,quelle degli anni sessanta toccano la campagna. Per venti anni era una continua partenza,un crescere,capire e poi partire. E’ stato sempre così. Una generazione subisce,la seconda capisce,la terza parte per non mai più ritornare. Scompaiono in questi anni intere famiglie che hanno fatto la storia di Volturara.
Siamo agli inizi degli anni sessanta molti incominciano a frequentare la scuole superiori ad Avellino su quel pullman scassato di Ciccio Salvi di Serino .Un’ora per arrivare dopo aver attraversato Salza,Sorbo ed Atripalda. Quanti giovani! Gli autisti poi erano i protagonisti. Alfredo e prima di lui il padre ( li chiamavano gli chofferri ),Marco che poi si è sposato a Volturara,dove i figli vivono tuttora,Lello con suo padre (l’ho rivisto a Berna dove vive dopo una vita di vicissitudini,con una grande voglia di rivedere Volturara. Grande centravanti insieme a Marchitiello ), Luigino re passariello .
I giovani che restano crescono . I televisori fanno la prima comparsa nei Bar (quello di Don Michele Masucci era sempre pieno).I telefoni sono ancora un miraggio,l’unico è nel bar di Za Iuccia re lo scarso,lo gestisce il figlio Mariniello. Con la fine degli anni cinquanta scompare una Volturara che è durata per duemila anni. Inizia la società dei consumi. L’asfalto invade a mano a mano il paese e le campagne. Addio pozzanghere millenarie dove gli asini sbattevano gli zoccoli. Addio asini stessi,arriveranno le lambrette (Ad oggi fine millennio gli asini in tutto il territorio sono rimasti in tre o quattro).Ritornando con la mente a quegli anni risaltano i nomi di insegnanti che hanno fatto la nostra fanciullezza. Don Nicola Picardi che tirava bacchettate sulle mani a dita unite e ci faceva inginocchiare sul granturco steso per terra,Lina Pucillo,Gino Oliva,Donna Maria Vece,Donna Vincenzina,Donna Ida,il bidello Peppino e la spatola di ferro dove pulivamo le scarpe prima di entrare a scuola. Era il tempo dei “dischi volanti”, cioè dei pidocchi che convivevano con tutti noi,dei Grande Blek,dei Capitan Miki,eroi dei fumetti che incominciavano ad entrare nelle nostre case. Le feste patronali assumevano connotati sempre più belli,c’era il Cinema in Piazza,la Banda musicale di qualche paese vicino ( molti giovani volturaresi vi suonavano dopo che l’ultima banda paesana era stata sciolta,naturalmente perché i componenti partivano per l’estero).La canzone melodica italiana migliorava in qualità e dopo “Volare” di Modugno iniziò la stagione felice del Festival di Sanremo seguito soprattutto alla Radio. Uscivano i primi 45 giri che facevano ballare i giovani nelle case private (da Ngillo di Tiruozzolo, da Ugo di Trigna,da Alfonso di Calei ).Poi all’improvviso sparirono in tanti come in tunnel.Chi rimase andava a studiare fuori paese o viaggiava e stanco per viaggio o studio aveva poca voglia di divertirsi e di uscire. Ricordo ancora i giochi che si facevano per strada. Si giocava a Trave di fuoco partendo davanti al portone del palazzo di don Achille al Campanaro per arrivare all’ ” aria “di Bottino posta all’inizio del paese. Ogni partecipante saltava sul compagno che stava davanti calato lateralmente,poi a sua volta si calava e veniva saltato da che seguiva,nel salto chi era capace colpiva con un calcio (coppietta) il sedere del compagno e così fino alla fine in decine e decine di ragazzi. Si giocava a “mazzeca e pieozo”,con un pezzo di legno si colpiva un altro pezzo di legno posto per terra più piccolo e mentre quest’ultimo si sollevava da terra, chi era capace lo colpiva a volo
mandandolo a decine di metri di distanza. Le ragazzine giocavano a “Calacchie”,piccoli sassolini della grandezza di una ciliegia fatti passare sotto il pollice e l’indice messi ad arco mentre con l’altra mano si lanciava in aria un altro sassolino che veniva afferrato a volo nella mani mentre cadeva. Un altro gioco bellissimo era quello con i ” Fasuli belli ”,con i quali si facevano le “carrozze”cioè tre fagioli vicini e uno sopra,poi da debita distanza si tirava con il “cecciole”un pezzo di laterizio arrotondato con arte e vinceva chi “sgarrubbava ” più carrozze che diventavano sue. Quante botte per “rubare” nei sacchi i fagioli colorati che servivano per giocare ( oggi penso che i nostri genitori li piantavano apposta per farci passare il tempo ) . I pezzi pregiati erano i fagioloni colorati molto grandi, ”le chiattole“. E chi si scorda quanti bottoni abbiamo strappato dai vestiti che ci capitavano a tiro per giocare .L’una monta luna era il tipico gioco serale. Cinque o sei ragazzi si piegavano in avanti l’uno attaccato all’altro,mentre noi dovevamo saltare prendendo la rincorsa da dietro e arrivare il più possibile vicino al primo,
insomma un salto in lungo sul groppone. Con i primi soldi compravano “li iocaturi”,le prime figurine che rappresentavano personaggi del Far West e dei calciatori allora in voga. Era una ricchezza possederli e per vincerli non avendo soldi si mettevano a mazzetti in quote uguali fra i partecipanti,poi si mettevano in diagonale tra di loro e con la mano “a coppo” si batteva accanto al mazzetto. Lo spostamento d’aria serviva a capovolgerli e vincevi quante figurine facevi ribaltare. Alcuni ragazzi erano bravissimi in questo gioco ( Antonio Palummo , Ficotino ) e facevano soldi rivendendo le figurine agli altri. Andavamo da Mario di Cacchiuolo a comprare mazzetti interi e nuovi per immetterli sul mercato per poi perderli e riacquistarli da quelli che vincevano. Per fare soldi rubavamo le noci sotto agli alberi o la castagne in montagna per rivenderle da Cangiola,da Scioccone o lo Cusuto . Il mese di Ottobre era un periodo particolare tutto dedicato alle selve. Non c’era nessuno in paese che non avesse una selva più o meno grande da gestire. La castagna era l’alimento principale d’inverno insieme alle mele rosse. La mattina andavamo a scuola con le tasche piene di “valani o verole”.
La strada era tutta lastricata di “ scorce ” fino all’Istituto elementare. Le montagne erano piene di gente fin dalle prime ore dell’alba. Si partiva a raccogliere le castagne che era ancora notte e si tornava a sera ognuno con la sua “sacchetta” piena sulle spalle. La strada che da via Molino porta all’Acqua Mieroli era una continua processione di chi saliva e scendeva con asini,muli,iommente con un carico di legna o di castagne. Le selve avevano ognuna un pagliaro fatto con legna obliqua appoggiata ad un trave centrale con un supporto verticale al centro,il tutto era ricoperto di ” tempe di terra ”.
Ogni pagliaro aveva l’angolo cottura dove in una scatola di latta bollivano sempre le castagne. Ricordo si cuocevano le verole ,poi le si copriva di terra con al centro una croce e chi, togliendo la terra alla ricerca delle verole con un pezzo di legno ,faceva cadere la croce era squalificato e non poteva più mangiarne. Quanti funghi e di quante specie. D’estate sul “Deposito” si creava una piscina artificiale e nell’acqua che scendeva dalla montagna facevamo il bagno. Si partiva a decine da Volturara e si stava ad ore intere nell’acqua. Negli anni cinquanta purtroppo morì annegato un ragazzo il figlio di Massomino.Scendendo verso il paese si trovava “lo butto re li cani“
sopra la catena .Era un dirupo di cui è facile intuire lo scopo. Sotto la Catena le nostre donne per centinaia di anni hanno lavato i panni con l’acqua che scendeva,quante “colate” e spesso per quei signorotti di Volturara di cui coltivavano la terra “a la parte”, a cottimo,senza possesso. Il Dragone era pieno d’acqua da Ottobre a Giugno che arrivava fin sotto la strada di San Carlo. In Primavera era uno spettacolo di uccelli acquatici che nidificavano per poi ripartire. Quanti “ mallardi ”, cibo prelibato per quei cacciatori che si avventuravano sulle rive del Lago e spesso entravano in acqua con barche di fortuna. D’inverno gelava e qualche volta le mucche ci rimettevano la pelle per essersi avventurate sulla lastra di ghiaccio che si spezzava sotto il loro peso.
Nel 1965 inizia l’era di Raimo Marino. Portato da Peppone ( l’ing.Giuseppe Di Feo ) , Eliseo,Eduardo Masucci rappresentò la rivolta del popolo contro Achille Masucci e diede inizio ad un dualismo partitico durato più di trent’anni. Segretario Comunale a Lapio e poi a Montoro Sup. negli anni successivi si allontanò da chi lo aveva portato creando dei personaggi nuovi pronti a “morire” per lui. Don Peppo Marrandino,Masto Giulio (Di Feo Giulio),Cartaianca (Clora Michele),Raimo Amabile,Busto di ferro (Marra Mario), O’ sospetto (Petretta Nicola),Carminuccio Allo (Gallo Carmine) e tanti altri che con un grado di cultura non proprio elevato riponevano in Marino Raimo cieca fiducia. Furono gli anni della grossa emigrazione in Svizzera e Germania. Intere famiglie scomparvero. Continuarono lotte fratricide iniziate negli anni 50 che portò i pochi professionisti ad andarsene ad Avellino o a Napoli. Qualcuno del popolo cominciò ad andare all’Università,cosa fino ad allora esclusiva dei figli dei notabili. Volturara si avviava a diventare un paese di vecchi e bambini. Il sessantotto portò l’ultima ondata di emigrazione. Quei pochi giovani diplomati o operai andavano verso Milano,Torino,Stati Uniti,Canada,Basilea,Zurigo, Rheinfelden ,Francia.Il paese attraversava ancora una volta un periodo buio. La biblioteca sul Comune era rappresentata da una decina di libri che pochi leggevano. Chiudeva Il Cinema al Serrone di proprietà dell’Avvocato Solimene ,genero di Michele Del Percio , unico svago per quei pochi rimasti.
I giovani emigranti si fidanzavano per procura con ragazze che ricordavano solo di vista e si sposavano a Natale per poi ripartire insieme alle mogli per l’estero. Erano decine i matrimoni tra Natale e l’Epifania. Quanti confetti lanciati in Piazza misti a caramelle e qualche volta a soldi e noi a correre a raccoglierli tra le gambe degli invitati,magari in una pozzanghera d’acqua.
A sinistra della Chiesa Madre c’era il Ristorante Terminio di Carasano (De Benedictis Nicola),una piccola osteria dove si consumava per i più ricchi il pranzo matrimoniale,gli altri lo facevano in casa .I funerali venivano seguiti da un piccola banda musicale che intonava le marce e la bara veniva portata a spalla fino al Cimitero. La Chiesa Madre era bella e grande e sempre piena di gente .C’erano le Congreghe che duravano da secoli. La Congrega del Carmine,dell’Addolorata,del Cuore di Gesù , ognuna con la propria Chiesa in piazza Mercato. Tutti facevano a gara a portare la Statua del Santo in processione. Si organizzavano in gruppi e quello che faceva l’offerta in denaro più alta aveva questo privilegio. Erano i tempi che anche i matti si divertivano. Lisandro Sorece scorazzava per il paese battendo su una tanica di ferro,Letoleto girava per matrimoni e feste a mangiare e bere senza essere invitato. L’acqua potabile cominciava ad entrare nelle case. Finirono i “cacaturi” nei valloni ,sostituiti da bagni più decenti. Finirono le processioni delle donne a prendere l’acqua alla Fontana della Piazza ,uno spettacolo irrepetibile. Quante ragazze hanno trovato marito con il loro ancheggiare con la secchia in testa, sembravano le Cariatidi del Partenone . E gli uomini ad osservare dai vari posti ,sotto il tiglio ,all’angolo verso il Carmine vicino al Vallone della Piazza adombrato di piccoli tigli oggi scomparsi. Quanti vecchietti con i baffi bianchi e con quella pipa di creta ad arco. O’ cosuto,
furno ,massumino, la pacienzia. Erano i chiazzaiuoli,mentre più giù al Carmine vicino al Cuore di Gesù i raggi del sole riscaldavano come fari i volti di uomini che trascorrevano il giorno senza voglia di lavorare. E di lì si sentivano i canti delle donne che “sarrecavano” in file compatte con storie di vita e di sesso che per paga avevano solo un pranzo a sera o un po’ di raccolto. Altro che Miseria e Nobiltà di Totò !. C’era chi si infilava gli spaghetti sul seno per portarlo ai figli ed erano a centinaia in ogni tummolo ,
in ogni “mizzetto” di terra a mangiare mele rosse o limongelle, mele a caporeciuccio e ciliegie,tante ciliegie. Facevano la pipì all’impiedi o dietro ad un “mentone di cota”.
Finiva un mondo che si manteneva da secoli . Scomparivano centinaia di famiglie in cerca di un avvenire in città. Notabili e popolani ognuno stanco dell’immobilismo secolare,della miseria ,spinti da una voglia di migliorare e di migliorarsi, come poi è avvenuto, nelle varie parti del mondo e d’Italia. Anche chi resta però migliora la propria condizione perché i tempi sono cambiati a tutto è possibile a tutti. Gli anni settanta sono improntati a vicende amministrative che vedono in prima linea Raimo Marino e Giusino. Il primo ,come Sindaco, vuole aprire al turismo sul Terminio creando una stazione sciistica ,ma lo bloccano. Affermano che vuole concedere il suolo a dieci lire al metro quadrato ,dicono che nella Società che dovrebbe gestire il Terminio con sede a Palermo ci sono alcuni suoi familiari. Raimo viene condannato all’interdizione dai pubblici uffici per un periodo. Il Terminio non si farà. Porta come medico condotto il Dr. Santaniello Raffaele da Quindici,e P. Paolo Cicotti come parroco ,pensionando Don Matteo Masucci e Don Guido Sarno. Nel 1975 ,una forte coalizione della borghesia sconfigge Raimo. Il nuovo Sindaco è un erede dei Masucci ,Edoardo,medico di famiglia,funzionario INPS. Dura in carica poco tempo. Diventano Sindaci facenti funzione prima Zirpolo Ferdinando,poi Masto Giulio,infine Masucci Giuseppe,comunista ,incisivo molto come opposizione , ma che aveva il difetto qualche volta di non alzarsi presto la mattina e spesso l’impiegato di turno doveva andarlo a svegliare a casa per poter aprire il Comune.
1978, si va a votare e viene eletto Sindaco l’altro fratello di Don Achille ,
Silvio,Primario Ginecologo ad Avellino. Sarà il Sindaco del terremoto. Raimo ancora una volta viene sconfitto per la sua incapacità di mediazione e di dialogo. Nella terza sezione una scrutatrice numera le schede per sbaglio ,per cui si ritorna a votare nell’Aprile 1980. Rivince Silvio Masucci ,anche perché due consiglieri di Raimo, passano con Masucci.

Si arriva così alla fine del mondo e alla sua ricostruzione. Solo chi non l’ha vissuto non può capire quello di cui è capace l’animo umano. Sono finiti duemila anni di storia. Un paese viene cancellato nella sua cultura ,
nella sua quotidianità ,nei suoi valori. Forse è Iddio che vuole il cambiamento ,ma non riuscirà nel suo intento di migliorare gli uomini. Si preannuncia un periodo di sviluppo edilizio incontrollato e di distruzione di quei pochi valori ideali che erano rimasti nella storia, Sodoma e Gomorra ,la torre di Babele ,Hiroshima. Il compendio del mondo si riversa su un popolo che stava ritrovando la pace dopo tante sofferenze. La maledizione si rinnova ,il diavolo scacciato dal monte San Michele che sovrasta Volturara si vendica ancora ,scende nella piazza principale e emana i suoi malefici su tutti. Si perde il lume della ragione e dei sentimenti ,si imbarbariscono gli animi e le menti. Usa personaggi per distruggere e non costruire. Appiattisce i pensieri. Disidrata gli animi.
23 Novembre 1980 ore 19,34. Una domenica come tante .L’Avellino,in serie A ha vinto 4-2 con l’Ascoli ,due gol del negretto brasiliano Juary,
che dopo i gol danzava intorno alla bandierina del calcio d’angolo. In televisione è incominciata da poco la replica di Inter - Juventus .E’ già sera con una luna piena grande come una casa. Fa appena ,appena un poco freddo.
Il sibilo comincia all’improvviso,diventa un tuono,mentre tutto si agita in modo sconquassato. Se ne va la luce e nel buio emergono le paure ancestrali di chi è di fronte alla morte nella sua solitudine umana. Cerchi di capire che cos’è mentre ti aggrappi alla parete che nemica si allontana dalla tua mano. Poi un lampo ti squarcia la mente. Il terremoto ! ,e non sai cosa fare .
Brancoli nel buio per cercare un appiglio ,per vedere una luce,ma la polvere che si alza ti fa capire che sei finito. Tutto balla. E’ ridicolo a pensarci ,ma tragico nel viverlo . Cammini senza capire,senza morire .Tocchi i tuoi cari che urlano e vuoi calmarli. Usciamo fuori ,ma il fuori dov’è?. Ti accucci le mani sulla testa per non sentire dolore per i calcinacci che cadono….. poi il silenzio ,e polvere ,solo polvere ,tanta polvere. Tossisci ,tossiscono tutti.
Gridano ancora ,chiamano i nomi. Si abbracciano piangendo, li abbracci piangendo. Ti allontani dalle case all’aperto per una istintiva paura ,poi incominci a contare i parenti. Non manca nessuno ,mentre tutti pregano. E’ la fine del mondo. Dio ci punisce per i nostri peccati . Madonna aiutaci .Madonna ! saranno morti tutti. Si incominciano a intravedere ombre vicino a noi che passano e gridano e piangono e pregano. Sono storditi,
confusi,abbracciano chiunque incontrano e piangono e pregano. Qualcuno ride ,più per nervosismo che per essere scampato alla morte. Guardo l’orologio sono le 19,45 ! Sento tremare sotto i miei piedi e mi blocco. Gli stessi brividi di prima ,lo stesso sudore ,la stessa paura. Oddio ricomincia. E’ un attimo, la ragione mi dice che non sarà come prima ,ma ho paura lo stesso. Via Carmine è un unico mucchio di macerie .I primi piani sono crollati sul marciapiede e si sentono lamenti dei feriti. A pochi metri con sulla pancia metri di pietre e di polvere si intravede il volto dell’ing. Di Feo pallido,bianco di polvere e rantola senza parlare,sudato. Ci vuole molto tempo prima di estrarlo dalle macerie ,sulle gambe la base della finestra del primo piano che pesa un quintale. Povero uomo! è morto! Lo prendono e a braccia lo portano via ,non so dove.
Sembrano ombre che vagano. Sporchi di polvere e di paura ,vanno e vengono alla luce della luna in un mormorio che sovrasta le persone e rende la scena immortale e senza tempo nei ricordi di chi l’ha vista .Finisce la polvere,sono le 20,05. La luce della Luna rischiare la sera. Piccoli fuochi si accendono intorno a persone spaurite. Qualcuno si ferma chiedendo notizie e ringrazia Iddio ad una risposta positiva. Altri più in là si abbracciano e raccontano. Scendo verso piazza Mercato e vedo un ragazzo che piange ,non è di Volturara. Indica un luogo pieno di polvere a gesti senza saper parlare. Lo aiutano a scavare. Il suo amico è là soffocato sotto mezzo metro di polvere con la faccia in giù. Si dispera. Erano venuti da Montella a trovare delle ragazze. Il suo amico aveva trovato la morte davanti al portone dei Mingone. Vedendo il Palazzo delle farmaciste cadere ,si era buttato sull’altro lato della strada ,ma non era stato fortunato.
Le prime notizie incominciano a circolare. Dietro ai Portoni hanno trovato Immacolata sepolta dalle scale mentre fuggiva.
Davanti al monumento ai Caduti Pasqualino Sarno cerca qualcuno che lo aiuti a trovare la madre e la sorella Elvira. Ha un oscuro presentimento. Arcangelo Marra lo porta al Freddano dove abita. Chiamano a gran voce ma tutto intorno è crollato. Un’altra scossa improvvisa consiglia loro di allontanarsi. Le trovano il giorno dopo sotto le scale abbracciate nell’ultimo inutile tentativo di mettersi in salvo. Una scena che mi colpisce giù al Carmine. La mamma di Rosetta Lomazzo ,ostetrica a Sant’Angelo piange e vuole essere portata dalla figlia che era andata a lavorare in Ospedale. Come può l’istinto di una madre capire una tragedia senza averla vista ! Non e’ passata nemmeno un’ora dal terremoto e capisce disperandosi.
Rosetta ,vent’anni di bellezza e di semplicità era stata accompagnata dal fidanzato a Sant’Angelo dove erano giunti alle 19,25. Lasciato il ragazzo aveva iniziato a lavorare nell’ala dell’Ospedale che non è crollata. Alle 19,30 una partoriente le chiede di portarle una stufa che si trova nell’altro corridoio perché ha freddo. Attraversa il corridoio prende la stufa e sta per tornare indietro. La morte la prende davanti alla porta che divide l’ala crollata da quella che ha resistito. E’ una delle centinaia di vittime di Sant’Angelo dei Lombardi ,dove la classe del 1963 scompare mentre assiste alla partita
Inter-Juve nel bar prima della piazza. Cerchiamo di portare aiuto a chi ha bisogno ,mentre decine di macchine portano i feriti all’Ospedale. Vengono estratti vivi dalla macerie in via Croce Fiorenzo Meo ,simbolo del sisma con il dente dell’epistrofeo rotto. Vivo per miracolo ! Il cugino Lucio De Feo con le gambe rotte ,e sua madre Antonia Pennetti,a cui volevano amputare un piede,salvato poi dai medici di Bologna,dove si ricovererà in seguito. In via Dante Alighieri sotto la casa crollata a pila di libri vengono estratti vivi Masucci Michele e la moglie Del Percio Elisa. Ognuno racconta e sono tutte tragedie sfiorate. In via Vincenzo Pennetti nella discoteca di Antonio Sarno ,
lo scarso, c’erano una ventina di ragazzi , tutti salvi per miracolo. In Piazza la Chiesa Madre e le pietre del Campanile sembravano rincorrere tutti quelli che scappavano. In Piazza Carmine crollò tutto. Secoli di fede distrutti in novanta secondi. Scomparsa la Chiesa del Carmine ,il Cuore di Gesù ,la Chiesa dell’Addolorata. Era divenuto tutto piatto con cumuli di macerie sparse quà e là. Si vede un orizzonte irreale ,mentre ombre vaganti si abbracciano. Moltissime persone si rifugiano dietro al Serrone, portando
i vecchi nelle automobili all’aperto vicino al Campo sportivo. La scossa dell’una di notte è forte quanto la prima , ma più breve. Non ci sono vittime perché tutti stanno all’aperto. Dal Serrone si vedono crollare interi fabbricati in prolungamento Via Cupa ,mentre la terra sembra cullarti in modo ondulatorio.
La paura passa lentamente quando le prime luci dell’alba si alzano sui racconti di passati terremoti e sventure fra gente infreddolita e piena di sonno. Manca acqua e luce ,la giornata è fredda. Pensi che sei rinato e che vuoi goderti la vita attimo per attimo dopo aver vissuto questo cataclisma. Il paese si anima ma nessuno guarda nessuno ,tutti presi ad andare a controllare ciò che ha perso ,ciò che può recuperare e dove metterlo. La radio da le prime notizie. E’ un disastro immane da Balvano a Napoli , chissà quanti morti ! Durante la giornata un arrivo continuo di Volturaresi dall’Italia e dall’estero per cercare i propri familiari e macerie , tante macerie sparse per le strade. Andiamo in campagna a Tortaricolo da zia Ida , ammassati a dormire vestiti , pronti a scappare al minimo rumore. Torno in paese .I soccorsi incominciano ad arrivare , le notizie pure, ed è la certezza di una catastrofe. Balvano con i fedeli morti sotto il crollo della Chiesa;
Sant’Angelo che conta centinaia di morti ed interi palazzi adagiatisi su se stessi. Lioni rasa al suolo. In paese chi può scappa. Cerchiamo di organizzare un pronto Soccorso nel Campo sportivo sotto una tenda. Si distinguono per impegno i ragazzi del gruppo Gi. Fra con Padre Emilio. Il Sindaco Silvio Masucci si trova impreparato a fronteggiare un evento del genere ed i vari amministratori vanno per conto proprio spesso in antitesi tra di loro. Le tende che arrivano vengono sistemate nel Campo Sportivo, distruggendolo
per sempre ! Come era bello negli anni 70,quando si riempiva di pubblico e di giovani. Sceglieranno di ricostruirlo al Dragone in una zona senza sole , fredda ed umida. Errori del dopoterremoto , fare senza programmare,
senza tenere in nessun conto le esigenze della popolazione ,ma è solo l’inizio. Si crea un centro raccolta nelle Scuole Medie di Viale Rimembranza e nelle scuole Elementari di via Serrone. Il Comune viene spostato nella Palestra della Scuola Elementare di Viale Rimembranza. La sede operativa del Comune e dell’Amministrazione è al primo piano delle scuole medie. Arrivano le giacche a vento e “zompa chi può!”Arrivano i cappellini antipioggia e chi più ne può più ne piglia. Arrivano le coperte e si forma una fila di più di mille persone. Arriva del parmigiano e della pasta e per un “cuoppo di maccaruni” si azzuffano centinaia e centinaia di persone,
mentre i furbi fanno incetta di tutto e di più. E’ inutile fare i nomi ,il tempo fa dimenticare tutto ,ma resta il fatto che alcuni personaggi riuscirono a riempire le case di oggetti ,di indumenti e di alimenti. Si racconta di decine di prosciutti trovati marciti al Dragone dopo settimane ,di indumenti nascosti nelle casse da morto ,mandate per eventuali vittime ,dalle quali uscivano prelevate di notte e nascoste nelle case. La cosa più simpatica la fece Celestino D’Agostino,celebre beone che presa una di queste casse ,la portò in piazza Carmine e vi ci si addormentò dentro ubriaco. Lo prelevarono i carabinieri la mattina dopo.
Episodi vergognosi e disgustosi alternati a scenette gustosissime che dimostrano la capacità di sopravvivenza e di improvvisazione del nostro popolo. Un signore,di cui non faccio il nome ,ma che conosco molto bene ,
esce dalle Scuole Medie indossando una giacca a vento nuova di zecca,
sembra un po’ ingrassato. Il bello che quando si toglie a casa la giacca a vento sotto ne nasconde un’altra altrettanto nuova ,perciò sembrava un po’ più grasso. Non gliene bastava una ne aveva preso due !Una scena altrettanto gustosa l’ho vissuta in prima persona. Un mio amico adocchia un paio di stivali imbottiti di lana appoggiati sul davanzale di una finestra nelle Scuole Medie. Decide di prenderli,ma siccome il portone della scuola era controllato per non far entrare gente ,li nasconde in attesa di un momento migliore. Si mette d’accordo con suo fratello e lo fa aspettare dietro il palazzo. Apre la finestra e butta uno stivale che il fratello prende. Sta per lanciare il secondo ,ma delle voci che si avvicinano lo bloccano. Appoggia lo stivale sul davanzale ,chiude la finestra e si allontana. La sera rivede lo stivale nelle mani di Nicola , il custode,che minaccia a destra e a manca chiedendo la restituzione dello stivale mancante. Lo poggia a mo’ di monito sul tavolo e se ne va .Aveva uno sguardo tagliente e penetrante su di un viso ovale e faceva paura al solo guardarlo negli occhi. Il risultato fu che il giorno dopo per paura di essere scoperti e di una eventuale rappresaglia i due stivali troneggiavano sul tavolo con grande soddisfazione di Nicola.
Superata la fase dell’emergenza inizia la sistematica presa di potere di un’Amministrazione che si dimostrerà nel prosieguo non all’altezza della situazione creando le premesse di un futuro senza valori in cui il senso di Giustizia è rappresentato solo dall’appartenenza al gruppo e da vassallaggio alle idee ,intese più che altro come pragmatismo esasperato.
Sono i tempi in cui in Provincia il potere politico afferma i canoni dei nuovi valori fatti di praticità e di appartenenza. Una piramide di favoritismi e sudditanza “creare il bisogno per gestire le menti “ che con il dopoterremoto si espanderà in Italia teorizzando il rampantismo purché di appartenenza. ”Chi non accetta o critica è inaffidabile ,perciò da isolare ed eliminare politicamente creandogli il vuoto intorno”. Craxi lo migliorerà rendendolo amorale. Il “tu vali se sei dei nostri” renderà una classe dirigente succuba e cascettona in cui l’unico collante è il potere per il potere ed il Dio denaro.
Una lunga catena di sudditanza che nemmeno “Mani Pulite” riuscirà a cancellare , anzi creerà i presupposti per la ricerca stupida di idoli più o meno di terracotta. E’ , ritornando a noi ,l’inizio e la vittoria della coscienza nera dei vecchi gruppi di potere succedutisi negli ultimi due secoli e che la ripresa economica degli anni settanta sembrava aver cancellato per sempre.
Famiglie decadute e/o scomparse avevano fatto posto a figli di contadini che con il commercio o con l’emigrazione cercavano di dare ai propri figli,
mandandoli a scuola,valori di crescita sociale e culturale nel rispetto di valori cristiani,familiari e di giustizia sociale.
Pullman dal Belgio per Amministrative 1997

Giuseppe Meo , organizzatore di una festa di volturaresi in Belgio da molti anni, decide di candidarsi nella Stretta d Mano,capeggiata , ormai dal 1965, da Raimo Marino.
Raimo, Sindaco uscente , per essere sicuro di una nuova vittoria gli consiglia di portarsi dal Belgio un pullman di volturaresi che avrebbero sicuramente contribuito alla vittoria finale. Detto,fatto. Il sabato delle elezioni 54 volturaresi provenienti dal Belgio si presentano nel parcheggio del ristorante Dragon’s Valley scortati e salutati dai candidati della stretta di mano e guardati dai candidati delle altre due liste con un misto di invidia e di rancore. La sorpresa arriva con lo spoglio dei voti. Giuseppe Meo,ò spagnuolo, prende solo 34 preferenze!, e pensare che a Volturara portava come familiari almeno una trentina di voti. Ciò significava che quasi nessuno di quelli che aveva portato dal Belgio lo aveva votato.
Dieci milioni di spese tra viaggio e pranzi buttati all’aria di una sconfitta bruciante che porta sul Comune la Colomba di Andrea Di Meo e Raimo Marino all’opposizione.
Si saprà in seguito che i parenti in Belgio di un candidato della Colomba avevano ben addestrato i partenti a votare per il loro nipote e non per Giuseppe Meo.


La città sotterranea 2000

Sarà il caso,sarà il destino ma resto sempre coinvolto in situazioni strane. Ieri 15 Giugno stavo andando alla studio in via Freddano,quando mi chiama Vito,emigrante in Canadà di ca 70 anni che d’estate torna al paese e osserva l’andamento delle cose per poi riferirmele per sapere cosa ne penso. Una sua prerogativa è chiamare gli amministratori “Mazzacanaglie”e appena può questo termine lo schiaffa in ogni frase che dice. Ebbene Vito mi fa vedere in piazza di fronte al Comune lo scavo che l’Italgas sta facendo per mettere il metano e mi invita a guardare con attenzione ,cosa che faccio per la simpatia che mi ispira. Ad una profondità di circa un metro proprio di fronte all’ingresso del Comune vedo una galleria alta un metro e mezzo e larga due,il cui centro corrisponde al lato sinistro dell’ingresso guardando verso il Comune stesso ,ad una distanza dal portone di circa 3 metri. La galleria presenta una volta di tufo e per tre quarti è piena d’acqua. Si scatena la curiosità e la fantasia. Ritornano alla mente vecchi racconti dell’infanzia su cunicoli sotterranei che attraversavano il paese ed arrivavano a San Michele e che servivano come via di fuga e nascondiglio per i signorotti nel tempo in caso di attacchi al paese.
Qualcuno dice che le case dei Vecchi e dei Masucci erano in comunicazione tra di loro e che il cunicolo sboccasse sotto San Michele presso la casa di un’altra famiglia di notabili ,i Marrandino. Qualcun altro obbietta che se ci sono ,questi cunicoli sicuramente devono sboccare in un luogo di incontro,
magari in una grossa stanza centrale che serviva da rifugio a molte famiglie. Si arriva all’ipotesi di una città sotterranea ,magari con qualche tesoro nascosto e testimonianze di una passata cultura. Si conclude che i nostri antenati erano persone intelligenti, previdenti e capaci a differenza di una realtà odierna fatta di inerzia e incapacità di creare. Alla fine cerco di trovare qualche amministratore sensibile che fermi i lavori e faccia ispezionare la galleria. Trovo un assessore che sembra recepire appieno la mia tensione e la mia curiosità ,mi lascia sul posto e va alla ricerca dell’Ingegnere della Ditta promettendomi di interessarsi del problema. Torno a casa convinto e soddisfatto,per il pranzo .L’amara sorpresa e’ un’ora dopo,quando la galleria la trovo scomparsa sotto mezzo metro di cemento armato,buttato in fretta e furia per nascondere un possibile intoppo ai loro lavori.





La leggenda dei morti viventi

Durante il Regno di Federico nel 1282 avvennero i primi Vespri contro i francesi stanziati a Volturara, che ne uscirono sterminati.
La leggenda racconta che dal Cimitero dei morti di Volturara uscirono legioni di armati che misero in fuga e fecero strage degli invasori liberando il paese.
L’avvenimento è ricordato nei secoli con la festività della Domenica del Purgatorio che si celebra ogni anno .
( Da “ L’Eco di Volturara “di Alessandro Sarni del 1913 )

Carnevale

Negli ultimi anni il Carnevale ha perso il suo smalto di una volta,si è uniformato al carnevale ricco ed opulento tipico della nostra società dei consumi.
L’unica vera maschera autentica resta Cannone (Calabrese Ciriaco ) che da più di quaranta anni si adopera a renderlo bello e vivibile. Andando indietro nel tempo della memoria si affacciano quadri di semplicità e divertimento,di povertà e di allegria e su tutto la maschera di Peppo re quagliarella (De Feo Giuseppe ) con quel suo naso rosso di vino e quella gestualità atavica imparata dalla vita di ogni giorno e dalla banalità delle cose che non restano. Schivo e riservato nell’anno ,diventava l’Imperatore della festa ,la calamita della povera gente nei suoi dialoghi carnevaleschi alla “Vola Colomba,vola” e saliva nell’Olimpo dei Pulcinella quando camminava per le vie del paese a mezzobusto nella bara di Carnevale muorto .Ricordi di un mondo bello,
perché lontano e scomparso,semplice ed immediato,luminoso e fanciullesco.
Ricordi di “sega-sega “ fatte di mezza salsiccia o cinque noci ,di caramelle o di castagne ‘nfornate,dure come la pietra ,lucenti come diamanti nella memoria di un uomo che ha visto .Organetti e putipu’,triccabballacchi e zufoli in un crescendo di balli e di suoni in cui si mescolavano allegria ed eros ,vino e toccate ,come è sempre stato sulle aie da che Volturara è Volturara.






Se pozza appilà la occa re lo Traone (si possa otturare la Bocca del Dragone!)

Non c’era peggiore bestemmia che si potesse rivolgere ad un volturarese , ed era il ritornello più usato dai forestieri per pungere o offendere. La risposta del volturarese di turno pronta e pungente era “ se pozza appilà la fessa re soreta” ( si possa chiudere la vagina di tua sorella).
Qualche volta però finiva a botte o anche peggio. Si racconta di
Pasqualuccio re Barracca che all’ennesimo sfottò di un serinese , gli sferrò un’accettata sul braccio tranciandoglielo di netto. Si fece molti mesi di carcere , ma ne rimase orgoglioso per tutta la vita, entrando nel detto popolare come uno che aveva vendicato secoli di torti subiti.
L’origine del detto nasce dalle continue inondazioni del Dragone , che in periodi di piena arrivava con l’acqua fino al paese, costringendo la popolazione a rifugiarsi sulle montagne. Una eventuale chiusura definitiva della Bocca del Dragone avrebbe avuto come conseguenza la fine del paese.
Ne è testimonianza nel corso degli ultimi tre secoli l’impegno profuso dai vari amministratori per pulire la bocca e fare opere di miglioramento per evitare un simile possibile disastro.
Nel 700 era obbligatorio per il Sindaco in carica fare la pulizia annuale del canale che porta l’acqua alla bocca.

Allagamenti del Dragone

Numerosi allagamenti si sono verificati nel corso della storia .I più importanti e di sicuro ricordo sono quelli del 1752,1805,1831,1842,1851,
1853,1854,1915,1917.
Considerati nelle credenza popolare un castigo mandato da Dio per punire i peccatori hanno procurato non pochi guai. Fino al 1900 infatti il paese è rimasto nelle zone alte ,al Carmine c’erano solo le Chiese della Madonna del Carmine,del Cuore di Gesù e dell’Addolorata .L’estremo limite a valle era piazza Mercato. La memoria corta fa dimenticare che la storia è la memoria dell’uomo. Infatti con il terremoto del 1980 caddero le case al di sotto della piazza ,mentre la case in alto sulla roccia furono solamente lesionate,anche se erano molto vecchie e non procurarono vittime ,che in numero di cinque si ebbero tra la piazza ed il Carmine. Tutto questo perché negli allagamenti del Dragone l’acqua saliva di 20 metri fino alla strada provinciale che collega Volturara e Montemarano,arrivava fino alle porte del paese,
costringendo la popolazione a scappare sui monti. Il fenomeno era spiegato dal fatto che la Bocca del Dragone,un’apertura di ca 40 cm si ostruiva sia per la presenza di materiali di riporto,sia perché non avendo sfiato perdeva l’aria e l’acqua veniva inghiottita troppo lentamente. Bastava un’invernata di piogge più abbondanti che avveniva il disastro. Era un vero e proprio incubo per i volturaresi il fatto che si “appilasse” la bocca del Dragone. Per fortuna con il passare del tempo gli eventi sismici hanno creato all’acqua dai monti percorsi sotterranei per cui ai giorni nostri è quasi impossibile che si ripetano questi eventi. Inoltre a fine 800 fu costruito affianco alla bocca un pozzo parallelo che fungesse da sfiato dell’aria. Dal terremoto del 1980 l’acqua resiste solo per alcuni giorni e solo in seguito a piogge molto forti d’inverno. Nel 1998 a seguito di piogge torrenziali il livello dell’acqua è salito di ca un metro nelle campagne circostanti,si allagarono parecchie cantine di volturaresi che nella loro incoscienza hanno costruito quasi dentro la piana.

Banda musicale nel tempo

Oggi c’è e non c’è ,nel senso che alcuni volturaresi suonano in una Banda diretta dal Maestro Caracciolo che ogni tanto suona per le strade volturaresi alle feste paesane di seconda scelta. Ma immaginare Volturara senza Banda musicale negli ultimi due secoli è come dire la Collina di San Michele senza il castello o il Dragone senza la bocca.
Una banda in simbiosi con la storia e gli avvenimenti del nostro paese. Partecipe di tutte le manifestazioni religiose ,politiche ,sociali e perché no storiche ,fino alla fine degli anni sessanta accompagnava tutti i funerali.
Finita con l’emigrazione massiccia del dopoguerra era rinomata in tutto il Circondario. Famiglie intere di musicanti che tramandavano la tradizione di generazione in generazione senza maestri solo con l’esperienza e l’orecchio. C’era la Banda quando nel 1936 arrivò il Re e Mussolini per le Grandi Manovre. Suonava la Banda per le vie del paese il 7 Luglio 1861 per festeggiare la bufala del ritorno di Francesco II di Borbone a Napoli. Si dice che fu subito sciolta in giornata dal Governatore Nicola De Luca !
La banda era l’unico modo di fare cultura ed aggregazione in una società analfabeta per destino e per forza delle cose. Attraverso la Musica si elevavano dalla grettezza e dalla povertà quotidiana in una sintesi che era simbolo di libertà ,voglia di miglioramento e di sentirsi puliti dentro.
Contadini ,operai ,vaccari e boscaioli si univano alla ricerca di un comune denominatore che rappresentava allegria ,voglia di fare bella figura e ricerca di qualcosa di collettivo in un paese individualista per natura e vocazione. Chi ha dato tanto nel secolo scorso è stato Don Mariano Lepore , medico, musicista e scrittore che per anni mantenne la banda fino alla II guerra mondiale. Negli anni sessanta con la banda finivano tante belle cose secolari. Negli anni 90 una riscoperta di valori antichi ha riportato in auge manifestazioni ormai dimenticate . L’augurio è che un giorno Volturara possa riavere la sua Banda musicale. Sarà sicuramente un giorno di festa

La Leggenda del 6 Gennaio

Una leggenda popolare diceva tanti anni fa che il 6 Gennaio alla mezzanotte di ogni anno le anime dei defunti in processione giravano per le vie del paese che li accoglieva in un silenzio irreale. Nebbie nella nebbia di Volturara godevano degli angoli e delle strade a loro familiari,col rispetto dei vivi che non osavano disturbarli, restandosene tappati in casa magari svolgendo con lentezza la corona del rosario raccolti in preghiera per loro e mettendo dietro gli usci una pentola piena di acqua alla quale le anime dei familiari potevano dissetarsi. Una scena eterna ,dove dietro ai grandi protagonisti della nostra piccola storia ,il popolo sfilava in un corteo infinito e dai contorni sfumati . Ombre senza sorriso,ma anche senza più dolore. Chi morirà sarà là con loro a continuare una marcia che è il nostro passato ,ma che sarà sempre presente,
anche nel futuro.

L’Arciprete che ha 300 anni

Don Alessio Lepore non è un arciprete, è l’Arciprete!
Lo ha fatto per trecento anni ,senza apparire ,con discrezione ed è morto irrimediabilmente e per sempre nel 1971. Iniziò nel 1725 nato da Costantino Lepore fino al 1800. Ricominciò dal 1801 ed era figlio di Pietro Lepore e di Domenica Luciani dai quali era nato nel 1771 .Durò fino al 1842. Ma l’anno prima era nato da Giuseppe e da Francesca De Cristofano ed esercitò la carica fino al 1931. Da allora, figlio di Costantino e Maria Picardi la esercitò fino al 1971. Dalla sua morte nessun Arciprete paesano e nessun prete paesano , in un paese dove ogni famiglia di notabili aveva avuto fino ad allora uno o più sacerdoti sempre presenti. Secoli di presenze forti ,qualche volta ingombranti ,sempre comunque punti di riferimento dei loro familiari che sono cresciuti economicamente e culturalmente sotto le loro ali. Potere spirituale e temporale di pari passo ,con pochi sbagli e molte imposizioni sugli altri. Chi non cercava di fare un figlio prete ? , secoli di aspirazioni per crescere nella scala sociale ,immobile alla solita e sempreterna “sissantera”. Quanti figli o “nipoti” divenuti ricchi ed importanti per lasciti sostanziosi o per studi facili nei seminari più in voga.


Angelo Mele fa scoprire i tartufi ai Bagnolesi

I ricordi delle estati passate nella masseria dei miei nonni in campagna sono luminosi come un diamante percorso da un raggio di sole e riscaldano il cuore nel ricordo di chi da poco non c’è più. Storie di spiriti e di fate raccontate alla luce fioca dell’ultimo tizzone che mettevano i brividi e mi facevano dormire accovacciato nel grande letto di foglie di granturco con le mani sopra la testa ai piedi dei nonni. Come era bello farsi narrare una vicenda vera e rivederla con gli occhi di oggi fatta di realtà frammista a fantasie inventate al momento ,semplici, ma ricche di una sapienza popolare dettata dall’esperienza dei secoli e perciò priva di sbavature e ricca di insegnamenti che temprato il carattere e restavano nel genoma della vita da vivere. Una è rimasta nei dedali dell’inconscio ed è esplosa quando ho letto alcuni giorni fa a pag 107 del libro di Tommaso Aulisano “ Salvatore Pescatori , una vita per l’Irpinia” Materdomini 1993
a pag. 107 ......“ Il Lenzi fece pure un ritratto dell’Imbriani,che restò incompleto per la morte di entrambi , avvenuta a solo sei mesi. Questo ritratto è conservato presso il Museo di San Martino a Napoli.Il Pescatori , nel parlare dei rapporti di amicizia fra l’Imbriani ed il Lenzi, e con Nicola Pescatori suo padre ed il pittore calabrese Achille Martelli,fornisce una informazione assai importante ,quella che il tartufo nero di Bagnoli era noto già nel 700. Infatti , in occasione della visita ad Avellino di Carlo III di Borbone avvenuta nel 1734,gli fu data in regalo,all’atto della partenza “ una cesta di tartufi delle montagne di Bagnoli”.Finora ,invece, era stato sostenuto che il primo ricercatore di questa nera patata ritenuta afrodisiaca fosse stato un tal “ zio Angelo il tartufaro”, un ex brigante originario di Volturara,mandato in domicilio coatto nel Comune di Bagnoli, che il Lenzi aveva aiutato facendolo risiedere nel Rifugio S. Salvatore,più noto come rifugio S. Nesta,allorché lo aveva costruito .....
Ho rivisto la sagoma curva di mia nonna piccola e minuta e la sua voce calda e suadente che di fronte ad un bambino con la bocca aperta ed il muco fino alle labbra , con gli occhi sgranati all’eccesso sussurra in un’immagine cristallizzata ed eterna :
- stasera ti voglio raccontare una favola non di orchi ,ma di briganti. E’ una storia che viene da mio nonno, Mattia ,ed è
La storia di ‘Ngillo ò breante
Angelo Mele( 1836-1900°) di Nicola aveva avuto un ruolo molto importante negli avvenimenti del 1861 insieme a suo fratello Vincenzo ( 1829-1895°). Ambedue amici ed estimatori di Alessandro Picone ,il capo della rivolta del 7 Aprile , lo seguirono nella fuga e nella latitanza. Arrestato dalla guardia nazionale e condannato come brigante a 20 anni di lavori forzati fu poi destinato in domicilio coatto a Bagnoli Irpino.
Mesi passati in solitudine e riflessione con una rabbia che niente poteva mitigare. Lunghe passeggiate solitarie per i tornanti del Laceno in attesa di qualche visita di familiari che per vederlo dovevano superare blocchi di carabinieri e delatori. Persa ogni speranza del ritorno dei Borbone e persa ogni idealità nel carcere duro di Avellino , il futuro senza sbocco e senza futuro,il presente una cappa di malinconia e rancore da non poter mostrare per non essere ulteriormente penalizzato. Né fessa,né notabile , “una mezza calzetta “ che non poteva lavorare per mantenere la propria famiglia , mentre Vincenzo era ancora carcerato. Si va bene , ci pensa Mattia ( 1832-1905°),
l’altro fratello,miracolosamente rimasto fuori dalle retate , ma qualcosa bisogna inventare per non passare inutilmente la giornata. L’idea gliela suggerisce la visita di suo cugino omonimo Angelo Mele, ò taratufolaro , che attraverso Campolaspierto e Verteglia era arrivato di nascosto a Bagnoli in quella fredda mattina di primavera .
- Parè ! io vivo di tartufi. A Volturara vengono i migliori notabili di Salerno e qualcuno anche da Napoli a comprarli a 10 lire il chilo .Sono afrosisiaci
( afrodisiaci ) e chi ha soldi fa di tutto per averli. Qualcuno se li mangia crudi, altri lo fanno a fette e con olio,aglio,prezzemolo e sale lo mettono sul pane e se lo “pappano”, altri ancora con la punta del coltello lo fanno a pioggia fine sul sugo rosso della Domenica e sembra il nettare degli Dei. Le montagne di Bagnoli dovrebbero essere uguali a quelle del nostro Terminio e sotto i faggi non è detto che non li trovi. Il cane te lo presto io e se non ne trovi , per lo meno passi le giornate senza annoiarti. La mancanza di calma mentale e di serenità interiore dovrebbero scoraggiarlo dall’intraprendere l’iniziativa ,ma la curiosità di provare è più forte di quanto pensasse e di lì a qualche giorno molti bagnolesi osservarono con curiosità mal celata il girovagare di quel forestiero tra i faggi del Laceno in un periodo in cui funghi non ne crescevano. Arrivarono persino ad avvertire i reali Carabinieri della cosa e da quel momento fu sottoposto ad assidui ,anche se discreti pedinamenti. Da Lontano la scena che si presentava ai curiosi era simpatica e misteriosa. Il forestiero ,ormai da tutti chiamato ò breante di Votorale, lasciava il bastardino libero dalla fune che lo teneva legato ed aspettava interessato. D’improvviso correva nella direzione del cane che era intento a scavare col muso e gli toglieva dalla bocca un “ coso “ nero che pensavano una bacca secca caduta da un albero. Bisognava andare fino in fondo e capire bene la situazione che assumeva sempre più un aspetto misterioso ed affascinante. Il Sindaco , avvertito della cosa, decide di mettergli alle costole un suo fidato e per la prima volta dopo mesi verso il calare della sera la solitudine di Angelo Mele viene interrotta da un bussare discreto alla porta. Non è il solito gito dei carabinieri per controllare la sua presenza . Domenico Del Mauro entra nella misera stanza illuminata dalla tenue fiamma di un “ascistarulo” ( lampada a petrolio) e con fare deciso si presenta e spiega il motivo della sua visita. Abbiamo saputo della tua storia e in me trovi un estimatore ed un amico fidato. Ti ammiro per il tuo attaccamento al vecchio ordine delle cose e tutti i guai che hai passato rendono onore alla tua persona Di fronte a tanti cascettoni che hanno rinnegato le proprie idee , tu hai preferito il confino al cedere alle tue idee e se hai bisogno di qualche cosa puoi far affidamento sulla mia famiglia . So che te la passi male , ma ti ho portato un po’ di patate e pane di granturco sperando che possa servirti. Io lavoro tutto il giorno , ma la Domenica se vuoi puoi venire a trovarmi a casa al quartiere della Giudecca per bere insieme un bicchiere di vino,quello buono fatto in casa.
Angelo non sa cosa rispondere e lo accomiata con una gentilezza che pensava aver perso restando solo. Disteso sul letto , con lo sguardo rivolto al soffitto, cerca di far mente locale. L’unico pensiero è di non cacciarsi in altri guai ,pensa che possa essere un trucco per incastrarlo definitivamente ,ma nemmeno è pensabile che possa restare solo in eterno a pagare una colpa di cui non sa ancora darsene una ragione. Una notte tormentata da incubi e ricordi ancora recenti lascia il posto al canto dei galli in lontananza. Le campane della Chiesa annunciano la prima Messa della mattina e solo ora si rende conto che è Pasqua.
- Se Cristo è risorto ,risorgerò anche io e potrò tornare a lo “ Otrale ” con mia moglie e i miei figli. Un pensiero a Vincenzo ancora in carcere e poi verso la montagna a dimenticare il presente .Domenico Dello Mauro sembra camminare distratto e senza una meta e appena scorge in lontananza Angelo si avvicina e gli chiede se può accompagnarlo. Si avviano verso il Laceno e dopo un’ora di buon cammino si riposano all’ombra di una quercia vicino alla sorgente di acqua, alla quale si dissetano. Angelo,quasi intuendo i pensieri del compagno, gli spiega senza domanda , che passa il tempo a cercare taratufoli , frutti neri che stanno sotto terra fino a mezzo metro e che danno una puzza incredibile , ma che sbucciati sono prelibatissimi da mangiare .I cani sono adattissimi a cercarli per il loro grande fiuto , ma i migliori cercatori sono i maiali e i cinghiali .Domenico resta interdetto e imbarazzato ma segue il compagno nella ricerca e a metà giornata si ritrova di fronte ad una ventina di tuberi neri ,lucenti, vellutati e duri che emanano una ripugnante puzza di zolfo.
Al gesto di Angelo di volergliene donare qualcuno , Domenico con una smorfia rifiuta e tornati in paese corre dal Sindaco a spiegargli l’accaduto.
Il Sindaco per niente sorpreso gli spiega che è vero il fatto dei tartufi e che più di cento anni prima e precisamente nel 1734 i notabili di Bagnoli dell’epoca avevano portato una cesta di quei frutti al nuovo Re del Regno di Napoli Carlo III in occasione della sua venuta in Avellino ,ma che poi nel corso degli anni la pratica della ricerca era andata scemando fino a perdersi del tutto. Anche perché il Re non si era mostrato molto disposto verso il nuovo alimento. Ora il fatto che o’ breante di Votorale li cercasse non aveva nessuna importanza e non rappresentava nessuna novità di rilievo.
Il discorso del Sindaco non era andato giù a Domenico che decise di andare fino in fondo e cercare di provare a mangiare qualche tartufo. Detto fatto,anche grazie alla disponibilità di Angelo dedicò molte delle sue domeniche alla ricerca del nuovo fungo e nelle discussioni serali davanti al fuoco incominciò a far interessare della cosa alcuni amici. Nel tempo i cercatori aumentarono di numero e i tartufi divennero oggetto di regali da portare a Napoli o ad Avellino per medici o avvocati o sacerdoti amici. Arrivò il giorno in cui Angelo finì il suo confino a Bagnoli e nell’accomiatarsi dai molti amici che si era creato provò un senso di tristezza diverso dalla rabbia che aveva in corpo all’arrivo. Era il dispiacere di lasciare tanta brava gente che lo aveva rispettato e che ogni giorno lo aveva fatto cenno di saluto al passaggio. Sapeva anche che non sarebbe mai più ritornato in quel paese , anche se vicino al suo, per tagliare definitivamente i ponti con un passato che voleva ad ogni costo dimenticare, ma non si rendeva conto di andare incontro ad un futuro pieno di amarezze e dispiaceri in una Volturara che non gli avrebbe mai perdonato il fatto di essere stato un brigante , come Cicco Ciancio o Pagliuchella, e che da lì a qualche anno sarebbe partito per l’America, per annullarsi nel dimenticatoio del tempo.

La Cantina

In tutti i paesi le Cantine sono sempre state nei secoli un punto di incontro dove viandanti e commercianti stanchi si fermavano per rifocillarsi e dissetarsi con del buon vino prima di rimettersi in viaggio. Pronti a scambiarsi quattro chiacchiere facevano conoscere gli eventi e gli avvenimenti dei paesi vicini rendendo i locali partecipi di situazioni politiche ed economiche interessanti ed oltremodo importanti. A Volturara ,paese lontano dalle grosse vie di comunicazione la Cantina era un luogo particolare,rionale,legata agli avvenimenti spiccioli della giornata,punto di ritrovo,forse unica valvola di sfogo per il popolino,per gli sfaticati, o per chi dopo una giornata trascorsa ad ammazzarsi di fatica in campagna voleva fare due chiacchiere bevendo senza freni o controlli. Ogni via aveva la sua cantina e ogni cantina serviva agli abitanti del rione stesso, quelle della Piazza invece erano per tutti e per i pochi forestieri che di passaggio volevano assaggiare un pezzo di baccalà in umido o un soffritto di carne ( la Piattella ) innaffiati da un vino che prometteva una provenienza pugliese e che scendeva a barili interi.
Una padrona di casa gentile ,ma risoluta ,indaffarata a gestire nel fumo e nelle bestemmie un miscuglio di odori e di caratteri che mettevano a dura prova ogni capacità di sopportazione. Partite a carte interminabili che finivano “a sotto e padrone” con qualcuno da mandare “all’urmo”,cioè a non farlo bere,che era una scusa per scolarsi svariate bottiglie di vino tutto d’un fiato. Personaggi che entravano sobri e ne uscivano a notte fonda completamente ubriachi,dopo aver scolato decine di litri di vino,
dimenticandosi di mogli e figli ,pronti poi ai primi albori dell’alba a rimettersi la zappa sulle spalle ed andare a lavorare come se niente fosse successo. Una mentalità , un modo di essere che veniva accettato anche in famiglia con rassegnazione o forse per evitare botte da orbi. Soppiantate dai Bar dal dopoguerra in poi sono andate diminuendo nel tempo fino alla. botta finale e decisiva del terremoto del 1980 che ha consegnato alla storia solo il ricordo della loro esistenza. Le nuove normative igienico-sanitarie hanno creato i ristoranti , ma ad un osservatore attento non sfugge la vista di persone che,appoggiate al bancone senza attardarsi a pranzare , passano intere ore a scambiarsi quattro chiacchiere tra un bicchiere di birra e l’altro.


Sotto e Padrone

Oggi non esiste più , ma fino al terremoto era il gioco ed il passatempo più praticato da tutti. Era un’istituzione a Volturara. Lo si giocava nella cantine, nei bar , spesso anche nelle case. Si riunivano in gruppi , ma solo in quattro giocavano. Gli altri venivano fatti “franchi”, cioè venivano liberati dal gioco con delle carte o dei “pali”( colori) stabiliti in precedenza e ritornavano in gioco alla fine solo per dividersi le bevande.
Dopo la partita ,a briscola o a tressette , la coppia che perdeva pagava una o più bottiglie di vino o di birra che venivano messe a disposizione di tutti, franchi compresi.
Iniziava il “sotto e padrone”.
Si distribuivano quattro carte coperte per ogni partecipante. Per diventare sotto padrone bisognava fare il punto più basso con carte uguali . Per diventare padrone il punto più alto. Il tutto in due giri. Nel primo giro si potevano richiedere carte nuove per migliorare il punteggio o restare con le stesse carte se si aveva già il punteggio buono ( per esempio la “primera”, cioè quattro carte di pali diversi o meglio ancora “fruscio”, cioè quattro carte dello stesso palo) e le si girava costringendo gli altri a girare le loro,chiudendo il gioco senza il secondo giro. A quel punto il giocatore con il punto più alto diventava padrone , mentre il sotto era sempre chi teneva con le quattro carte il punto più basso con carte dello stesso palo. Le figure ( otto,nove e dieci) contavano dieci punti, il due dodici,il tre tredici,il quattro quattordici, il cinque quindici,il sei diciotto,il sette ventuno. La quasi certezza di essere sottopadrone era di avere due figure dello stesso palo e le altre due carte di palo diverso( venti legìtimo). In caso di parità tra due o più concorrenti si procedeva a rifare il sotto con un altro giro , escluso il padrone che poteva restare tale. Per il padrone valeva il punto più alto con le stesse carte , in caso di più “primere” valeva quella con la somma della carte più alta. In caso di parità si annullava il tutto e si ricominciava daccapo a scegliere sotto e padrone.
Durante le svolgimento del gioco si intavolavano trattative per avere una bevuta (generalmente un bicchiere) con chi girando le carte era quasi sicuro di diventare padrone con una “primera” con punteggio basso ( magari di quattro figure di palo diverso).A questo punto iniziava il vero gioco. Si mettevano sul tavolo una o più bottiglie di vino o di birra ( quelle giocate in precedenza).
Il sotto padrone poteva fare degli inviti ai giocatori se il padrone era consenziente,o prendere per sé una quota parte della bevanda per poi cedere al padrone il prosieguo del gioco, oppure ( e non era l’ipotesi più peregrina) , doveva bere quanto più bevanda possibile tutto di un fiato senza staccare la bottiglia dalle labbra, altrimenti il gioco passava direttamente al padrone.
Era uno spettacolo unico osservare il sotto che si scolava un litro di vino tutto di un fiato e poi con le labbra chiuse si attaccava alla seconda bottiglia e così via.
La bevanda che restava, quando restava, era a disposizione del padrone che poteva o bersela da solo e con calma ma tutta,pena il pagamento dell’intera posta oppure poteva invitare qualcun altro del gioco , chiedendo il permesso al sotto.
Se invitava a “piacere a piacere “ , il sotto o lo concedeva all’invitato , oppure la porzione tornava al padrone.
Se l’invito era “ legitimo “ il sotto poteva togliere la bevanda all’invitato e prendersela per sé o darla ad un altro del tavolo in un gioco di combinazioni imprevedibili e multiple.
In un paese di grandi ubriaconi lascio immaginare quello che succedeva dopo ore ed ore di gioco e di bottiglie messe in palio. Non mancavano le risse per un passaggio del gioco non capito o non condiviso.

La leggenda di Gesio
Si narra che tanti secoli fa si nascondeva in una profonda caverna un feroce drago con tre grandi teste e un solo occhio al centro della fronte. Questa terribile creatura, era stata catturata e portata in catene dai barbari discesi dal Nord e messa a difesa di un enorme tesoro d’oro. Il drago sopravviveva mangiando quotidianamente animali ed uomini, per cui tutte le persone che vivevano nel vicino villaggio, ma anche nelle zone limitrofe vivevano in un clima di continuo terrore. Un giorno del mese di Maggio, arrivò a Voltorara un giovane forte e coraggioso con gli occhi azzurri di nome Gesio , armato di una lunga e pesante spada. Si inoltrò nella caverna e affrontò il drago che stava mangiando un bovino, lo accecò infilandogli la spada nell’occhio fino ad arrivare al cuore. Il drago sputò tutto il fuoco dalla bocca e gridò così tanto per il dolore che si udirono le grida al di là delle montagne. Alla fine si accasciò sulle zampe e sprofondò nelle viscere della terra. Come segno indelebile dell’accaduto, rimasero tre voragini con la forma delle teste del mostro, che ancora oggi è possibile osservare in questo luogo, che da quel tragico evento fu soprannominato “La Bocca del Dragone”. Il tesoro fu recuperato e il paese si impossessò di tutti gli oggetti preziosi conservati nella cassa. Il valoroso Gesio fu acclamato da tutta la popolazione per il coraggio dimostrato e per aver liberato il paese da quel mostruoso animale. I naturali volevano che restasse con loro ,ma Gesio così come era misteriosamente arrivato scomparve dal villaggio la sera stessa.

La sissantera ovvero i Vip

La sissantera ( la sessantina ) era la casta che contava in paese.
Far parte della sissantera era di pochi e ben scelti , in base al lignaggio ed al reddito. C’era chi vi faceva parte per eredità e chi vi entrava per meriti
Occorrevano meriti speciali, come la laurea , per poter essere ammessi ad essere considerato uno che contava nel paese , di fronte al quale il popolo doveva togliersi il cappello e chinare la testa in segno di ossequio e poteva partecipare alle decisioni che determinavano il futuro di tutti.
Trae sicuramente origine dalla lista politica degli elegibili creata dal 1806 ,
nel periodo francese, per determinare chi poteva votare o essere votato nel decorionato ( Consiglio comunale ) in base o al titolo di studio o al reddito ed era il traguardo massimo a cui si poteva aspirare nella vita. Era composta da circa sessanta persone e si rinnovava ogni anno con decisione del decorionato con entrate ed uscite , che provocavano ricorsi e rancori verso il gruppo di maggioranza che determinava in modo inappellabile le scelte. Si doveva aspettare il Sindaco successivo , con la speranza di essere riammesso nella lista che determinava privilegi e rispetto.
Nell’aneddotica comune è rimasto famoso l’episodio di un forestiero che arrivato a Volturara chiese al primo incontrato quante persone perbene vi fossero in paese. La sua risposta “ siamo una sessantina” determinò la dicitura sissantera e fece capire che chiunque poteva vantarsi di farne parte , fino a prova contraria.

Mezzecaozette ( mezzecalzette)

Classe sociale volturarese tra i Don e i fessa. Chiamati così per le calze che arrivavano a metà gamba, erano i referenti dei notabili e vivevano alla loro ombra.
Costituivano un cuscinetto sociale , ed il rispetto che richiedevano ai bracciali era inversamente proporzionale alla sudditanza che mostravano ai Don. Spesso accumulando proprietà in modo lecito od illecito mandavano i figli a scuola. La loro Laurea o il loro diploma o la tonaca del sacerdozio significava il salto di qualità nella classe soprastante per le generazioni future,entrando così a far parte della sissantera.


Le Cariatidi volturaresi

Una consuetudine che si è persa nel tempo era la continua ed inarrestabile processione giornaliera delle donne che con la secchia di rame in testa si partivano da casa per andare a prendere l’acqua alla fontana della piazza. Un andare e venire che non terminava mai , con una fila davanti la fontana che rappresentava il momento più importante delle giornata nel sapere le novità scambiandosi le proprie impressioni e le notizie che poi circolavano in paese. Chi era nato,chi era morto,che era malato,chi si era fidanzato . Notizie condite con impressioni e giudizi personali che diventavano vere e proprie sentenze.
Adolescenti che cercavano di guardare da lontano il proprio spasimante , aspettavano con ansia l’ordine , magari con velata complicità materna, di poter andare a prendere l’acqua , sapendo di aver dato l’appuntamento tramite l’amica del cuore.
Ragazze che con la secchia piena e pesante ancheggiavano nell’incedere austero suscitando lo sguardo interessato dei passanti che le seguivano con la coda dell’occhio fino a quando scomparivano dietro la curva di un vicolo.
Donne che dialogavano su piccoli e grandi problemi quotidiani di amiche o famiglia ,lanciando strali e consigli.
Vecchie che sembravano piegarsi sotto il peso del recipiente che doveva essere ,per orgoglio , sempre pieno fino all’orlo .
Era un rito che si ripeteva da millenni , e che oggi non esiste più.
Era una cerimonia preparata in ogni minimo particolare che assumeva una sacralità , che le faceva sembrare simili alle Cariatidi del Partenone . Per non compromettere un equilibrio precario che avrebbe prodotto la caduta dell’acqua dalla secchia i piedi dovevano strisciare sul terreno senza alzarsi nel cammino per impedire movimenti bruschi , le ginocchia e le cosce si muovevano in un unico movimento a leva , i glutei , gioco forza , dovevano ancheggiare ritmicamente, il tronco restava rigido e teso per compensare il movimento degli arti , la testa e lo sguardo rivolto in alto , con i soli occhi a muoversi per controllare il cammino e poter recepire ciò che le circondava, in testa sotto la secchia per attutire i contraccolpi del peso il curuoglio , un fazzoletto torto su se stesso e girato in cerchio per non avvertire dolore nel movimento. Guai a far cadere l’acqua ! la vergogna diventava pubblica di fronte a tanti spettatori interessati , e si rischiava di non potersi sposare per la nominata .

Il lavatoio pubblico al Carmine

Il lavatoio posto dove adesso è ubicata la Guardia Medica,servì fino agli anni settanta per le tante donne volturaresi che andavano a lavarvi i panni,non avendo nessuno l’acqua corrente in casa .Era un grosso stanzone di 20 metri di lunghezza,con un muro centrale alto un metro e mezzo dal quale uscivano ogni due metri dei rubinetti da una parte e dall’altra del muro. L’acqua , che arrivava dalle sorgenti dell’Acquamieroli cadeva in una vasca lunga tutto il muro da una parte e dall’altra, larga un metro ed alta un metro. Tutta l’acqua sporca andava a finire nel vallone vicino .
L’emigrazione e l’acqua corrente nelle case lo portò in disuso; resta il ricordo dei canti che le tante ragazze innalzavano in un coro che è stata la colonna sonora della nostra storia.

Le donne nei campi e gli uomini in piazza

Il fatto che a Montella,Bagnoli e Cassano le donne si occupano della casa e di lavori agricoli marginali,mentre a Nusco ,Montemarano e Volturara Irpina si sostituiscono o si accompagnano all’uomo nei più pesanti lavori di campagna ,potrebbe dare qualche probabilità alla supposizione che i paesi del primo gruppo derivino da tribù di pastori e agricoltori e quelli del secondo da tribù di cacciatori.( da” Montella di ieri e di oggi” 1958 di F. Palatucci).
In definitiva è innegabile che fino all’epoca della società dei consumi Volturara era celebre in Provincia per il fatto che le donne lavoravano e gli uomini se ne stavano tranquilli in piazza a chiacchierare.

Le 10 lire di Eric Meo Durenzi

Eric Meo è un architetto che vive in Belgio da tre generazioni. Avrà sotto i quaranta anni ed è un bel ragazzo, prestante ,con pochi capelli in testa.
Suo nonno “ ò spagnuolo “ fu il primo emigrante volturarese in Belgio , appena dopo la guerra .Veniva dalla “ Roccia ” e manteneva sempre negli occhi l’immagine di quel paese che aveva dovuto abbandonare “ perché non c’era da fare ”.
Miniera,edilizia e cultura ,tre generazioni con voglia di migliorarsi e capacità di farlo. Un ritorno in vacanza ogni anno a riprendere la voglia di combattere in terra straniera e a riempire i polmoni e la mente di quell’aria che i cromosomi desideravano più di ogni altra cosa al mondo.
Ogni estate per evitare che fosse l’ultimo anno e per essere sicuro di ritornare , la sera prima della partenza nascondeva una moneta di 10 lire nella terra intorno al tiglio in piazza. Era il pegno per essere sicuro di ritornare .E ogni anno , all’arrivo, smuoveva la terra in cerca della moneta che aveva nascosto e che ritrovava sempre .
Già per il fatto delle 10 lire , Eric merita un posto nella mia storia ,perché dimostra amore ed attaccamento alla sua terra, ma il motivo più importante per cui entra di diritto nell’Olimpo dei ricordi è una canzone scritta nel 1996 che ho avuto la commozione di ascoltare in una fresca sera di primavera dopo parecchi bicchieri di vino.
Un titolo emblematico “ Volturarese” , una melodia struggente che muove le corde del cuore ed una voglia matta di sentirla cantare, per una volta, da tutto il popolo in un coro che superi la valle e porti i nostri saluti a tutti “ li otralisi “ sparsi per il mondo.


Ils ont laissé les montagnes
les chataigniers , le soleil
et tant pis pour les campagnes
plus rien ne sera pareil
C’était tellement difficile
la guerre avait tout << mangé>>
on parlait d’un pays plus facile
mais fallait dev’enir étranger
Volturarese,volturarese
ma che parlam’ a fà
cà nun si può cancellà
quillo paese,quillo paese
ma chi si può scurdà
cà simmo tutti qua
Volturare
Les Trains étaient rempli d’hommes
qui voulaient bien essayer
un peu de pain e des pommes
qu’ les femmes avaient préparés
<< et s’ils me prennent à la mine
je reviendrai te chercher
tu verras , tes nouvelles voisines
elle t’appredront le francais>>
Volturarese,volturarese
ma che parlam’ a fà
cà nun si può cancellà
quillo paese,quillo paese
ma chi si può scurdà
cà simmo tutti qua
Volturarese
Meme si les années s’envolent
meme si les mines sont fermées
on a rempli les écoles
on a choisi de rester
-Le mots,les fetes et les danse
on ne les oubliera pas
nos enfants apprendront la cadence
aux creux des <<Nonna>>.
-Volturarese,volturarese
ma che parlam’ a fà
cà nun si può cancellà
quillo paese,quillo paese
ma chi si può scurdà
cà simmo tutti qua
Volturare

Natale 2003 Tristezza nella notte gioiosa di Natale di Angelo Feo , Avellaneda , Argentina.

Un senso di tristezza diffusa che sa di malinconia mi turba tutti gli anni in tempo natalizio. Invidio chi di noi emigrati può sorridere di pieno cuore nella notte santa. So bene che il Mistero rivissuto non ha stagioni e che Gesù nasce anche senza il muschio sul caminetto e la neve sui tetti, che si incarna anche sulle spiagge, fra i ricchi e poveri, negli ospedali e nei campi sportivi, fra chi piange e chi ride, dappertutto dove si trova un cuore che si apre alla speranza . Lo so bene che Gesù Bambino nasce in tutto il mondo e per tutti gli uomini di buona volontà. Però io ( noi) abbiamo imparato a sentire e ad amare la sua nascita in un contorno speciale per cui ci riesce difficile superare il mistero che lo circonda e ci circonda.
Adesso si è capito perché i nostri occhi sono assenti nella notte di Natale e perché il nostro sorriso sia soffuso di nostalgia. Il nostro cuore vuole scappare lontano oltre oceano, sorvolare montagne e colline e adagiarsi a volo d’angelo sui vecchi tetti carichi di neve e infilarsi tra i viottoli di prugni selvaggi e stecchiti di ghiaccio che ci videro giocare bambini . Entrare senza sbattere la porta nella casa dei nostri primi ricordi ed affetti e rimanere lì , come mezzo secolo fa , a godersi una felicità umile fatta di un presepio povero , di un paio di calzette nuove , e di noci ,mandorle, fichi secchi , arance,, di un pugno di castagne e degli immancabili tocchi di carbone che riempivano una calza di lana che pendeva dal camino sopra la grotta del bambino, quando Don Tullio , parroco della Pozzella ci faceva sentire la sua predica con voce forte , che nasceva dalla sua chiara vocazione di sacerdote . E ci convinceva e ci dava anche l’educazione a noi bambini. Questa educazione ci è servita per affrontare la vita , specialmente per noi emigrati nel mondo . Le campane mandavano richiami di gloria nel cielo di una notte avvolta di nebbia .Anche i rintocchi sembrano l’ombra di se stessi, assorbiti dall’oscurità , circondata di nebbia , e per le strade si ascoltano le voci augurali rimbalzare da ogni angolo , come se il paese si fosse trasformato in un abbraccio di pace davanti al presepio della Chiesa Madre di San Nicola.
Il sogno fra le fredde mura di casa , riscaldate dal tepore della famiglia unita. La notte magica continua attorno al piccolo presepio di casa nell’abbraccio delle mani callose di mia madre , mentre mio padre felicissimo al di la dei cieli , e Volturara orgogliosa di avere un figlio così,Angelo Feo. Qualcuno ha detto che me ne ero andato dal mio paese. Ma non è vero io sto sempre ritornando.
Caro Edmondo ti invio questa lettera che esprime tutti i sentimenti per il mio paese che non si può staccare dal cuore. Credo che a tutti noi emigranti succeda la stessa cosa. La nostalgia è forte . Più anni passano ,più si sente.

Epilogo

Come vedi ti ho raccontato sei secoli di Storia,condite di molte storielle che si sono tramandate da padre in figlio. Ognuna di loro ha un significato ed un insegnamento. Oggi che sta cambiando tutto potrebbero rappresentare il codice genetico del nostro popolo, potrebbero essere quei cromosomi di cui tanto hai parlato. Ogni molecola di Dna è un figlio disperso nel vento della memoria ed ogni avvenimento piccolo o grande che sia stato è un gene che nell’insieme costituiscono la catena della vita. Sarà difficile che Volturara diventi un paese come gli altri,non per incapacità , ma per voglia atavica di restare nascosti,chiusi per non essere rotti le scatole da un mondo che corre sempre , spesso in direzioni impossibili e se vi sarà una rivoluzione , Volturara cercherà di accettarla il più tardi possibile o magari mai.
I nostri avi , di fronte alla avanzata dei paesi vicini che arrivano fin nel Dragone, si mantennero le montagne dietro il paese nella sicura certezza di poter scappare e rifugiarsi in montagne inavvicinabili dagli altri , come hanno sempre fatto o in tempo di rivolte , vedi il 1799 o il 1861 , in tempo di guerra vedi il 1943 , o per sfuggire ai soldati che cercavano di arruolarli per portarli a morire in qualche guerra lontana e non sentita. Spesso la montagna è servita anche a sfuggire ad una quotidianità senza soddisfazioni , o magari ad una moglie “cachera”, come ce ne sono state e ce ne saranno ancora. Donne dure, egoiste, cattive, insopportabili che hanno messo le famiglie l’una contro le altre per un’eredità misera ed insignificante.
Partire la mattina appresso la coda di un asino , era avvicinarsi e vivere un mondo incontaminato , dove l’armonia e la musicalità regnavano sovrane , in un tripudio di colori e di acque cristalline . Fonti e ruscelli , dove bastava unire i palmi delle mani per assaporare un’acqua leggere e fredda che ti procurava un brivido di piacere per tutto il corpo.
Solitario per scelta, il volturarese ha sempre preferito il pensare al parlare, l’agire all’ozio, e come diceva Don Nunzio Pasquale nel 1916 , è stato sempre feroce,ma fedele.
Io ci aggiungo che la fedeltà derivava dalla coerenza di comportamento nella sua semplicità ed immediatezza , ed il chinare la testa era non sottomissione, ma difesa del proprio mondo fatto di sentimenti semplici e di una religiosità istintiva , che rifuggiva da aspetti esteriori avvicinandoli a Dio in modo diretto,magari senza nemmeno frequentare le tante messe dette nelle tante chiese del paese .E la ferocia era spesso determinata dalla violazione di quel mondo da una sopraffazione o da un torto , cui non sapevano rispondere in modo mediato. Ed erano allora guai,guai grossi.
Fino a pochi anni fa , e forse ancora oggi , esistevano volturaresi che mal si distinguevano dalle mucche che conducevano al Dragone . “Annimalucci” che non cambieranno mai. Sarà impossibile migliorarli , ma forse senza volerlo rappresentano il legame con quel mondo che si sta estinguendo e restano l’unica traccia visibile di come si viveva un tempo, perché sono custodi di una cultura di lavoro e di alimentazione tratta dalle innumerevoli erbe o prodotti della terra tramandatisi oralmente , senza fronzoli ma con una praticità difficile da imitare. Ed hanno una filosofia di vita che vede miracoli o apparizioni ad ogni fenomeno inspiegabile per la loro mente. Dopo il terremoto di 22 anni fa di spiriti e fantasmi non se parla più. Dicono che il Papa con una Messa segreta ha dato il giusto riposo a tutte le anime in pena, ma prima di allora si viveva quotidianamente con l’incubo di vedere da un momento all’altro apparire qualche fantasma che faceva drizzare i capelli in testa al malcapitato di turno.
L’apparizione storica più appariscente e conosciuta avveniva al Dragone. Un cavaliere tutto bianco , su un cavallo bianco pieno di campanelli appariva in tutte le notti di luna piena e girovagava nella piana fino alla prime luci dell’alba. Quando il tintinnio veniva avvertito , era un fuggi-fuggi scomposto,perché la leggenda diceva che chi lo avesse visto da vicino e o guardato in faccia avrebbe avuto persa la vita.. Spesso capitava che qualcuno “ veniva preso dallo spirito” , cioè preso da un fantasma che lo portava con se per giorni nelle montagne , per poi lasciarlo da qualche parte stordito e confuso.Nei miei ricordi l’ultima a subire questa disavventura fu Filomena di Pricitella , che fu ritrovata dopo alcuni giorni sul piano di Ammonte in stato confusionario. Non so che era successo, ma la verità che lei era un pò “ alla bonata ”, nel senso che era ritardata mentale , e che facilmente persasi in montagna abbia girovagato senza meta in preda alla paura. La gente ci credeva e forse qualche volta poteva anche essere vero. Quel timore però era una spinta ad avvicinarsi alla preghiera e alla fede. I giovani di oggi ci ridono su e , presi da un pragmatismo esasperato , si allontanano da quei valori religiosi che per millenni hanno mantenuto la società. Senza fede,figlio mio, non c’è futuro e chi crede di essere al centro dell’Universo con il suo egoismo e il soddisfacimento delle sue aspettative personali , non capisce che si distrugge da solo,perché nei valori cristiani c’è la storia del mondo, il rispetto, il timore, la paura, la gioia . Sentimenti , senza i quali , l’egoismo prende il sopravvento , e con l’egoismo la grettezza, la superbia che saranno la rovina del mondo. Noi rispettavamo i nostri genitori, i nostri maestri, i nostri padroni ritagliandoci uno spazio piccolo , povero, ma sicuro. Invece lo strafare senza regole , che a prima vista sembra positivo , a lungo andare penalizza tutti e rovina la mentalità, dove il tutti furbi , diventa tutti fessi e dove la prepotenza ha il sopravvento sulla riservatezza, sull’educazione e sul rispetto delle regole sociali in un meccanismo perverso di auto distruzione.
Ma non voglio tediarti , proprio alla fine con messaggi negativi. Voglio solo aggiungere che non so quello che vi riserverà la vita in futuro, ma dopo averne sentite tante, spero che tu capisca che il mondo ha visto tutto. Ogni generazione ha paura di quello che può succedere , ma il mio pensiero è che il mondo non cambierà mai e che l’uomo ha la grande capacità di adattarsi a tutto , di capire ciò che è da venire e che prima o poi troverà la soluzione ai problemi piccoli o grandi che si porranno sul suo cammino.

















































2005