Viva a Chi comanda di Edmondo Marra IV Volume
 
Viva a chi comanda IV Volume
EDMONDO MARRA







Benvenuti
nella
Terra della Voltorara



Volume IV
Viva a chi comanda !





































il disegno degli anni 70 è di Elena




















a mia madre


























































23 dicembre 1860 soldati sbandati



<< La partita se la stanno giocando tra di loro, ma appena la situazione sarà più chiara se la prenderanno con noi >> .
Ferdinando Candela tira giù la carta battendola sul tavolo in un gesto istintivo di rabbia e determinazione. Guarda negli occhi i compagni fermando il gioco con una mano e chiede attenzione.
<< Ascoltatemi ! dopo penserete a giocare a briscola. Noi siamo qui a perdere tempo, mentre i capoccioni sul Comune stanno stabilendo come si devono comportare. La circolare che è arrivata tre giorni fa parla in modo esplicito. Tutti coloro che non fanno parte della guardia nazionale o che sono tornati come noi al paese dopo lo scioglimento dell’esercito borbonico saranno richiamati alle armi . Questo significa che andremo a morire o in guerra o in qualche ospedale .
Con il Plebiscito di due mesi fa siamo diventati italiani e stavolta non è come le altre volte. Stavolta credo che non si torna più indietro. Però anche se non capisco molto di politica ,è facile intuire che Franceschiello per tornare sul trono di Napoli muoverà i suoi amici e parenti in Europa ed il Papa a Roma come si dice in giro. Questo significa che l’Italia per difendersi ha bisogno di molti soldati da mandare al macello e li prenderà proprio qui da noi . Se non decidiamo alla svelta , ci troveremo a marciare con un fucile puntato nella schiena >> .
Pietro De Feo gli mette la mano sulla spalla :
<< Pagliuchè,non ti crucciare, giochiamoci questa bottiglia di vino a “sotto e padrone”, poi penseremo al da farsi. Oggi è domenica e tra poco è Natale . Questi non faranno niente , penseranno solo a mangiare . Se ne parla a anno nuovo >> .
<< Caro Pietrillo , ti sbagli , e questo sbaglio rischiamo di pagarlo caro. Giochiamo pure , ma se non decidiamo cosa fare alla svelta , faremo la fine del carbonaro senza carbone .Io sono dell’opinione che bisogna nascondersi, scappare sulle montagne ed attendere gli eventi. Se tornano i Borbone siamo a piedi e a cavallo , in caso contrario voglio morire libero piuttosto che povero e braccato >>.
Elia Petito interviene nella discussione e trattenendo a stento un moto di stizza riprende i due interlocutori
<< Ma come! Ero venuto a passare questa domenica per dimenticare i miei guai e voi me la rovinate con le vostre ciarle di uccelli del malaugurio. Sappiamo benissimo che il nostro futuro è nero. Ma almeno oggi lasciatemelo godere in santa pace. Anzi sapete che vi dico ! mi avete rotto le scatole. Me ne vado >>.
Chiama Nicola Montefusco e Vincenzo Pisacreta e li invita ad andarsene con lui. Il tono della voce aveva creato un silenzio irreale e tutti gli avventori della cantina osservano da alcuni minuti l’animata discussione . Una malcelata paura s’impadronisce degli astanti . Sanno che quelli sono i peggiori del Freddano e che quando si arrabbiano sono capaci di tutto, e sanno anche che in caso di rissa le guardie nazionali hanno l’ordine di sparare per evitare disordini che possano turbare l’ordine pubblico, soprattutto oggi che è Domenica ed il gioco a carte è proibito. Nessuno vuole avere a che fare con la legge ,che quando ti prende non ti lascia più andare , e che ti criminalizza anche per un parente arrestato in passato . E tutti tirano un sospiro di sollievo solo quando vedono il gruppo uscire seguendo il loro compagno .
Alessandro Picone se li trova davanti mentre sta rincasando dal posto di guardia ,dove aveva svolto il suo turno di nazionale . Non ha molta voglia di parlare , anche perché Pagliuchella gli è sostanzialmente antipatico , e si limita a salutare il gruppo , che dimentico dal nervosismo di prima , si diverte a tirarsi palle di neve e a buttarsi nel manto bianco con la schiena e le gambe divaricate per poi controllare chi ha lasciato il “ ritratto ” più nitido. Il loro modo di fare ad Alessandro non va proprio giù ed aveva detto mille volte al fratello Luigi di non frequentarli più perché l’intuito gli diceva che avrebbero fatto una brutta fine, violenti e ladri come erano.
Ed in effetti se potesse sentire quello che si stanno dicendo , non avrebbe di certo gioito.
<< Pagliuchè!, sono stanco di tornare a zappare la terra in attesa che i marpioni della piazza decidano di richiamarmi alle armi . Ci sono tanti fessi in giro pieni di soldi,soprattutto nei paesi vicini ed in campagna. Se ce li prendiamo noi ,potremo nasconderli da qualche parte , e fare poi la bella vita. Tanto in questa confusione chi vuoi che si accorga di noi >>.
Le parole di Pietro De Feo spezzano l’aria festosa che regnava nel gruppo e la risposta di Alessandro Candela non tarda ad arrivare.
<< Bravo Pietro ,hai avuto il coraggio di dire quello che ognuno di noi pensa da tempo. Sono sicuro che tutti siete d’accordo come me. Da questo momento individuiamo i pollastri da spennare e passiamo all’azione. Noi cinque bastiamo . Se vuole, può aggiungersi Luigi Picone,fratello permettendo ,e , se me lo consentite, voglio scegliere a capo Giuseppe Nardiello. Mi ha chiesto varie volte di aiutarlo nei suoi lavoretti , e gli ho sempre risposto di no . Ma stavolta è diverso . Non abbiamo scelta . Se riusciamo a mettere qualcosa da parte , soldi e roba da mangiare, abbiamo la possibilità di sopravvivere quando saremo costretti a fuggire sulle montagne, in caso di richiamo alla guerra >> .
Allunga la mano in attesa di consenso e ben presto tutti gli altri poggiano la loro mano sulla sua in segno di solidarietà e giuramento. Si guardano negli occhi con un misto di paura e rabbia .Sanno di imboccare una via pericolosa e forse senza ritorno, ma la fame è così forte che stare ad aspettare un destino infame e senza speranze è come un morire senza dignità.


































24 dicembre . Don Leonardo Masucci

Don Leonardo Masucci,come al solito, si affaccia al balcone in piazza ad osservare il passeggio di prima sera, in attesa della cena . I suoi pensieri si perdono ad inseguire ricordi per cercare una soluzione agli ultimi avvenimenti . Ieri era il Capourbano,oggi è il Capitano comandante della guardia nazionale italiana di Volturara e tra poco sarà eletto consigliere provinciale come gli è stato assicurato da Don Nicola De Luca , il Governatore. Troppi cambiamenti in troppo poco tempo e l’incertezza del futuro non può non creargli uno stato d’animo di preoccupazione e di tensione. Sa di essere l’uomo più potente del paese,ma sa anche che è tenuto sotto controllo sia da quelli di Avellino che non si fidano troppo dei suoi trascorsi come Sindaco sotto il governo borbonico , sia anche dai tanti suoi compaesani che non accettano il nuovo ordine delle cose e che mal vedono la sua adesione totale alla nuova unità nazionale .E anche chi , come lui , ha aderito al nuovo Stato mal vede e sopporta la sua presenza ed il suo peso politico amministrativo e la sua alleanza con Gennaro Vecchi, Sindaco sotto i Borbone e Sindaco con l’Italia liberale. E pensa a Salvatore Sarno , suo avversario di sempre , che aspetta una mossa sbagliata per toglierselo di torno. Lo accusano di trasformismo e non capiscono che in certi momenti non contano le proprie idee, ma la consapevolezza di saper leggere il futuro ed assumere gli atteggiamenti che ti possono proteggere di fronte a nuovi corsi , senza essere accantonato. La sua famiglia ne ha viste troppe negli ultimi cinquanta anni e sa che i cambiamenti di governo distruggono gli uomini e le loro idee se mal interpretati e sa anche che non può permettersi sbagli , per sé stesso e per i suoi figli che devono migliorarsi nella cultura e mantenersi le poche amicizie avellinesi che hanno , senza essere accantonati come montanari reazionari .
Il profumino che gli arriva dall’interno e la voce della moglie Teresa che lo chiama a tavola lo spingono a rientrare per gustare uno dei pochi piaceri a cui non sa rinunciare. La cena della vigilia è sempre uno dei momenti più importanti dell’anno,quando in attesa di andare alla messa di mezzanotte , ci si siede tutti a tavola vicino al caminetto per stare un poco con i figli tornati da Napoli per le vacanze scolastiche. Si avvicina al grande tavolo imbandito e prima di sedersi invita tutti all’impiedi . Nel silenzio totale si fa il segno della croce imitato dai presenti e recita il pater noster con voce profonda e ferma ,meravigliandosi lui stesso della solennità delle sue parole. E’ una serata particolare di un periodo particolare. Tutto sembra acquisire un’importanza strana e surreale. Cerca di distogliersi da quei pensieri pesanti e chiede alla moglie che ha preparato di buono. Donna Teresa Mazza gli chiede di aspettare ancora e se ne va in cucina con le quattro figlie. Dopo poco ritornano in fila indiana , portando ognuna una pietanza. C’è la scarola imbottita di pane grattugiato, c’è il baccalà con pepacchie in bianco, e per l’occorrenza anche una pizza di pane di granturco , regalata dalla moglie di Giovanni Lomazzo , suo guardiano , da inzuppare nell’insalata di fagioli , profumati con origano . Poi arrivano le castagne infornate, le noci della masseria di Cruci insieme al pane dolce, ed il vino della loro tenuta del Saracino a Castelvetere. La serata scorre veloce tra le novità napoletane che i tre figli gli raccontano e le sue raccomandazioni a stare attenti a parlare con gli altri per evitare cattive sorprese. Non si stanca di dire che il mondo è pieno di invidia e che molti , spacciandosi per amici , riescono a cavare di bocca cose intime e delicate , che poi riferiscono ad altri per creare zizzanie, che i Masucci non possono avere sentimenti, dato il ruolo che la Storia ha loro dato nel paese, e che per essere capi non devono parlare più di tanto con gli altri , ma solo dare ordini e tenersi le preoccupazioni nel cuore senza darle da vedere , nemmeno alle fidanzate. Annibale ascolta interessato, mentre Achille e il sedicenne Mario fanno finta di non essere troppo attratti dai consigli,preferendo dialogare con le sorelle che non vedono da parecchio tempo. Verso le dieci arriva Don Gennaro Vecchi , il Sindaco con la moglie Beatrice Bastano e i quattro figli Giovanni di 7, Andrea di 5 , Antonio di 3 anni ed Elena Margherita di 6. E Mentre gli uomini vanno a discutere del più e del meno vicino al camino dove arde il grande ceppo come per tradizione , le donne si preparano ad uscire per andare alla messa di mezzanotte. L’orologio del campanile batte le 23 , e come in un presepe da ogni casa escono a gruppi soprattutto donne e bambini, e si avviano in lenta processione verso la Chiesa di San Sebastiano di fronte alla Chiesa Madre , ormai chiusa da quattro anni , per ascoltare la Santa Messa della notte di Natale , occasione da non perdere per nessun motivo. A Mezzanotte mentre l’arciprete Don Alfonso Maria Pennetti ed il parroco Don Angelo Marino, seguiti da uno stormo di sacerdoti , portano in trionfo la statua del bambino Gesù per la chiesa tra i canti del popolo, in piazza e per il paese decine e decine di persone sparano colpi di fucili in aria , incuranti della neve che continua a cadere dolcemente , ma in modo sempre più fitto. Molte le guardie nazionali di servizio davanti al palazzo Masucci a controllare che la situazione non degeneri. Sono tranquilli, sanno che stanotte non succederà nulla,perché è dedicata alla Sacra Famiglia, simbolo della sofferenza di tutti.

Un cielo terso e celeste,senza nuvole, appare a chi di prima mattina si alza per ritornare in Chiesa ad ascoltare la Messa cantata . Il freddo è intenso , ma mano a mano che passano le ore la piazza si riempie di gente. Le campane suonano a festa. I Caffè e le cantine sono piene di parole di auguri e di brindisi . Sembra scomparsa l’atmosfera cupa e preoccupata dei giorni precedenti. Nessuno parla di politica o di Garibaldi. Natale sa fare anche questo e tutti aspettano di tornare a casa , poveri e ricchi , perché oggi si mangia bene. In quasi tutte le case ci sarà la pasta al sugo ed il pollo ripieno, come solo le nostre mamme sanno cucinare. Deve essere una giornata normale , da non guastare con sciocchezze. Domani torneranno i problemi e le scelte di campo, ma per oggi non deve succedere nulla!












16 Gennaio 1861 Ferdinando Raimo si da alla macchia

<< Scappa, Nannì,scappa ! arrivano le Guardie >> .
Ansimante Carmela , la sorella , grida sottovoce , mentre Ferdinando Raimo si butta giù dal letto e arraffa i vestiti sparsi alla rinfusa sulla cassapanca.
<< Madonna mia,ma che gli ho fatto,perché non mi lasciano in pace ? alla guerra con ci voglio ritornare. Non voglio morire per loro >> .
Parla da solo per cercare di capire , ma è già sulle scale scalzo e mezzo nudo. Il freddo del Gennaio volturarese lo colpisce come un frustata , ma la paura è tanta che non se ne accorge per niente. Le due guardie nazionali che salgono per il Campanaro da lontano gli intimano l’alto là senza sparare. In fondo hanno solo l’ordine di portarlo al Posto di Guardia a firmare il foglio di partenza per il richiamo alle armi. Non è la prima volta in quei giorni che vedono la stessa scena. Quasi tutti i giovani,tornati sbandati a casa dal disciolto esercito borbonico, richiamati alle armi non hanno la benché minima voglia di tornare a combattere arruolati in un esercito straniero e per giunta contro i loro stessi compagni asserragliati a Gaeta con il Re Francesco
II a difendere l’ormai ex Regno delle Due Sicilie. Correre appresso a quel giovane smilzo e veloce come una lepre è un’impresa impossibile ed i due gendarmi desistono quasi subito dall’inseguirlo. Ritornano in Piazza per avviare una procedura ormai collaudata. Il capitano della II compagnia Don Vincenzo Luciani li aspetta con l’aria di chi già si immagina tutto. Li fa entrare a stendere il rapporto, mentre lui resta davanti alla porta ad osservare soprappensiero l’andirivieni della gente. La fitta nebbia che arriva all’improvviso rende la piazza spettrale con ombre che si muovono negli impegni di prima mattina. L’orologio di fronte suona otto colpi gravi e due acuti ed Don Vincenzo intuisce l’ora contando mentalmente ogni colpo. Un freddo umido,tipico delle mattine volturaresi,penetra nelle ossa ed ingobbisce chi avanza dandogli la sensazione di avere un po’ di caldo. Dalla Pozzella tre persone nei loro mantelli a ventaglio lo fanno irrigidire rendendolo nervoso . Li osserva mentre gli passano davanti salutandolo con rispetto e sicuramente con timore. Risponde al saluto con distacco,quasi seccato e torna a guardare lontano nella nebbia verso il Freddano. Poi con gli occhi ritorna su di loro mentre varcano la soglia del Comune a destra del Campanile . E’ un vecchio edificio ad un piano nascosto da due tigli secolari,dei quali uno vuoto all’interno e tanto grande da servire come riparo spesso sia agli ubriachi , che sono tanti , sia a qualche giovane scappato di casa che non sa dove andare a dormire. Davanti ai tigli una grande fontana in pietra,costruita undici anni prima , alla quale si rifornisce la popolazione con enormi recipienti che le donne portano in testa.
<< Idioti!,pensa ad alta voce. Appena si saranno aggiustate le cose la pagheranno , ed in malo modo! Tre imbecilli ,cui il vecchio sistema borbonico stava bene. Hanno prosperato come hanno voluto sul Comune, cascettoni e furbi ! >>.
Dal Campanaro scende Don Salvatore Sarno,che si avvicina alla fontana pubblica posta davanti al Comune e beve soddisfatto . Poi aiuta una donna a mettersi in testa il secchio pieno d’acqua e, vedendo Don Vincenzo Luciani , si avvia al Posto di Guardia per scambiare con lui due chiacchiere.
L’incontro è cordiale come sempre , d’altronde sono in sintonia per idee e propositi. Don Salvatore vede nel giovane avvocato carattere,intelligenza e determinazione ed anche un pizzico di cattiveria che denota personalità.
<< Ciao Vincenzo , come sta Don Giuseppe , tuo padre ? >>
<< così,così. Non esce più di casa , perché ha troppo affanno e si stanca facilmente>>.
<< Peccato!, uno come tuo padre ci voleva in questi frangenti difficili. Avrebbe fatto rigare diritto chiunque avesse voluto creare turbative. Oggi è diventata una babilonia . Non si capisce più niente ! Quello che mi fa rabbia è che ci abbiamo messo quaranta anni per arrivare a questo momento e , come al solito, quando tutto sembra andare per il verso giusto abbiamo la capacità di distruggere il filato per il solo gusto di farlo. Quante sofferenze. Quante paure e quante mortificazioni a servire un Governo che abbiamo sempre odiato. Dispotico e ingiusto. Però ricordati che non dobbiamo avere paura di nessuno. Dobbiamo perseverare nelle nostre idee e distruggere chiunque vuole il ritorno del vecchio ordine di cose ormai superato. Don Gennaro Vecchi e i suoi amici Masucci mi sembrano troppo morbidi , a volte paurosi e tolleranti . Invece bisogna usare il pugno di ferro. Non si deve più tornare indietro . L ’ Italia è un’occasione unica e ci porterà tanti benefici. Al Nord sono ricchi e più avanti di noi , potremo finalmente progredire e far scomparire questa ignoranza che è la madre di tutti i nostri problemi .
<< Don Salvatore voi parlate troppo bene , ma parlate agli asini. Questi devono capire che siamo noi a comandare e che,vogliano o non vogliano , devono seguirci. Il prossimo Sindaco dovete essere voi , perché avete già dimostrato di saperlo fare in tempi bui,e se permettete, io come legale posso darvi una mano,perché conosco le leggi e so anche essere duro con questi ignoranti cafoni. Proprio adesso sono saliti sul Comune Vincenzo Pennetti,il segretario comunale e quei due lecchini di Mariano Santoro e Ferdinando De Cristofano. Non solo non hanno firmato al Plebiscito dello scorso Ottobre , ma stanno remando contro di noi e non facciamo niente per cacciarli a pedate nel sedere dal Comune.
<< caro Vincenzo,se tutto va bene ed in autunno vinceremo le elezioni sarai il mio segretario comunale al posto di quel Pennetti che non capisce proprio niente e che non porta mai un bilancio o un resoconto in Consiglio Comunale. Piuttosto dobbiamo guardarci dai tre fratelli Masucci. Sto già preparando un piano per toglierceli di torno, su al Comune. Ho parlato con Don Serafino Soldi ad Avellino e mi ha promesso che nel Consiglio Provinciale che hanno creato ci metteranno il notaio , Leonardo ; agli altri ci penseremo con calma. Gennaro Vecchi lo fermeranno loro stessi . Senza i Masucci non è nessuno . Se poi pensa che lo aiuteranno i suoi amici preti , si sbaglia di grosso , perché stanno tutti sotto tiro e lo stesso parroco Don Angelo Marino rischia grosso ad appoggiare i Borbone ! >>.
Le parole di Don Salvatore lo rincuorano , ma il sorriso che fa capolino sul suo volto diventa una maschera dura , quando viene chiamato all’interno del posto di guardia dal sergente Giuseppe Di Meo per firmare il verbale della fuga di Ferdinando Raimo. Saluta con garbo e riverenza il suo interlocutore e rientra.
<< Questo è il terzo caso di diserzione,tuona rivolto alle guardie, e deve essere l’ultimo! Non tollereremo d’ora in poi la benché minima insubordinazione . La legge parla chiaro .Chi non vuole accettare il richiamo nell’esercito italiano deve essere considerato un disertore e se non si costituisce deve essere abbattuto. Chiamate le guardie di servizio .Organizzeremo una battuta a largo raggio fino alla Faieta .Dobbiamo ritrovarlo vivo o morto per dare una dimostrazione di forza e di concretezza.
La guardie si danno subito da fare e nello spazio di mezz’ora in mezzo alla Piazza,tra curiosità e timore di tutti, sono schierati tre plotoni di guardie nazionali in assetto di guerra >> .
Qualcuno si chiede il motivo di tutto quel movimento. Altri si fanno il segno di croce capendo che qualcosa di grave sta accadendo. Il parlottio continua e si incomincia a vociferare che stanno cercando un ragazzo del Campanaro che non vuole partire per il fronte , a Gaeta. Un silenzio innaturale scandito dagli ordini degli ufficiali cala sulla Piazza . I plotoni si dividono . Il primo si dirige al Campanaro destinazione Acquamieroli , passando per la Serra . Il secondo si dirige al Cotrazzulo attraversando il Freddano ed il Dragone . Il terzo sale per il Candraone e passando per il vecchio mulino si avvia “ a monte ”. Una manovra di accerchiamento destinata ad un sicuro successo.
Erano anni che non si vedeva una cosa del genere . Qualche vecchio rivà con la memoria ad inizio secolo , quando arrivarono i Francesi e in tanti scapparono sulle montagne,diventando “ breanti ”, che per sopravvivere rubavano e rapivano i signori . Si ricordano i nomi di Aniello Rinaldi,ucciso in un famoso rastrellamento il 10 ottobre 1809 , di Luigi Solito , cui gli urbani mozzarono il capo ai piedi della Costa nel Luglio del 1814 solo perché non aveva voluto arruolarsi con i Francesi ; di Giosué Raimo dei Trigna , il bisnonno di Don Mariniello, che poi , reintegrato , divenne decorione , di Giosuè Buonopane e di tanti altri di cui si sono persi persino i nomi. Ricordano i rapiti tra i quali Giovanni,il fratello di Don Bernardo Marra, e tanti viatecali presi e rilasciati in poco tempo , dietro pagamento di riscatto.
<< Quando cambia Governo succede sempre la stessa cosa . I furbi vincono ed i fessi vanno al massacro . C’è gente che ha il fiuto e non sbaglia mai da che parte schierarsi . Altri per seguire le loro idee restano fuori e ne prendono di santa ragione. Stavolta succederà la stessa cosa >> .
<< Ne vedremo delle belle >> , dice uno avviando la discussione dopo la partenza delle Guardie .
<< Stavolta la situazione la vedo abbastanza grave . I Borbone non rinunceranno mai al Regno . Ritorneranno come sempre e più avvelenati di prima. Non dimenticatevi del 1799 , del 1820 e del 1848 quando la repressione che instaurarono durò anni ed anni e ne fecero le spese tutti coloro che avevano osato ribellarsi . Lo stesso Don Nunzio Pasquale , il farmacista , è stato sorvegliato dalla polizia fino all’anno scorso per essere stato liberale nel 48 , quando era Sindaco . E Don Domenico Benevento , l’avvocato morto otto anni fa, se vi ricordate , non riuscì mai a diventare notaio per le sue idee liberali . Fu controllato in tutti i suoi movimenti per venti anni esatti fino al 1840 . Voleva fare il Sindaco , e lo meritava pure , ma non vi riuscì mai . Dovette accontentarsi di mettere il cugino Don Carmine Benevento , il dottore, a capo del paese e solo dopo molte e molte sofferenze. Mi raccontava mio padre che nel 1834 , allora avevo appena cinque anni , Don Carmine stava già per diventare Sindaco . Era nella Terna dei candidati , ma un ricorso anonimo che lo accusava dei trascorsi carbonari lo bruciò senza pietà e dovette aspettare il 1840 per coronare il suo sogno. Fu, mi ricordo,un buon periodo per Volturara , con qualche accenno di miglioramento sociale e meno intrallazzi del solito>>. Questo discorso fatto da Don Gerardo Pennetti, l’avvocato, è seguito con attenzione tanto è che l’interlocutore vedendo che lo ascoltano continua a raccontare del passato in un clima di religioso silenzio
<< Uomini valorosi e degni,che hanno dato la vita per questo merda di paese,in cui nessuno parla mai bene dell’altro e dove tutti pensano solo ai tornaconti personali. Paese dove chi fa bene è maltrattato , e chi è fetente e maligno viene rispettato ed ossequiato. Dove la Cultura del ricordo è sostituita dall’esaltazione del potere contingente e la Memoria , fonte di sapere e scuola di vita con gli esempi passati,viene sotterrata nel dimenticatoio dei cazzi propri >> . Man mano che parla si infervora e scava nei meandri della mente per tirarne fuori i ricordi. Sembra quasi un comizio popolare con una ventina di persone che ascoltano interessate. Si guarda attorno per leggere negli occhi e quando si avvede della presenza di un paio di fedelissimi del Sindaco, che facendo finta di guardare altrove con le orecchie tese non perdono una virgola del discorso , si rincuora . Sa che tra mezz’ora al massimo chi deve sapere saprà , ma non ha paura delle conseguenze. Ormai ha deciso di lasciare il paese per Ariano,e vuole squalificarli tutti pubblicamente.
<< Ce ne sono stati tanti che hanno cercato di fare qualcosa , ma sono sempre tutti stati ammosciati , e di brutto. Ce ne sono stati tanti altri che hanno pensato solo a sé stessi, e si sono trovati sempre bene. La politica ha arricchito molti , ma molte famiglie si sono distrutte a causa delle idee professate. Non voglio andare indietro di molto,ma per quanto mi raccontava mio padre,che ha fatto il medico per quaranta anni , i Rinaldi , di cui è rimasto solo Giovanni che fa il calzolaio , settanta , ottanta anni fa erano importanti e rispettati , amministratori e preti che per seguire i Borboni contro i Francesi , formarono una banda con Nicola e Aniello che si unì a quella di Laurenziello di Santo Stefano diventando i briganti più temibili della zona. Fecero una brutta fine a da allora non si sono più ripresi . I Bottigliero , il cui nonno Don Giacomo fu Sindaco nel 1813 e 1814, e segretario comunale per molti anni , oggi vivono di stenti e sono destinati a scomparire . I Benevento ed i Picone si stanno avviando a fare la stessa fine ,e pagano gli uni di essere stati liberali , gli altri di essere filoborbonici in tempi sbagliati . I primi hanno avuto Sindaci , avvocati , medici e arcipreti . Oggi è rimasto solo Don Giacobbe , il farmacista e Don Gioacchino , il medico. Ma da quando sono morti Don Cosmo il prete, Don Carmine,e Don Domenico la loro stella sta calando di fronte ai nuovi padroni. La stessa fine la sta facendo la mia famiglia. Non vi racconto la sua storia che è grande e luminosa , ma per essere fedeli alla nostra Patria , rischiamo di essere annullati dai fautori del cosiddetto nuovo ordine >> .
Detto questo si allontana lasciando gli astanti pensierosi e perplessi.
Ormai un freddo sole fa capolino tra la nebbia e nell’aspettare gli sviluppi della spedizione i soliti perditempo continuano a chiacchierare e a ricordare il passato. Si parte da Don Nicola Marino,nonno di Don Alfonso , il dottore.
Era il 1827 quando fu ucciso sulla Maroia dai briganti disertori . Chi non lo ricorda ! Era il Capourbano,il responsabile dell’ordine pubblico di Voltorara, e pagò con una schioppettata il troppo rigore messo nel suo lavoro.
<< Era terribile quell’uomo , racconta uno . Lo ricordo ancora oggi ! un paio di mustacchi e sugli occhi cervoni ,sopracciglia sempre inarcate. Insieme a suo cognato Don Giuseppe Luciano , il Sindaco , erano i padroni di Voltorara in quel periodo. Un clima di guerra e di paura dopo il 1821 . La repressione dei Borbone fu dura e lunga. Gente come Don Luigi Di Meo il dottore , Don Ciriaco Marrandino il farmacista , Domenico Pedicino,ed il sacerdote Don Antonio Candela furono perseguitati e maltrattati con durezza. Molti furono licenziati dal lavoro come Don Cosmo Benevento che era maestro nelle scuole primarie . Altri come Domenico Pedicino andarono in esilio ,altri ancora restarono per anni sotto controllo asfissiante . Furono criminalizzati i migliori di Voltorara con un passo indietro nel progresso delle idee in un paese già arretrato . Fu la fine della cultura e l’inizio della furbizia. Prevalse la forza sull’intelligenza, e i Don Giuseppe Luciano ed i Don Nicola Marino ne furono gli esponenti più rappresentativi .Duri,troppo spesso cattivi . O stavi con loro o contro di loro, ed erano guai , guai grossi. Dopo l’omicidio di Don Nicola divenne Capourbano il figlio Don Mattia , prima di diventare notaio. Era più cattivo del padre ed un fatto che è diventato leggenda fu quando scatenò una guerra contro i briganti rei della morte del padre. Gli anziani ricordano ancora oggi che fumò nella pipa i capelli di un brigante ammazzato , per la rabbia ed il rancore. Se questi sono tempi tristi,quelli erano proprio bui >> .
Nella discussione interviene Don Achille De Cristofano,il farmacista
<< Non crediate che i mesi a venire saranno tanto calmi. Sto notando un diffuso malessere e continui borbottii sottovoce. La maggior parte delle persone non vuole accettare l’annessione al Piemonte. Si parla di nuove tasse, sempre più salate. Sembra il 1848 quando nel giro di vite il Re Bomba Ferdinando II si inventò il Prestito Nazionale e furono tassati tutti dai preti alle Congreghe , dai possidenti ai Comuni. Prendete i due fratelli avvocati Don Mattia e Don Alfonso Marra , per esempio . Il padre Angelo martirizzato dal passato Governo fu costretto all’esilio a Tripoli . Loro si sono gettati sulle barricate borboniche e combattono il nuovo corso con tutte le loro forze. Uniti ai Marino , ai Pennetti,ai De Feo , ai De Cristofano e a Mariano Santoro manderanno i loro amici , e sono tanti , a convincere il popolo che alla fine è meglio essere servo in casa , che schiavo degli stranieri. I Masucci hanno subito cavalcato il cavallo del cambiamento ed il loro amico Gennaro Vecchi è rimasto in sella come Sindaco anche coi piemontesi e non ha nessuna intenzione di farsi da parte. I Sarno e i Luciani stanno preparando il terreno per prendere in mano il Comune . Ditemi voi se la situazione non è esplosiva ! >>.
<< L’unico vero liberale convinto , gli fa eco Ferdinando Sarno, è Don Nunzio Pasquale , il farmacista , ma è troppo buono di cuore per avere qualche possibilità di rientrare nel gioco. Poi con tutti i guai che ha passato dal 50 in poi , non penso proprio che abbia la forza di rimettersi in mezzo alla politica che gli ha rovinato salute e proprietà .
Lo hanno controllato per dieci anni senza pietà per le sue idee libertarie e ha dovuto subire onte e mortificazioni. Oggi doveva essere il suo momento , ma Volturara come al solito premia i furbi e i marpioni , non certamente le brave persone. Suo figlio Vincenzo è troppo giovane e deve pensare a laurearsi per continuare il lavoro paterno >> .
Il movimento di guardie nazionali che salgono e scendono dal Comune e vanno nelle case vicine fanno capire a tutti che i caporioni si stanno muovendo . Infatti dopo poco quasi alla spicciolata dai rispettivi portoni escono i fratelli Don Leonardo , Don Alessandro e Don Michele Masucci con aria seria ed a loro si uniscono Don Gennaro Vecchi , il Sindaco con suo fratello Don Achille , il dottore.
Li salutano con riverenza e si devono prendere il rimprovero di Don Michele,il farmacista che li invita ad andare a lavorare invece di stare in Piazza a perdere tempo in chiacchiere che potrebbero rivelarsi anche pericolose. L’invito viene raccolto immediatamente e poco dopo in una Piazza completamente vuota si vedono passare ed andare sul Comune alla spicciolata i figli di Don Alessandro Masucci , il dottore Pasqualino con suo fratello Don Generoso , il farmacista.
Sul Comune la sala è piccola e piena di gente. Seduti al tavolo Don Gennaro Vecchi e Don Salvatore Sarno , il I Eletto,con il segretario Don Vincenzo Pennetti che prende i nomi dei presenti per iniziare la seduta di Giunta. Di fronte , Don Leonardo seduto in poltrona con il mento appoggiato al bastone e le gambe incrociate in avanti attende lo svolgersi dei discorsi quasi assente , con lo sguardo perso nel vuoto. Don Achille Vecchi , appoggiato con le spalle al muro ha come un guizzo in avanti e con aria seria chiede la parola
<< Cari amici, la situazione è seria e pericolosa. Non voglio essere uccello del malaugurio , ma le notizie che arrivano dalla provincia fanno capire che sta serpeggiando un’epidemia di vaiuolo , e l’esperienza del colera del 54 e del 37 dovrebbe insegnarci che Volturara è a rischio. Troppa promiscuità tra uomini e bestie . Qua nessuno si lava . Puzzano tutti come capre .D’altronde sembrano vaccinati . Quelli che ci andranno di mezzo potremmo essere noi , perciò dobbiamo fare qualcosa per impedire il propagarsi del contagio. Non voglio allarmarvi,ma ieri ho avuto la certezza di due casi in una famiglia alla Morece . Chiedete a Don Pasqualino che ne pensa >>.
<< Quello che dice mio cognato Achille è purtroppo una grave verità,
esordisce, qui tra rivoltosi e malattia si preannunciano tempi duri . Se non manteniamo la calma sarà una catastrofe ! A Carbonara in Alta Irpinia è successo il finimondo. Bambini uccisi , notabili trucidati. Lo stesso Sindaco è stato malmenato brutalmente. Da noi ,nelle Cantine e nei Caffè si mormora in continuazione . I soliti prezzolati fanno intendere che Franceschiello sta per tornare vincitore. Non sanno che è assediato a Gaeta e che sta per capitolare da un momento all’altro.
Per la malattia non mi preoccupo più di tanto. Sembra che ci sia qualche caso sporadico che possiamo tenere sotto controllo senza timori per la nostra salute . L’unica cosa da fare è trovare i soldi in bilancio per procurarci le medicine per i poveri in caso di necessità >>. Lo interrompe Don Leonardo , lo zio:
<< Scusami Pasqualino. Voglio intervenire anche io come responsabile dell’ordine pubblico e far capire ai signori qui presenti che stiamo in stato di guerra ! Noi sappiamo che questo nuovo ordine di cose ormai, nolenti o volenti , dobbiamo accettarlo. E’ come un fiume che quando scende forte porta con sé tutto , tronchi rami e melma . L’unica cosa certa è che indietro non si può tornare. L’acqua non sale! Abbiamo l’obbligo morale di difendere le Istituzioni ed il nostro ruolo. Se questa è la barca,senza storie dobbiamo metterci a remare per impedire l’affondamento. Oggi rappresentiamo il nuovo Governo e dobbiamo impedire che i nostri nemici , con la scusa dei Borbone , ci tolgano di mezzo. Sarebbe l’anarchia,il ritorno al Medioevo!
Alle parole di Don Leonardo segue un silenzio che è riflessione,ma anche paura. E se con il suo intervento voleva sortire un effetto devastante , si capisce subito che ha raggiunto l’obbiettivo. La tensione è palpabile negli occhi di Don Vincenzo Di Meo , Don Bernardino Luciani , Don Marco Marrandino , e degli altri decorioni presenti nella stanza.
Gennaro Vecchi ha voglia di concludere la discussione con punti concreti all’ordine del giorno ed invita i presenti a vigilare e a denunziare le persone sospette di creare turbative sociali con discorsi o azioni facinorose:
<< Un giro di vite può servire da deterrente. Arresteremo chiunque crei casino. E voi Don Leonardo controllate chi nella Guardia Nazionale rema contro. Le notizie che ci arrivano dicono che un gruppo interno , facente capo ad Alessandro Picone e i suoi fratelli , crea confusione , preme sugli indecisi , grida contro gli ufficiali. Da che è morto il padre due anni fa sembra voglia fare il capopopolo , questo Alessandro. Se occorre, dobbiamo fermarlo con la forza. Si fa forte dell’appoggio di Matteo Marino , il fratello del Parroco , altra testa calda da tenere a bada. I sacerdoti stanno zitti , in attesa. Ma la presenza di mio fratello Don Ferdinando dovrebbe tenerli calmi in questa che qualcuno vuol far diventare una guerra santa contro lo scomunicato Vittorio Emanuele. Sappiamo invece che è solo una scusa dovuta alla paura di perdere un potere che finora nessuno ha mai controllato. Da oggi ci aggiorneremo ogni giorno a questa ora per fare il punto sulla situazione e prevenire ogni turbativa nel miglior modo possibile.





Ferdinando infila la salita del Monnezzaro e correndo cerca di aggiustarsi addosso i panni che volano lontano dalle mani tremanti di paura e di freddo. Supera la Serra e attraverso l’Acqua delle Noci si arrampica fino all’Acquameroli. Nella mente cerca di trovare una strada che lo porti lontano , e l’unica possibile è quella che conduce nei boschi del Terminio. Intuisce però che nella neve seguiranno facilmente le sue tracce e decide di girare a sinistra verso l’acqua di Zia Maria , una zona che conosce bene e dove non penseranno mai di seguirlo. Il castagno cavo , nel cui tronco giocava da bambino , lo accoglie ansimante ed infreddolito. Si pone la testa fra le mani mentre le lacrime incominciano a scendere lungo le guance ,
quasi a liberarlo da un incubo che non sembra vero. Torna indietro ad analizzare un periodo che non gli ha lasciato il tempo né di capire né di riflettere. Tre anni di soldato a Napoli,passati in un attimo e quel ritorno a casa dopo lo scioglimento dell’esercito borbonico che sembrava averlo fatto rinascere . I propositi di sposarsi e il desiderio di quella vanga che al confronto del fucile gli sembrava tanto leggera e calda . Poi la bomba del richiamo alle armi in quell’esercito che gli avevano insegnato a considerare nemico , e l’ordine di indossare quella divisa che nelle esercitazioni di attacco aveva perforato decine di volte con la baionetta.
Le voci salgono da lontano nel silenzio , ed un brivido sale attraverso il suo corpo facendogli drizzare i capelli. Il cuore sembra impazzito ed un tremore inarrestabile lo assale. Ritorna nell’albero accucciandosi in un angolo e chiude gli occhi aspettando il peggio. Non vuole pregare. Ne ha viste troppe in tre anni di guerra . Attende , sperando solo che non lo vedano. Le tre guardie nazionali camminano lentamente ,
infastidite da un incarico del quale avrebbero fatto volentieri a meno. Mattia Picardi come al solito è il più loquace e non smette mai di parlare. La salita gli procura affanno,ma nonostante il fiatone ,martella i compagni :
<< Ragazzi,vi rendete conto che siamo italiani! Non so che significa del tutto , ma deve essere sicuramente una cosa buona se in tanti si sono dati da fare per farlo. Pensavo che bastasse essere volturarese per vivere tranquillo,ma se è necessario essere italiani per stare meglio ,
sapete che vi dico ? “Viva L’Italia”. Questi ci daranno la terra gratis , sennò a che serve questa Italia ? Garibaldi ci ha portato la libertà, mo’ ci porterà la ricchezza. Quelli che hanno nostalgia dei Borbone non li capisco proprio. Fino all’anno scorso chi comandava dettava legge. I Don ci trattavano come bestie ed il Capourbano sembrava Napoleone Bonaparte. Nemmeno un bicchiere di vino potevi fare senza il suo permesso. Oggi si parla di libertà e di uguaglianza , di terre e di sementi gratis , e allora ben venga Garibaldi e Vittorio Emanuele. Qui lo possiamo dire ad alta voce tanto non ci sente nessuno. In paese è pericoloso pure parlare. Stavolta qualcuno fa una brutta fine , ne sono sicuro! Prendi questo giovane che stiamo cercando. Da quello che ha detto Don Vincenzo Luciani ha le ore contate. Lo vogliono vivo o morto per dare l’esempio. Se lo prendono si fa minimo cinque anni di carcere. Poveraccio , non vorrei essere nei suoi panni >> .
Ferdinando sente i loro passi allontanarsi e le voci perdersi nel fruscio del bosco. Si alza, e dall’albero guarda intorno per vedere se ci sono altre guardie. Poi ritorna a sedersi e aspetta in silenzio senza compiere il benché minimo movimento. Decide che forse non vale più la pena di costituirsi , sentite le parole di quel cretino. Sa che il Circondario pullula di giovani come lui , scappati per non arruolarsi , soprattutto verso Montella e Acerno e che unendosi a loro può sperare di cavarsela o almeno di vendere cara la pelle.
Le ore passano lente e solo quando l’oscurità comincia a calare insieme alla nebbia dal Terminio decide di scendere in paese. Vuole attrezzarsi per sopravvivere sulle montagne. Andando a valle si disseta alla piccola sorgente posta all’inizio dell’Acqua di Zia Maria e guardando l’acqua fredda nel palmo delle sue mani, pensa che stare in montagna alla fine non è poi tanto difficile e che qualcosa da mangiare o da bere la si può sempre trovare.
Le prime case gli appaiono ostili e pensa che non avrebbe mai immaginato di guardare Volturara in modo negativo , lui che se l’era sempre sognata nelle lunghe ore di attesa quando montava la guardia a Napoli. Ma ora non può permettersi sentimentalismi che possono determinare la sua fine. Scende nel vallone della Serra e , avvolto dalla nebbia , si avvia spedito verso casa dalla parte posteriore per evitare eventuali brutte sorprese.
Giovanni suo fratello se lo vede sbucare dall’oscurità , e solo il suo sangue freddo gli impedisce di gridare. Con un cenno degli occhi indica a Ferdinando di dirigersi alla stalla che dà sul vallone mettendo contemporaneamente il dito sulla bocca per fargli capire di stare zitto.
Ferdinando esegue l’ordine e lo aspetta in silenzio nell’oscurità.
<< Nannì , la situazione è più grave di quanto pensiamo. Ti vogliono usare come esempio per gli altri e non te la perdoneranno. Sentivo i discorsi in Piazza e nessuno,dico,nessuno,era dalla tua parte. Non ho trovato una parola di conforto nemmeno da un cane. Tutti hanno paura di parlare e di esprimere quello che pensano. Il paese è stato preso in mano dai soliti che si vantano di essere italiani , quando fino ad ieri erano più borbonici dei Borbone . Maledetti loro e la politica ! Noi “fessi” paghiamo per situazioni che non capiamo e che non ci interessano affatto. Sono stato da Don Gennaro , il Sindaco , per chiedere perdono , cercando di fargli capire il tuo stato d’animo. Non ha voluto sentire ragioni ! Lui che è sempre disponibile e comprensivo, mi ha trattato in modo gelido. Ha incominciato a fare strani discorsi che non ho capito. Diceva che per essere stato troppo buono con tutti, era stato minacciato di arresto da Avellino e ,alla fine, mi ha fatto capire che non poteva intervenire a tuo favore , perché il problema era di competenza della guardia nazionale e del suo Comandante Don Leonardo Masucci. Quest’ultimo non ha voluto nemmeno ricevermi , anzi mi ha fatto maltrattare da quell’altro Caino di Don Vincenzo Luciani , degno figlio del padre, che mi ha minacciato di arresto solo per il fatto di essere tuo fratello. Siamo rovinati ! Il paese è circondato dalle guardie nazionali e noi tutti di famiglia siamo tenuti sotto continuo controllo negli spostamenti da stamattina. Casa nostra è presidiata dalla parte del Campanaro , e non so come tu abbia fatto ad arrivare fin qui senza essere visto. Figurati che hanno messo le guardie anche davanti la casa della tua fidanzata Rosa per toglierti ogni mezzo di sopravvivenza. Non so che fare e che pensare. Dimmi tu come dobbiamo comportarci >> .
<< Quello che mi dici , purtroppo lo avevo intuito. Ma noi Raimo siamo fatti di pasta dura e non caliamo la testa tanto facilmente. Ormai mi resta solo la montagna, e la speranza che , come dicono , Franceschiello sia alle porte del Regno per riprendersi il trono dei suoi antenati. Solo se tornano i Borbone a Napoli ho qualche speranza di cavarmela e , giuro che mi vendicherò di tanta cattiveria nei miei confronti .Per adesso ho deciso di passare alla macchia aspettando tempi migliori e sono ritornato apposta a prendere il necessario per sopravvivere. Andrò verso Montella. Se non ci rivedremo mai più ,
ricordami nei tuoi pensieri e sappi che morirò innocente >> .
Per una scala interna sale al piano superiore. Prende il vecchio fucile del padre Sebastiano , un coltello ed un poco di pane di granturco . Indossa la sua vecchia cappottella e senza parlare abbraccia la madre Annarosa , la cognata Carmenella, e dà un bacio ai nipotini. Ridiscende nella stalla salutando il fratello e si allontana verso il vallone scomparendo nella notte.






















I primi giorni passano con una strana sensazione di malessere , dovuta allo scoramento di doversi nascondere senza aver commesso alcun reato , ma l’istinto di sopravvivenza prende il sopravvento e facendo appello a tutte le sue energie sale in montagna decidendo di stabilirsi sulla Costa . Per un po’ trascorre le notti in un pagliaio e come una bestia del bosco impara a nascondersi di giorno e a muoversi di notte. A volte scende fino a valle, nelle campagne e qualche gallina ci lascia le penne. I giorni passano lenti ed il mormorio popolare incomincia a dire di un’ombra che vaga per sfuggire ad una giustizia ingiusta. Capiscono tutti e subito di chi si tratta e non c’è una masseria che di notte non abbia sull’uscio un pezzo di pane o di formaggio , a volte un salame o una bottiglia di vino. Gli Sembra facile sopravvivere intorno a Volturara guardandola dall’alto e commuovendosi per la semplicità e la disponibilità della sua gente. Ma nonostante l’omertà , le mezze parole e le piccole allusioni mettono in guardia Don Vincenzo Luciani che nei suoi frequenti giri per il paese alla ricerca di notizie su Ferdinando Raimo non tralascia nessun indizio o informazione. Intuita la situazione , crea un cordone notturno di guardie nazionali nelle zone basse del paese e della campagna in modo da impedire qualsiasi collegamento tra la popolazione e quello che ormai viene definito il brigante disertore. Nello stesso tempo fa seguire ogni movimento dei suoi familiari ed esercita controlli su chiunque va a legnare nei boschi. Sa che costringendolo in montagna gioco forza si dovrà arrendere per fame.
Da questo momento Ferdinando deve limitarsi a prelevare il cibo dai lavoranti che salgono alla montagna , ma è ben poca cosa. Le sue improvvise apparizioni con il fucile spianato a fermare i poveracci che vanno a cercare legna nei boschi crea terrore e fughe scomposte. Alla fine il magro bottino si risolve in un pezzo di pane e qualche volta nemmeno in quello. In compenso crea timore tra la popolazione e fa inoltre intuire il suo raggio d’azione alle guardie nazionali. Una situazione insostenibile e pericolosa della quale Ferdinando si rende subito conto. Decide allora di allontanarsi da Volturara e , prese le ultime provviste , decide di dirigersi verso le montagne del Terminio in direzione di Montella.
Un paesaggio irreale e freddissimo , una distesa bianca solcata da qualche orma di animali selvatici. Ferdinando perde il tempo a seguirle sulla neve , mentre gli occhi vagano alla ricerca di un posto dove fermarsi a dormire. Ha paura dei lupi che vagano in cerca di cibo. Sa che di notte diventano pericolosissimi. Verso la vetta non può andare perché la neve è alta quasi un metro. Deve mantenersi nelle zone basse e seguire un percorso quasi obbligato per non cadere in uno dei tanti burroni di cui è pieno il Terminio. Sale all’Acqua delle Logge e attraverso la Valle della Rena scende a Verteglia , luogo dove tutti gli sbandati della zona trovano facile rifugio.
Un vecchio capanno sembra essere fatto apposta per ripararlo dal freddo e dalla stanchezza del cammino fatto. Entra chiudendo l’ingresso con della legna trovata all’interno. Si siede con il fucile tra le mani e aspetta la sera che avanza lentamente.
Lunghi ululati in lontananza incominciano a squarciare il silenzio e sembrano accerchiarlo nella sua solitudine. Paure ancestrali sembrano salire dalla punta dei piedi facendogli pulsare le tempie e scoppiare la testa. Un turbinio di immagini e di voci lo sconvolgono e gli fanno ripercorrere , ancora una volta , gli avvenimenti vissuti. Su tutto le parole di suo padre Sebastiano “noi Raimo siamo condannati ad essere maltrattati da chi comanda a Volturara. Ma verrà un giorno in cui dovranno strisciare ai nostri piedi in un modo o nell’altro. Ci odiano perché non li aduliamo come fanno gli altri pecoroni e sappiamo sopravvivere del nostro , senza calarci il cappello e gli occhi al loro passaggio. Dimenticano che veniamo da lontano e che abbiamo dimostrato di saper morire da uomini e non vivere da conigli ”.
Ferdinando pensa agli uomini della sua famiglia che nel corso degli ultimi 50 anni avevano sfidato il potere trasformista rimanendo coerenti con le proprie idee. Su tutti Aniello Rinaldi,fratello della nonna Camilla , e Giosuè Raimo,l’unico che era riuscito a non lasciarci la pelle.
Un tormentato sonno lo libera da tanti pensieri. Ma dura poco , ed alle prime luci dell’alba , infreddolito e preoccupato, si affaccia all’uscio per rendersi conto del territorio. Si lava la faccia con la neve e perde gli occhi in lontananza per decidere sul da farsi. Deve procurarsi da mangiare , ma non è facile in quella immensa distesa bianca. Si sposta verso il basso e con somma sorpresa vede un capanno da cui esce del fumo. E’ perplesso , ma non può restare senza fare niente. Pensa che possa essere un rifugio di pastori e che non sarà difficile chiedere ospitalità .Sa anche che non deve mettere loro paura per evitare reazioni sconnesse che potrebbero procurargli altri guai. Decide di dire che è un cacciatore di cinghiali persosi sulla montagna.
La voce alle sue spalle suona improvvisa e imperiosa
<< Uagliò che cazzo ci fai qua ! chi sei ? Se non vuoi morire butta a terra il fucile e voltati lentamente! >>.
Ferdinando si irrigidisce nella paura e lancia lontano il fucile alzando le mani in alto come per arrendersi e per non morire. Voltandosi si avvede che non sono guardie nazionali,come aveva pensato , ma tre sconosciuti dal piglio deciso. Incomincia a balbettare qualcosa , ma come risposta riceve il calcio di un fucile nel fianco e l’ordine di stare zitto e camminare.
Si avviano lentamente verso il capanno e Ferdinando incomincia a capire di avere a che fare con dei banditi che sicuramente lo uccideranno senza pietà. Decide di aspettare la fine con fermezza e pensa che forse è meglio essere ammazzato subito piuttosto che continuare a vivere in quel modo. Lo spingono nella baracca ,e la scena lo lascia esterrefatto. Un fumo che toglie il respiro . E , intorno al fuoco , sul quale bolle un pentolone pieno di carne , cinque
personaggi strani con barbe lunghe sotto cappellacci a falda larga , pistole alla cintola e pantaloni alla zuava .Quello che sembra il capo incomincia a ridere e , battendo le mani sulla schiena del suo vicino:
<< Imbecilli ! io mi aspettavo un cinghiale o una lepre , e voi che mi portate ? uno scricchiolo d’uomo . Ma dove lo avete preso ? Invece di ucciderlo me lo portate qua in pompa magna ? Venticinque volte cretini ! Abbiamo tanti problemi e invece di risolvermeli , me li aumentate ? fosse almeno uno ricco , ne avremmo ricavato qualcosa ,
ma da come si presenta questo mi sembra un pezzente e pure fesso >>. << Era armato, Ciccocià , risponde uno dei tre , e volevamo capire chi era e dove andava con questa neve >> .
Il capo , rivolto al giovane,continua
<< Uagliò ! ora devi dirci tutto , chi sei , da dove vieni e dove stavi andando, se vuoi continuare a campare >> .
Ferdinando racconta la sua storia con aria grave di uno che sa di essere arrivato al termine della sua vita e aspetta le reazioni feroci degli astanti.La risata è generale e fragorosa. Cicco Ciancio alza la mano chiedendo il silenzio
<< E bravo il “ toralese “. Sei coraggioso e scaltro. Puoi restare con noi a combattere le guardie e i carabinieri. Ti metteremo alla prova . Ma se non sei buono , ti sparerò io alle spalle! Adesso riscaldati e mangia con noi. Oggi si può , domani chissà. Ti premetto che i volturaresi mi stanno sul cazzo perché sono ignoranti e cafoni , ma tu puoi servirci per penetrare sul territorio , che conosciamo poco. Da oggi sei anche tu un brigante. Pensi di esserti salvato, ma riperdi di nuovo la tua vita , perché come noi farai una brutta , ma una bruttissima fine. La nostra è una via senza ritorno che si concluderà nel sangue. Però prima di distruggerci la dovranno pagare cara. Il territorio ci protegge. Da qui a Calabritto abbiamo più di venti rifugi, e finché c’è la guerra da qualche parte ci lasceranno tranquilli. Solo se cade Gaeta come si dice in giro e i Piemontesi prenderanno definitivamente il potere in mano abbiamo poche speranze di salvarci. La voce nei paesi dice che una flotta inglese è pronta a sbarcare a Manfredonia e a Gaeta. Dobbiamo sperare in un miracolo che forse non arriverà mai. D’altronde gente come noi è considerata da tutti carne da macello , da eliminare perché costituiamo un pericolo per la tranquillità dei galantuomini , e chiunque comanda subito tenterà di toglierci di mezzo. Ma prima che ci eliminino completamente dobbiamo farli tremare di paura e dobbiamo succhiar loro il sangue fino alle ossa. Continueremo a rapire i più ricchi e solo se ci pagheranno , li rilasceremo. Il mio sogno è di andare a morire lontano di vecchiaia e se avremo tanti soldi,o ci compreremo il potere o scapperemo in qualche altro mondo che sia più ospitale di questo. Si dice che nelle Americhe c’è posto per tutti e libertà di fare tutto quello che uno pensa e vuole , senza i ricordi del passato. Se fosse vero sarebbe meraviglioso.Ma bando alle chiacchiere. Benvenuto in mezzo a noi e che Dio te la mandi buona. Per un’altra ventina di giorni continuiamo a mangiare e a riposarci , poi verrà la primavera e penseremo sul da farsi. Entreremo in guerra con tutti e chi è contro di noi, dovrà avere vita corta.







12 Marzo Rapina della banda di Pagliuchella

“ I pastori Domenicoantonio De Napoli e Nicola Dello Russo di Chiusano verso le ore 22 nella contrada Carifi , vengono sorpresi da sei individui tutti avvolti in tabarri di color zeprino ,con cappelli neri alla contadina ,dei quali cinque vestono calzoni di cotone cenere ed uno di color grigio. Tre armati di corte carabine e tre altri di scuri. I pastori cercano di fuggire , ma i ladri li accerchiano ed uno di essi scarica pure un colpo di carabina contro Dello Russo , i cui proiettili gli fanno cadere il cappello di testa. Ma altro colpo di arma da fuoco viene allo stesso Dello Russo vibrato dalla parte di dietro , carico a palla , ma non lo ferisce. Pensano quindi di fermarsi , e tre dei ladri si avvicinano al De Napoli e gli rubano un cappotto zeprino ,una camiciola di cotone bianco ,una fascia di merinosse ,un fazzoletto , due pecore ed una scure , del valore totale di ducati tredici e grana quindici. A Dello Russo involano anche un cappotto zeprino , una camiciola di scarlatto, un paia di pendenti d’oro , un rotolo di pane, tre coltelli , un fazzoletto, una salvietta, e due monete di rame di un grano l’una , del valore totale di ducati otto. Gli aggressori sono Elia Petito di Bonaventura , Nicola Montefusco fu Teodoro, Ferdinando Candela fu Luigi soprannominato Pagliuchella, Pietro De Feo fu Biase e Vincenzo Pisacreta fu Angelo. Il sesto è rimasto ignoto. Tutti di Volturara.”






31 Marzo Pasqua

Sul pianoro di Verteglia la vita si svolge secondo un rituale consolidato.Pattugliamenti a due o a tre per controllare il territorio ed impedire che le guardie li sorprendano all’improvviso. Con l’arrivo di quello che i briganti montellesi chiamano il “ toralese”, le perlustrazioni arrivano a spostarsi fin sotto l’Acqua delle Logge in territorio di Volturara e a volte fin al Cretazzuolo , da dove si vede splendere in basso tutta la bellezza selvaggia del lago Dragone pieno d’acqua e di uccelli di ogni specie. Volturara , nascosta dal monte Costa , sembra celarsi ai loro sguardi come a difendersi da eventuali attacchi , presa come è da avvenimenti straordinari che stanno cambiando il suo aspetto ed il suo futuro. Sono i giorni in cui Alessandro Picone gira per il paese a smuovere i giovani contro lo straniero che si è impossessato del Regno delle Due Sicilie ed a fomentarli contro quei notabili che saltando sul carro del vincitore si erano creato un’identità italiana considerando nemici tutti quelli che non vogliono il nuovo ordine di cose.
La primavera arriva in tutto il suo splendore in un territorio che si prepara a vivere avvenimenti esaltanti e drammatici .
Ferdinando impara in breve tempo l’arte della guerriglia e degli spostamenti nelle montagne. Capelli lunghi su una folta barba nera ,
cappellino con visiera sulla fronte , camicia aperta sul petto , pantaloni infilati in stivali da soldato borbonico e cappottella corta sempre aperta .Nemmeno suo fratello Giovanni lo riconoscerebbe con quel fucile sempre in mano e la pistola alla cintola. La voglia di rivedere la sua famiglia e la sua fidanzata è come una lama nel cuore che sembra piegarlo , ma la paura che i suoi familiari possano essere maltrattati per la sua fuga come complici lo frena e gli fa capire che Ferdinando Raimo è morto , ingiustamente, ma è morto. Ormai per tutti è solo uno sconosciuto brigante e l’unica vendetta che gli resta è uccidere parecchi di quelli che si sono resi responsabili delle sue sventure.
Chi semina chiodi , dovrà camminare con le scarpe di ferro , pensa , guardando con penosa sofferenza dalla sommità del Monte Costa la piazza di Volturara sotto di lui in quella fresca mattinata di fine marzo del 1861.
Le persone sembrano piccoli punti che si muovono avanti ed indietro nel passeggio abituale e dai movimenti che compiono sembra di riconoscerli tutti. E’ Pasqua , ed un suono , come una musica , sale alle sue orecchie procurandogli sensazioni struggenti. E’ il rumore del popolo che si prepara alla festa e che nelle sue molteplici e diverse componenti , come in una cassa acustica , si unifica in una armoniosa melodia che si innalza sulla vallata e si disperde nel vento. Pensa a Rosa , ormai persa, che oggi gli avrebbe portato il canestro pieno di taralli , secondo l’usanza , e a sua madre che dopo la messa avrebbe preparato il sugo pieno di carne , così saporito , e nel quale avrebbe calato il pane di nascosto , prima di pranzo , sapendo che lo avrebbe sgridato benevolmente.
Cicco Ciancio gli mette la mano sulla spalla distogliendolo dai suoi pensieri:
<< Uagliò , così muori prima del tempo ! Devi uccidere il tuo cuore . Noi lo abbiamo fatto da tempo e stiamo bene. Per tutti siamo bestie e come tali dobbiamo comportarci. La legge della sopravvivenza ci impone di pensare solo a noi stessi , sennò ci fottono . Ed io non voglio morire per far fare bella figura a chi uccide più di noi , ma rappresenta la legge e la legalità . Ho ucciso e non merito pietà. Me ne frego di Garibaldi e di Franceschiello , voglio solo restare vivo e sarei capace di uccidere tutti i tuoi compaesani ad uno ad uno per riuscirci . Se non capisci questo,vattene !. So già che ti prenderanno in due ore e vedrai che ti squarteranno , appena possono >> .
<< Ciccocià,ti sbagli. I volturaresi non sono così cattivi come li dipingi , sono solo cazzo mio. Io pago perché appartengo alla classe dei poveri. Come me hanno già pagato molti , ed altri ancora a venire saranno sacrificati sull’altare degli interessi di chi comanda. Quelli della piazza per mantenere il potere devono dimostrare la loro adesione al nuovo Governo e se non ammazzano qualche fesso come me , nessuno gli crede. Sentivo dai racconti di mio padre che si stanno scannando tra di loro , pur di restare a galla . Personaggi che sei mesi fa parteggiavano per i Borboni e che oggi sembrano essere italiani da sempre. Mi raccontava che 50 anni fa era la stessa cosa. Nel 1814 quì, sotto la Costa , uccisero e decapitarono Cicerone che aveva il solo torto di non volere andare a combattere per un esercito che vedeva nemico. Luigi Solito di Sebastiano , questo era il suo nome , aveva venti anni e non capiva niente di politica .Lo fecero diventare preda ,
cioè brigante, e poi gli tagliarono la testa,insieme ad uno di Paternopoli per dimostrare la loro fedeltà , mentre i loro amici con imbrogli non partirono mai per la guerra. Bussolotti con gli stessi nomi o con nomi che inventavano al momento. Tanto chi di noi sa leggere?. Io sognavo la zappa e Rosa. Mi hanno dato il fucile e con quel fucile mi ammazzeranno. Giusto trenta anni fa un altro Ferdinando Raimo , come me , passò lo stesso guaio. Lo fecero partire al posto di un parente del Capourbano Don Mattia Marino e del Sindaco di allora che era Giuseppe Luciano il padre di Don Vincenzo che mi sta dando la caccia per farsi bello. Ferdinando Raimo pagava per il padre Giosuè , brigante del primo ottocento , poi riabilitato , il quale fece ricorso al Sindaco e all’Intendente della Provincia di Principato Ultra , ma senza risultato .Dovette partire nel 1831! Morì l’anno dopo nell’Ospedale militare di Napoli di tubercolosi >> .
Cicco Ciancio ponendogli il braccio intorno alle spalle gira su sé stesso e lo distoglie da quel panorama che gli procura dolore e sofferenza. E’ commosso da quel ragazzo che non riesce a superare lo scoglio tra i sentimenti e la crudezza della realtà. Istintivamente gli vuole bene perché gli ricorda quando , e non è passato troppo tempo ,
anche lui era capace di slanci emotivi e non era ancora la belva che le cose della vita e gli uomini avevano creato.













1 Aprile Viva a chi comanda.

Alessandro Sarno sa che se non si muove lui , la scampagnata si risolverà in un nulla di fatto e sarebbe un vero peccato non godersi l’ultimo giorno di vacanza prima di tornare a Napoli a studiare. Questa Pasquetta è certamente un po’ particolare , ma viverla da italiano è un’esperienza unica ed entusiasmante. Mentre scende per il Campanaro dirigendosi al Freddano a chiamare l’amico Vincenzo Pasquale rivà con la mente agli avvenimenti degli ultimi mesi. Come scordarsi di quel 7 Settembre passato. Non aveva chiuso occhio per tutta la notte , e la finestra lasciata apposta aperta portava l’eco dei colpi di cannone in lontananza. Le notizie che circolavano negli ambienti universitari circa l’arrivo di Garibaldi a Napoli trovavano conferma e , secondo copione , a prima mattina sarebbe arrivato a Palazzo Reale , per prendere possesso della città. La scena del dittatore che percorreva le vie tra ali di folla gli rimbomba nella mente e gli procura ancora brividi di entusiasmo e di determinazione.
<< Come è possibile che esistano persone incapaci di capire la portata di questo momento che sicuramente resterà nei secoli come espressione di libertà e di democrazia ? Non si rendono conto che il martirio dei fratelli Bandiera , di Carlo Pisacane e degli altri trova la sua esaltazione nella fuga definitiva del despota e tiranno ? Quando io venni al mondo nel primo Dicembre del 1842 in Volturara Irpina ,
questo antichissimo territorio della distrutta Sabazia dal ferro romano regnava ancora la Santa Alleanza dei Potentati della Terra e la ragione umana , che distingue l’uomo dal bruto , e lo avvicina a Dio , non aveva posto tra gli uomini ! Il Diritto era la forza, e la violenza legalizzata ridotta a sistema di governo. Il Dovere l’ubbidienza al più forte. La Morale una sfacciata ipocrisia. La Giustizia rifugiata in cielo in grembo a Giove di là da venire ! Tutto lo scibile umano ,
l’educazione e l’istruzione , veniva impartita dai Preti , nelle Scuole Pie e nei Seminari Diocesani. Ed ai preti era ancora confidata la Polizia di Stato ! La indagine del Perché di tutte le cose e del mondo ,
nel quale si vive , e senza del quale l’uomo non può vivere, e cesserebbe di esistere , costituiva un Delitto , ed era punito con la morte civile dell’individuo , assai più feroce dell’antica schiavitù pagana ! La fine del Re Bomba con il suo governo che era la negazione di Dio dovrebbe essere salutata con esultanza,invece resistono rimasugli del passato che vogliono bloccare il progresso e l’avanzata delle nuove idee di libertà e di pace sociale in nome delle quali tanti uomini hanno immolato la vita >> .
<< Sei sempre il solito sognatore, Alessandro >> , la voce di Vincenzo sembra provenire da lontano,e lo riporta alla realtà di un mattino tranquillo e freddo
<< a che stai pensando,a Garibaldi o a Mazzini. Lo so che sono i tuoi eroi , i tuoi chiodi fissi , ma per oggi lasciali in pace , falli riposare tranquilli. Piuttosto dobbiamo fare le ultime spese perché manca il pane e il castrato per il pranzo. Ho fatto preparare la carrozza di mio padre. Metteremo tutto dentro,perché Tortoricolo è lontano e a piedi non ci voglio andare. Gli altri tardano ad arrivare e come al solito devo pensare a tutto io,poi mi diranno che sono pignolo e pedante >> .
<< caro Vincenzo,amico mio,sei l’unico che mi capisce in questo paese di incolti e maligni . Un uomo come te è sprecato a perdersi in un posto come questo. Devi avere il coraggio di andartene ed aprire una farmacia nella capitale,pardon ex capitale , a Napoli >> .
<< Alessandro , non aprire una ferita che sanguina e duole. Sai benissimo le sventure di mio padre. E’ dal 1850 che è controllato dalla polizia ed in questi 10 anni è stato maltrattato , vituperato , ammosciato dai quei quattro cascettoni della Piazza,che mal sopportavano il suo buon cuore e la stima che il popolo aveva nei suoi confronti. Lo hanno preso di mira nel suo lavoro,nella sua proprietà .
Quanti processi ha dovuto subire. Oggi non abbiamo nemmeno gli occhi per piangere e se riuscirò a laurearmi in Farmacia, sarà semplice fortuna oltre che frutto di sacrifici immani. D’altronde quante volte hai dovuto tu pagarmi il Teatro a Napoli o la cena in qualche ristorante di Posillipo. Anche tuo padre Salvatore è stato maltrattato dai Masucci e dai Vecchi , ma per fortuna è riuscito a mantenere i suoi beni , anzi l’appartamento che ti vuol comprare in via Duomo ti servirà per la futura professione di avvocato. Te lo meriti perché hai tutte le qualità per sfondare nel difficile mondo della Giurisprudenza. Ma bando alle chiacchiere , oggi mi voglio proprio divertire senza pensare a niente. Ho contato , siamo in diciotto. Non manca proprio nessuno >> .
Si avviano speditamente al Freddano a preparare gli ultimi ritocchi per il pranzo di Pasquarella.
Chi li guarda è preoccupato e pensieroso. Dietro la finestra della cucina,Don Nunzio Pasquale,padre di Vincenzo, ha l’aria di chi le ha viste tutte. Ma lo sguardo corrucciato prelude a situazioni gravi e piene di incognite
<< E’ la stessa scena del 48 , ampliata mille volte. Allora i Borbone avevano fatto finta di cedere alle richieste di riforme ed una nuova ventata di ottimismo aveva percorso le strade del Regno delle Due Sicilie. Ma era stato fuoco di paglia >> .
Se lo ricorda bene , perché era stato Sindaco proprio dal 48 al 50 ,anno in cui iniziò la repressione che lo investì in pieno .Più lo avevano fatto parlare , più lo avevano punito .Più si era dimostrato liberale , più lo avevano perseguitato. Se li era scrollati di dosso solo col decreto del Giugno 1860,dopo 10 lunghi anni.
Oggi , pensa tra sé , i Borbone sono in difficoltà più di allora , ma sono duri a morire , anzi ritorneranno e più feroci di prima come nel 1799 , nel 1815 , nel 1821, e nel 1850 . Sarà un’ecatombe. Forse si salveranno solo i soliti camaleonti.
Suo padre GiacomoAntonio,che aveva iniziato la stirpe di farmacisti,
aveva intuito l’evolversi della situazione ai suoi tempi e prevedendo il ritorno di Ferdinando aveva aborrito i francesi , ricevendo poi dal Sovrano la nomina di Sindaco dal 1817 al 1819. Sotto il suo Sindacato erano iniziati i nuovi movimenti liberali che facevano capo a Don Luigi Di Meo , il dottore e a Don Domenico Benevento , l’avvocato e che erano sfociati nei moti carbonari del 1820. Giovani che lui appena quindicenne , idolatrava e che rappresentavano i punti di riferimento delle sue idee.
Chiama la serva Anna , come a scuotersi dalle sue riflessioni , e la manda ad avvertire Don Salvatore Sarno , padre del giovane Alessandro , che c’erano stati degli strani movimenti di ex soldati borbonici sbandati e renitenti alla leva verso Cruci e che stesse attento come Ufficiale della guardia nazionale a far pattugliare il territorio per evitare guai ai figli che noncuranti del pericolo vogliono passare una giornata allegra in compagnia degli amici. Mentre,dalla finestra, osserva la donna che si avvia verso la Piazza , incrocia con lo sguardo Alessandro Picone che sta ritornando a casa ed istintivamente cala gli occhi per non salutarlo . Non perché lo odia , ma perché sa che sta sbagliando di grosso ad accanirsi contro il nuovo ordine di cose che ha portato all’Unità d’Italia . Tipico volturarese analfabeta e rampante che non razionalizza i concetti , ma guarda solo agli interessi spiccioli ed immediati . Possidente e incolto. Capace , ma improvvido e istintivo. Se avesse avuto voglia di studiare , e qualche anno fa poteva permetterselo , avrebbe capito che solo nella cultura vi è il progresso e nel progresso la libertà dall’assolutismo borbonico e dalle aberrazioni della Polizia. Invece oggi è il fautore del vecchio credendolo nuovo ed è pericoloso per sé e per gli altri. Dio non voglia il ritorno di Franceschiello , questo vorrà fare il Capourbano e userà i moschetti al posto della vanga. E’ come i Rinaldo di cinquanta anni fa e i Marino di trenta anni fa.
Riesce a vedere fino al ponte del Freddano , e l’animazione che c’è in Piazza , gli fa capire che è meglio rimettersi vicino al fuoco a fumare la pipa , senza pensare a nulla , distaccandosi da una realtà che ormai gli crea solo sofferenza.
E’ una giornata strana,in cui si intrecciano situazioni diverse in un momento storico particolare.
Le voci di una possibile rivolta popolare imminente mette in movimento tutte le guardie nazionali che perlustrano il paese agli ordini di Don Leonardo Masucci e Don Vincenzo Lucani.
La tensione è palpabile negli sguardi di tutti ed ognuno evita qualsiasi tipo di provocazione con gli opposti schieramenti che possono sfociare da un momento all’altro in alterchi o scontri fisici difficili da controllare. Qualche scalmanato prendendo coraggio inveisce contro il posto della guardia nazionale,ma gli ordini da Avellino sono di non rispondere a nessuna provocazione verbale per non far degenerare una situazione che non assicurerebbe un intervento militare immediato per mancanza di uomini. Quelli della campagna sembrano estranei allo svolgersi degli eventi,ma tutti sanno che sotto sotto hanno caricato il fucile o per attaccare la guardia nazionale o per difendersi da attacchi improvvisi di sbandati che girovagano senza meta e senza cibo.
La notizia che in mattinata a Montella in pubblica piazza Cicco Ciancio ha ucciso , senza essere arrestato , un compaesano che aveva avuto il solo torto di contraddirlo fa intuire ai filoborbonici le enormi difficoltà in cui si trovano le guardie nazionali che hanno paura e pensano solo a salvare la pelle in un clima di incertezza assoluta.
La riunione tra gli ufficiali nel Posto di Guardia serve a creare un piano di ordine pubblico per la giornata che si presenta di difficile controllo , prima di raggiungere le famiglie che non vogliono rinunciare alla scampagnata , senza curarsi o forse senza nemmeno capire troppo i pericoli incombenti.
Don Leonardo dà le ultime disposizioni organizzando una decina di pattuglie che gireranno sul territorio , con un occhio di riguardo per le zone a rischio , dove stazioneranno alcune guardie armate. Precisamente alla Masseria Vecchi , in contrada Occhitelli , dove pranzeranno il Sindaco ed i familiari , a Cruci alla Masseria Masucci , e a Tortoricolo dai Pasquale dove si incontrano tutti gli studenti del paese.
L’ordine è di sparare in caso di attacco armato ,di non rispondere alle offese verbali e soprattutto di non accettare di bere vino,nel controllo dei gruppi di gitanti.
Le persone che passano in Piazza chinano la testa per salutare chi incontrano e, alla domanda di qualche esagitato che chiede loro “ viva a chi ?”, la risposta ricorrente non è né viva a Garibaldi, né viva a Franceschiello ma un “ viva a chi comanda” che denota una sorta di rassegnazione e di paura . Pochi sono quelli schierati apertamente , e le provocazioni innescano scene preoccupanti di invettive e maledizioni reciproche. Solo la paura verso gli ufficiali che sono conosciuti come caratterialmente cattivi serve da deterrente a situazioni che sembrano esplosive.
Il timore di essere arrestati per offese allo Stato mantiene una calma apparente,ma pericolosa.
Il crocchio di giovani che si sta formando sotto la Teglia in piazza sembra estraneo agli eventi per il brio dei discorsi e per le risate che ogni tanto rimbombano nell’aria. Tra gli altri c’è Alessandro Sarno ,
Vincenzo Pasquale , Achille e Annibale Masucci i figli di Don Leonardo, Bernardino Luciani cugino di Don Vincenzo Luciani , e Generoso Benevento . In quel mentre arriva dalla Pozzella Gioacchino Benevento,il dottore che era andato a visitare il collega Pasqualino ,
ormai in condizioni di salute disperate , il quale riferisce loro che gli altri amici hanno preferito andare dai Pennetti , nella masseria di Sorbo Serpico , su consiglio dei genitori. L’atmosfera s’incupisce e si intravede qualche muso lungo.
<< Maledetta politica,nemmeno oggi ne saremo esenti,c’era da immaginarselo che non li avrebbero mandati con noi >> .
<< I rancori tra i nostri genitori pesano sempre sulle nostre scelte , nostro malgrado. La voce di Achille Vecchi , il fratello del Sindaco, sembra rotta dall’emozione. Oggi volevo ubriacarmi per dimenticare le tante sofferenze di questi ultimi tempi e non pensare a Pasqualino,
ma vedo che sarà un po’ difficile >> .
<< Non ti crucciare più di tanto , gli risponde Alessandro , andremo lo stesso a divertirci. Alla fine lo sapevamo che potevano anche non venire con noi. Negli ultimi tempi , a Napoli,hanno fatto sempre gruppo a parte e poi , chi se ne frega.. Chi c’è c’è e chi non c’è non c’è. Con la comitiva di Sorbo sono andati Pietroantonio Pennetti ,
Alfonso e Mattia Marra e quel rompiballe di Vincenzo Santoro , il figlio di Don Mariano , l’impiegato comunale. Come vedete i conti tornano. Sono tutti filoborbonici fottuti ed hanno come ospiti anche Achille De Cristofano , il farmacista e suo fratello Ferdinando , l’avvocato che manco a farlo apposta non hanno firmato al Plebiscito del 20 Ottobre scorso e che fanno come al solito il doppio gioco. Si mostrano italiani , ma in cuor loro sono seguaci di Franceschiello . I Pennetti , poi , stavolta nessuno li perdonerà . Hanno vita corta a Volturara. Vincenzo,il segretario comunale e suo nipote Gerardo ,
l’avvocato soprattutto si sono creati molti nemici ed appena le cose si acquieteranno gliela faranno pagare cara. Lo stesso Mariano Santoro ,
non sottoscrivendo il Plebiscito ha le ore contate.
Già si sente dire in giro che presto lui e Vincenzo Pennetti saranno licenziati dal Comune >> .




5 Aprile Don Nicola Coscia

Don Nicolino , finito di celebrare la Messa nella cappella del Cimitero di Montemarano sale sull’ultimo dei tre carretti che aspettano fuori sulla strada. Si cala il cappello sulla fronte , si avvolge il mantello sulle spalle e nell’anonimato del suo aspetto assume il ruolo leggendario del cospiratore. I carretti si avviano lentamente verso le Tavernole in un silenzio rotto solo dal rumore delle ruote sul selciato. La nebbia del Dragone sale verso di loro nascondendoli in una nuvola irreale. Nella mente un tumulto di sensazioni che non traspaiono. Rivà coi pensieri ai giorni precedenti fatti di preghiere e di fughe,di incontri e di persuasioni . Napoli sembra così lontana , ma la paura di essere preso dalle guardie piemontesi più che personale è preoccupazione di non poter portare a termine il piano , e di dover consegnare Napoli ed il Regno nelle mani di uno straniero amico dei notabili e dei potenti trasformisti , lontano dalle esigenze del popolo e della Chiesa.
Cerca di riordinare le idee ,di mentalizzare con chi deve o può parlare a Volturara, e a come finalizzare eventuali malesseri o ripensamenti.
”Alea iacta est ”,mentre spontanee sorgono sulle sue labbra preghiere alla Madonna e a San Giovanni per ritrovare serenità e calma.
Gli occhi del conducente si posano sul furtivo passaggio di una lepre che scompare dietro al cespuglio. E’ un attimo, poi segue la curva della strada che appare indistinta nella nebbia. Quei vecchi ruderi sulla destra gli fanno fare il segno della croce e si ricorda del passeggero dietro di lui. Come è diverso da come lo conosceva. La lunga barba incolta, e quel cappello calato sugli occhi che lo fanno apparire come uno dei tanti briganti della zona. Ma forse lo è diventato davvero! Cosa è rimasto del Don Nicolino che conosceva ? La bonarietà è diventata determinazione .Lo spirito allegro fa posto ad un silenzio interrotto solo da discorsi seri che non riesce a capire. Qualcosa sta succedendo, ed il brivido lo fa sobbalzare.
<< Perché Don Nicolino è così pensieroso ? , che va a fare a Volturara ? Mah ! in fondo che me ne importa , l’importante è ritornare a Montemarano a finire di potare il vigneto >> .
Le prime case della Tavernole frenano i suoi pensieri. Tira le briglie e le esclamazioni degli altri due conducenti per fermare i cavalli fanno capire che fa troppo freddo. Il salto dal carretto serve a Don Nicolino per comprendere che i quarantuno anni se li porta ancora bene. Saluta con la mano i cocchieri e si avvia verso il paese.
Angelo e Luigi Solito escono sulla strada nel momento in cui don Nicolino appare dietro la curva . Gli si fanno incontro. Si guardano intorno per vedere se sono spiati. Non vedono nessuno , ma Nicola Raimo , il figlio di Giosuè di Trigna li sta osservando senza farsi vedere.
<< Stavolta li frego >> ,pensa ! e si avvia verso Volturara.
Con riverenza i fratelli salutano Don Nicolino e gli portano anche i saluti di Matteo Marino e di Alessandro Picone che lo aspettano a Volturara. Chiedono della situazione e Don Nicolino li rassicura che tutto è pronto per il grande ritorno di Franceschiello.
<< Ragazzi , duecento persone sono pronte a Bagnoli,cento a Montemarano , cinquanta a Castelfranci. Domenica si parte. Volturara sta nel mio cuore e dovrà essere il centro della sommossa. I tanti amici personali che ho da voi vi daranno una mano pur senza comparire. Non vedo l’ora di incontrare Don Angelo e suo fratello per avere le ultime notizie! >>.
<< State tranquillo , don Nicolì . Siamo pronti anche a morire contro questi traditori che sono passati con lo Scomunicato del Piemonte >> . Le parole di Angelo sono più per rassicurare sé stesso che il sacerdote. Sa che è difficile e che la situazione è disperata.
<< Non si può consegnare il Regno delle Due Sicilie agli stranieri ed essere ridotti in schiavitù , pensa. Il Signore è con noi e ci aiuterà.
D’altronde questo prete dice che centinaia di persone nei vari paesi si stanno muovendo e che il Re sta per tornare a casa vincitore >> .
Le prime case di Volturara sono davanti a loro. Nicola Raimo li osserva e la loro allegria gli mette rabbia e fretta. Attraversa il Serrone e va da Don Ferdinando De Cristofano , il tenente. Pensa che è il più duro , il più severo e che è l’unico che può fermare quel prete.
Gira sulla Spiezeria e bussa alla porta
<< Don Ferdinà , muovetevi sta arrivando. Arrestatelo prima che combini guai grossi.Questo è pericoloso più di quanto immaginate >>.
Insieme si avviano in Piazza e Don Ferdinando vede Don Nicolino mentre sta parlottando davanti al grande tiglio affianco al Campanile,dietro la fontana.
Una certa eccitazione si sta impadronendo del sacerdote . Tutti lo aspettavano con ansia,qualcuno con curiosità . Mentre parla , osserva gli astanti per carpire qualche sensazione. Vede Generoso Sarno salire al Campanaro e gli corre dietro. Sorpreso di vederlo Generoso , gli chiede il motivo dello stare a Volturara e alle prime parole resta come interdetto. Con una scusa lo saluta e sale al Campanaro verso casa.
<< Sempre lo stesso! >> pensa don Nicolino , e si gira verso la Piazza. Riprende il controllo di sé stesso.
Don Ferdinando gli si avvicina tirandolo per il lembo del cappotto
<< Buongiorno ! sono il Tenente De Cristofano . Posso offrirvi un bicchiere di vino ? vorrei scambiare due chiacchiere con voi >> .
Il prete resta sorpreso,ma accetta .Si avviano in silenzio al posto di guardia.
<< Don Nicolino , che fai qui a Volturara ? , le parole di Salvatore De Cristofano spezzano l’aria tesa , non cambi mai , sempre in movimento. Chissà che stai tramando adesso ! , poi rivolto al fratello, Ferdinando ti presento un caro amico di Montemarano. Abbiamo trascorso a Napoli tante belle giornate insieme >>.
Don Ferdinando lo guarda storto,vorrebbe picchiarlo ,ma si mantiene.
<< Va bene ho capito vi lascio soli . Ci vediamo dopo >> .
Don Nicolino si scioglie , chiede a Salvatore degli amici ,di Achille suo fratello ,di Don Nicola De Feo e degli altri.
<< Don Nicolì , Achille è sicuramente in Farmacia, andiamo a trovarlo >> . Svoltano la Terrasanta , attraversano sulla destra la strettoia che va al Carmine , salgono sul ponte di legno posto sul vallone e si infilano nella Farmacia.
Don Achille esce dal piccolo sgabuzzino,attirato dal suono del campanello della porta. Gli occhi sotto gli occhiali sembrano brillare di gioia
<< Don Nicolino bello,finalmente ! , vieni !mettiamoci nel retrobottega , ci facciamo un bel bicchiere di vino >> .
<< Don Achì ! io me ne vado. Ho da fare >> fa Salvatore avviandosi alla porta,vi lascio soli.
Poi rivolto a Don Nicolino
<< Vieni a trovarci qualche volta . Resti a pranzo a casa >>.
<< Non lo pensare, a mio fratello . E’ falso e contro di noi >> esclama Don Achille appena Salvatore chiude la porta , piuttosto fammi sapere. Sono ansioso di capire quando si parte. Noi siamo pronti , gli amici ci aspettano >> .
<< Don Achì , le cose vanno bene, e sorseggiando il bicchiere ,buono questo vino , scommetto che è del Saracino >> .
La calma di Don Nicolino rincuora il farmacista che si apre con determinazione
<< Li dobbiamo ammazzare tutti questi traditori cascettoni , venduti per mantenere il potere, come sempre. Una pausa , poi riprende , il popolo è con noi. E’ stato fatto un buon lavoro . Gli amici si sono impegnati al massimo in questi mesi , soprattutto Matteo e Alessandro. Li mando a chiamare ?, no ! forse è meglio che io non mi faccia vedere. Sarò più utile se resto riservato. Questi sospettano tutto e non vorrei che ci scoprano prima di partire >> .
<< Achì ! Non c’è più tempo! Domenica si deve partire. Tutti insieme,
in tutti i paesi dove possiamo arrivare. Il Re è alle porte della Campania. La flotta è nelle acque di Manfredonia , secondo le ultime notizie. Dobbiamo creare confusione per alcuni giorni . Prendere in mano la situazione e aspettare in stato di massima allerta per creare un Governo provvisorio. Li spazzeremo come nel 99 !, poi aggiunge , senti , adesso io vado a trovare gli altri. Tu sai quello che devi fare >> .Si baciano , poi Don Nicolino ritorna in Piazza. La tensione che avvertiva all’arrivo sembra stemperarsi in questi incontri con amici.
Una specie di euforia gli pervade l’animo.
<< E’ meglio di quanto credessi , pensa,ho fatto bene a venire. Se riesco a far crescere la tensione , Volturara può diventare il fulcro della rivolta. Va a finire che Franceschiello lo devo portare qui per ringraziarli , un giorno,speriamo non lontano >> .
E’ arrivato davanti alla fontana della Piazza,quando vede due suoi compaesani che passeggiano. Si avvicina e tira per l’orecchio Don Nicola Gallo , suo vecchio amico. Il fastidio per il gesto ricevuto si trasforma in sorpresa appena si gira:
<< Don Nicolì e che ci fai qui ? Fatti guardare , lo sai che non ti riconoscevo più ? Con questa barba sembri un brigante ! >> Nicola Gallo è veramente sorpreso. Sa qualcosa , sa anche che il prete è ricercato per i fatti di Napoli del Novembre scorso.
<< Niente ! sono venuto a trovare dei vecchi amici .Ma tu , piuttosto, come ti trovi a lavorare , a Volturara ? vedo che stai con Achille De Nicolais , grande amico mio. Mi fa piacere vedervi insieme qui . L’ho sempre detto che Volturara e Montemarano devono stare insieme , fare un unico paese , l’uno può aiutare l’altro >> .
Mentre parla , con la coda dell’occhio vede arrivare Don Nicola De Feo, il sacerdote . Li lascia quasi di scatto,senza nemmeno salutarli.
<< Don Nicola ! , come stai ? >> . Si abbracciano , si baciano con affetto , in nome di un’amicizia nata quando erano ragazzi al Seminario di Nusco , culla dei loro impegni scolastici.
<< Non mi chiedere perché sto qui. So solo che sono contentissimo di vederti >> .
<< Nicolì !oggi resti ospite a casa mia , a pranzo , non dire di no , sennò mi arrabbio>> .
<< Va bene , va bene hai vinto tu ! ho tanto da fare , ma a te non saprei dire di no >> .
<< Oh,vedi però che adesso ho da fare ! Sai , è morto Don Pasqualino Masucci , il dottore e devo officiare il funerale . Tu aspettami a casa che ti raggiungo subito >> .
<< Madonna mia , facendosi un segno di croce , Don Pasqualino è morto ? povero amico mio così giovane ! Mi hai dato una tristissima notizia. Pregherò per lui. Il Signore lo abbia in gloria >> .
Il cielo coperto , livido risuona in lontananza di cupi rumori e dietro la collina di San Michele improvvisi bagliori fanno presagire un tempo non proprio primaverile quando i due sacerdoti si avviano al Campanaro.
<< Maria ! oggi abbiamo un gradito ospite , non farmi fare brutta figura .Prepara qualcosa di buono , io torno tra poco >> .
La donna fa accomodare Don Nicolino nella stanza dove Don Michele il padre del sacerdote sta aggiustando una sedia. Cordialmente saluta l’ospite montemaranese e lo invita a prendersi un bicchiere di vino.
Don Nicolino avverte una strana sensazione di nervosismo e senza essere scortese , chiede di potersi assentare.
<< Non posso perdere tempo , pensa tra di se . Qua, se non mi muovo,
rischio di rovinare tutto il filato >> .
Scendendo , attraversa la Piazza d’un fiato , dirigendosi verso il Freddano . Gira sotto i Portoni verso la casa di Don Angelo , il parroco. Sa che troverà comprensione ed aiuto. Sa che Don Angelo gli indicherà la strada giusta. Allo bussare , il parroco si affaccia alla finestra e senza parlare scende ad aprire la porta. Solo dopo che don Nicolino è entrato lo abbraccia con affetto. Scambiandosi parole di circostanza salgono al piano superiore. Matteo è lì. Alto , robusto , con baffoni tendenti al grigio , sopracciglia forti e nere , sotto una capigliatura castana e corta incute rispetto , ma nello stesso tempo disponibilità al dialogo e senso di sicurezza. Don Nicolino ne aveva sentito parlare , ma trovarselo di fronte così come se l’era immaginato gli mette allegria e lo fa aprire senza remore.
<< Matteo , dobbiamo muoverci. Solo tu puoi concretizzare i nostri sforzi , i nostri ideali contro i traditori venduti allo Scomunicato >> .
<< Don Nicolì , fatevi salutare , e state senza paura. Volturara è con noi. Lo straniero non passerà .Garibaldi e Vittorio Emanuele pagheranno la loro tracotanza. Piuttosto come va negli altri paesi ? quando ci sarà l’ordine di accendere il fuoco ? >>.
<< Il momento è vicino , sono qui per questo . Dopodomani inizierà in cento paesi una rivolta contro cui i pochi piemontesi non potranno fare nulla. A Volturara prenderai tu il comando delle operazioni e con i tuoi amici costituirai il nucleo che attenderà il ritorno del nostro Re Francesco >> .
<< Ho già parlato con loro e sono pronti. Comunque vogliono conoscerti. Abbiamo parlato tante volte di te che non vedono l’ora di salutarti .Non sanno ancora che sei qui a Volturara, ma se usciamo li troveremo senz’altro >> .
Don Nicolino non se lo lascia dire due volte e prendendo il cappotto dalla poltrona dice a Matteo di andare avanti , lui lo seguirà.
Arrivano al fontanino del Freddano mentre l’orologio della Piazza suona mezzogiorno e le campane ricordano a tutti che è ora di fermarsi a mangiare prima di riprendere il lavoro nei campi. Si fanno il segno della croce senza neanche accorgersene , mentre si infilano nel sottano di Alessandro Picone. Finalmente i capi della cospirazione sono a raccolta. Con Alessandro ci sono suo fratello Luigi e Angelo Solito. Matteo fa le presentazioni ed invita tutti a fare una passeggiata al Dragone. Si parlerà meglio , lontano da occhi ed orecchie indiscrete. Non si accorge che da dietro la sua finestra Pietro Candela li sta osservando con attenzione.
Una grande euforia pervade l’animo dei congiurati. Matteo parla con Don Nicolino sugli appoggi che sono riusciti ad ottenere tra i notabili. Fa il nome dei fratelli Don Mattia e Don Alfonso Marra, di Don Gioacchino Benevento e di altri che pur essendo loro favorevoli non possono e non vogliono esporsi troppo , dato che le guardie nazionali tengono tutto sotto osservazione e conoscono i movimenti di tutti .
Alessandro con gli altri due un poco più indietro guardano il prete ed esprimono i primi giudizi sulla persona. L’impressione che ne hanno ricevuto è senz’altro più che positiva. Ammirano la serietà del volto , nascosto dalla barba , la determinazione del linguaggio e la sicurezza che le sue parole infondono. Alessandro si sfrigola le mani impaziente e l’eccitazione nei suoi occhi si concretizza nelle invettive contro Don Leonardo, Don Salvatore e Don Nunzio.
<< Cascettoni , traditori. Sempre loro , pur di continuare a comandare non esitano a mettersi con gli stranieri scomunicati Piemontesi >>.
La passeggiata si conclude nei pressi dell’aia di San Michele in località San Carlo. Don Nicola guarda lontano davanti a sé e lo spettacolo della Natura è impressionante.
<< Avete un panorama degno del Paradiso! e se non fosse per il freddo e l’umidità, Volturara sarebbe veramente una perla di paese >>. Il Dragone è pieno d’acqua fin sulla stradina che lo costeggia , e lo spaccato che hanno davanti agli occhi è strabiliante .Centinaia di germani reali che salgono e scendono e stormi di uccelli che volteggiano sull’acqua creano figure geometriche assumendo mille contorni e mille forme. Il cielo grigio e minaccioso rende più colorata la superficie del lago e le pieghe dell’acqua con fare soffice sembrano cullare un mondo a sé , eterno , senza tempo.
Il brivido più di piacere che di freddo scuote Don Nicolino , i cui pensieri erano arrivati chissà dove e , facendosi il segno di croce invita i compagni ad affrettare il passo perché ha troppi impegni in paese.
<< Devo passare da Don Nicola Gallo .Non per altro , quello si offende >> , pensa mentre arrivano alle prime case del Freddano. Al fontanino li lascia non senza averli baciati ad uno ad uno. Una stretta di mano a Matteo come per dirgli vai avanti senza paura e si avvia verso la Piazza.
Trova Don Nicola Gallo mentre va a tavola e un altro bicchiere di vino , senza mangiare , gli mette allegria. Ritrovarsi con un collega , e del suo stesso paese , stempera quel nervosismo che lo aveva assalito da quando era arrivato a Volturara. Gli racconta che tutta l’Europa si sta organizzando per riportare sul Trono di Napoli Francesco II. Una flotta attaccherà a Manfredonia , un’altra a Palermo , mentre da Roma l’esercito marcerà su Napoli con in testa il Re per scacciare gli atei.
<< Don Nicò ! fra giorni mi tolgo la barba , l’incubo è finito ! Torno a fare il mio dovere di sacerdote , non senza aver scacciato questi demoni che si sono venduti allo scomunicato >> .
Lascia il suo compaesano , rinfrancato. Attraversa la piazza e al Campanaro bussa alla casa di don Nicola De Feo. Chiede scusa per il ritardo , ma la simpatia che accoglie il suo ritorno gli fa capire che non sono offesi. A tavola l’aspettano in tre , desiderosi di conoscere questo personaggio di cui avevano sentito parlare tanto bene. Giovanni , il fratello di don Nicola De Feo , fidanzato con Agnese la sorella di Alessandro Picone , non fa che chiedere notizie su come si sono conosciuti e delle marachelle che combinavano in Seminario. Il padre Michele scruta l’ospite cercando di capire cosa voglia , e la sua mente va ai tempi del 20 e del 48. Ha lo stesso furore negli occhi di quelli che allora volevano il contrario di quello che sta cercando lui. Quante vite bruciate per cacciare i Borbone ed ora c’è chi ancora li vuole far ritornare ! Cinquanta anni di lotte , di paure , di riunioni segrete. Ne aveva sentito parlare tanto da suo padre. I volti di Don Cosmo , di Don Domenico, di Don Antonio Candela ballano davanti ai suoi occhi e si mescolano allo sguardo duro , accigliato,forse un po’ cattivo di questo prete che sembra un brigante.
<< Si ! questo è proprio un brigante , pensa , a me non piace .Mi voglio fare i fatti miei , ma lo devo dire a Nicola di non fidarsi troppo. Questo porta guai appresso , glielo devo proprio dire >> .
Il pranzo va avanti in silenzio . Poi i due sacerdoti passano nel salotto e don Nicolino spiega , come se fosse la prima volta nella giornata , tutto il piano per il ritorno di Francesco II con la stessa partecipazione e veemenza di sempre. Gli dice che è in diretto contatto con Roma tramite il fratello Mariano che sta a Napoli , nascosto dopo che tutti e due nell’anno precedente avevano partecipato ad una rivolta ed erano riusciti a sfuggire alla cattura per un soffio. Fuori sta calando la sera .
I cinque rintocchi dell’orologio , così vicini li scuotono dal parlare. Con rammarico Don Nicolino si alza e abbracciando l’amico gli rinnova l’invito a combattere contro lo scomunicato e nemico di Roma, apportatore di rovina dei popoli.
Mentre dalla finestra lo guarda che attraversa la piazza,Don Nicola De Feo a stento riesce a frenare il tumulto di sentimenti,suscitato dalla visita del suo amico. E’ turbato ! sia perché lo ha visto sofferente,sia perché ha scatenato nel suo animo di uomo tranquillo orizzonti di lotte e di intrighi . Nei suoi occhi appaiono le figure di Don Gennaro Vecchi,Don Salvatore Sarno ,di Don Leonardo Masucci, i padroni di Volturara. Come sarà possibile combatterli ? Chi ne avrà il coraggio ? Potranno Matteo e Lisandro Picone far fronte ad un potere forte con mille tentacoli ? Mah ! forse è meglio non pensarci. Che Iddio li aiuti. Chiude la finestra , perché le prime gocce di pioggia portate dal forte vento penetrano tra le imposte creandogli fastidio agli occhi.
Don Nicolino torna a Chianzano , e sa che la sua giornata non è finita. Per recarsi in paese , chiama Achille e Giovanni Mongiello e li prega di accompagnarlo. Ivi giunti si dirigono in Piazza all’osteria di Beatrice Picariello e si rilassano bevendo un bicchiere di vino. Agli sfottò di Beatrice che gli chiede come mai un prete porta la barba , Don Nicolino risponde che è un voto fatto per il ritorno del Re Francesco e che fra alcuni giorni se la taglierà , una volta raggiunto lo scopo. Un po’ infastidito , accorgendosi che si è fatto tardi e che la persona che aspettava tarda a farsi vedere esce dall’osteria con i compagni e si avvia alla casa del fratello Silvio , dove conta di passare la notte. Da questo momento si perdono le tracce di Don Nicolino. Per non essere arrestato,si nasconde nelle campagne di Chianzano.


































6 Aprile . Alessandro Picone

Il freddo penetra nelle ossa. Un vento gelido ed umido allo stesso tempo , fa capire che la vita è anche sofferenza fisica a Volturara. La poca acqua caduta ieri è gelata nelle pozzanghere sparse qua e là per la strada. Un debole sole arancione , che non riesce a penetrare la nebbia stesa dappertutto , apre alle tenebre di una notte passata senza dormire, con pensieri di odio e di rancore. O la morte o la montagna ! Alessandro pensa già a domani . Deve sembrare tutto spontaneo.
<< Guai ! se capiscono le nostre intenzioni .Qui arriva tutto l’esercito piemontese e ci distruggeranno ! Questi non scherzano. D’altronde quanti ci hanno abbandonato in sei , sette mesi. Sembravamo in tanti ,
siamo rimasti una decina e qualcuno sembra fare proprio il doppio gioco >> .
Volti che girano nella mente e non servono a dargli tranquillità. Ricorda le parole di don Nicolino ed immagina scenari di rivolte in tutti i paesi. L’ansia dei preparativi accresce la sua determinazione. Niente deve essere lasciato al caso , ma d’altronde la presenza continua di Matteo lo aiuta ad essere ottimista. A sentire lui il paese è spaccato in due. Molte famiglie sono favorevoli al ritorno del Re. Solo gli opportunisti si sono venduti allo Scomunicato. Gli viene voglia di metterne una decina al muro e fucilarli , se tutto va per il verso giusto. Il cavallo nel suo incedere piano lo fa sobbalzare. Vuole scrollarsi di dosso questi pensieri. Sa che deve arrivare presto alla masseria di Matteo alla Valle di Mpeo . Vuole ricevere ordini su cosa fare. Lo trova mentre segue i bracciali nella semina e , chiamatolo da lontano , si avviano verso la Foresta.
<< Alessandro tu sei il più coraggioso di tutti. Da te dipende il risultato finale .Oggi devi ritornare in paese e creare movimento. Se vedono che siamo forti ci seguiranno tutti contro quei cascettoni che vogliono solo comandare sempre e solo loro. Li conosciamo bene. Don Linardo , Don Gennaro , Don Vincenzo Luciani quel Caino , Don Marco , Don Salvatore , Don Nunzio e quanti più ne metti. Ma se ritorna Franceschiello li dobbiamo spogliare di tutto quello che hanno. Gli dobbiamo mettere la zappa in mano ! e qualcuno deve anche lasciarci la pelle. Più imbecilli sono e più si sentono importanti! c’è Giuseppe il falegname che sta proprio rompendo le scatole . Prima o poi la pagherà . Fanatico e fesso ! Ma tornando a noi, cerca Vincenzo,
Angelo e Nicola di Bottino e fatevi sentire , devono incominciare a tremare >> .
Alessandro saluta Matteo e si avvia verso Volturara . Un gelido vento gli taglia la faccia e lo fa piegare in avanti con il mantello chiuso sulle spalle mentre nella mente si delineano i movimenti da fare durante la giornata per preparare la rivolta. Spedire i fidati nelle “Cantine” del paese a surriscaldare l’atmosfera senza dare nell’occhio , mandare qualcuno nei locali della guardia nazionale a controllare i movimenti ed entrare nei crocchi in Piazza per aizzare gli animi.
In effetti non è d’accordo con Matteo su come agire , ma vi si adegua perché conosce la sua capacità di organizzazione e sicuramente ne sa più di lui. Anzi si rincuora perché vuol dire che fuori Volturara le cose vanno bene e che la loro azione sarà sicuramente protetta da un intervento delle forze del Re che come gli hanno fatto capire premono alle porte del Regno , dal Lazio per terra e da Manfredonia per mare. Arrivato in paese lascia il cavallo al Freddano e si avvia lentamente verso il Candraone. Vincenzo Mele, il Carpato, sembra aspettarlo ,
insieme ai fratelli Angelo e Mattia davanti casa. Nervoso , agitato gli si fa incontro ed Alessandro deve fare uno sforzo mentale per
calmarsi , per concentrarsi. Sa di essere più impulsivo di lui , ma in questo momento ha il compito di organizzare e deve avere freddezza per poter rasserenare gli altri.
D’altronde la tensione sta salendo e conosce bene il carattere di Vincenzo, irruente e irrefrenabile quando perde la tranquillità , senza mezzi termini.
Spiegandogli la situazione ed i propositi riesce a calmarlo con un buon bicchiere di vino messo loro davanti da Rosaria la madre di Vincenzo , dopo che si erano accomodati sullo scranno di legno vicino al fuoco.
<< Tutto il pomeriggio e la sera dobbiamo passarli in mezzo alla gente , spiegando loro che il momento della liberazione è vicino. Un paio andranno nella Cantina di Antonio Pennetta , altri nel caffè di Angelo Discepolo , altri ancora in quello di Giovanni De Feo . Luigi e Raffaele, i miei fratelli , li manderò nella cantina alle Tavernole . Raffaele Cutillo andrà nel caffè di Giovanni De Cristofano , mentre Luigi e Angelo Solito si fermeranno in Piazza nella cantina di Nicolantonio Marra , che è amico nostro. Bisogna provocarli mostrando sicurezza .Se il popolo ci segue , sono cotti >> .
Vincenzo prosegue il piano di Alessandro
<< Nicola Marra , Pasquale Cutillo , Matteo Masucci , Raffaele Del Percio , Matteo Picardi , Nicola Montefusco , Mariano Risoli,
Bernardo de Cristofano e Giovanni De Feo che sono i più coraggiosi devono stare in mezzo alla Piazza , girare per il paese casa per casa , chiamare gli amici ad uscire allo scoperto. Devono muoversi già da oggi ! >>.
Alessandro con la scusa di aver delle faccende da sbrigare lascia i tre e si avvia verso casa .Vuole tranquillizzare Maria , la moglie e concentrarsi per preparare ogni mossa nei minimi particolari. Arrivato a casa chiama i fratelli Luigi , Nicola e Raffaele e davanti ad una zuppiera di pasta e fagioli fumante da loro le ultime raccomandazioni. Il più determinato sembra Luigi che , stanco di subire le oppressioni dei soliti , ricorda le sofferenze del padre Antonio contro quei tre o quattro che fanno il bello e cattivo tempo a Volturara. Sfruttato e abbandonato , messo in ginocchio da un potere precostituito , gli avevano impedito di crescere nella scala sociale e politica . Lo avevano costretto quasi alla miseria , lui che voleva mandarli a scuola per farli diventare qualcuno nel paese. Dalle sue parole sortisce un rancore sordo e profondo che fa passare nella schiena di Raffaele un brivido che arriva fino ai denti che si serrano in una morsa d’acciaio.
Nicola capisce le tensione e li invita alla calma , per avere più concentrazione e non commettere errori. Un ultimo bicchiere di vino , versato da Maria , bevuto d’un fiato quasi per un rituale sacro e di sangue , ed all’unisono si alzano per andare a svolgere ognuno la sua parte.
Alessandro esce passando davanti al sottano dove la madre Gaetana sta sbrigando lavori .Vorrebbe salutarla , ma l’istinto lo dissuade dal farlo e tirando diritto si avvia verso la Piazza.
<< Povera mamma . Da quando è morto papà si è chiusa in un mutismo che mi preoccupa. Ormai è più di un anno e non riusciamo a farla mai sorridere ; i pensieri la uccideranno , se continua così. Deve rassegnarsi e ritrovare la grinta che la contraddistingueva. Certo che noi ed io in particolare non facciamo niente per aiutarla . Anzi stavolta mi odierà per quello che sto facendo e non mi perdonerà mai di aver coinvolto anche Raffaele che è così giovane ed inesperto. Ma io non posso tirarmi indietro .Se il Signore vuole che devo portare questa croce , la porterò fino in fondo. Forse è meglio andare a trovare il compare Don Angelo Marino , il Parroco .Chiederò consiglio a lui e gli chiederò anche di pregare per me e la mia famiglia. Può darsi che c’è anche il fratello Matteo .Solo lui riesce a darmi la carica giusta , se no qui rischio di crollare senza combinare niente >> . Svolta sotto i Portoni e scompare nel buio della scala.
Per tutto il pomeriggio è un tam tam per passare la notizia dell’imminente rivolta contro l’invasore e i cascettoni. Decenni di rancori e di maltrattamenti subiti ritornano con insistenza nei discorsi tra la gente . Odi mai sopiti fanno accrescere la rabbia di chi vede nella sommossa del giorno successivo la rivalsa contro tanti , troppi torti subiti. Una schiavitù oppressiva da cancellare con la forza della rivolta. Nelle parole di tutti la voglia di fare giustizia sommaria di famiglie cattive e prepotenti. Qualcuno pensa di mettere la ghigliottina in Piazza come a Parigi cinquanta anni prima . Altri pensano già a dove scappare in caso di fallimento , ma la sensazione generale è che le cose stanno cambiando e che andrà tutto bene. Nelle cantine,nei caffè , nelle case , nella campagna un’atmosfera di attesa , di parole nervose. Su tutto la speranza di potersi appropriare di quelle terre da decenni coltivate per altri , per i soliti , senza ricevere in cambio nemmeno il minimo per sopravvivere. La sera freddissima cala su un paese silenzioso. Una nebbia fitta sembra favorire le ombre che passano da una casa all’altra. Al Freddano soprattutto è un brulicare di persone che si incontrano. Dalla casa di Matteo Marino , sotto i Portoni , ogni tanto parte qualcuno con destinazione precisa per avvertire delle mosse da fare . Altri salgono per avere ordini. Vicino al fuoco a discutere ci sono i promotori, i più determinati. La vecchia cassapanca ospita Alessandro e Matteo . Appoggiati al muro Luigi Picone e Giuseppe Nardiello li osservano in silenzio . Nell’altra stanza Don Angelo,il parroco prega da alcune ore in solitudine .
In Piazza, a due passi , l’atmosfera è diversa , pesante. Si palpa dolore e preoccupazione. La morte del dottore Pasqualino ha lasciato nello sconforto e nella disperazione i Masucci e i Vecchi. E’ una processione continua di chi sale e scende per le scale di Don Alessandro . Nello studio ci sono tutti i notabili a tenergli compagnia. C’è Don Salvatore Sarno con il figlio diciannovenne Alessandro , il dottore PietroAntonio Pennetti , Don Alfonso Marra l’avvocato, e Don Vincenzo Luciani. Lamenti e preghiere provengono dalla stanza affianco. Don Clorinta , la moglie di Don Pasqualino ha continue crisi di nervi e a nulla valgono gli sforzi del fratello Don Achille Vecchi a somministrarle medicine per risollevarla .Le amiche le tengono le mani e in silenzio piangono anche loro. Era il migliore di tutti . Buono e disponibile , simpatico e allegro. Nessuno riesce a farsene una ragione . Nemmeno il tempo di rendersene conto ed è scomparso ,
strappato ad una giovinezza in pieno fulgore ed a una moglie che lo adorava.
I notabili del paese discutono nel salotto . Nei loro sguardi preoccupazione e nervosismo. Sanno tutti che la situazione sta precipitando e che hanno il dovere di far fronte ad uno stato di cose grave e pericoloso. Non possono permettere lo stravolgimento voluto da pochi esagitati. Cinquanta anni di attesa non possono perdersi per superficialità e noncuranza. L’unità d’Italia è troppo importante e bisogna fare tutto per mantenerla dopo averla ottenuta con sacrifici e con tante perdite umane. Il ricordo del Re Bomba e del suo dispotismo è troppo fresco per non farli innervosire .Don Marco è il più deciso
<< Don Leonà , so che vi sto chiedendo un sacrificio troppo grande , so che il vostro dolore è tremendo , ma chiedo a voi e a Don Gennaro di essere forti e soprattutto calmi. Voi siete il nostro punto di riferimento , la nostra unica speranza. Anch’io ho sofferto , ed ho sofferto per una vita. Mio padre Ciriaco ha speso la sua esistenza in nome di un ideale unitario . Mio zio Orazio ha passato tanti guai rovinandosi la vita per poter vedere un giorno l’Italia unita , senza quei bastardi dei Borbone. Ebbene , scusate , ma dovete superare il vostro dolore . Avrete tempo per piangere Don Pasqualino. Oggi occorre fermezza e determinazione. Quei facinorosi la devono pagare prima che combinino altri guai. Lo sapete che in questo momento o al massimo domani si ribelleranno. Hanno armi e munizioni . Questi ci ammazzano come cani ! Occorre far intervenire l’esercito per fermarli, anche perché la guardia nazionale paesana non è in grado di poterlo fare , anzi molti di loro parteggiano per quei fetenti >> .
Si ferma di parlare per le grida di dolore che provengono dalla stanza affianco e per un attimo un silenzio angosciante cala nella stanza.
Don Gennaro ha la testa fra le mani e qualche singhiozzo fa capire a Don Marco che sta piangendo sommessamente , di nascosto.
Don Leonardo si alza dalla poltrona e si avvia lentamente al balcone come per trovare concentrazione. E’ stato sempre di poche parole , ha preferito sempre l’azione e le cose concrete. Sa che il momento è pericoloso , mentre la mente va indietro negli anni a ricordare altri momenti simili , ma mai pericolosi come questo.
Ricorda le parole di Don Pasquale , suo padre ” la calma è la virtù dei forti ”. Vorrebbe averlo vicino in questo momento. Lui saprebbe cosa fare. Questa disgrazia in famiglia non ci voleva proprio . Povero Alessandro , quante ne ha viste. Che vita di merda ! e la mente va al 46 quando gli morirono quattro figli in sei mesi. Sembrava finita , ma questo dolore è peggio di allora , è insopportabile. Gli è rimasto solo Generoso che poverino è sempre triste e stavolta sembra proprio finito. E’ passato un giorno dal funerale,ma sembra peggio di ieri . Vorrei dormire e svegliarmi tra dieci anni.
Lo fanno scuotere le parole di Don Gennaro
<< Don Leonà ! tu sai il bene che volevo a Pasqualino. Non dimentichiamoci però che io sono il Sindaco e se lo sono è grazie a te e a Don Alessandro . Voglio da voi una parola di conforto . Voglio sapere cosa devo fare ! ho la mente vuota. C’è solo rabbia e dolore ,
ma se non decidiamo qualcosa , rischiamo il caos politico e sociale. Questi farabutti non hanno rispetto del nostro dolore , anzi ne approfittano perché siamo storditi e confusi. Non dimentichiamoci che lo stesso Don Salvatore aspetta che si crei casino per metterci in un angolo. Siamo riusciti a frenarlo per tanti anni , ma stavolta vuole farci le scarpe . Lo stesso Don Nunzio si è alleato con lui per toglierci il Comune di mano. Giuro però sull’anima di mio cognato che li prenderò ad uno ad uno e non darò loro tregua fino alla fine dei loro giorni . La colpa è soprattutto di Alessandro Picone e Matteo Marino . Sempre loro ! sono peggiori dei padri , rompiballe e irriverenti. Ma li aggiusto io. Ho avvertito il Governatore Nicola De Luca a varie riprese , ma la situazione è estesa a tutta la Provincia e non possono mandare uomini a perdere tempo qui a Volturara >> .
<< Gennaro , amico mio , sei come un figlio per me e la tua sofferenza mi opprime. Non so che consiglio darti , ma forse di consigli in questo momento non ce ne sono e non servono. L’unica cosa da fare è restare calmi e non prendere nessuna iniziativa. Se li affrontiamo a viso aperto ci uccidono tutti . Sono troppo determinati e non capiscono che stiamo facendo il loro bene. Un giorno i loro figli ci ringrazieranno per come ci siamo comportati , ma per adesso dobbiamo solo aspettare che passi questa bufera , questo terremoto. Non dico si salvi chi può perché non sono un vigliacco , ma meno ci facciamo vedere in giro e meglio è . D’altronde se succede qualcosa ho avuto anche io assicurazioni che verranno da Avellino ad aiutarci. Nicola Raimo sta seguendo gli sviluppi per noi. Anche lui è da ammirare. Si finge loro amico per sapere le mosse in anticipo. Rischia grosso . Se lo scoprono lo ammazzano ! ma ho fiducia in lui , sai anche tu quanto è determinato e coraggioso. Quanto a Salvatore Sarno , lascialo perdere. Solo se sbagli mosse può avere spazio , altrimenti resta isolato con Nunzio e Vincenzo Luciani.
Piuttosto chiama Ferdinando De Cristofano e mandalo a controllare il paese con le guardie nazionali. E’ l’unico di cui possiamo fidarci e certamente non si farà fare fesso >> .
Marco Marrandino approfitta del silenzio che si è creato e chiede permesso per andarsene. Vuole lasciarli soli perché devono decidere cose importanti . Si avvia per le scale con una certa fretta di uscire da quella casa un po’ iellata. Incrocia Don Salvatore , il cognato e Don Vincenzo , il nipote e li saluta con un mezzo inchino , ma con freddezza. Loro non lo degnano di uno sguardo , né di un saluto,
continuando a parlottare tra loro. Don Vincenzo, appena Marrandino si è allontanato lancia strali di maledizioni su di lui
<< Ecco uno dei soliti lecchini dei Masucci. E’ grazie a gente come lui e Nicola Raimo che perpetuano il loro potere a Volturara. Don Salvatore , scusate la sfacciataggine , ma se non prendiamo noi in mano la situazione , qui rischiamo di fare una brutta fine. Gennaro è troppo morbido , troppo tollerante . A volte ho l’impressione che sia d’accordo con i rivoltosi. Dobbiamo farci rispettare con la forza . Devono capire che noi siamo l’ordine. Quei quattro cafoni analfabeti,
sobillati da alcuni pazzi criminali vogliono solamente sovvertire l’ordine sociale , stabilizzato nel tempo dai nostri antenati. Vogliono impadronirsi delle nostre terre per comandare loro a Volturara e noi non lo possiamo permettere .Se loro non hanno più rispetto di noi dobbiamo ammosciarli con la forza, senza pietà , anche con le armi. A lavare la testa all’asino ci perdi acqua e sapone , mi diceva sempre mio padre , e mio padre non sbaglia mai. Questi bastardi bisogna ammansirli con la frusta. Abbiamo fatto tanto e non capiscono chi fa loro del bene. Carne da macello, che si permettono di fare i giusti e non rispettano chi rappresenta lo Stato >> .
<< Calmati Vincenzo , lo ferma con decisione Don Salvatore,non farti prendere dalla rabbia . Non serve a niente. Oggi dobbiamo mantenere la calma . I conti li faremo dopo e chi deve pagare , pagherà . Lo stesso Gennaro Vecchi dovrà rendere conto di come si sta comportando. E’ lui l’artefice di questo schifo. Cascettone e furbo, basta che comanda lui va tutto bene. Piuttosto domani mattina vado a Salza per votare il Deputato nazionale con Nunzio Pasquale e Nicola De Cristofano. Sicuramente spingerò perché mandino un distaccamento militare a Volturara a controllare la situazione. Oggi ho già fatto spedire da Don Scipione Capone da Montella un telegramma al Governatore . Spero che mi ascoltino ! Come Ufficiale della guardia nazionale potrei fronteggiare la situazione in prima persona radunando tutti ed armandoli , ma forse è meglio stare riservati . Siamo in pochi e rischieremmo di morire tutti. La morte di Don Pasqualino potrebbe giocare a nostro favore. Non sono proprio Caini. Dovrebbero rispettare il dolore dei Masucci e stare calmi. Altrimenti allora è la fine del mondo e non è possibile. L’esercito è organizzato bene ed in due ore può arrivare a Volturara . Conta su Piemontesi , Ungheresi e guardie nazionali di vari paesi comandate da Don Michele Tagle che ,
sappiamo bene , non scherza proprio. Le ultime notizie dicono che i contrari non sono bene organizzati e litigano tra di loro. D'altronde stai vedendo con i tuoi occhi quanta gente sale e scende a salutare e a tenere compagnia ai Masucci. Questo vuol dire che contano ancora e che tanti preferiranno restarsene tappati in casa piuttosto che mettersi contro tutti noi. A cose finite sarò io stesso a fare l’elenco di quelli coinvolti . Li farò marcire in galera per il resto della loro vita.
Si è fatto tardi e voglio andarmene a dormire. Domani devo alzarmi presto , lo sai. Ti raccomando di vigilare perché come dicono tutti forse è proprio domani che vogliono attaccarci. E’ Domenica , e nessuno lavora . E i fessi quando non lavorano pensano , e quando pensano troppo , sbagliano >>.





























7 Aprile Domenica La Rivolta

A prima mattina Luigi Picone si presenta in Piazza con una penna rossa sul cappello in segno di provocazione .
Alle 17 Giovanni De Feo , seguito da altre persone gira per le strade inneggiando a Francesco II.
Ore 21,30 sul ponte del Freddano Giovanni De Feo grida “ Viva Dio ,
Viva Francesco II ” al passaggio del parroco Don Angelo Marino e del sacerdote Don Nicola Marra che escono dalla Chiesa di San Sebastiano , scappando poi sotto i Portoni. Davanti alla casa di Domenico Zirpolo fu Carlo , Alessandro Picone chiede a Don Angelo
<< Compare , viva a chi ?>> , ed il parroco gli dà una risposta evasiva dicendogli di badare di più alla Dottrina insieme ai ragazzi che stanno con lui.
Alle 22,45 Pietro Candela,vedovo della sorella di Alessandro Picone,
dalla finestra di casa vede un gruppo di giovani visibilmente eccitati davanti al fontanino del Freddano vicino alla casa dei Picone intenti a parlottare tra di loro. Sono Alessandro e Luigi Picone,Vincenzo e Angelo Mele , Nicola Marra , Raffaele Cutillo con il figlio Pasquale.
Alessandro è armato !
In quel mentre dal Candraone compare Raffaele Del Percio armato di scure che al grido di Viva Francesco II invita tutti alla rivolta.
E’ il segnale !
Pasquale Cutillo va a prendere una pertica , Nicola Marra un fucile ed un panno bianco che issa alla pertica in segno di bandiera . La danno in mano ad Angelo Mele ed incominciano a muoversi verso il Freddano gridando a squarciagola . Girano per via Croce e si dirigono al Carmine. Man mano che proseguono , si forma una folla incredibile, eccitata e determinata. Vanno per la Pozzella sparando in aria e tirando sassi alle case dei “Don”. La guardia nazionale si eclissa,per timore di soccombere.
Il corteo dei rivoltosi scende dal Campanaro e si avvia verso la Piazza. Nicola Marra fu Antonio scende in strada armato di fucile e cerca di fermare la folla che inneggiando a Franceschiello sembra un fiume in piena. Secoli di oppressione sembrano scomparire di fronte agli uomini che aprono il corteo. Alessandro e Luigi Picone , Raffaele Del Percio , Nicola di Bottino e gli altri sembrano gli angeli vendicatori,
padroni del territorio , e invulnerabili. Non c’è nessuno ad ostacolarli . Sono scomparsi tutti! E’ troppo facile per essere vero , ma è vero!
Come nelle processioni di San Sebastiano , il corteo rispetta nella sua composizione il prestigio dei componenti . Le prime file presentano i più determinati e i più forti nella scala sociale,seguono i poveracci ,
paurosi e tremanti , che si fanno coraggio nascondendosi dietro le schiene degli altri. Un giorno di gloria che potrebbe loro costare caro. Ma oggi non importa , succeda quel che succeda.
<< Viva Franceschiello , viva Franceschiello, viva Franceschiello! >>.
<< Li muorti di Garibaldi che ci ha venduto! >>
<< Impicchiamo i Masucci, i Luciani e i Vecchi >> .
Dal fondo del corteo queste grida di giovani nascosti , chinati in avanti per non farsi scorgere da chi controlla i loro gesti e le loro parole sembrano vendicare secoli e secoli di torti subiti , di angherie sopportate , di odio represso. Petto in fuori , testa alzata , passo fermo Alessandro Picone per il Freddano , Raffaele Del Percio per la Pozzella e Pasquale Cutillo per il Campanaro mostrano tutto il coraggio della loro paura e sembrano voler coprire il volto di chi dietro di loro non può permettersi di avere coraggio. Sanno che è inutile , ma ci provano lo stesso. O uccisi o briganti. L’importante è coprire gli altri che non possono morire per non far morire di fame i figli. Se si è scelta la notte , è proprio per sperare che le tenebre coprano i lineamenti degli altri che con cappelli calati sugli occhi e mantelli intorno al viso sembrano spiriti in cammino e se si è scelto i giovani è proprio per salvare i padri. Potevano essere tremila , ma avrebbero capito che erano tutti . Meglio essere in mille e imbrogliare sul numero. Chi nei giorni antecedenti era costretto a rispondere “ viva a chi comanda o viva a Garibaldi ” sta là in fondo al corteo a gridare “ viva Franceschiello , viva Maria Sofia ”con rabbia e rancore.
Sembra , ma forse è , una scena irreale, costruita. Sembra Carnevale quando tutto è permesso , e le guardie nazionali fanno finta di non vedere. La paura diventa coraggio di continuare e voglia che il tutto non finisca mai. La folla sembra una palla di cannone che percorre la strada con una traiettoria precisa e decisa che fa nascondere gli altri per non farsi distruggere e per nascondersi agli altri che la vogliono distruggere.
Nicola Marra capisce e scappa nel suo portone per non essere travolto e annientato. Sale al primo piano e affacciatosi con la moglie Maria Giliberti dalla finestra sembra riacquistare la forza dell’arroganza e inveisce contro chi sa che non dovrebbe permettersi di mettersi contro chi comanda.
Alessandro prende bene la mira e la fucilata finisce contro la bocca della donna. Il marito non ha il tempo di indietreggiare che il colpo di pistola del suo omonimo Bottino lo colpisce al braccio dx ed al collo facendo schizzare il sangue fin sotto il soffitto. Le grida sono soffocate dalle grida , mentre la folla è arrivata in Piazza. Tentano di sfondare il portone di Don Leonardo Masucci ( vi si trova nascosto Nicola Raimo ). E’ lui l’emblema del nuovo regime da abbattere ,
essendo Comandante in capo della guardia nazionale e Consigliere Provinciale del nuovo Governo italiano , ma non vi riescono. Si dirigono allora al posto di Guardia rompendo le effigi di Vittorio Emanuele e Garibaldi. Raffaele Del Percio e Giuseppe Nardiello con una scure mandano in frantumi lo stemma dei Savoia. Prendono fucili,
mentre altre armi le requisiscono ai notabili del paese. Angelo Usignuolo , armato , bussa al portone di Don Nicola Marino per farsi consegnare altre armi.
Al Campanaro intanto Giovanni De Feo , il fratello di Don Nicola è il primo ad accorrere dal suo vicino Nicola Marra e la scena che vede lo blocca in una morsa di orrore. Marito e moglie , riversi per terra ,
sembrano morti. Solo quando mette loro i sali sotto il naso si rende conto che possono essere salvati e con l’aiuto di altre donne li adagia sul letto. Nicola Marra non ha il coraggio di aprire gli occhi per paura di essere ancora colpito e nella sua mente vagano pensieri.
<< I freddanesi sono sempre gli stessi , bastardi e pericolosi. Per poco non mi uccidevano senza pietà e senza compassione. Ma domani la pagheranno cara. Li denuncio tutti. Alessandro Picone e suo fratello sembravano invasati , ma li farò arrestare e marcire in galera fino alla fine dei loro giorni >> .
Giovanni il farmacista capisce che non può risolvere da solo e manda una donna a chiamare Don Gioacchino Benevento il dottore . Nell’attesa cerca di medicare alla ben meglio la moglie di Nicola che sembra la più grave.
La donna mandata a cercare il medico si alza lo scialle intorno al viso e si affaccia al portone con timore e discrezione. Radente il muro scende verso la piazza , ma la moltitudine di folla che sbraita senza senso la costringe a ritornare su i suoi passi e riferire che è impossibile muoversi nel paese.
Vede , mentre ritorna su i suoi passi , Lorenzo Pedicino e i fratelli Sarno detenuti nel carcere mentre escono dalla prigione e si disperdono tra la folla festante.
La notte in casa Marra passa lenta e piena di gente che vuol rendersi utile. Nicola semi tramortito continua a far finta di essere svenuto e riflette sul da farsi. L’idea gli viene improvvisa e geniale. Se teme la vendetta di Alessandro Picone su una sua eventuale denuncia alle guardie , può vendicarsi senza paura del suo vicino di casa Giovanni Cianciulli dicendo che è stato lui a sparargli approfittando della confusione. Prenderebbe due piccioni con una fava e non rischierebbe una ritorsione dai tanti fratelli del Picone che stanno dimostrandosi dei veri briganti. D’altronde quel bastardo del Cianciulli gli aveva scassato una tavola in testa prendendolo alla sprovvista nella cantina di Nicolantonio Marra e vederlo in galera potrebbe sminuire la sua rabbia impotente.
Un sonno tormentato dal dolore fisico e dalle grida che piano piano si disperdono nella notte fredda e umida si interrompe alla prime luci dell’alba su una Volturara deserta e piena di nebbia.











8 Aprile Giovanni Volpe 16 anni ucciso dai piemontesi

Il canto dei galli in lontananza sembra un richiamo per raccontarsi l’accaduto , mentre il cinguettio abituale degli uccelli diventa la colonna sonora di un giorno troppo particolare che sarebbe rimasto per sempre nella memoria di tutti. Caso strano, poche mucche scendono dal Campanaro e dalla Pozzella per avviarsi in campagna , mentre gli accompagnatori nemmeno si guardano , ma col capo chino sembrano voler dire “ io non c’ero ! ”. Come se la sbornia fosse passata e con essa un brutto sogno che si vuole allontanare dalla mente. Nemmeno davanti al posto di Guardia nel Palazzo di Don Michele Masucci c’è anima viva e le solite due sentinelle di guardia sono scomparse nel nulla. Quasi tutti aspettano sperando che non succeda niente . Che sia una giornata come le altre . Pochi sanno quello che avverrà fra poco.
Il sergente della Guardia Nazionale Giuseppe Di Meo esce dal portone del Capitano comandante Don Leonardo Masucci e guarda i sei rintocchi dell’orologio del Campanile , poi si avvia alla casa di fronte. Ne esce dopo alcuni minuti con Alfonso de Cristofano ed insieme vanno a spedire un telegramma ad Avellino indirizzato al Governatore Nicola De Luca. La risposta arriva verso le sette e mette i brividi ai due “ Il Governatore della Provincia alla testa di mille uomini sta marciando verso Volturara dove conta di arrivare alle nove. Tutti i responsabili dell’ordine pubblico si facciano trovare sul Comune per una riunione operativa , Sindaco in testa ! “ .
Con fare serio e celere si avviano sul Comune già aperto e affrettando il passo si dirigono alla stanza del Sindaco. La concitazione delle loro voci richiama l’attenzione degli impiegati che prima dell’orario si erano recati al Comune su ordine del Sindaco. Capiscono che qualcosa di grosso sta per accadere e cercano di interpretare il senso dei discorsi tra Don Gennaro Vecchi ed il sergente Di Meo. La scoperta della verità gela loro il sangue nelle vene. Vincenzo Pennetti , il segretario comunale , scende a pian terreno e chiama il guardaboschi Lomazzo ,
ben sapendo che è fedele a Re Francesco.
Come se già sapesse tutto, quest’ultimo cerca di rassicurare Don Vincenzo , e uscendo alla chetichella si avvia al Freddano.
Alessandro Picone sta davanti casa sua mentre dà ordine al garzone di far uscire le mucche con calma dalla stalla senza bastonate. Il guardaboschi gli passa affianco e , senza guardarlo , continuando a camminare , gli sussurra veloce
<< sta arrivando l’esercito , scappate! >>.
Lo sguardo di Alessandro si perde sulla schiena dell’impiegato che continua a camminare senza voltarsi , come per capire il senso delle parole ascoltate , poi , come colpito da una fucilata , rientra in casa e gridando sveglia i fratelli. E’ un correre da una casa all’altra . E’ una voce da una finestra all’altra . Poi tutti scappano senza un senso , senza una meta .Chi verso la Costa , chi verso la Maroia , chi verso Ammonte. Donne con passo veloce e silenzioso da una casa all’altra diffondono la notizia . Ragazzi correndo senza passare dalla Piazza vanno al Campanaro ed alla Pozzella ad avvertire i capi rivolta per farli mettere in salvo .
Un rumore sordo in lontananza si ripercuote nella vallata come un tuono che rimbombando si avvicina apportatore di una grande tempesta. Le donne chiudono gli usci e rannicchiate sulle cassapanche di fronte ad un fuoco spento con l’acqua , stringono al petto ragazzi e bambini ignari di tanta paura.
Le prime fucilate dalla parte iniziale del Freddano , dal Carmine e dalla Cupa fanno capire che è iniziata una manovra di accerchiamento,
orchestrata e diretta da persone che conoscono bene il territorio e le vie di fuga. Una paura immotivata , primitiva fa scappare da dietro le finestre quei pochi coraggiosi che vogliono capire qualcosa e un silenzioso pregare si diffonde su tutti come in attesa della fine. Nel silenzio della paura gli echi degli spari sembrano colpire ognuno facendoli sobbalzare e stringere gli occhi ed i denti come raggiunti da ogni colpo sparato in lontananza.
Giovanni Volpe era sceso dal Candraone in Piazza per assistere all’arrivo dei soldati e con l’ingenuità dei suoi sedici anni osserva nascosto dietro l’Orto della Chiesa l’andare vieni in Piazza ,
ammirando le divise dei bersaglieri ed i cavalli che sembrano grandi quanto una casa. Le urla degli ufficiali ed il pennacchio del vecchio che sta dando gli ordini gli ricordano i racconti del nonno.
<< Quello è Garibaldi! pensa. Madonna ,Garibaldi a Volturara !
sarebbe bello se potessi andare con Lui . Lo dirò a mamma che appena faccio diciotto anni andrò a combattere con la camicia rossa dei garibaldini >> .
L’alto là gli arriva improvviso come una fucilata e la paura gli dice solo di correre , tanto sa che non lo prenderanno mai. Corre , e sente nella mente i consigli che la madre gli aveva dato la mattina.
<< Giannì , non farti vedere dai soldati , quelli ti sparano prima di arrestarti. Non sanno nemmeno la nostra lingua perché parlano italiano. I fessi come noi non hanno diritto né a parlare né a chiedere spiegazioni. So già come sei fatto , tu . I guai te li vai a cercare da solo con il lanternino . Non uscire di casa , è troppo pericoloso >> .
Duecento metri di corsa e i soldati sono già distanziati. Le loro urla si perdono in lontananza. Arriva al ponte e svolta nel torrente che scende impetuoso dalla montagna.
Gli spruzzi dell’acqua fredda che gli arrivano in faccia sembrano mani che frenano la sua corsa . Le pietre sotto i suoi piedi diventano cavalli da domare , mentre una forza che non pensava di avere gli mette le ali addosso.
Un dolore improvviso alla caviglia lo fa cadere in acqua . Si rialza , ma riesce solo a trascinare la gamba . Impreca , ma continua ad andare avanti. Smaneggia nell’acqua come a trovare una leva per riprendere una corsa che non viene. Sa che deve attraversare il torrente ed inerpicarsi verso il costone della Maroia . Solo allora può salvarsi. La sponda opposta lo accoglie tremante e spaurito. Sembra un uccellino con un’ala rotta che vuole prendere il volo , ma riesce solo a dibattersi senza riuscire ad alzarsi da terra. Strisciando trascina la gamba e si avvia in alto verso il costone.
Lo sparo rimbomba nella gola del torrente come una cannonata , e si riverbera in mille rumori . Gli entra nel fianco destro dal basso verso l’alto.Un bruciore al petto. Una lama rovente che lo attraversa improvvisa e veloce. Rimane appeso in posizione innaturale , con le braccia in alto alla ricerca di un appiglio ed il volto perso nell’erba.
Una scarica di colpi dall’alto coglie i soldati che si stanno avvicinando alla loro vittima e li spinge ad indietreggiare. Capiscono che i rivoltosi sono asserragliati su quelle alture e preferiscono ritornare in Piazza per fare un rapporto sull’accaduto al Comandante , il Governatore della Provincia Nicola De Luca. Sul Comune il Sindaco Gennaro Vecchi sta segnalando ad uno ad uno i nomi dei rivoltosi al maggiore dei Piemontesi Gioacchino Orta.
Alle 10,30 Emanuele Salerno,mentre si reca da Giovanni Salerno per farsi prestare l’asino , al Crocevia davanti alla cantina del fu DomenicoAntonio Salerno viene colpito al braccio da un colpo di fucile dei Piemontesi che al suo tentativo di fuga gli intimano l’alt.
Viene ferito alla testa ed al braccio anche Giosuè Marino , mentre con zappa in spalla va a seminare patate.
Matteo Masucci di 20 anni dopo aver dato da mangiare alle mucche si apparta per un bisogno fisiologico dietro una siepe , richiamato da due Guardie Nazionali forestiere mentre si alza viene colpito da una fucilata che lo ferisce dietro l'orecchio sinistro.
Verso mezzogiorno la situazione si calma.
Sono stati catturati Alessandro Risoli , soldato sbandato ; Emanuele Candela , Antonio Buonopane , Luigi e Rosario Di Genua di Montella.
Vengono perquisite le case di Rosa Marino moglie di Alessandro Marra , di Vincenzo Di Meo , di Rosaria Masucci moglie di Vincenzo Mele , di Gaetana Picone madre di Alessandro. Alcuni oggetti d’oro vengono rubati dalle Guardie Nazionali.
Scappano sulle montagne Alessandro Picone , Raffaele Cutillo , Nicola Marra , Angelo Usignolo , Bernardo De Cristofano , Mariano Risoli , Angelo Mele , Giuseppe Nardiello , Luigi Picone , Elia Petito.
Ore 13 un terzo telegramma del Governatore ad Avellino fa capire che la situazione è sotto controllo. Continuano le perquisizioni e gli arresti per tutto il pomeriggio dietro segnalazione dei vari notabili. Al Freddano Don Salvatore Sarno mentre sta entrando in casa di Vincenzo Mele , per una perquisizione , schiva per miracolo una fucilata sparata dall’alto della montagna dal proprietario che era nascosto nella boscaglia.
Una pioggia frammista a neve con vento freddo di tramontana accompagna il pomeriggio di centinaia di fuggiaschi che , nei pagliai delle selve , senza poter accendere il fuoco per non essere visti dalle guardie , si preparano ad una notte che potrebbe essere l’ultima da uomini liberi .

9 Aprile . Ferdinando Candela , Pagliuchella.

La nebbia fittissima e fredda ,
sparsa su tutta la vallata si insinua tra i castagni e fa intravedere ombre che passando da un albero all’altro si abbracciano piangendo e cercano di fare il conto della situazione per capire in quanti siano e che fare per affrontare una realtà che si presenta drammatica e senza via di uscita. Una notte insonne è servita a tutti per mantenere i contatti e non cadere in imboscate.
In paese l’ordine del Governatore è perentorio. Nessuna guardia o soldato deve inseguire i fuggiaschi sulle montagne per evitare perdite inutili su un territorio impervio sul quale i rivoltosi sanno bene come muoversi.
La notizia di questa che sembra una tregua , portata da un ragazzo inviato apposta , arriva passando di bocca in bocca dal Ceraso all’Acquameroli. Molti tirano un sospiro di sollievo , convinti di avere perlomeno il tempo per prepararsi ed organizzarsi ad affrontare una vita che si preannuncia piena di sofferenze . Altri sono subito presi dallo sconforto di finire prima o poi con una pallottola nella schiena , sparata da un soldato. C’è chi vuole costituirsi subito sperando nella clemenza dei vincitori ,
ma la determinazione e la cattiveria vista negli occhi dei piemontesi toglie ai più la benché minima speranza di uscire in qualche modo da una situazione che può fare solo piangere. Il freddo è pungente e per terra il nevischio , che la diminuzione di temperatura della notte ha trasformato in una sottile lastra di ghiaccio , cede sotto i piedi e lascia le orme di chi passa. Nessuno è organizzato a sopportare un freddo così intenso e la fame incomincia a farsi sentire.
Il passaparola indica in breve tempo che bisogna radunarsi in gruppi e che un esponente di ogni gruppo deve recarsi sul Cretazzuolo nella raduna della sorgente a ricevere notizie e disposizioni e raccogliere i viveri che i ragazzi e altri coraggiosi , sfidando il cordone di controllo delle guardie nazionali, stanno portando in montagna.
La cappa di nebbia che non accenna a diminuire sembra complice dei loro movimenti e davanti al pagliaio verso mezzogiorno ci sono tutti i capi rivolta infreddoliti , ma decisi.
Alessandro Picone prende la parola chiedendo il silenzio assoluto.
<< Ragazzi! ormai Volturara è circondata dai nemici piemontesi ,
aiutati da quasi tutti i Don che capendo la situazione prima di noi si sono venduti allo straniero e ci denunceranno ad uno ad uno. Chiedo a voi idee e proposte per far fronte a questa situazione che ci vede ormai tutti coinvolti >> .
Chiede di parlare Ferdinando Candela , già alla macchia da alcune settimane
<< Era mio destino arrivare a questo punto . Ne ho passate tante e questa non sarà certo l’ultima. Io non voglio più tornare da pecora in paese e farmi arrestare per far contento qualche fetente della piazza . Organizziamoci in gruppi che attaccheranno il paese e cacciamo i piemontesi e tutti i loro amici. Chi ha paura , può scendere di notte e sperare che nella confusione non si siano accorti della sua assenza e che nessuno dei traditori lo abbia messo nell’elenco dei rivoltosi. Io resto e vado avanti, chi vuole , può seguirmi per fargliela pagare cara a chi ci ha venduto >> .
Alle parole di Ferdinando un brusio di approvazione si leva tra i presenti che iniziano a parlottare tra di loro cercando di organizzarsi per creare delle squadre per passare all’azione.
Alessandro Picone li guarda in silenzio e capisce che tutto è finito.
Il sogno di riportare Francesco II sul trono di Napoli si infrange contro la forza e l’esperienza piemontese supportata dalla furbizia di notabili saliti subito sul carro del vincitore. E’ un si salvi chi può , in cui vincerà solo la violenza e vedendo chi si avvicina a Ferdinando Candela per esprimere approvazione stringendogli la mano si rende conto che i più facinorosi di Volturara stanno uscendo allo scoperto e si immagina gia che approfitteranno della confusione per creare terrore e forse morte. Sa che Alessandro Masucci malaoi , Alessandro Picardi, Giovanni Spatola , Giuseppe De Feo , Gaetano Picardo, Salvatore Di Meo ed gli altri che confabulano con Alessandro Candela sono tra i più spacconi del paese , sempre pronti a risse e spesso anche a furti pur di non lavorare. Non può far cadere nella merda un lavoro costruito con serietà e abnegazione che, già distrutto dagli eventi , rischia di diventare una tragedia senza fine.
Non ha paura per sé , ma per i tanti che credendo in lui , lo hanno seguito in questo imbuto senza alcuna via di uscita.
Per un attimo pensa di eliminare Ferdinando Candela , ma desiste subito sapendo che un altro sconsiderato prenderebbe il suo posto e sarebbe ancora più pericoloso. Decide di aspettare gli eventi e dedicarsi all’organizzazione dei tanti fuggiaschi per provvedere al superamento di questa fase terribile senza provocare ulteriori ed irreversibili danni.
Lo distrae dai pensieri Raffaele Del Percio :
<< Non ti crucciare troppo , Alessandro! La colpa non è certamente tua per quello che è successo. Ci abbiamo provato e ci è andata male. L’importante adesso è non rimetterci la pelle. Alla fine non abbiamo ammazzato nessuno e se tutto va male potremo costituirci. Passeremo qualche mese in prigione, ma se scendiamo con le mani alzate , non avranno certo il coraggio di spararci addosso. Però lascia che ti dica che mi sono divertito e succeda quello che succeda non scorderò mai quella notte. Sembravamo le legioni romane alla conquista della Gallia , come diceva il mio vecchio maestro Don Cosmo Benevento , pace all’anima sua. Non ci abbiamo pensato , ma era prevedibile che finiva in questo modo. Quando i Masucci ed i Vecchi scelgono una barricata sanno già come va a finire. L’anno scorso erano borbonici contro i liberali , quest’anno sono liberali contro i borbonici. Beati loro! >>.
<< Pilocroce, sei sempre il solito chiacchierone , gli risponde Luigi il fratello di Alessandro. Non ti rendi conto di quello che sta succedendo in piazza. Ci sono mille soldati schierati pronti a sparare su qualunque cosa si muova. Per adesso non dobbiamo muoverci dalla montagna . Dobbiamo aspettare perlomeno che se ne vadano , prima o poi dovranno farlo. Anzi se ci attaccano cerchiamo di salire verso il Terminio. Lì avremo più possibilità di nasconderci e di fuggire da un eventuale accerchiamento >> .
Elia Petito gli fa eco non nascondendo nelle parole una preoccupazione che denota paura:
<< Con noi abbiamo quasi duecento persone. Si , siamo quasi tutti giovani , ma non potremo resistere a lungo. Dobbiamo inventarci qualcosa per sopravvivere. Chi ha un’idea ce la dica , altrimenti io vado in crisi e non so di che cosa sarò capace >> .
<< Per prima cosa allontaniamoci da questi quattro bastardi che se combinano qualche guaio come credo, faranno cadere la colpa su di noi , le parole di Nicola Marra bottino creano un silenzio carico di tensione , conosciamo bene Ferdinando Candela .Un’infanzia senza il padre Luigi , che a sua volta era già mezzo sbandato per la perdita del padre in tenera età , introverso e scostante , spietato e nullafacente,
approfitterà dell’occasione per ingrossare la sua banda di rapinatori e prevedo grossi guai per chi transiterà per il Malepasso. Già ci chiamano briganti , come quelli che cinquanta anni fa scapparono per non andare nell’esercito di Napoleone e di Gioacchino Murat e sperarono nel ritorno dei Borboni. Braccati come bestie, li fecero diventare peggio delle bestie e come bestie li ammazzarono. Se qualcuno si salvò , fu perché sul trono di Napoli ritornò il bisnonno di Franceschiello. Stavolta non credo proprio che accadrà la stessa cosa. Secondo me in ogni caso siamo fottuti . Trovatemi una via di uscita,altrimenti esco pazzo anche io >> .
<< Ragazzi , su con la vita ! Angelo Solito li interrompe per tirare su un po’ il morale degli amici , alla fine siamo armati ed in montagna. Diamoci da fare. Vediamo chi riesce a portare qualcosa da mangiare. Ci sono lepri e merli. Se Vincenzo Mele è quel cacciatore che dice di essere , dovrebbe portarci minimo un cinghiale bello e pronto da cucinare. Non voglio certo cibarmi di rape e radici di alberi ! >> .
Una risata fragorosa accompagna queste ultime parole , ma non serve a far parlare Vincenzo Mele che seduto su una grossa radice di castagno con le mani appoggiate al mento guarda in lontananza tra gli alberi , mentre i primi raggi di sole fanno posto alla nebbia che si dirada lentamente. Non sa a chi stare a sentire. Da una parte vorrebbe seguire Ferdinando Candela e gli altri per una guerra totale contro tutti e dall’altra non vuole abbandonare i suoi amici di sempre per unirsi a gentaglia che ha sempre schifato ed evitato. Alla fine sbotta quasi gridando
<< La situazione è più seria di quanto vogliate farmi credere. Non voglio e non posso restare inerme ad aspettare un miracolo di San Sebastiano che non arriverà mai. Stasera torno in paese a prendere le armi e se siete disposti a seguirmi li faremo tremare tutti di paura. Non seguiremo certo quei quattro fessi che si sono messi con Ferdinando Candela destinati a fare una brutta fine , ma possiamo continuare la lotta contro i venduti ai Piemontesi in attesa che arrivando i borboni , come dicono, possiamo ritornare a casa dalle nostri mogli e figli. E rivolto a Giuseppe Nardiello zeza , continua, Peppino , tu hai fatto il soldato e sai come organizzare un gruppo di assalto. Prenderai , se vuoi, tu il comando e colpiremo con attacchi improvvisi e veloci su varie parti del territorio ritornando sempre e velocemente al punto di partenza per non farci sorprendere divisi e facile preda per le guardie nazionali >> .
Alessandro Picone accendendo il fuoco chiede a tutti una pausa di riflessione per evitare che la tensione nervosa possa provocare decisioni inconsulte e risponde subito a Vincenzo che personalmente non approva la sua idea trovandola completamente sbagliata.
L’arrivo di Sebastiano Solito portatore di notizie dal paese , viene festeggiato con pacche sulle spalle e l’invito a sedersi e raccontare gli ultimi sviluppi della situazione in paese.
Il ragazzo con il viso stravolto dice della situazione che si sta vivendo a Volturara. Soldati che sparano ad ogni movimento senza chiedere spiegazioni su qualunque cosa si muove. Decine e decine di persone ammanettate e condotte sul Comune dal quale scendono dopo tempo per essere portate direttamente in carcere. Pianti , silenzi,imprecazioni,
strilli di chi cerca di gridare la sua innocenza non creduta. Dice che il parroco Don Angelo Marino è stato arrestato in sagrestia mentre si preparava per la messa e con lui i fratelli avvocati Alfonso e Mattia Marra e che le guardie nazionali finora impaurite e preoccupate , di fronte alla forza dell’esercito capendo che indietro non si torna,
cercano di mostrarsi fedeli al nuovo corso , al nuovo padrone ed arrestano tutti coloro che sanno restii a Garibaldi. Quel “ viva a chi comanda ” viene sostituito da una risposta univoca e ferma “ Viva a Garibaldi e a Vittorio Emanuele ”. Sanno i nomi di tutti i rivoltosi ad uno ad uno , e nessuno scamperà al carcere. L’ansimare del ragazzo è l’unico rumore che si avverte tra gli sguardi preoccupati e tesi degli astanti.
<< Stiamo calmi e riflettiamo. Non possono ucciderci tutti ! Riposatevi , ne avete il tempo. E tu , Luigi , vai verso la Costa ed avverti della situazione Alessandro Candela. Non merita , ma dimostriamoci disponibili. Potrebbe servirci >> .
Con un cenno di capo Alessandro invita il fratello a mettersi in cammino con piglio di chi non lascia adito a riposta. E Luigi Picone senza rispondere si avvia verso il punto dove sa che il gruppo del Candela può essersi rifugiato. La salita è immane, e quando arriva alla cima della montagna gira a sinistra calandosi per passare sotto i rovi che sembrano una foresta inespugnabile. La vista della caverna sembra tranquillizzarlo e la voce alla sue spalle non lo coglie di sorpresa.
<< Luigi , che vuoi da noi ?, pensavo che ti fossi arreso . Vedo che vuoi unirti al nostro gruppo , bravo! >>.
Alessandro Masucci, Malaoi parlando sorride in modo strano , quasi provocatorio. Ma Luigi non sembra farci caso. Gli ripete quello che aveva sentito poco prima e senza aspettarsi una risposta , se ne torna sui suoi passi.
L’interlocutore più che sorpreso si mostra interdetto , quasi a chiedersi del perché della venuta del Picone e che abbia voluto dire con quelle parole , ma decide di riportare tutto, a quello che ormai considera da qualche ora il suo capo. Attraverso un cunicolo lungo una ventina di metri ed alto circa un metro , arriva in una grotta ampia e illuminata in un angolo da un fuoco che rende l’aria quasi irrespirabile , ma che spezza il freddo pungente ed umido che le strisce di acqua ,diventate di ghiaccio si sprigionano dalle pareti rocciose. Un rifugio inaccessibile e protetto che garantisce la tranquillità di non essere presi e abbastanza grande da contenere decine di persone .
Ferdinando Candela ascolta in silenzio le parole di Malaoi e prende spunto da quello che ha sentito per spiegare ai compagni le sue intenzioni
<< Innanzitutto da oggi 9 Aprile 1861 dimentichiamoci delle nostre famiglie e dei nostri nomi. Il passato non conta più , perché è stato amaro e avaro con noi. Volevamo comandare su quelli della piazza con la forza e non ci è stato possibile. Li comanderemo con la paura ! Dovranno tremare dinnanzi a noi tutti . Buoni e fessi. Lavoreranno per noi e ci arricchiranno con le loro ricchezze. Dobbiamo subito dimostrare stasera di che pasta siamo fatti. Scenderemo in paese e ci procureremo con la forza il sostentamento. Il primo che dovrà conoscerci sarà proprio quel bastardo di Sindaco che tomo tomo fotte sempre tutti. Papalino e bigotto , è peggio di suo padre, l’esattore della tasse. Comandava coi Borbone e comanda coi piemontesi, caccia soldi anche dai santi e noi lo manderemo all’inferno , parola di Ferdinando Candela, anzi parola di Pagliuchella , come si faceva chiamare mio nonno Pietro,buonanima >> .
Decidono di scendere verso l’imbrunire ed in un’ora si trovano in contrada Occhitelli alla masseria Vecchi. Il custode al sentire i colpi alla porta si sveglia e nell’aprire l’uscio riceve in faccia la canna di un fucile. In un baleno arrivano al piano di sopra e svegliano la moglie tappandole la bocca per non farla gridare. Legati i due nella camera da letto , scendono in cantina , decisi a trascorrervi una nottata indimenticabile tra tutto quel ben di Dio.










10 Aprile 200 rivoltosi scappati sulle montagne

Il canto dei galli e l’abbaiare dei cani in lontananza trova Pagliuchella e i suoi compagni semi addormentati sui sacchi di farina sparsi alla rinfusa nel grande stanzone , sottoposto alla strada. All’improvviso, Malaoi rimasto di guardia davanti la masseria , rientra nella cantina e scuotendo i compagni li invita a svegliarsi senza fare rumore , mettendosi l’indice sulla bocca.
Il sordo e ritmico rumore che si avvicina li fa sobbalzare e li avvicina alla porta socchiusa. Da lontano , nel cupo rumore della marcia, i soldati immersi in una nebbia irreale sembrano anime dannate dirette nel cammino della distruzione.
Sgranano gli occhi e si appendono con le mani alle grate delle finestrelle per osservare da vicino una scena che incute paura , mentre i soldati passano vicino alla masseria , a pochi passi dalla loro teste. Vedendoli piano piano scomparire in lontananza incominciano a saltellare abbracciandosi
<< Se ne vanno , se ne vanno! Siamo liberi. Si respira finalmente !>> .
Gaetano Picardo , sembra fuori di sé per la contentezza.
<< Sbrighiamoci a raccogliere roba , altrimenti appena fa giorno sarà difficile rientrare in montagna >> . La voce dura e decisa del capo li distoglie dal loro parlottare e da quel momento prendere i cavalli nella stalla , caricarli di roba per poi andarsene in fretta e furia , si risolve in pochi minuti.
Attraverso Vallone Oscuro salgono verso le tre rocce appuntite , i cosiddetti caciocavalli , e si dirigono verso la proprietà di Giovanni De Feo , nella raduna prima della caverna che è diventata il loro rifugio. La refurtiva viene messa in diversi posti , dalla cavità degli alberi a sotto le foglie dei pagliai della zona. Alla fine tutti seduti intorno al fuoco della grotta a riscaldarsi dal freddo patito. Pagliuchella di solito taciturno appare euforico:
<< Ragazzi, abbiamo raccolto cibo per tutto l’inverno. Dobbiamo essere soddisfatti. E’ più facile di quanto credevo . Diventeremo ricchi e temuti. Questi conigli dei nostri compaesani si caleranno le braghe di fronte ad ogni nostra richiesta e , se qualcuno oserà opporsi,
giuro , gli taglierò la testa e l’appenderò al tiglio in Piazza come monito agli altri. Non avendo problemi di viveri , possiamo dedicarci per un poco di tempo ad organizzaci in maniera ottimale sul territorio ed impedire a chiunque di avvicinarsi al nostro nascondiglio. Meno siamo per adesso e meglio stiamo >> .
Gli altri approvano con cenni di assenso distratti come sono a riordinare il bottino conquistato , mettendo da parte ogni cosa con cura.
L’atmosfera che si respira un paio di chilometri più giù è diversa e oppressiva. Il freddo , la fame e la paura di non rivedere mai più i propri cari ha fiaccato la resistenza della maggioranza dei fuggiaschi.
Alessandro Picone si sente responsabile di tutta questa catastrofe e passa intere ore appoggiato con le spalle ad un albero con lo sguardo perso lontano.
Nella sua mente ruotano gli avvenimenti degli ultimi giorni e non riesce a trovare uno spiraglio che lo conforti dal suo rammarico. Vorrebbe scendere in paese con una pertica con una bandiera bianca in cima in segno di resa , non tanto per sé , ma per quelli che ,per seguirlo stanno distruggendo la propria famiglia , le mucche da alimentare , le terre da seminare , il grano da sarchiare. Ogni giorno che passa diventa un problema serio e tanti poveri cristi , protagonisti per un giorno , avranno sulla coscienza la fame dei loro figli nel prossimo inverno senza cibo e senza latte. Ma quale sarà la reazione delle guardie nazionali , che forti dell’appoggio dell’esercito , possono avere reazioni pericolose e scomposte ?. Qualcuno potrebbe lasciarci la pelle e non se la sente di far rischiare la vita a chi non ha commesso nessun reato grave. L’unica via di uscita è farli scendere uno alla volta in posti diversi per ritornare a casa alla chetichella sperando di non dare nell’occhio. Lui ha deciso che resterà in montagna in attesa di eventi favorevoli anche per controllare suo fratello Luigi , che nel seguire Vincenzo Mele e Giuseppe Nardiello non rischi di fare una brutta fine. La determinazione vista nei loro occhi non gli piace , ma non può fare niente. Solo il tempo potrà aggiustare tutto.


8 maggio Una madre muore di crepacuore per i figli in carcere

Davanti al portone a crocchi decine di persone parlano sottovoce. Sulle scale appoggiate al muro le donne con il capo chino sembrano testimoni di una tragedia nella tragedia . Chi sale ha poco spazio per passare in un silenzio di rispetto e di dolore.
<< povera Donna Annarella Marrandino , morire di crepacuore per i figli in carcere è la cosa più brutta che possa capitare. Quanti sacrifici per crescerli e mandarli a scuola . E poi per un sospetto , per una calunnia essere trattati come ladri o assassini. Che brutti tempi ! >>. Brigida Marra non sa darsi pace per aver perso la compagnia della signora . La vicina si intromette nel dialogo affermando di avere novità
<< I figli hanno saputo la notizia in carcere e soprattutto Don Mattia piange come un bambino. Si sente responsabile della sua morte. Ma povero uomo , che colpa ha , se lo hanno arrestato ingiustamente ?>>
<< Sarà stato pure arrestato ingiustamente, le fa eco un’altra sottovoce, ma la voce pubblica afferma che i due fratelli sono i promotori della rivolta contro il nuovo Stato . Io voglio farmi i fatti miei , ma il Capitano Masucci ha fatto arrestare uno di Avellino, un certo Scarduzzo, che aveva appena consegnato una lettera a Don Alfonso , nella quale ,si dice, c’erano tutte le istruzioni per la rivolta di un mese fa >>.
<< Non è vero quello che dici , risponde stizzita Brigida , la lettera l’ho vista io e conteneva solo notizie di una causa che si deve svolgere ad Avellino nella quale gli avvocati Marra erano interessati. La verità che stanno arrestando tutti , senza la minima prova. Ho l’impressione che i soliti hanno trovato l’occasione buona per vendicarsi di tutti quelli che erano loro antipatici. Solo dal 15 Aprile hanno arrestato 35 persone . E non dimentichiamo che Don Nicola De Feo, il sacerdote , solo per aver dimenticato un particolare , il 19 Aprile è stato arrestato in aula mentre testimoniava e che sta ancora carcerato. E con gli interrogatori che stanno conducendo i giudici mettono dentro chiunque sbaglia una parola come Giovanni Sarno o Vincenzo Masucci. Non ho mai visto così poca gente alla processione di San Michele come oggi. Sono veramente tempi brutti.>>.

16 Luglio Sentenza della Gran Corte Criminale contro i rivoltosi

La notizia del verdetto del tribunale di Avellino di ieri che ha prosciolto il Parroco , i fratelli avvocati Marra e molti altri implicati nella rivolta del 7 Aprile fa il giro del paese in un baleno e giunge alle orecchie dei tanti fuoriusciti nascosti sulle montagne. Gli ultimi avvenimenti ed in particolare lo scontro alle Tavernole in cui era stato ucciso il sergente Giuseppe De Meo il 2 Luglio , la venuta del Governatore con più di mille soldati a sedare la razione dell’8 Luglio e la volontà del nuovo Governo di ripartire le terre tra i poveri per impedire nuove rivolte ha creato nuovi scenari in cui è difficile muoversi. Isolati da tutti , i ricercati fanno fatica a procurarsi il cibo e a sottrarsi alla cattura. Ognuno si sente isolato e responsabile del proprio destino e Giuseppe Nardiello , il capo della banda riesce a fatica a mantenere il gruppo unito. La riunione indetta al Cretazzuolo è sentita e tutti sanno che dalla decisione finale dipende il destino e la vita di tutti. Il primo a prendere la parola è il capo, che ammette tutta la sua amarezza
<< ci siamo divertiti per più di tre mesi , abbiamo fatto tremare i potenti di Volturara , come non mai . Ma stamattina mi corre l’obbligo di avvertirvi che la situazione è grave. Il territorio pullula di guardie venute da molti paesi . Questi hanno deciso di distruggerci e ci riusciranno . Non è più come nei mesi scorsi quando eravamo noi padroni del territorio ed avevamo potuto rapire i ricchi per procurarci da mangiare. I tempi dei rapimenti di Don Gennaro Vecchi , di Pietro Lepore o delle estorsioni ai danni di don Nicola Benevento o di Don Achille Vecchi sono finiti. Da oggi occorre un’organizzazione forte per attaccare il paese e procurarsi il necessario . Io francamente non me la sento e ho deciso di consegnarmi alla legge . Sarò accusato di omicidio , ma con un po’ di fortuna cercherò di cavarmela. Voi decidete in piena autonomia , anche perché non siete accusati degli stessi reati miei e potete cavarvela con un poco di carcere>>.
Luigi Picone , senza parlare , lascia il fucile in mano a Giuseppe Nardiello e si allontana in direzione del paese . Gli altri capiscono e lo lasciano andare.
Ferdinando Candela Pagliuchella , chiede la parola alzando il dito ed incomincia
<< Giuseppe, noi ti ringraziamo per quello che hai detto, ma ,
parlando a nome degli altri , ti dico francamente che non abbiamo intenzione di arrenderci. Tu fai come meglio credi . Ti chiediamo solo di aspettare ancora qualche giorno prima di consegnarti ai carabinieri , per permetterci di allontanarci dal territorio. Ho già preso contatti con i montellesi. Ci uniamo a Cicco Ciancio e che Iddio ce la mandi buona. Meglio morire liberi che in catene ad Avellino. Siamo in quattro , ma se aggreghiamo gli altri spersi nelle montagne diventeremo un esercito ed allora chi vivrà , vedrà ! >>.
Giuseppe Nardiello annuisce , senza parlare ed il pensiero corre a trenta giorni prima , quando Alessandro Candela , il fratello di Ferdinando gli aveva tirato una coltellata in pancia , accusandolo di essere la rovina della sua famiglia. Oggi con quelle parole si sente più libero, sa di aver posto una scelta che gli altri coscientemente hanno rifiutato.
Pagliuchella ed i suoi amici raccolgono la poca roba necessaria e si avviano verso Verteglia. Cicco Ciancio li accoglie a braccia aperte . Sa di essere diventato più forte con la presenza di questi quattro volturaresi , anche perché Ferdinando Raimo, con lui da alcuni mesi, negli ultimi tempi ha manifestato i sintomi del vaiuolo e le sue condizioni di salute stanno peggiorando, costringendolo a stare a letto per intere giornate arso da febbre e brividi. Sa anche che sarà difficile che se sa cavi , per mancanza di cure adeguate e di cibo a sufficienza, ma si è tanto affezionato al ragazzo che è pronto a qualsiasi sacrificio pur di salvargli la vita.
Nei giorni seguenti il gruppo resta nelle vicinanze della baracca dove riposa l’ammalato finché in una mattina di Agosto Ferdinando Raimo spira tra il dolore sincero di tutti e viene seppellito sotto un faggio , con una piccola croce di legno a ricordarne il posto.






15 Agosto La rosa del Terminio .

La sera cala silenziosa , ed il fresco sospiro del vento sembra contrastare l’atmosfera triste e malinconica che si aggira nella grotta . Nessuno ha voglia di parlare .Gli occhi evitano di incontrarsi ed ognuno cerca di distrarre la mente , chi pulendo il fucile , chi togliendo a ritmo lento la corteccia da un pezzo di legno con il coltello.
<< Fosse stato ucciso in combattimento , mi sarei rassegnato al destino , ma vederlo morire senza poter far niente è come se la Natura si fosse accanita contro di lui cento volte >> , Cicco Cianci con il volto tra le mani cerca più di dare un conforto agli altri che a se stesso, ormai abituato mentalmente all’idea della morte dietro l’angolo.
<< Non fartene una colpa , aggiunge Gaetano Picardo , Ferdinando ha perlomeno raggiunto la pace eterna e sicuramente , se esiste , Dio lo perdonerà per le troppe sofferenze patite senza colpa e lo accoglierà tra gli angeli del suo Paradiso. La Natura non è cattiva , osserva solo gli avvenimenti del mondo senza intervenire e soffre quando un’anima giusta ed innocente viene strappata alla vita ed agli affetti. Mi diceva sempre mio padre che quando muore una brava persona viene a piovere come se il cielo fosse dispiaciuto e commosso .
Ma bando alle chiacchiere , voglio raccontarvi una storia che sentii da bambino e che mi sta tornando alla mente in tutti i suoi particolari .
E’ la storia della rosa del Terminio ed accadde tra queste montagne .
Tanto tempo fa Volturara e Montella erano un unico paese ed i pascoli erano in comune . Sulle montagne nascevano storie di amicizie e di rispetto tra pastori dei due paesi che duravano tutta la vita. Uno stare insieme che ha determinato la storia di queste zone.
Felicita era una bella ragazza della campagna di Volturara che ogni giorno menava il gregge in montagna fino al Terminio ed era contenta della sua vita che si snodava tra libertà e natura . Cantava con allegria correndo con gli agnellini o rincorrendo gli uccelli che si levavano in volo. La sua bella voce risuonava cristallina nella vallata e giungeva all’orecchio di Simone , pastore montellese schivo e riservato , innamorato perdutamente della ragazza che salutava da lontano senza avere il coraggio di avvicinarsi. Simone stava ore intere sdraiato sull’erba ad ascoltare e rispondeva al canto con nenie antiche , dolcissime e struggenti .Il candore dei loro pensieri veniva esaltato dalla quotidianità dei loro gesti immacolati ed il tempo scorreva in un ambiente puro e gioioso senza mutamenti .Un mondo a sé , fatto di gesti semplici ed immediati senza la cupa oppressione della cattiveria umana. Prati verdi con miriadi di margheritine e stagni cristallini dove il sole specchiandosi si riscopriva più bello e lucente.
Quel giorno il tempo però non prometteva niente di buono e il sordo rumore che arrivava da dietro le montagne man mano che passavano le ore sembrava apportatore di sventure e sofferenze . Il fulmine cadde come una freccia a pochi metri dal gregge e gli animali impauriti cominciarono a correre in tutte le direzioni.
Sembrava che una forza maligna volesse distruggere tutto quello che incontrava sul suo cammino. Simone , superato il primo momento di paura e smarrimento cercò di riportare le pecore nella raduna , mentre le prime gocce di pioggia arrivavano con violenza . Solo dopo innumerevoli sforzi e tanta fatica il giovine riuscì nel suo intento adagiandosi poi sfinito a terra a riprendere le forze , incurante della pioggia. Il belato flebile che proveniva da dietro il costone lo fece alzare di soprassalto e dimentico della stanchezza corse in direzione del lamento . Nella fretta di salvare il suo agnellino non si accorse del dirupo . Scivolò sull’erba bagnata continuando la corsa oltre la siepe che gli impediva la vista . Il volo si concluse sulle rocce sottostanti in un silenzio irreale .
La tempesta come era arrivata , passò senza lasciare tracce . Felicita ignara di quello che era successo al suo amico osservava il silenzio che veniva dall’aria e solo quando si accorse che il gregge di Simone vagava senza guida corse a vedere cosa fosse successo .Chiamò il giovine a gran voce , senza avere risposta e quando lo vide in fondo alla scarpata sembrò che il mondo le fosse crollato addosso . Restò lì a piangere senza rumore finché si rese conto che non poteva vivere senza di lui e che lo amava al di là di se stessa . Decise di raggiungerlo e di restare per sempre con lui .
Sul costone degli innamorati la primavera portò un grosso rovo che ai tepori di maggio sbocciò in rose piccole e profumate , che sembrava impossibile potessero nascere a quell’altitudine . Passarono gli anni e non poche ragazze innamorate andarono a visitare il posto dove Felicita aveva immolato la sua vita e la sua castità per un amore impossibile. E si racconta di una nobildonna che vi andò a pregare per realizzare il suo amore impossibile . E si dice che una volta esaudito il suo desiderio fece incastonare un diamante a forma di rosa che negli anni divenne il simbolo dell’amore e fu chiamato “La rosa del Terminio “. Si dice che tramandato di padre in figlio ancora oggi sia in qualche casa di Volturara e che chi lo custodisce possiede il segreto della felicità e dell’amore .



30 Settembre Guardie nazionali assolte

Mattia Picardo , Giovanni Ingino , Antonio De Feo , Alessandro De Feo , Michele De Feo e Giovanni Lomazzo seduti davanti ad una giara di vino alzano i bicchieri in segno di brindisi e scoppiano in una fragorosa risata
<< Quel fetente di Don Vincenzo Luciani pensava di giocarci. Ma alla fine è rimasto “ cornuto e mazziato ” , sbotta Mattia . Ci ha fatto fare quasi un mese di carcere , ma le parole del giudice Don Nicola Benevento me le conserverò nella mente per il resto dei miei giorni : La colpa della fuga del ricercato Alessandro Picone non è delle guardie , ma del Capitano Luciani Vincenzo , che ha dimostrato nella circostanza , imperizia e negligenza.
Bravo , Don Nicola ! Bevo alla tua salute ed alla tua grande capacità di ammosciare sempre i prepotenti ed i furbi >>.
<< Non alzare la voce, se no ci arrestano un’altra volta ! >>
Alessandro De Feo ha paura perché con la morte , della moglie di Don Gennaro Vecchi, avvenuta una settimana prima , il potere comunale è passato nelle mani del nuovo Sindaco Salvatore Sarno, di cui Don Vincenzo è il fedele esecutore.
<< Va bene che dobbiamo stare calmi , però lasciatemi ubriacare in santa pace e libertà , afferma Giovanni Lomazzo , perché se ripenso all’accaduto , mi viene ancora voglia di tagliare la testa a quel vigliacco di Don Vincenzo con una accettata. Non avrei mai immaginato tanta cattiveria e arroganza in una persona. Lecchino dei potenti e Caino con i deboli ha la capacità di rendersi antipatico anche quando dorme . >> e alla richiesta del gestore della Cantina racconta la sua disavventura,
<< Era Domenica 11 Agosto. La giornata è passata tranquilla sotto il controllo costante delle Guardie Nazionali che girano per il paese e le campagne per mantenere l’ordine. A tarda sera il capitano della II Compagnia della Guardia Nazionale Don Vincenzo Luciani si avvia con me ,che impugnavo una mazza , in Piazza , per controllare la chiusura delle Cantine. Fa arrestare Nicolantonio Marra perché faceva giocare a carte gli avventori , cosa proibita il dì di festa.
Alle undici di sera si dirige verso il Freddano e sul ponte della Piazza saluta il Sindaco che si sta ritirando a casa , il quale gli consiglia di proseguire l’ispezione in compagnia di qualche guardia per evitare sorprese. Poco dopo dinnanzi alla casa di Capone Pascale si imbatte in Alessandro Picone seduto con il fratello Nicola ed altri. Lo dichiara in arresto , invitandolo a seguirlo e gli fa presente di ritenersi fortunato di essere arrestato da lui , “ ché se lo prendono i piemontesi lo seviziano”. Arrivano subito sul posto le Guardie Nazionali Mattia Picardo , Giovanni Ingino , Antonio De Feo , Alessandro De Feo e Michele De Feo a dare man forte. Alessandro cerca di calmare il Capitano chiedendogli di che cosa lo si accusa. Poi vista la mala parata gli chiede di poter andare in carcere senza manette , per non far preoccupare i familiari. Si avviano verso la Piazza e man mano che camminano si accresce intorno a loro il numero di persone che li seguono.
Sul ponte della Piazza incrociano la madre di Alessandro che incomincia a gridare contro il figlio
<< Lo avete preso finalmente sto’ mariuolo , lo possa bruciare Gesù Cristo ! >> . La tensione cresce , la folla preme. Alessandro Picone ne approfitta e facendo finta di raccogliere una pietra per scagliarla contro la madre si china infilandosi tra le gambe dei presenti. Mattia Picardo lo afferra da dietro, ma resta con in mano solo la giacca , che Alessandro portava appoggiata sulle spalle. Le altre guardie lo inseguono , chiuse tra la folla. In un baleno il fuggitivo scompare dietro la Costa ed inutili sono le fucilate che gli spara appresso Alessandro Picardi. Il Capitano Luciani continua a corrergli dietro , ma ormai Alessandro è scomparso nella boscaglia. Il Capitano ritorna in piazza e incomincia ad inveire contro di noi accusandoci di essere complici del Picone. La mattina seguente ci denuncia come sovvertitori e ci fa arrestare . Solo il 6 Settembre siamo stati rilasciati con nota di biasimo del giudice nei confronti del Capitano e abbiamo dovuto aspettare il processo celebrato il 28 settembre per essere completamente scagionati , grazie al buon senso del giudice >> .
Ha parlato tutto d’un fiato quasi a liberarsi da un peso , sicuro di avere ragione , e detto questo riempie i bicchieri ai compagni invitandoli ad un ultimo brindisi alla faccia del Capitano .

15 Ottobre Don Giacobbe Benevento, cassiere comunale

In vico Zitonno al Campanaro Don Giacobbe Benevento trascorre la serata facendo conti con le entrate e le uscite della giornata , mentre la moglie vicino al fuoco prepara la cena .Teresa ,la serva di Chiusano, si muove per la stanza ,senza parlare, e mette sulla fiamma un pentolone pieno di castagne perché sa che ai ragazzi piacciono molto i vàlani , le castagne bollite da succhiare calde e morbide. . Sa che il padrone è nervoso , come del resto ormai da mesi , e cerca di non farsi riprendere per qualche gesto imprudente . Negli ultimi tempi, dopo la morte del giovane fratello Gioacchino avvenuta due mesi prima, Don Giacobbe si è chiuso in un ostinato mutismo , che le ultime vicende politiche hanno aggravato e reso quasi irreversibile. Certo che essere il cassiere comunale in un paese come Volturara , dove le spese e le entrate vengono scritte su dei semplici pezzi di carta non intestati e dove la totalità degli amministratori sono usurpatori delle terre comunali , non deve essere molto facile . Se poi ci aggiungi che il nuovo Sindaco Salvatore Sarno vuole penalizzare i Benevento ed i Pennetti rei di essere rimasti fedeli al vecchio regime , allora significa che il futuro è incerto e pericoloso. Si fa il segno della croce e decide di non pensare troppo. Sono cose da uomini ed a lei in questo momento interessa preparare solo la cena con quella grande zuppiera di broccoli e patate conditi con un poco di piccante che metterà sicuramente un sorriso sulla bocca di Don Giacobbe .
Il bussare discreto alla porta le mette le ali ai piedi e rimane non poco sorpresa quando sulla soglia intravede la figura di don Nicola Benevento, il giudice in persona. Balbetta qualcosa come a scusarsi , mentre si pulisce la mani lungo la gonna e si piega in un inchino fatto di rispetto e timore. Fa entrare l’ospite e lo accompagna verso lo studio di don Giacobbe annunciandolo con riverenza. Don Giacobbe si alza di scatto e fa accomodare il cugino invitandolo a sedersi. Fa portare un bicchiere di vino e si risiede adducendo al parente la scusa di essere stanco.
<< Caro cugino , non sai quanto piacere mi fa vederti a casa mia stasera. Sono giorni tristi e parlare con te sarà un sollievo a quest’anima che non trova pace tra tante sofferenze >>.
<< Non soffrire più di tanto. Non ne vale la pena. Qua con la scusa di essere italiani stanno prendendo in mano il potere e stanno dimostrando tutta la loro ingordigia. Mio cognato Salvatore Sarno ha perso la testa , lui e l’Italia.
Tuo padre per mettersi contro Re Ferdinando ci ha rimesso la salute .
Farà la stessa fine. Non capisce che è entrato in un gioco più grande di lui e ci lascerà le penne. Come sai vuole licenziare Don Vincenzo Pennetti per accontentare la bramosia di Vincenzo Luciani, più avido del padre che sembrava insuperabile in cattiveria. Ha già cacciato il tuo ex cognato Raffaele Gioiella da agrimensore e vuole sbattere fuori dal Comune quel povero Ferdinando de Cristofano , solo per il gusto di far soffrire il fratello Achille. Mariano Santoro , dopo trenta anni di servizio da impiegato comunale , ora che ha bisogno di soldi per far studiare da medico il figlio Vincenzo , rischia di dover chiedere l’elemosina agli angoli delle strade , se lo licenzia senza pensione come si dice in giro. Non può mandare a casa tutti quelli che non hanno firmato al Plebiscito dello scorso anno . Non si rende conto che Volturara ha bisogno di pace . Con tutti questi sbandati in cerca di cibo e di soldi , rischiamo di dover girare armati e con la scorta per evitare rapimenti .
<< Non hai tutti i torti. Ormai al Comune non si capisce più niente. Hanno tutti perso la testa. Pensa che il Sindaco mi ha costretto a dare un contributo alla moglie di Giuseppe De Meo , ucciso il 2 Luglio dai briganti, affermando che doveva essere considerato il primo eroe della nuova Italia e che stava pensando di intitolargli una strada a ricordo perenne del suo impegno per il Nuovo Ordine delle cose. Io mi sono ritirato da Consigliere comunale per evitare grane , mentre Gerardo Pennetti, il padre di Pietroantonio il dottore , è stato costretto a non ripresentarsi in lista , visto il suo diniego ad abiurare il vecchio Regime.
A questo punto ritengo che ci sia una regia occulta da parte di qualche famiglia per togliersi di torno le persone influenti del paese . Non voglio sbagliare, o forse è un caso, ma ancora una volta i Masucci tomi tomi stanno riprendendo il controllo assoluto del territorio che solo i Benevento ed i Pennetti erano riusciti a frenare negli ultimi decenni . Ti chiedo solo di mantenere serenità d’animo nel tuo lavoro di giudice sostituto e di non penalizzare troppo chi ha avuto il solo torto di voler difendere la sua Patria secolare o non è voluto andare a combattere contro i suoi fratelli, per difendere poi dei nemici invasori>>.
Tra una chiacchiera e l’altra il fiasco di vino se ne va velocemente ed a un certo punto don Nicola chiede il permesso di ritirarsi .
Don Giacobbe le segue dalla finestra mentre si allontana alla fioca luce di una lanterna e perde i suoi pensieri in scene di racconti che suo padre usava esternare nelle interminabili e fredde sere d’inverno della sua infanzia , dove al posto di Vincenzo Luciani c’era il padre Giuseppe ed al posto di Gennaro Vecchi , il padre Andrea o al posto di Leonardo Masucci c’era quell’altro fetente di Pasquale il padre o Giuseppe , il nonno. Stesse famiglie pronte e sicure a vincere i cambiamenti politici e sociali.
Come è strana la vita !, pensa . Mio padre contro i Borbone e loro con i Borbone . Oggi noi con i Borbone e loro contro. Vinceranno ancora una volta e , se non usiamo accortezza rischiamo di dovercene andare da Volturara.
Chiude la tenda al richiamo della serva per andare a tavola e decide di rilassarsi dedicandosi a passare la serata con i figli .
Il piccolo Aurelio gli salta sulle ginocchia e gli chiede di sbucciare le castagne perché scottano troppo. E’ un gesto che compie con piacere e con lena , dividendole tra Clodomiro , Francesca e lo stesso Aurelio. Ad un certo punto , come rispondendo ad una scena già vista , incomincia a raccontare una favola che a sua volta aveva ascoltato da suo padre e che suo padre aveva ascoltato dal nonno .
<< La storia che vado a raccontare è la leggenda della Palommina rossa. Questa leggenda si perde nella notte dei tempi e riporta alla luce un periodo buio quando un’improvvisa incursione di barbari spinse i volturaresi a rifugiarsi in poche ore,grazie alle vedette sul Malepasso, nel Castello posto sulla collina che sovrasta il paese. Era primavera, e la rigogliosità della valle e la enorme quantità d’acqua che riempiva la piana spinse i barbari ad accamparsi ed ad aspettare i raccolti di grano, granturco, e fagioli che si preannunciavano ricchi. Confidavano che prima o poi gli abitanti si dovevano arrendere ed i loro tesori sarebbero stati facile preda della loro avidità. Non era la prima volta che la popolazione doveva scappare nel Castello , costruito apposta per difenderli da queste incursioni Avevano acqua sufficiente grazie al pozzo posto sul lato nord-est costruito pazientemente negli anni incanalando una sorgente che scendeva dalle montagne della Faieta e sfruttando la capacità dell’acqua di salire in un canale chiuso come un tubo. Un dono dei loro padri che l’avevano incanalata fin sopra , senza che nessuno lo sapesse. Avevano anche costruito un cunicolo che partendo dalla Piazza , sotto il Palazzo del Padrone , saliva sottoterra al Castello permettendo fughe facili e nascoste. Il sottopassaggio continuava nella valle retrostante il Castello per favorire fughe in caso di conquista dello stesso da parte di eserciti nemici , e sfociava in un torrente dietro la collina verso Ammonte. Il Castello sempre ben fornito di viveri , raccolti per ogni occasione permetteva una resistenza che poteva durare mesi e mesi. Ma la primavera e l’estate di quell’anno passarono caldissime e piene di assalti da parte dei barbari. Nel mese di Settembre una sorta di stanchezza incominciò a serpeggiare tra i naturali e la scarsezza dei viveri incominciava a creare non poche preoccupazioni per il futuro . Nessuno avrebbe immaginato un assedio di così lunga durata e solo un miracolo avrebbe potuto salvarli dalla fame dell’inverno volturarese. La preghiera restava l’unico rimedio ad un destino che si preannunciava crudele e che avrebbe cancellato per sempre ogni traccia di abitante di quella valle. Quando tutto sembrava perduto e già si vedevano donne e bambini distesi per terra stanchi e rassegnati ad un destino inesorabile per il mancato cibo, San Michele , a cui si rivolgevano nelle continue preghiere, esaudì i loro desideri sotto forma di una colomba di colore rossiccio che incominciò a volteggiare nell’aria di un mattino pieno di sole su una vallata che la nebbia impediva di vedere. I volo dell’uccello non passò inosservato ed a molti sembrò che la colomba volesse indicare una strada , come a seguirla. Tre giovani decisero di uscire dal castello seguendo il passaggio segreto che portava dietro il castello e nascosti tra i rovi per non essere scorti dalle pattuglie dei barbari che aspettavano impazienti, s’accorsero che la colomba si dirigeva verso le montagne. Non fu un tragitto lungo , ed in un bosco vicino videro che l’uccello si avvicinava a loro per farsi vedere. All’improvviso si pose per terra ,
s’avvolse su sé stessa , accovacciandosi e scomparve tra una miriade di frutti , come le bacche che davano da mangiare alle loro bestie.
Dopo un attimo di interdizione il più anziano sottovoce diede l’ordine di raccogliere quei frutti , perché aveva capito che San Michele indicava loro l’unica via di salvezza.
Ritornati al Castello distribuirono i frutti che nessuno fino ad allora aveva mai voluto mangiare tra la popolazione ormai avvilita dalla fame dicendo loro di mangiarli perché erano dati dal Signore attraverso San Michele .I giorni che seguirono fecero capire che chi li aveva mangiato stava in forze e poteva badare alla difesa del Castello , per cui iniziarono delle spedizioni a prima mattina tra notte e giorno ed a gruppi raccoglievano quanti più frutti possibili .L’inverno passò stentato , ma in pieno vigore e le donne trovavano ogni giorno nuovi modi di preparare quel frutto per farlo piacere a tutti. Incominciarono a metterlo nell’acqua e mangiarlo cotto con la buccia che veniva spremuta e buttata via. Qualcuno mangiava anche la buccia ! Quando, mettendolo vicino al fuoco si accorsero che scoppiava perdendo il contenuto , incominciarono a bucarla con una lama ed il risultato era una pietanza squisita e nutriente che piaceva tanto ai bambini. Anche cotta e senza buccia si accorsero che era squisita. Il freddo e la neve copiosa spinse i barbari a togliere l’accampamento e a dirigersi verso luoghi più ospitali e meno freddi. Il popolo festante ridiscese in paese benedicendo quel frutto miracoloso che li aveva salvati .E per il colore rossiccio tendente al brunastro gli fu dato il nome di castagna.
Negli anni che seguirono impararono ad essiccarla con e senza buccia per mantenerla più a lungo possibile e ne fecero anche della farina con la quale preparavano prelibate focacce.

25 Novembre. Processo contro il farmacista Achille De Cristofano

La carrozza scende lentamente per il Malepasso e Don Achille dal finestrino perde lo sguardo verso la montagna come alla ricerca di volti da vedere. Quante cose cambiate nell’arco di pochi mesi , quante vite perdute senza capirne il motivo e la paura che altri faranno brutta fine. I Caini della Piazza ,come ad ogni stravolgimento politico , stanno facendo pulizia dei loro avversari . Camaleonti e cinici , usano i loro nuovi referenti politici per accrescere il potere e le proprietà , carcerando e perseguitando chi si era messo contro di loro o che avevano fatto loro qualche torto in passato.
Il 7 Aprile ed l’8 Luglio gli sembrano così lontani , con Giuseppe Nardiello in galera e Alessandro Picone in latitanza .
Capisce di essere caduto come un pollo nella trappola , anche se si era mantenuto riservato e che il processo di stamattina ad Avellino è la ciliegina sulla torta preparata dei traditori della Patria . Lo hanno incastrato in maniera scientifica e prendendo dalla tasca la lettera anonima inviata al Giudice la legge ad alta voce per capirne i passaggi più reconditi. “ Al Signor Procuratore Generale presso la Gran Corte Criminale di principato Ultra
Un tal Achille De Cristofano di Sebastiano del Comune di Volturara ,
nel Plebiscito , minacciava la vita a coloro che diedero il voto di Si e ne è testimone Don Achille e Don Annibale Masucci di Volturara. Tanto è vero che nel Caffè di Giovanni De Cristofano del medesimo Comune spesso abbia maledetto il nome di Vittorio Emanuele e di Garibaldi , e che volevano o non volevano dovevano finire.
Lo si attesta da Don Marco Marrandino e Giovanni Discepolo.
Il dì 4 Aprile ultimo , quel tale Don Nicola Coscia di Montemarano si portò in casa del detto Achille de Cristofano , e con lui si trattenne l’intera giornata , onde progettare quello che dovevano operare.
Come in fatto il giorno 7 si fece la reazione in quel Comune , e molti di quelli reazionari si fecero latitanti, che poi se ne formò una comitiva ferocissima che li faceva da casco quel famoso Giuseppe Nardiello ,ed altri, i quali venivano tutti protetti dal de Cristofano.
Il dì 2 Luglio ultimo , il Nardiello avendo riportata ferita alla mano dx dal sergente nazionale Giuseppe de Meo , lo stesso de Cristofano gli curava la ferita.
Dippiù il giorno 7 Luglio , nelle Tavernole Achille de Cristofano , Gioacchino Benevento ed altri tennero tavola e festeggiarono l’intera giornata , gridando viva Francesco II° e fuori Garibaldi , e col dire ancora << già hanno finito i fessa >> . E si attesta da Giuseppe Raimo, Betta Mele, Alessandro De Feo , Antonio Masucci, e Pietro Picardi.
Il dì 8 poi s’intromisero in Volturara i suoi seguaci e promossero la II reazione , vedendosi Luigi Picone con un stile del detto de Cristofano a fianco a fomentare il malcontento. Si attesta da Giovanni de Cristofano di Michele , Giovanni Discepola di Gaetano e dal Polimmo alias Cocuzzo. Il Nardiello appena entrato nel paese si portò sotto la casa del de Cristofano facendosi dare la sciabla che il di lui fratello portava a fianco come Nazionale, e che il secondo giorno gliela restituì .
Fatto pubblico , è in tutto ciò detto , che si potrà contestare da tutti i naturali di Volturara; per la qual cosa si prega la Sua Autorità , per la punizione del de Cristofano che non ostante essersi riferito quanto di sopra quanto di sopra finora alcun risultato si è veduto; essendo costui autore di due forte reazioni facendo meraviglia a non vederlo punito, mentre lo stesso è nemico giurato del ‘attual Regime .
Da Volturara 11 Agosto 1861 ”
Gocce di sudore gli imperlano la fronte. Certo che uscirne fuori sarà quasi impossibile. Solo i testimoni potranno discolparlo di accuse che, se provate, lo manderanno diritto in galera. Sa già che la lettera l’ha scritta Vincenzo Lucani .La grafia è inconfondibile e la cattiveria completa il quadro. Pensa a quando potrà fargliela pagare, a quel bastardo che fin da piccolo ha sempre recitato la parte del superuomo e che qualche volta da ragazzo ha preso a botte per punirlo della sua tracotanza. Giura sui morti che lo inseguirà fino alla fine ed che anche dopo la vita terrena, se lo si ritroverà davanti lo picchierà anche nell’altro mondo.
Arriva davanti al tribunale frastornato e nervoso con le mani umide di sudore , come quando doveva sostenere gli esami all’Università. Sa che questo stato d’animo gli crea concentrazione ed anche fortuna , per cui entra nell’androne con la segreta speranza di poterne uscire di li a poco , senza essere arrestato. Non per altro , per non dare ulteriore dispiacere al vecchio padre che gli dice sempre di stare attento che con quel suo carattere impulsivo e quella voglia di criticare l’operato degli altri farà male fine e che sarà difficile che muoia nel proprio letto.
La sala delle udienze è austera e senza pubblico . Nessuno ha avuto il coraggio di farsi vedere , in attesa del verdetto , per paura di ritorsioni da parte del Sindaco e di Don Vincenzo Luciani che vogliono decretare la sua morte politica . Non vede nemmeno testimoni e la cosa lo preoccupa .Chiede chiarimenti al suo avvocato , appena arriva, e questi lo rassicura affermando di aver già parlato con il Giudice e che la sentenza sarà sicuramente favorevole, che deve ringraziare la relazione del giudice sostituto di Volturara don Nicola Benevento, che il Tribunale non può non tenere in considerazione.
Achille manda nella mente un bacio a sua moglie Michelina . Gli aveva assicurato che lo zio Nicola avrebbe fatto il suo dovere , ma lui non le aveva dato credito. E se si avvera quello che gli ha detto l’avvocato , giura a se stesso che andrà a piedi sul Castello di Volturara portando la moglie sulle spalle a ringraziare San Michele di avergli dato una moglie così !
Il rumore dei passi interrompe i suoi pensieri. Si siede perché le gambe gli tremano . Entrano i giudici ed il Presidente della Gran Corte Criminale legge il dispositivo della sentenza .
<< In nome di Vittorio Emanuele per la grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia. L’anno 1861 il giorno 25 Novembre in Avellino la Gran Corte criminale del Principato Ulteriore
Visti gli atti a carico di Achille de Cristofano di Sebastiano accusato di cospirazione contro la sicurezza dello Stato diretta a cangiar l’attuale governo e voci allarmanti contro al real governo per spargere il malcontento
dichiara l’accusato non colpevole perché non ci sono indizi sufficienti per la sua incriminazione . Si conservano gli atti in archivio >>.
Achille accetta la sentenza senza tradire emozione e , salutato l’avvocato esce dal Tribunale avviandosi a prendere la carrozza per Volturara. Solo quando allontanatosi di parecchio e vedendo che non c’è nessuno che possa riconoscerlo incomincia a saltare come un matto , mimando i passi della tarantella e vibrando a ripetizione e ritmicamente in aria il braccio destro sul sinistro nel segno inconfondibile di chi manda a quel paese qualcuno. Riacquistata dopo alcuni minuti la calma si mette nella carrozza che si avvia spedita al paese. A momenti sorride e a momenti si fa serio in volto in un miscuglio di sensazioni che esprimono lo stato d’animo di chi si è liberato di un peso , me che è anche pronto a nuove battaglie soprattutto indirizzate verso un fine ben definito che si materializza nel volto di Vincenzo Luciani.
E ritornano le immagini !
Come scordarsi di quel 7 Luglio quando alle Tavernole era andato nella cantina di Bernardo De Feo a festeggiare il rincorrersi di voci che il Re Francesco stava per ritornare sul trono di Napoli . Sembrava un luogo sicuro ed invece era stato l’inizio delle sue sventure.
Ricorda il faccione di Don Gioacchino Benevento , suo grande amico e si fa il segno della croce istintivamente in segno di rispetto. Che uomo , Don Gioacchino ! degno erede di suo padre don Carmine , fiero e determinato. Che destino atroce morire a trenta anni con due figli ed una moglie incinta di due mesi. Altro che Gennaro Vecchi o Salvatore Sarno, Don Gioacchino sarebbe diventato Sindaco e lo avrebbe fatto con dignità e amore . Ma in questo paese sfortunato solo i cattivi riescono a non morire e a comandare. L’esperienza degli anni cinquanta gli sarebbe giovata se non fosse intervenuto questo cambiamento politico che sembra l’invasione dei barbari . O ti annulli e segui l’onda , o vai in galera e perdi tutto. Ormai stavolta si è capito che il passato non ritorna più dal momento che tutti sono saltati sul carro dei vincitori dagli uomini di cultura agli uomini di armi , con il silenzio assenso dei preti , salvo qualche rara eccezione come il parroco e l’Arciprete.
Ricorda il giorno dopo quando Giuseppe Nardiello e Luigi Picone , dopo l’ uccisione della settimana prima di Giuseppe De Meo , il sergente falegname, dalle montagne dove erano nascosti erano arrivati con la loro banda in Piazza.
Che atmosfera ! decine di persone intorno tra evviva e canti e loro che scendendo da cavallo si dirigevano al posto di guardia rompendo per la seconda volta lo stemma sabaudo e i quadri appena ricomprati di Vittorio Emanuele e sua moglie . I conigli erano scappati tutti a rinserrarsi nelle loro tane . Da Gennaro Vecchi e Leonardo Masucci, da Vincenzo Luciani a Marco Marrandino e via , via tutti gli altri. Gli vengono ancora i brividi quando rivive la scena durante la quale aveva consegnato a Giuseppe Nardiello la sciabola di suo fratello Ferdinando e poi aveva mandato a chiamare la banda che girando per il paese , come durante la festa patronale , si era messa a suonare l’inno borbonico. Giornate indimenticabili , cancellate dall’arrivo per la seconda volta il 13 Luglio del Governatore della Provincia in persona , mentre l’orologio suonava mezzogiorno , con 200 ussari ungheresi, 4 cannoni , un battaglione di linea e 800 guardie nazionali.
Un esercito intero! Tutti in fuga per la seconda volta , tutti a nascondersi per evitare l’arresto. Si era nascosto anche lui e solo dal fratello Ferdinando aveva saputo che il Governatore voleva arrestare il Sindaco in persona per troppa tolleranza verso i rivoltosi , dopo aver sciolto con un decreto la banda musicale del paese.
Rivede davanti agli occhi il telegramma che il 14 Luglio Nicola De Luca , ormai padrone del paese aveva mandato ad Avellino per tranquillizzare il Prefetto: “ Volturara , paese barbaro ed incivile,quantunque grosso di cinquemila abitanti. Feci sfilare tutte le truppe e i cannoni per il paese,perché quegli èbeti si persuadessero della forza del Governo”.
Da quel momento un susseguirsi di eventi che aveva lasciato poco spazio a tutti.
Una resa dei conti che portava in galera ad uno ad uno tutti i suoi amici . Dopo la sentenza del 15 Luglio, il 17 si era costituito Giuseppe Nardiello, il 21 il Comandante del 39 Reggimento Brigata Bologna 1° Compagnia aveva arrestato Pasquale Cutillo e Angelo Bello di Sorbo, il 27 Luglio si erano costituiti Luigi Picone, Mariano Marino,Luigi e Generoso Sarno,Matteo Picardo e Cosmo Mastromarino di Montemarano.

30 Novembre Pagliuchella cerca di vendere il fucile ad un contadino.

Domenico Del Percio segue l’asino carico di legna tenendolo per la coda quasi ad impedire che possa scivolare in quella ripida discesa che dal Cretazzuolo porta alla vallata di Volturara.
Si guarda intorno preoccupato . Si era attardato troppo sul Terminio e a quell’ora è facile incontrare i guardaboschi e quelli non scherzano. Per un carico di legna sono capaci di arrestarlo . Sono le nove di mattina ed un sole splendido su un cielo azzurro fa da contrasto ad un mare di nebbia che copre la valle , nascondendola del tutto.
<< come è bello stare quassù ! pensa . Sembra il paradiso terrestre >> e quella nebbia che avvolge la campagna ed il paese gli appare come il giusto castigo per la cattiveria degli uomini. Dentro quella foschia si consuma egoismo e sopraffazione , stupidità e grettezza , fanatismo e bigottismo.
Come è bella Volturara da quassù , senza volturaresi ! come è bello guardarla ogni giorno da lontano in tutto il suo selvaggio splendore con quel verde che dopo la pioggia assume una tonalità intensa e carnosa che ti mette i brividi addosso. Sarà pure umida con quel lago che dura quasi tutto l’anno , ma la pace e la serenità che ti danno i boschi ,quando ti allontani dagli altri , non la si trova in nessuna parte del mondo. Peccato per la mentalità chiusa e piena di egoismo con quell’ossessivo attaccamento al pezzetto di terra che li rende feroci se raggirati , o furbi quando hanno a che fare con gli altri. Un senso del possesso che mette fratelli contro fratelli e figli contro padri in un vortice di rancori che prende la quasi totalità della popolazione .
Non ce n’è uno che non si ubriaca, e nei fumi dell’alcool quante liti e quanti omicidi , e quante litanie di penitenza per i troppi peccati commessi e per le troppe messe seguite. E a che serve andare in Chiesa , se poi sono così egoisti appena usciti ? e a che serve poi ascoltare le prediche dei tanti preti se sono loro stessi i primi peccatori e anche dei più incalliti ?
Mah ! forse è meglio quello che facciamo noi che ci alziamo alle quattro di mattina e ce ne andiamo in giro per i boschi a tagliare legna o a pascolare le pecore ,senza mai passare per la Piazza, neanche a Pasqua o a Natale >>.
<< Minicù ! ma che fai ,gli amici non li saluti nemmeno ?
Angelo trasale. Completamente immerso nei suoi pensieri , si era lasciato trascinare dalla coda dell’asino che conosce bene la strada. Quella voce proveniente di lato era stata come lo schiocco di una frusta ,sembra più un ordine che un saluto. Appoggiato ad un castagno con il piede sinistro e la schiena ,il fucile sulla spalla e i pollici infilati nel panciotto, Pagliuchella osserva, tra il divertito e lo sfottò, il compaesano irrigidirsi ed in preda ad un certo timore. Come va in paese ? raccontami qualcosa >>.
<< Pagliuchè ! la situazione è triste. Mezzo paese è in galera. Altri stanno per essere arrestati. E poi stanno morendo come mosche un sacco di persone. Il vaiuolo entra nelle case e non ne esce senza aver procurato morte e dolore. Come sicuramente sai se ne è andato il medico condotto Don Gioacchino Benevento , il figlio di Don Carmine a 30 anni , ha fatto la stessa fine di Don Pasqualino Masucci. Per curare gli altri , ci ha rimesso la pelle . Anche Don Gennaro , il Sindaco , ha perso la moglie , Donna Beatrice Bastano ,povera donna a 40 anni . E tu Pagliuchè , come te la passi ?. State attenti che vi prendono . Volturara è piena di guardie e di carabinieri che se si dimostrano morbidi nei vostri confronti , vengono arrestati e messi in carcere. Dopo le dimissioni di Don Gennaro , il nuovo Sindaco è quel fanatico di Don Salvatore Sarno , il nipote di Piruoccolo , che sembra il nuovo Napoleone di Volturara. Arresta tutti e per costringervi a costituirvi vogliono mettere in galera i vostri familiari fino alla terza generazione. Allora si fermeranno , quando voi prenderete il loro posto in galera >>.
<< Minicù , non ti preoccupare. Passerà anche questo vento . E non ci prenderanno tanto facilmente. Ormai siamo collegati con Cicco Ciancio e con le montagne di Montella. Possiamo sfuggire in qualunque momento ed in due ore arriviamo a Calabritto o a Senerchia . Ormai siamo di più noi briganti che esercito regolare e venderemo cara la pelle. Tu piuttosto, vedo che guardi il mio fucile. Se vuoi te lo vendo >>.
<< E quanto ti dovrei dare per averlo ? potrebbe essere utile averne uno in casa con i tempi che corrono , anche se è proibito dalle nuove leggi>>
<< proprio perché sei tu , dammi sette ducati e l’affare è fatto ! >>.
<< Sei matto , Pagliuchè ! con sette ducati mi compro un pezzo di terra e ci campo la famiglia. E poi non è proprio il caso. Se mi trovano con un fucile addosso , mi mettono dentro per il resto della mia vita. Grazie lo stesso, ma preferisco non fare l’affare >> e salutando il brigante con rispetto , si avvia verso il paese a passo celere , bastonando l’asino per fargli aumentare l’andatura immergendosi nella nebbia sottostante come a nascondersi da tutti.























5 Dicembre la grotta dei briganti

Piove da alcuni giorni e nella grotta di Don Arcangelo sopra la Costa nessuno dei presenti ha voglia di scherzare.
Cicco Ciancio con le spalle rivolte al fuoco e le mani aperte dietro la schiena come a fermare sul corpo il calore che sale dalla fiamma , guarda il soffitto di roccia che trasuda gocce di acqua e come a liberarsi da un peso sbotta
<< Dobbiamo decidere che fare. Quando l’acqua supera la roccia significa che l’inverno è arrivato e se cala la temperatura farà tanta neve che ci sommergerà in questa maledetta caverna umida e fredda .
I viveri sono finiti e quei quattro soldi che abbiamo racimolato faranno ricco solo chi li troverà insieme ai nostri cadaveri. Ormai dobbiamo scendere in paese e nasconderci da qualche parte fino a primavera . Lo so che è rischiosissimo, ma ci dobbiamo provare . Comunque vadano le cose , ci siamo divertiti e chi di noi vivrà pregherà per le nostre anime dannate. L’unica cosa che voglio in questo momento è rivedere mio figlio che ho lasciato nel vostro stramaledetto paese al Freddano in casa di Annarella la Borraccia , sperando che non lo prendano e me lo portino via per sempre >>.
Il rumore delle mandibole che scricchiolano mentre pronuncia queste parole fa capire a tutti che Cicco Ciancio non scherza. Poche volte lo hanno visto così determinato e sanno che quello è capace di ammazzare un bue con un cazzotto in testa.
Pagliuchella , Giuseppe Marino e Gaetano Picardi si attardano a osservare Pietro De Feo che con gli occhi umidi sembra scoppiare a piangere da un momento all’altro , mentre singhiozzi ritmici sembrano scuoterlo per tutta la persona
<< che fine abbiamo fatto ! Appena scenderemo in paese ci uccideranno come cani. Non è che ho paura di morire , ma essere costretti ad andare per forza nella tana del lupo mi sembra come se una spia ci avesse venduto >>.
<< Non ti abbattere troppo ,Petrì , interviene Pagliuchella, se facciamo un giro largo e scendiamo dall’altra parte delle montagne,possiamo entrare nelle nostre case dalla parte posteiore senza essere visti . Quando fra poco verrà Antonio , il fratello di Giuseppe Marino , a portarci un piatto caldo di pasta e fagioli come ci ha promesso ieri , basta dirgli di far lasciare le porte appannate per poter entrare senza difficoltà. Una volta dentro , saremo al sicuro per due o tre mesi senza che nessuno sappia niente . A primavera ritorneremo in montagna >>.
Bastano queste parole a stemperare l’aria afflitta degli altri. Prendono un mazzo di carte e decidono di giocarsi un bottiglione di vino a briscola.
Gaetano Picardi non partecipa al gioco e va verso l’uscita della caverna a guardare la pioggia che , mista alla nebbia ,sembra assumere contorni ora mostruosi ora teneri. E davanti ai suoi occhi si materializza Maria con in braccio la piccola Rosina . E’ un attimo . Poi la scena scompare ed il suo sguardo si indurisce. Poi le rivede nella piccola cucina sedute sulla cassapanca davanti al fuoco con nonna Maria che fa le smorfie per far sorridere la piccola ed incomincia a contare scorrendo l’indice della mano sinistra sulle dita della mano destra per non sbagliare e a voce alta esclama
<< nove mesi e quattordici giorni ! La mia Rosina tra poco compirà un anno. Non posso morire da fesso, devo pensare a lei , voglio vederla crescere e sposarsi !>>.
<< Gaetano ! , Domani è San Nicola . Mi piacerebbe assistere alla processione e vedere mia sorella e mia madre portare la candela per le vie del paese . Lo sai come noi del Freddano ci teniamo per questo Santo e sai anche che nei momenti difficili ci affidiamo alla sua santa mano miracolosa . Ebbene ! troviamo il coraggio di pregarlo e chiediamogli perdono e protezione. Noi ,alla fine, non siamo criminali. Non abbiamo ucciso nessuno. Perché almeno Lui non dovrebbe ascoltarci ? >>, Giuseppe Marino, di solito taciturno, gli si è avvicinato e sotto voce ,quasi con timore, aveva osato interrompere i suoi pensieri. Gaetano lo guarda con un sorriso e decide di rientrare con lui , invitandolo a fare una tirata di tabacco per alzare un pò il morale.





6 Dicembre . Pietro e Concetta

La giornata scorre veloce ed al calar della sera , senza parlare , in fila indiana i cinque briganti , invece di andare a valle ,salgono verso Acquameroli e scendendo lungo il vallone passano vicino al vecchio mulino arrivando al Candraone. Passano poi dietro le case rasentando la Costa e ad un cenno di Cicco Ciancio si dividono prendendo ognuno la via di casa, mentre da lontano i canti delle donne in processione dietro la Statua di San Nicola sembrano voler riscaldare un cielo che nel crepuscolo della sera viene solcato da fulmini improvvisi ,con l’aria che diventa fredda e pungente.
Leggeri fiocchi di neve fanno cadere in breve tempo un silenzio irreale su tutto il paese. Solo qualche muggito riceve una risposta da una stalla affianco come in un dialogo a distanza senza un significato conosciuto .
Michele Cianci vede stagliarsi la figura del padre nel vano della porta e non crede ai propri occhi. Gli salta in braccio con un balzo felino e resta aggrappato a lui per un tempo che sembra interminabile. Ciccio Ciancio gli tiene la testa nella mano e lo accarezza con dolcezza senza parlare. Poi lo fa scendere e lo fa sedere su di uno sgabello , mettendosi seduto davanti a lui. Gli fa segno col dito sulla bocca di stare zitto e dal tascapane caccia una pistola di legno con una canna in ferro e con una molletta a mò di grilletto:
<< questa pistola funziona perfettamente . Te l’ho fatta in montagna nei momenti di riposo.Ma tu non la devi mai usare, mi raccomando!>>.
Michele impugna l’arma e comincia a sparare e a correre per la stanza come alla ricerca di un bersaglio da colpire. Vincenzo Maffeo arrivato dalla stalla , dove era andato a mungere le vacche , osserva sorridendo la scena e si avvicina a Cicco Cianci abbracciandolo:
<< tuo figlio ti aspettava da settimane. Non faceva che chiedere quando arrivavi . Ci voleva proprio ! Anche se qui da noi si trova bene, sente molto la mancanza dei genitori, ma che vuoi di questi tempi non si capisce più niente. Rischiamo tutti in prima persona. Tu piuttosto come stai ! non deve essere facile stare in montagna con questo freddo,anche se è meglio stare fuori che nel carcere di Volturara o Avellino , pieno di gente e di pidocchi, con questa malattia che sembra un flagello di Dio mandata per punire la nostra cattiveria.>>.
<< Vincenzo , ti ringrazio di tutto quello che stai facendo per noi e per la mia famiglia . Solo tu hai mostrato un briciolo di umanità e , ti giuro che Cicco Cianci non si scorderà mai di te e di tua moglie >>.
Anna Buonopane in disparte sorride compiaciuta e facendosi avanti invita Cicco Cianci a darle la camicia che indossa per lavarla sostituendola con una del marito .
Una nenia dolce e struggente sembra coprire i loro discorsi. Nella casa affianco Gaetano Picardo , chino sulla culla , con la moglie che gli posa la mano sulla spalla cerca di far addormentare la piccola Rosa cantandole la ninna nanna . Le parole, nel silenzio della stanza, ripetono un ritornello antico che , tramandato di bocca in bocca , richiama il nesso ancestrale tra l’uomo e la Natura , dove l’armonia e la musicalità assurgono a valore assoluto di genesi del mondo nelle intenzioni di Chi lo ha creato.
<< Viene suonno e viene e no tricare
ca lo piccirillo lu vulimo curcare;
vieni suonno e vieni co la Maronna
ca lu piccirillo vole fa’ la nonna.
Nonna nonna nonnarella
lo lupo s’a’ mangiato la pecorella
se l’ha mangiata co tutta la lana
e male re ventre che lo pozza chiavane .
Santo Nicola no’ boleva canzuni
voleva paternuosti e oraziuni
Santo Nicola no’ boleva menna
voleva carta calamaro e penna.
Vieni suonno e vieni nonnariello
e vieni co’ San Giuseppe vecchiariello >>
La piccola si addormenta dolcemente come se avesse preso una medicina e i due si ritirano nella loro stanza a recuperare il tempo perduto.
Pietro De Feo dal canto suo aveva deciso di trascorrere la serata in casa di Giovanbattista Masucci ,malaoi, per riabbracciare Concetta , la fidanzata. L’accoglienza è delle più cordiali e Pietro si accomoda vicino al fuoco sedendosi affianco al padrone di casa sulla cassapanca di legno appoggiando le spalle e la testa alla spalliera di legno , quasi a distendersi ed assaporare un po’ di calore dopo tanti mesi trascorsi al freddo della montagna. I discorsi cadono sull’esperienza vissuta e soprattutto sulla mancanza di una alimentazione adeguata che ti toglie le forze e ti fa sognare pranzi pantagruelici. Malaoi è un uomo rude , senza troppi scrupoli che da mesi segue le vicende dei fuoriusciti , per la presenza tra di loro del figlio Alessandro , mantenendo i contatti e recapitando, insieme con Giovanni Pasquale, i messaggi che i briganti mandano ai familiari dei rapiti per chiedere il riscatto. Il suo nome come manutengolo è sulla bocca di tutti e le autorità lo seguono con discrezione in attesa di avere delle prove concrete che l’omertà della gente impedisce di accertare.
Vede di buon occhio il fidanzamento della figlia Concetta con il giovane e spera di migliorare la sua posizione economica sfruttando la refurtiva ed i soldi che i briganti gli consegnano.
Rivolto al giovane incomincia a lamentarsi per la mancanza di soldi e di cibo con gli occhi furbi di chi tende una trappola. Pietro ascolta in silenzio, vergognandosi un poco di essere un peso per le magre entrate di quella famiglia e con una scusa chiede il permesso di poter uscire.
Ritorna poco dopo con una pecora ed un agnello sgozzati e invita Concetta e la madre a preparare una lauta cena. La serata scorre piacevole e a notte inoltrata tutti si ritirano a dormire , mentre Pietro si accomoda nel sottano e si distende su un mucchio di paglia per riposarsi da una giornata intensa .Volge lo sguardo al soffitto con le mani dietro la testa ,mentre i pensieri si intrecciano confusi e pieni di preoccupazione. Concetta appare all’improvviso , silenziosa come una gatta, e gli si butta tra le braccia baciandolo freneticamente senza pudore. Pietro per un attimo si blocca ,ha paura che possa arrivare il padre. Sa che potrebbe ucciderlo , ma il calore del corpo della sua ragazza e la voglia di stringerla che lo aveva preso da quando era arrivato hanno il sopravvento. Sensazioni irripetibili in cui si mischiano amore, ingenuità,timore del futuro,passione e tabù ancestrali rincorrono le ore ,mentre una luna piena grande come una casa rischiara una notte colma di stelle su un paesaggio candido e immacolato di neve appena caduta.


































7 Dicembre Arresto del brigante De Feo

E’ ancora notte quando Francesco Petretta bussa al portone di Don Salvatore Sarno , Sindaco e Capitano della Guardia Nazionale . Ha visto il brigante Pietrillo De Feo rubargli le due pecore e dirigersi verso la casa di Malaoi. Sa che Don Salvatore balzerà dal letto appena saprà la notizia e lo vendicherà del torto subito.
Don Salvatore non se lo fa ripetere due volte e in pochi minuti sta già nel posto di guardia in Piazza . Manda a chiamare tutti i fidati ed i reali carabinieri e si mette in marcia verso il Freddano con una squadra di circa una ventina di uomini .
La tensione è altissima . La posta in gioco enorme. Don Salvatore sa di poter sgominare la banda di Pagliuchella e mette in atto una manovra di accerchiamento con una squadra di guardie che passando per la campagna si ferma all’ingresso del paese nella parte bassa del Freddano in attesa dei primi chiarori del giorno.
Pietro si era attardato per salutare i Masucci e appena le guardie entrano abbattendo la porta cerca di scappare dal retro . Seguire le sue orme sulla neve fresca è un gioco da ragazzi . Le due squadre gli intimano l’alt e lo arrestano. Cercano poi di scovare gli altri briganti nascosti , ma si rendono conto subito che se ne sono già scappati ,
sicuramente avvertiti da qualcuno dell’arrivo delle guardie.
Il brigante ammanettato e scortato attraversa il Freddano e viene portato in Piazza nel posto di guardia , dove subisce un primo interrogatorio da parte del Capitano Don Michele Masucci. Il giovane ha paura e vuota il sacco. Da i nomi dei manutengoli e dei complici sperando di salvare la pelle.
Il Sindaco intanto nelle perlustrazioni delle case al Freddano alla ricerca degli altri briganti arresta 26 persone, tra le quali tutti i familiari di Pagliuchella, di Giuseppe Marino, di Gaetano Picardo ed i componenti della famiglia di Giovanbattista Masucci.





6 Aprile 1862 Vicenzo Luciani segretario comunale

Il Sindaco prende la parola davanti a tutti i consiglieri comunali e propone la nomina di Don Vincenzo Luciani a nuovo segretario comunale. Con 14 voti a favore e tre contrari , in una atmosfera sempre più tesa , i Consiglieri approvano .
Achille De Cristofano vede il mondo crollargli addosso. Il suo peggior nemico , il più cattivo del paese viene premiato da un Consiglio succubo di un potere precostituito. Si alza di scatto dalla sedia e chiede la parola, mentre i consiglieri sembrano ingobbirsi nella loro maschera di freddezza e tensione. Cerca di non sbagliare per non essere denunciato , ma ha deciso di andare fino in fondo ed esclama
<< Il sottoscritto Consigliere Comunale Achille De Cristofano fa osservare che il Segretario di ogni Comune deve essere adorno, e fornito di tutte le qualità che ispirano alla fiducia , ed al contento dei Naturali ( cittadini) , non solo di essere soddisfatti nei loro rispettivi bisogni,ma nell’attendere con tutta precisione e scrupolosità agli interessi del medesimo Comune,che si considera come un vero popillo. Gli espressati riquisiti , e qualità non si verificano affatto nella persona di Don Vincenzo Luciani,poiché non da pochi anni, e lui, e l’intera sua famiglia è stato l’oppressore, e la rovina di questa disgraziata popolazione,come potranno attestarlo i registri di sorveglianza politica che esistono in Avellino. Si sa bene da tutti che le oppressioni, e la tirannia praticate dal padre si manifestarono nell’essere sottocapourbano,Sindaco,Eletto, e Capourbano, e tutt’altro.
Si sa che i meriti della famiglia e de suoi altri parenti fecero meritare al nominato l’impiego in Avellino.
Si sa pure che per le sue mali portate furono destituiti, padre e figli da ogni impiego, e carica, come pure nel 1849 si portò in Caserta .in commissione per rinunciare a benefici costituzionali,ciò posto si pongono le Autorità a ben riflettere tale approvazione >>.
Ha parlato tutto di un fiato , sperando di far leva sulle corde della dignità di qualche consigliere, ma il silenzio eloquente ed imbarazzante di tutti è rotto dalla sola voce del Sindaco che chiude la seduta invitando tutti nella sua stanza a festeggiare la nomina del nuovo segretario, senza curarsi minimamente dell’intervento del consigliere .
Don Achille resta seduto con lo sguardo perso nel vuoto.
<< Povera Volturara ! Stiamo cadendo sempre più in basso . Sulle rovine di Cartagine ballano i corvi e gli avvoltoi. Ecco perché ci voleva la rivoluzione. Bisognava appenderne una sessantina al tiglio ed il paese avrebbe cambiato aspetto. Ma tra queste montagne , dimenticate da Dio e dagli uomini , la civiltà non arriverà mai. Uomini come bestie e bestie come uomini in un miscuglio senza valori e senza futuro. A duello ne potrei uccidere uno , al massimo due , ma poi farei la fine di quei ragazzi che, inseguiti come lepri , saranno catturati ad uno ad uno.
Devo solo aspettare . Verrà il giorno in cui qualcosa cambierà e quel giorno si ricorderanno chi è Achille de Cristofano >>.
La mano sulla spalla da parte di Leonardo de Cristofano lo distoglie da i pensieri.
<< Achille ! non affliggerti troppo .Era una battaglia persa in partenza. Si sapeva che eravamo rimasti solo io tu e Nicola de Cristofano . Ti ringrazio per avermi proposto e per avermi votato . Ma il consiglio che voglio darti è quello di fermarti un poco e riflettere . Non puoi commettere altri errori . Hai le qualità per poter restare a galla e migliorare il paese. Ma devi attendere . Oggi non è il tuo momento , oggi sono tempi bui . Da due mesi Volturara è circondata da truppe in cerca dei cosiddetti briganti e dopo l’omicidio di Andrea Sarni del 23 Marzo scorso, la situazione è troppo tesa. Siamo come nel 1809 ! Ci scapperanno molti morti . Solo dopo parecchie vittime le belve si calmeranno , convinte di aver vinto su tutti i fronti. Ed allora potrai uscire di nuovo allo scoperto e li brucerai nei prossimi decenni. La vita ti darà tante occasioni e sono sicuro che non te le lascerai scappare. Devi solo tenere ben fissi nella tua mente questi momenti per non avere pietà di loro quando si presenterà l’occasione . Cuore amaro e bocca dolce fanno di questi personaggi il parto di una natura maligna e avara che rende Volturara incapace di migliorarsi . Usano la forma e la prepotenza , sostenute dal sempre più numeroso esercito di accoliti che si accodano sulle loro posizioni di potere. Tu ed io siamo filo borbonici perché crediamo ancora nei valori della nostra Patria e della nostra Casa Reale , come ci hanno creduto i nostri padri ed i nostri nonni e prima di loro i loro padri ed i loro nonni . Loro invece cavalcano il cambiamento solo perché è potere personale, senza valori e senza ideologie. I più cattivi e i più furbi, guarda caso, sono diventati italiani in un secondo. Merita rispetto il solo Don Nunzio Pasquale , l’unico che pur sbagliando ci ha sempre creduto in questa Italia che non capisco, un’Italia partorita dalla mente perversa di Cavour che ha saputo sfruttare perfettamente i limiti caratteriali e strategici di quel guerrafondaio di Garibaldi , con l’avallo delle potenze europee , che potranno tra poco togliersi di torno il loro vero obbiettivo: il Papa. >>.
Achille alza il capo verso l’amico e con un sorriso ed un sospiro , come ad accettare la paternale lo invita ad andare a prendere un caffè in piazza.























30 Giugno Malaoi venduto per 12 carlini

<< Ma che fai,piangi ?>>, don Giacobbe Benevento il cassiere comunale guarda stupito l’uomo che ha di fronte e non sa darsi la ragione di quel comportamento. Ha appena guadagnato 12 carlini per aver riferito ai Carabinieri dove era nascosto il brigante Alessandro Masucci , malaoi, e piange .
<< Don Giacobbe , piango perché mi vergogno di me stesso . Come Giuda ho venduto la vita di un ragazzo che , per quanto cattivo, non mi aveva fatto mai niente di male. Ma i soldi mi servivano e la tentazione era troppo forte. So che non dovevo farlo. Chiedo perdono a voi e a Dio . Chiedo perdono ad Alessandro , anche se so che appena capirà chi lo ha venduto me la farà pagare cara. >>.
<< ma che dici fesso !. Tu , a Malaoi, lo hai salvato. Devi capire che questi non scherzano e che prima o poi lo avrebbero ucciso. Facendolo prendere mentre dormiva , significa che lo terranno un poco in galera, poi lo libereranno e potrà rifarsi una vita. Io ho paura per quelli che restano. Non ne uscirà nessuno vivo ! Si preannunciano tempi duri . Ormai li stanno accerchiando e li prenderanno con le buone o con la forza. D’altronde il tuo nome lo sanno in pochi e stai tranquillo che nessuno capirà mai chi ha contribuito alla cattura del brigante. Vattene a casa e comprati un po’ di sementi . Non andare ad ubriacarti in qualche cantina. Perderesti l’uovo e la gallina .>>
Un’altra famiglia distrutta , pensa don Giacobbe. In mezzo anno arrestati tutti i componenti , padre, madre e tutti i figli . Con il padre Giovanbattista ancora dentro , che ne avrà ancora per molto e sentire le accuse mossegli dal Giudice di Avellino.
Certo che Salvatore Sarno si sta dimostrando uomo senza pietà , godendo di questa atmosfera oppressiva e tetra. Ricorda ancora l’applauso del mese scorso in Consiglio comunale alla notizia dell’arresto di Alessandro Masucci e la festa nazionale del 1 Giugno ,
quando il Sindaco aveva premiato con sei carlini i due carabinieri e le sedici guardie nazionali e con dodici carlini il loro comandante per l’operazione compiuta come se avessero arrestato un pluri omicida o un pericolo pubblico.
Certo che è stato un mese pieno di avvenimenti , pensa , fissando il libro mastro . Da quando la settimana scorsa si sono costituiti alle autorità Alessandro Picone e gli altri sei , in montagna sono rimasti solo Pagliuchella, Giuseppe Marino e Gaetano Picardo. Mettendoci Cicco Ciancio e qualche serinese , i briganti saranno massimo in
sette o otto , e con tutto l’esercito sguinzagliato sulle montagne hanno ben poco da sperare per il futuro. Sa già che il solco tra loro e le autorità ormai è incolmabile e che solo la morte potrà portare pace nel prossimo futuro.



























3 Luglio Uccisione del brigante Pagliuchella.

Da dietro la finestra del Comune Don Salvatore Sarno osserva il corpo che penzola dal ramo del tiglio e rivolto a Don Vincenzo Luciani sorride soddisfatto:
<< il porco è appeso , anche se non è Natale ! Ci ha fatto penare , ma alla fine ci ha dato tutte le soddisfazioni che volevamo >> .
<< Certo che possiamo essere contenti ,finalmente ! Due anni di tribolazioni , ma alla fine , abbiamo dato il colpo risolutivo ai quei pazzi criminali. Senza Pagliuchella , Cicco Ciancio si allontanerà da Volturara e finalmente potremo respirare>>, soggiunge Vincenzo Luciani.
Si stringono la mano per festeggiare e per suggellare un’alleanza che li ha portati a comandare su tutti nel paese mettendo in un angolo sia i Vecchi che i Masucci. Si sentono ormai i padroni incontrastati e sanno che nessuno oserà più discutere le loro decisioni per non fare la fine di Pagliuchella , prima ucciso e poi appeso al Tiglio centrale della piazza.
<< caro Vincenzo, adesso dobbiamo stare calmi e non dare troppo enfasi a questo avvenimento. Rischiamo di farlo diventare un eroe per quei quattro fessi che credevano nel ritorno di Franceschiello. Domani mattina presto fai portare il cadavere in montagna e fallo seppellire in qualche vallone dimenticato. Se lo dovranno mangiare i cani . Il Cimitero non lo deve nemmeno vedere. Nessuno deve poter pregare sulla sua tomba ! >>.
Detto questo , Don Salvatore chiede permesso per tornare a casa . Per non passare affianco all’impiccato esce da una porta secondaria e attraversando il Candraone si ritira nel suo palazzo.
A tavola l’atmosfera è pesante . Don Salvatore , dopo essersi fatto il segno della croce invita i familiari alla preghiera in un silenzio imbarazzante e dopo pochi bocconi si ritira nel suo studio , chiedendo scusa alla moglie per aver poco appetito. Il figlio Alessandro ,appena tornato da Napoli , lo segue e cerca di farlo parlare, accorgendosi del suo stato d’animo. Sa che suo padre è un duro , ma non cattivo e che la vicenda del brigante gli ha creato molto turbamento .Gli racconta degli esami sostenuti e della bella figura che aveva fatto con i professori soprattutto sul Diritto Amministrativo, della fidanzata Immacolatina e dell’appartamento nuovo di via Duomo , dove vuole esercitare la professione di avvocato dopo la laurea. Alla fine vedendo che il padre non partecipa ai suoi discorsi , gli chiede direttamente di raccontargli come è stato ammazzato il brigante .Salvatore Sarno ha uno scatto . Alza la testa con fare minaccioso come per cacciare fuori dalla stanza il figlio, ma si riprende subito e capendo la vera ragione della visita di Alessandro , che vuole sempre sapere tutto e di tutti , decide di raccontargli gli ultimi avvenimenti.
<< Ieri mattina mi sveglia tua madre dicendomi che era venuto Vincenzo Luciani a dirmi di prima mattina di aver saputo da un suo informatore che la banda di Pagliuchella nella giornata sarebbe scesa a valle per recarsi a pranzo in località Sava da certi suoi manutengoli in un pagliaio. Siccome la notizia era di quelle che aspettavamo da un mese, mi recai subito in Municipio e chiamai a raccolta tutti gli ufficiali ed i sottoufficiali della guardia nazionale. Avevo deciso di non avvertire il Governatore della Provincia sia per agire con rapidità sia per non far divulgare la spiata ed anche perché poi Pagliuchella era un fatto personale e volevo arrestarlo io e portarlo in catene a piedi fino ad Avellino.
Il piano che avevo in mente non poteva fallire. Avevo deciso di mettere in atto la tattica della caccia al cinghiale , attaccando i briganti frontalmente, facendoli arretrare in un luogo dove li aspettavano le guardie già appostate .Mandai una trentina di guardie comandate da Don Vincenzo Lucani fino al Terminio per poi farli ridiscendere verso il Cotrazzulo e posizionarsi nella valle dell’Orso, disponendo un uomo armato ogni venti metri .Don Michele Masucci lo mandai alla bocca del Dragone con un’altra ventina di guardie per coprire una eventuale fuga, raccomandandogli di controllare la Costa in caso di spari , io con trenta uomini, partendo da San Marco nel primo pomeriggio , mi avvicinai al pagliaio deciso a farla finita per sempre con quella banda di assassini. Come previsto, il nostro arrivo fu notato dall’uomo di guardia che sparando un colpo di fucile in aria avvertì i suoi complici .Successe il finimondo ! Colpi di fucile da tutte le parti , con i nostri che distesi nell’erba cercavano di rispondere al fuoco senza avvicinarsi , solo per stanare le belve e farle scappare. Nella sparatoria rimase ucciso Salvatore Di Meo il figlio di Minicuccio , mentre i briganti cercavano di arretrare verso Cruci , per risalire la montagna.
Dal Dragone colpi di fucile a cadenza fissa facevano capire che quella via di uscita era loro preclusa.
Un silenzio innaturale calò all’improvviso nella vallata, come se tutti stessero ad ascoltare quello che stava accadendo. Ci incamminammo in una lenta, ma determinata marcia , con un uomo ogni dieci metri a ventaglio, che aveva lo scopo di portare in trappola i malviventi, e sparando colpi di fucile isolati per determinare il percorso obbligato.
La sera calò con la sua grande luna piena che sembrava una torcia accesa da una mano superiore per rischiarare una scena che sarebbe rimasta immortale nel tempo.
Le guardie dopo ore di marcia sembravano ombre allucinate che avanzavano senza paura e senza coraggio in un percorso che non conosceva ostacoli.
L’eco degli spari arrivò alle nostre orecchie verso le nove di sera . Colpi riverberati in un’eco piena di morte con una cadenza precisa che preludeva ad un altro colpo .
Poi , dopo non so quanto tempo , il silenzio.
Il sibilo prodotto con una cartuccia vuota, da lontano ci fece capire che tutto si era concluso , e con la nostra vittoria. Feci rispondere al segnale con un altro fischio per dare la nostra posizione e ci fermammo ad aspettare sulla strada che dal Ceraso porta al Terminio .
Nella semi oscurità quattro guardie con dei tizzoni fumanti facevano strada ad un corteo preceduto da un mulo sulla cui groppa era adagiato di traverso a pancia in giù il corpo di un uomo. Mi avvicinai a Don Vincenzo Luciani che , impettito e raggiante , quasi stravolto , afferrò i capelli dell’uomo tirandogli su la testa in modo innaturale esclamando :
<< Don Salvatò! Lo abbiamo preso , Don Salvatò !
La testa tumefatta e deforme di Pagliuchella mi diede un senso istintivo di disgusto , che superai con non poca fatica. Ritrovai il controllo di me stesso cercando di farmi spiegare da quell ’esagitato di Don Vincenzo che fine avevano fatto gli altri briganti.
<< Signor Sindaco, Cicco Ciancio,Gaetano Picardo e Giuseppe Marino sono riusciti a fuggire sotto una gragnola di colpi. Non so cosa esattamente sia successo , data l’oscurità , ma se la sono svignata senza che ce ne siamo accorti>>.
Le parole di Vincenzo Luciani sembravano di scusa nei miei confronti, ma gli spiegai subito che non ero arrabbiato per questo, che l’uccisione di Pagliuchella era il colpo più importante che si doveva mettere a segno e che al ritorno in paese lo avrei proposto per una onorificenza ufficiale.
Vincenzo sembrò calmarsi finalmente e incominciò a raccontarmi quello che era successo.
<< Era da poco calata la sera e ormai disperavamo di portare a termine la missione in modo positivo. Non sapevamo che era successo a valle durante la giornata e non avendo sentito sparare nessun colpo, pensavamo che la sorpresa fosse fallita. Eppure ci eravamo messi in modo tale da coprire tutta la zona , lasciando libero solo il lato di Montella, che presentava un burrone ripido e profondo , nel quale non poteva scendere nemmeno un gatto. La tensione stava calando e qualcuno già chiedeva di ritornare in paese. Solo la mia determinazione nell’essere quasi sicuro del risultato , conoscendo la vostra bravura , impediva agli altri di lasciare la postazione . Ero arrivato a minacciare di sparare a chiunque si fosse allontanato senza ordine.
All’improvviso verso le nove , circa due ore fa , voci concitate nel silenzio della boscaglia avevano fatto drizzare i capelli in testa a tutti . Il momento era arrivato ! Nessuno più se lo aspettava, ma era arrivato.
Capivo che dovevo stare calmo per riflettere e stringere il cerchio. Ho atteso che si avvicinassero e con un cenno di mano ho mandato cinque uomini a chiudere in basso per bloccare una eventuale loro ritirata . Mi sono fatto il segno della croce ed ho sparato il primo colpo come segnale. I quattro si sono bloccati , come folgorati .Nello stesso momento spari da tutte le parti fanno loro capire di essere circondati. Vedevo nella semi oscurità ombre che allargandosi a raggiera si buttano per terra ,nascondendosi dietro agli alberi.
All’improvviso uno di loro si alza , e urlando come un forsennato, incomincia a correre con il fucile ed una pistola in mano nella nostra direzione. Al primo colpo barcolla,ma continua a correre. Al secondo ed al terzo si appoggia la mano sulla gamba , ma la sua corsa sembra inarrestabile. Crolla a cinque - sei metri da noi , dopo un ultimo colpo a bruciapelo che gli devasta il volto.
Nel silenzio che segue , nessuno ha il coraggio di uscire allo scoperto.
Aspettavamo che i briganti superstiti sparassero nella nostra direzione, ma non succedeva niente. Per alcuni lunghi minuti il silenzio era interrotto solo da qualche colpo sparato dalle guardie , più per paura che per aver visto un bersaglio. Dopo una mezz’ora ho dato l’ordine alle guardie di scendere a raggiera senza perdere la distanza tra di loro e ci siamo ritrovati in fondo alla strada. Dei briganti nessuna traccia. Come abbiano fatto a sparire , senza che ce ne accorgessimo , è davvero strano. Hanno il diavolo dalla loro parte , altrimenti non sarebbero mai potuti scendere nel burrone laterale e dileguarsi nella notte. Quei due o tre minuti in cui abbiamo pensato solo al brigante che correva verso di noi sono bastati loro per scappare >>.
Caro Alessandro , in quel momento non sapevo se ridere o piangere , ma visto allora che non potevamo ormai più inseguire i briganti superstiti , siamo scesi in paese e lo abbiamo fatto appendere al Tiglio.
Chiudo il racconto per non tediarti , ma ricordati che , pur avendone viste tante e pur avendone ancora molte da vedere , sono sicuro che la giornata di ieri 2 Luglio 1862 rimarrà nei miei occhi e nella mia mente per il resto dei miei giorni. Anzi ti dico che anche tra 500 anni si parlerà ancora di questo brigante piccolo e smilzo , astuto e feroce che incarna il prototipo del volturarese qualunque.














1 Gennaio 1864 . L’ultimo brigante di Volturara

La piazza è piena di gente. Davanti ai caffè stazionano decine di persone che si scambiano gli auguri di buon anno . Sotto i tigli crocchi di notabili sembrano aver messo da parte rancori e diffidenze e si sciolgono in chiacchiere sul tempo e sui futuri raccolti. Il Campanile suona mezzogiorno e dopo poco una folla straripante esce dalla Chiesa di San Sebastiano , attardandosi a scambiare qualche pettegolezzo. Colpi di fucile in lontananza non creano più la preoccupazione di sempre , ma riflettono l’atmosfera di festa che pervade tutto il paese.
Don Leonardo Masucci , Don Salvatore Sarno e Don Gennaro Vecchi ricambiano i saluti dei tanti che si tolgono il cappello al loro cospetto attardandosi a discutere del più e del meno prima del pranzo.
<< Sembra che siamo usciti da un incubo ! Volturara è libera ,
finalmente ! Con l’arresto dell’ultimo brigante volturarese in libertà , Gaetano Picardo , possiamo incominciare questo anno nuovo con più tranquillità e sicurezza per noi e per i nostri familiari >>, Don Gennaro è su di giri e non lo nasconde, ma la risposta di Don Leonardo è gelida e lo blocca come una frustata
<< Gennà fino a quando non verranno ammazzati anche quei quattro montellesi comandati da Cicco Ciancio, non dormiremo sonni tranquilli >>.
Salvatore Sarno fa eco alle parole di Don Leonardo esprimendo il suo disappunto per non essere riuscito a catturare tutta la banda
<< E’ vero che briganti volturaresi in circolazione non ce ne sono più e credo anche che per il futuro non ce ne saranno altri , ma il problema della sicurezza resta , anche perché ci sono ancora troppe connivenze . Il Freddano è da anni ricettacolo di ladroni che campano con la refurtiva delle rapine . Occorre insistere senza abbassare la guardia e , secondo me , passeranno ancora anni per eliminare questa piaga che immettendosi nel tessuto sociale rischia di camuffarsi con la quotidianità e diventarne parte integrante. Se non stiamo attenti, dal brigantaggio vero e proprio passeremo alla fase della mentalità brigantesca , che creerà malavitosi e corrotti ad iosa in cui ognuno , fregandosene della legge e della legalità , cercherà di arraffare a quanto più non posso per un senso del possesso che lo rende più forte sul suo vicino . Nella nuova Italia incominciano a circolare voci che vogliono annullare la Proprietà e creare e creare uno Stato dove i contadini gestiscono i raccolti e le semine. Ormai siamo alla fine del mondo . Non c’è più rispetto per i valori che ci hanno insegnato per secoli. Se andiamo avanti così , di questo passo va a finire che i buoni le prendono ed i fessi menano le botte o come diceva mio padre succederà che le sciabole stanno appese ed i foderi combattono >>.
<< Non è del tutto sbagliato quello che dici ma , se ci manteniamo uniti e saremo inflessibili , nessuno oserà alzare il capo più di tanto , gli risponde Don Leonardo, d’altronde in questi tre anni abbiamo dimostrato che , superata la iniziale fase di sbandamento , siamo riusciti a riportare la calma e l’ordine sociale a Volturara. Ora vi saluto perché è festa e voglio dedicarmi alla famiglia . E’ ospite a casa il fidanzato di mia figlia Filomena . Si devono sposare quest’anno e voglio godermi la presenza di mia figlia , prima che si trasferisca a San Michele di Serino dove andranno ad abitare dopo il matrimonio>>.
Più in là , davanti la cantina , Alessandro Picone sta sorseggiando un bicchiere di vino in compagnia dei fratelli Nicola e Raffaele. Ha osservato i tre che si salutavano e non può fare a meno di scagliare bestemmie e maledizioni contro di loro
<< Maledetti . Fanno come Ciao e Nicolicchio .Di giorno litigano e di notte vanno a rubare insieme. Sembravano nemici capitali e poi eccoli insieme a discutere per imbrogliare gli altri. Hanno distrutto la nostra vita e se la ridono come se niente fosse. Io ho dovuto fare due anni di prigione , Luigi poverino è ancora in carcere. Mi pento di non averli uccisi quella sera maledetta del 7 Aprile , quando eravamo padroni del paese. Nicola lo zittisce arrabbiato
<< Alessà , ma non ti basta quello che hai passato ?. Questi sono troppo forti per noi e se non volgiamo fare una brutta fine , dobbiamo rassegnarci , come hanno fatto gli altri. Se ci guardiamo alle spalle , ci accorgiamo di quante famiglie hanno sofferto le pene dell’Inferno. Meno male che con l’indulto di due settimane fa quasi tutti sono tornati a casa. Tu non ti rendi conto che per loro dovresti stare ancora in galera . Quelli non perdonano i simboli e vederti girare libero in paese provoca in loro rabbia e risentimento. Non accetteranno mai che il figlio di Antonio Picone abbia potuto muovere un popolo contro di loro . Te la faranno pagare per il resto della tua vita e per ogni cosa che succederà negli anni a venire ti verranno a prendere e ti porteranno in caserma anche se non c’entri niente. Lo faranno per il solo gusto di provocarti e di vederti soffrire. Tu devi pensare a tua moglie e ai tuoi figli , senza di te moriranno di fame.
<< hai ragione, Nicò , soggiunge Alessandro , devo capire che l’Alessandro del 61 è morto e sepolto. Ho perso tutto , anche la proprietà con tutte queste cause , senza poter lavorare. Vi prometto che da oggi in poi anno nuovo,vita nuova. Anzi vi dico che non passerò mai più per questa Piazza maledetta che mi ha dato solo sofferenza e se devo andare alla Pozzella , faccio il giro per la campagna. >>.
Si alzano e si avviano verso casa al Freddano in silenzio,ognuno immerso nei propri pensieri. Alessandro rimugina nella mente scene già viste. Che anni maledetti ! e come è lontano ormai il ricordo di un Re cacciato e perseguitato e che tutti vogliono dimenticare. Questa nuova Italia gli appare cattiva e troppo forte . Eserciti che arrivano in un baleno a stroncare ogni movimento sospetto, guardie nazionali che per una diaria sostanziosa denunciano tutti i sospetti . Come in un libro gli passano davanti agli occhi gli avvenimenti degli ultimi tempi e rabbrividisce pensando alla cattiveria e alla determinazione di un classe dirigente che solo per difendere il suo potere e soprattutto la sua proprietà ha determinato orrore e morte, deportazioni e rovine. Pensa ai ragazzi morti spinti e rinchiusi in una trappola sempre più stretta ,
senza via d’uscita. Rivede Pagliuchella ed immagina la scena dell’impiccagione con i sorrisi cattivi di chi opprime gli altri con la forza della cosiddetta Legge e che si nasconde dietro le sue regole per imporre soprusi e mortificazioni. Invoca nella mente l’eterno riposo per Giuseppe Marino , ucciso il 14 Ottobre di due anni prima e sotterrato in montagna come un cane randagio , per Raffaele Del Percio , morto misteriosamente in carcere il 9 Gennaio dell’anno precedente , per Giuseppe De Feo il figlio di Pasquale , ucciso sei mesi prima in una lite tra briganti e per il serinese Luigi Volta ammazzato il 26 Novembre precedente nell’ultimo grande rastrellamento delle squadriglie mobili all’Acqua degli Uccelli , su al Terminio.
Poi corre col pensiero a quel 13 Marzo dell’anno precedente quando nell’aula del tribunale di Avellino il giudice Vigorita aveva pronunciato le sentenze e la morte civile sua e di tanti altri . Gli risuonano nella mente , come un’eco che martella , le parole all’atto della sentenza
“ In nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele Re d’Italia , noi Giudici chiamati a giudicare i reati commessi il 7 Aprile 1861 in Volturara paese arretrato,feroce e sanguinario, restio ai novelli ordini civili da Alessandro Picone ed altri , accusati di cospirazione ed attentato contro la sicurezza interna dello Stato … condanniamo Alessandro Picone e Raffaele Cutillo a venti anni di lavori forzati,Angelo Mele e Nicola Marra a sei anni, Bernardo De Cristofano e Mariano Risoli ad un anno… .”
Una mazzata che era riuscito ad evitare grazie all’indulto per aver commesso solo reati politici senza rapine , che lo aveva rimesso in libertà controllata e che aveva permesso anche a Gaetano Picardo,
l’ultimo della comitiva dei briganti volturaresi di costituirsi , senza essere condannato, insieme con il biellese Giuseppe Rossetti appena due settimane prima , il 17 Dicembre , festeggiata dai Don come la fine del brigantaggio a Volturara Irpina.
Un turbinio di scene e di persone che lo turbano profondamente e su tutto le parole del Sindaco Salvatore Sarno il giorno del ritorno a Volturara dal carcere
<< Alessandro Picone , sei stato la causa di tutti i mali di questo paese. Ma l’Italia ti ha perdonato , anche se non lo meritavi , dimostrando benevolenza e voglia di chiudere un capitolo doloroso. Non potrai mai dire che non sei stato fortunato .Per quello che hai combinato , avresti meritato la morte o il carcere a vita , perciò stai attento d’ora in poi a quello che fai. Non ti perdoneremo niente e se ti renderai responsabile di altri guai , ti giuro che ti ucciderò con le mie stesse mani. Il paese ha bisogno di calma per crescere nel progresso e noi abbiamo tante cose da fare. Come hai potuto vedere è tutto un cantiere. Stiamo ricostruendo la Chiesa Madre , che diventerà la più grande d’Irpinia. Abbiamo rifatto il Campanile e messo il nuovo orologio , stiamo mettendo le luci per tutto il paese e la piazza sarà lastricata con basoli bianchi per evitare tutte quelle pozzanghere piene di escrementi di vacche. Perciò l’ultimo avvertimento che ti do è di sparire dalla circolazione e di farti i fatti tuoi .>>
La voce della figlia Teresa che lo chiama lo riporta alla realtà . Saluta i fratelli , la prende in braccio e baciandola sulla guancia promette a se stesso di chiudere con il passato.































1870 La storia del cinghiale bianco

<< E’ passato quasi un quarto di secolo , ma la storia di Antonio e del cinghiale bianco , me la ricordo come se fosse ieri. Antonio Di Meo aveva 40 anni , una mandria di mucche al Dragone sotto il controllo dei garzoni ed una giumenta dal pelo nero lucente che era la sua compagna inseparabile.
Quella mattina di ottobre si era alzato prima del far del giorno per recarsi alla selva su al Ceraso a raccogliere castagne come tanti volturaresi.
La rabbia nel vedere la selva piena di buche e per terra una distesa di castagne rosicchiate e sparse dappertutto gli fece maledire tutti i cinghiali del mondo . Ormai era una bubbone che aveva raggiunto il culmine. Vedere il frutto di sacrifici di anni distrutto in una nottata lo faceva imbestialire . Tornò a casa , prese il fucile e disse alla moglie che sarebbe rimasto in montagna per un paio di giorni, giusto il tempo di uccidere quelle bestiacce che gli stavano procurando un danno incalcolabile.
Tornato in montagna , lega la giumenta ad un albero e si sistema nel pagliaio accendendo il fuoco per il troppo freddo .La sera cala tra gli alberi portando una nuvola densa di nebbia che impedisce la visuale oltre due o tre metri.Seduto su un tronco d’albero con il fucile appoggiato con il calcio per terra e la canna sul petto tende le mani al fuoco stringendo i denti a bocca aperta e chiudendo gli occhi come a scacciare il freddo in attesa dei suoi nemici. La giumenta a pochi metri di distanza sembra dormire all’impiedi. Le ore passano lentamente ed Antonio inseguendo i pensieri si appisola ad occhi aperti. Il fruscio sulle foglie ed un rumore strano che sembra lo sbuffo di un orso lo riporta alla realtà e gli fa imbracciare il fucile automaticamente . Un bestione che sembra una mucca avanza muso per terra sbuffando come a tracciare un solco , mentre tutto intorno si alza una nuvola di terra e foglie che assumono mille luccichii nell’umido della nebbia. Antonio ha come un attimo di smarrimento e di paura di fronte a quel gigante che sembra uscire dalle tenebre dell’inferno . La bestiaccia ha il pelo quasi tutto bianco e sembra confondersi con la nebbia. Ferdinando lo segue con la canna del fucile e chiude gli occhi mentre spara .L’animale per un attimo sembra cadere come svuotato di energie , ma si riprende subito e si dilegua nell’oscurità in un baleno. L’uomo , come uscito da un incubo , esce dal pagliaio per seguire con lo sguardo quell’ombra che scappa come a sincerarsi che la scena vista sia stata vera o frutto di un incubo . Fa alcuni passi in avanti fuori dal pagliaio e solo allora si accorge che la cavalla è stesa per terra coricata su un lato . Corre , preso da un oscuro presentimento , e si rende conto subito che è morta. Un rivolo di sangue sotto l’orecchio sinistro gli fa capire che uno dei pallettoni sparati contro il cinghiale l’ha colpita al cervello ,uccidendola sul colpo.
Con le braccia stese sulla pancia della cavalla passa tutta la notte a piangere e ad imprecare contro la malasorte che gli ha tolto l’unica amica e compagna che aveva e solo alle prime luci dell’alba infreddolito prende la zappa nel pagliaio , scava una buca profonda sette palmi , come d’uso in segno di rispetto per l’animale , e la sotterra , mettendo alla fine una croce di legno a ricordo della sua amica.
La moglie lo vede arrivare stralunato e con uno sguardo cattivo come non lo ha mai visto. Le racconta l’accaduto e senza aspettare risposta va a prendere tutte le cartucce che aveva conservato nella cassapanca , poi la bacia sulla guancia e ritorna in montagna a piedi.
Cala di nuovo la sera e nel buio più assoluto , senza accendere il fuoco, aspetta che il suo nemico ritorni .
Sa che i cinghiali vedono poco , ma sentono gli odori a decine d metri, e sa anche che percorrono sempre la stessa strada sia d’entrata che di uscita dal bosco. Si apposta sul sentiero , sapendo che passerà di là . Una scena già vista lo trova preparato ad imbracciare il fucile ed a sparare , appena il cinghialone appare nella semi oscurità . Il colpo fa fermare per un istante la bestia come folgorata, ma la sua corsa improvvisa e veloce sembra il calpestio di cento cavalli che rimbomba nel silenzio della notte. Antonio ricarica il fucile e sta per sparare di nuovo ma la montagna di muscoli e di rabbia si abbatte su di lui producendo un rumore secco e grave . L’uomo sembra volare per poi schiantarsi ad alcuni metri di distanza , immobile e privo di sensi. Una nuova alba e le voci da lontano lo riportano alla realtà e solo il pianto sommesso della moglie gli fa capire che è ancora vivo . Un dolore sordo alla coscia gli impedisce di potersi alzare ed accetta l’aiuto che i familiari accorsi al richiamo di Anna che non lo aveva visto rientrare a casa . Prendono due aste di legno, vi infilano un cappotto rigirato , costruendo una rudimentale barella con la quale lo trasportano in paese dal dottore. La situazione appare gravissima nella sua drammaticità ed per evitare infezioni , Don Carmine decide di amputargli l’arto. La ripresa è lenta e difficile , e solo dopo un anno Antonio riesce a guarire completamente. Gli viene applicata una protesi rigida di legno con delle fibbie attaccate al bacino che gli permettono di deambulare con una certa facilità . Le lunghe giornate passate a letto e l’impossibilità di poter lavorare lo trasformano , rendendolo taciturno e introverso . L’unico pensiero è ammazzare quel diavolo che gli ha distrutto la vita , ed appena riesce a rendersi autonomo nei movimenti ritorna a varie riprese in montagna per riprendere quella guerra interrotta un anno prima con due grandi sconfitte. Prepara l’ultima battaglia nei minimi particolari con trappole e percorsi obbligati in attesa del grande momento in cui vedrà consumata la sua vendetta. Finalmente ai primi dell’inverno trova nella neve tracce fresche e profonde tipiche del suo nemico . Prepara un impasto di cibi ( granturco,castagne , ecc..) e lo dissemina nella neve come richiamo irresistibile per la fame dell’animale e aspetta con tre fucili caricati a palle singole e a pallettoni davanti al pagliaio . Arrivano silenziosi e leggeri come una folata improvvisa di nebbia e lo assaltano con un latrare che sa di fame e ferocia . I lupi ! Antonio spara , spara a più non posso, ma il branco non scappa , avanza fino a raggiungerlo, a graffiarlo , a morderlo.
Una furia bianca nel bianco si abbatte all’improvviso sul branco caricandoli con il muso e sbattendoli in aria con i denti acuminati che sembrano zappe che scavano nelle membra degli animali .Continua a sparare , senza mirare , e si ferma solo quando il silenzio cala nel bosco e sente le forze mancargli per il sangue che esce dalle ferite provocategli dai lupi..Un’alba livida e fredda apre i suoi chiarori su una raduna imbiancata e solcata da miriadi di strie rosse di sangue dei tanti lupi sventrati , e di un cinghialone ed un uomo che distesi su un fianco sembrano guardarsi con lo sguardo perso nel vuoto e nel freddo della morte >> .
Alessandro Marra osserva sorridendo sotto i baffi i figli Angelo e Nicola con la consapevolezza di sapere di aver scatenato nelle loro menti sensazioni di ogni genere con quel racconto che anche a lui procura brividi nel raccontarlo . Ma ormai sono grandi abbastanza per far capire loro che la vendetta ed il rancore non solo non portano mai bene e felicità , ma innescano un meccanismo perverso di autodistruzione in cui alla fine non si sa mai chi ha torto e chi ha ragione , e nei suoi quasi settanta anni ha capito che farsi i fatti propri è il miglior modo per raggiungere la vecchiaia . Ricorda come spesso la vecchia madre Chiara gli ripeteva che tra due litiganti non bisognava parteggiare con nessuno . Ci avrebbe perso tempo , danaro ed amicizia per fare da testimone perché quasi sempre succede che i due fanno pace tra di loro , mentre chi testimonia resta malvisto negli anni sia dell’uno che dall’altro . Con un gesto automatico , senza accorgersene , prende la pipa di creta dalla giacca di velluto , vi infila la lunga cannuccia ricurva dopo averci soffiato dentro per pulirla , ci mette un poco di tabacco premendo dolcemente da esperto tra il pollice ed indice per creare un miscuglio omogeneo .Si china poi sul fuoco a prendere tra le dita callose un pezzo di carbone ardente e lo appoggia sulla pipa , aspirando con forza . La nuvola di fumo esce prorompente dalle narici procurandogli un senso di sollievo e di calma << Che tempi brutti ! , pensa sedendosi sullo scalino di pietra davanti casa . Con questi briganti montellesi che arrivano dappertutto ed in qualsiasi ora , minacciando e rubando , non puoi neanche andare a lavorare in campagna da solo e senza armi . Rischi di trovarti una pallottola nella schiena . E quei fetenti del Freddano che li coprono e li aiutano per quattro misere lire che recuperano dalle refurtive .
Poveri figli miei ! quale futuro vi attende. Se non ci diamo da fare , rischiamo di perdere anche quel poco di proprietà che abbiamo costruito in tanti anni di sacrifici e che ha permesso di non mandarvi a fare il soldato a morire in terre lontane a difendere la nuova Patria . Certo che ora che Roma è stata presa dai bersaglieri ed il Papa ha finito di sovvenzionare Franceschiello , è sicuro che non si torna indietro , ma qua sembra che sia arrivata l’anarchia con tanti criminali che sono usciti allo scoperto . E lo stesso Sindaco Salvatore Sarno sembra abbia perso tutto l’entusiasmo dei primi anni sessanta di fronte all’assalto al potere dei nuovi tiranni sia in paese che ad Avellino. L’ordine pubblico è ormai in mano ad avventurieri ed opportunisti che nel caos amministrativo cercano nuove ricchezze e sempre maggiore potere . Tutti questi lavori pubblici che stanno facendo in nome dell’Italia per creare il cosiddetto progresso alla fine si stanno rivelando solo occasioni di arricchimento personale e sono già dieci anni che la Chiesa Madre , nonostante tanti soldi spesi , è ancora da iniziare. Se andiamo di questo passo , credo che nemmeno i miei figli la vedranno finita . Tra quei “ filosofi “ di Vincenzo Pasquale e Alessandro Sarno e quel furbastro di Gennaro Vecchi , che sta sempre in mezzo e vuole solo comandare , il paese andrà sempre indietro e non avanti . Non parliamo poi dei preti che , da quando tre anni fa hanno perso potere e proprietà con le nuove leggi , si stanno scannando tra di loro per quella misera eredità di Don Domenico Benevento, buonanima , che destinata ai poveri è diventata il salvadanaio del parroco e dei suoi accoliti , con la scusa della Chiesa da costruire .
Ci aveva provato il dottorino Don Vincenzo Santoro a sputtanarli con quei libretti sulla loro cattiveria e malafede , ma lo hanno fatto scappare dal paese e ricordo ancora le parole che mi disse quando andai a salutarlo il giorno della partenza :
“ Alessandro in questo merda di paese , non ci tornerò mai più ! Lo cancellerò dai miei occhi e dalla mia mente e se un mio figlio volesse ritornare , lo maledirò per il resto dei suoi giorni. Qui o sei povero e fesso e ne prendi , o sei ricco e capisci , e te ne mandano via . Sono sempre le solite sette otto famiglie sparse intorno alla Piazza come avvoltoi a guardare le vicende di tutti e stritolare la poca voglia di fare bene degli altri. Ti contano i peli che hai dappertutto e godono solo quando riescono a farti soffrire. Ma sono cose che già sai ed è inutile che te le ripeta. Quel bacchettone del farmacista Pasquale si crede il censore del paese e , forte dell’appoggio dei soldi del padre , si fa bello coi preti scrivendomi quel libro contro . Non si rende conto che oggi lo usano contro di me , ma domani saranno pronti a scagliarsi contro di lui , appena vorrà fare qualcosa di buono . Me ne vado a fare il condotto a Giffoni Valle Piana e non ti invidio lasciandoti in questo paese . Abbi fortuna , perché sei buono di cuore e ti meriti tutto il bene possibile “.
Povero dottorino , poteva dare tanto al paese ed è scappato come un ladro , mentre i “ mammuoccioli “ della Piazza sorridono sotto i baffi per essersi tolto di torno un altro rompiballe . Sannio che è come quando butti un sasso nell’acqua . Fa rumore e cerchi , ma basta aspettare e tutto torna quieto come prima . Come se nulla fosse successo .
La voce di Angelo lo scuote dai suoi pensieri .
<< Papà , non lasciarti andare come sempre alle tue arzigogolature mentali . Scommetto che se andavi a scuola , avresti fatto il predicatore o lo scrittore come Patrammeo. So già che ti stai preoccupando del nostro futuro e vorresti che diventassimo ricchi e potenti . Noi vogliamo essere solo noi stessi , senza strafare . E piano piano con l’aiuto di Dio , ci faremo strada nella vita , crescendo una famiglia e mandando i figli a scuola . Domenico di Mingone , il fratello della mia fidanzata, fa il sensale e guadagna bene , portando grano e fagioli al mercato di Gravina in Puglia .E’ riuscito ad entrare nel giro e mi ha anche chiesto di aiutarlo nel lavoro . Mi ha incaricato di raccogliere la roba in paese e di mettere i prezzi . E’ importante . E’ il primo passo per migliorarci e se vuoi aiutarmi ti puoi iscrivere nel registro dei commercianti . Per la proprietà che possiedi , potrebbero accettare la domanda e coronerò il mio sogno di diventare commerciante vero . Non voglio zappare la terra e togliere la merda da sotto le mucche , né voglio emigrare nelle Americhe come stanno pensando tanti . Se devo perdermi per il mondo , preferisco fare la fame a Volturara . Certo sarà difficile , ma farò tutti i sacrifici del mondo e sarò parco anche nel mangiare pur di riuscire . Figurati che già gli amici mi hanno soprannominato “ cusuto “ , perché il sacco che uso per metterci la roba da comprare ha mille rattoppi . Non sanno che io lo mantengo, un poco per risparmiare , ma anche perché mi porta fortuna e non riesco a buttarlo via >>.
<< Angelo , risponde il vecchio , il lavoro che ti accingi ad affrontare è difficile e pericoloso . Ci vorranno anni e , forse , generazioni per diventare commerciante . Qui pochi hanno soldi e quelli che li hanno non li daranno certo a te . Ti dovrai accontentare di fare crediti , dando merce in cambio di promessa di soldi che non arriveranno mai e nel frattempo rischierai di perdere il capitale >>.
<< Non ti preoccupare , papà . Starò attento . Ma non puoi e non devi proibirmi di migliorare la mia posizione sociale . E se non ci riuscirò io , dirò a mio figlio ed al figlio di mio figlio che devono perseverare nel miglioramento familiare nella cultura e nella fede in Dio e nella Madonna , che ci aiutano e ci proteggono nel difficile cammino della vita . Adesso , papà scusami , voglio andare a trovare Giulia . Le ho promesso di portarla a messa e non voglio mancare all’ impegno . >>.
<< Vai in pace ,figlio mio , e salutala per me , perché è brava e rispettosa . E sono sicuro che se avrai la fortuna di sposartela , crescerai una bella famiglia . Vuol dire che sarà Nicola ad aiutarmi nelle faccende domestiche e ad accudire le mucche >> .
Angelo si avvia lentamente a casa della fidanzata e strada facendo pensa alle parole di prudenza del padre
<< Come è strana la vita . Io e Alfonso , quasi uguali , ma differenti al massimo come carattere . Lui lavoratore indefesso e calmo , io attirato dalle chimere della piazza con la quasi certezza di poter fare brutta figura , ma determinato a compiere il passo , a costo di rimetterci la vita . Deve esserci qualcosa dentro di noi che determina il nostro futuro . Come quando nel caffè mischi le carte e non sai mai quelle che ti verranno in mano. Sarà l’angelo custode , sarà il destino o il caso , ma una cosa è certa , come dice sempre mio padre che quando vuoi raggiungere un traguardo , se ci metti la buona volontà e l’impegno , prima o poi ci riesci . Non so quando verrà quel prima o poi , ma sono sicuro che anche io raggiungerò l’obbiettivo che mi sono fissato . Un bel negozio in piazza e magari un figlio medico e perché no , un nipote Sindaco come i Masucci che sono rispettati e temuti da tutti >>. Nel fare la mossa da gentiluomo di calare il cappello di fronte all’improbabile nipote Sindaco , viene riportato alla realtà dalla voce del futuro cognato Domenico di Mingone
<< Angelo ! ma ti sei per caso rimbambito ? Non ti darò certo mia sorella in sposa , se continui a dimenarti come se avessi il ballo di San Vito >>.
<< Ma no , Domenico ! Scherzavo con me stesso su un sogno difficile da realizzare . Piuttosto , stasera lascia stare i tuoi affari e accompagnami a casa tua . Solo se stai con noi , tuo padre mi può dare il permesso di portare Giulia in Chiesa e te ne sarò grato per sempre . Ho voglia di guardare la mia fidanzata negli occhi . Non potrai mai capire quanto sono felice appena la vedo >> .
Il vento che si è alzato all’improvviso e le prime gocce di pioggia fanno loro capire che è meglio affrettare il passo .
Angelo correndo osserva Domenico davanti a lui e decide mentalmente che gli sarà sempre fedele anche dopo la vita , perché è grazie a lui ed alla sua famiglia che lo hanno accolto come un figlio , che ha raggiunto la felicità .
























1873 20 Agosto . Fine del brigantaggio

Il banditore comunale si ferma sotto il tiglio e porta la trombetta alla bocca. Il suono è il segnale per i distratti passanti .Tutti, come d’abitudine volgono il capo verso quell’inserviente comunale così comico nei suoi calzoni alla zuava e con la coppola più grande della testa che sprofonda fino al naso rosso di vino e con quei baffi all’in su che sembra il barone di Munchhausen .Tutti aspettano che dopo il segnale incominci a gridare che è arrivato il pesce fresco in piazza o che il solito verniciatore di pentole di rame vuole dare il numero dei giorni in cui si fermerà in paese nel solito sottano di via Freddano.
<< Sono finiti i briganti ! c’è stato il distruggimento del brigantaggio del crudelissimo suicida Manzi.>> .
Le parole si perdono negli occhi degli astanti che si osservano quasi ad interrogarsi di aver capito bene. Poi un mormorio , un applauso sempre più forte , un’unica voce che grida nelle vie e per la case. Gente che esce dai vicoli e scende in piazza , musicanti che corrono a prendere gli strumenti come se fosse il giorno del Santo Patrono , ed è un ballare senza meta e senza sosta che coinvolge giovani e vecchi,notabili e popolani, donne e fanciulli . E’ la fine di un incubo che attanagliava il paese da ormai tre lustri e che negli ultimi sette otto anni era diventato una cappa sulla vita di tutti , con quei montellesi padroni del territorio che facevano rintanare tutti nelle case al loro apparire . Sono finiti i barbari ! viva la libertà ! queste le voci che si rincorrono , mentre il giovane Don Pasquale Sarno prende una bandiera tricolore ed incomincia a dirigersi verso il Freddano per un corteo liberatorio con la banda in testa. Lo seguono in centinaia tra canti e balli, come si è soliti fare a Carnevale.
Alessandro Picone , attratto dal frastuono si affaccia alla finestra della cucina e sgrana gli occhi vedendo quella moltitudine di persone avvicinarsi a casa sua e proseguire verso la Croce . Una processione festante in cui è difficile distinguere il sacro dal profano, un’atmosfera mai vista in quaranta anni di vita paesana . Si stropiccia gli occhi per capire se è un sogno o se è la realtà .
Arriva la figlia quattordicenne Teresa e gli spiega che tutti i briganti montellesi sono stati uccisi o catturati e che è tornata la libertà. Alessandro si fa il segno della croce , forse per festeggiare a modo suo l’evento , ma forse anche per un saluto ai tanti caduti in nome di eventi che strada facendo avevano perso l’obiettivo prefissosi trasformando un’aspirazione politica in una bagno di sangue, di orrori e di morte.
<< Tredici anni e quante sofferenze. Quanti volti dai lineamenti sfocati dalla spugna degli anni trascorsi sacrificati sull’altare della vita e nel nome di un ideale che nessuno più ricorda. I Borbone scomparsi insieme con il Papa nelle grinfie di un Stato oppressore , che al posto delle terre ha portato nuove tasse ed una miseria sempre più nera che spinge i già poveri a vendersi tutto per pagarsi un viaggio di sola andata in America,maledicendo il paese e le case , le madri ed i padroni della piazza. >>. Guarda nella penombra della sera il corteo che si snoda saltellando in modo abnorme e che scompare all’orizzonte nel suono di una marcia trionfale che gli riempie l’anima di pena , mentre vengono accese le luci da poco messe per le strade e ad ogni finestra viene acceso un lume come partecipazione e come liberazione da un brutto sogno che pareva non finire mai.
Non può non pensare a quelli che come suo fratello Luigi non hanno avuto la sua stessa fortuna e sono ancora al carcere duro dei lavori forzati dopo dieci anni . Li vede con quella catena al piede che gli procura ancora tanto dolore. E mentre lacrime fredde gli scorrono sulle guance vede davanti ai suoi occhi quel ribaldo di Pietrillo De Feo, mai domo e per questo condannato a venti anni suppletivi oltre i sedici comminatigli dal tribunale il 10 Marzo 1865 con il suo sogno spezzato di una vita con Concetta, della quale gli resta solo e sempre il ricordo di quelle ore precedenti al suo arresto e Giuseppe Nardiello,
zeza , scappato e persosi nelle Americhe per non scontare i quasi venti anni di carcere comminatigli . Meno male che quell’Alessandro Picone è ormai scomparso , preso come è dal tanto lavoro per mantenere una famiglia che cresce sempre di più , si ripete mentalmente quasi a volersi convincere che i tempi sono cambiati e che è meglio dedicarsi alle mucche e ai quattro figli che dovranno ripartire da zero per sopravvivere in questo paese arretrato e privo di sbocchi economici. Si allontana dalla finestra e cerca di rilassarsi osservando in silenzio la moglie Maria che sta preparando sul fuoco nel tegame di terracotta una bella zuppa di cocozza , patate e fagioli che è un invito a passare una serata senza pensieri con davanti una bella bottiglia di vino appena acquistata nella vicina cantina.
Fuori il corteo sempre più numeroso continua a marciare tra canti e balli ricevendo applausi e incoraggiamenti da tutte le porte e da tutte le finestre aperte ed illuminate. Solo in qualche casa si chiude l’uscio come ad isolarsi da un momento collettivo che provoca rabbia e dolore mai sopito.
Alessandro Candela seduto sulla cassapanca di legno si stringe la testa tra le mani quasi ad allontanare quel frastuono che rimbomba nelle sue orecchie e offende la memoria di suo fratello Ferdinando e dei tanti uccisi come animali sulle montagne di Volturara. Maledice il giorno in cui suo fratello era tornato come soldato sbandato ed aveva conosciuto Giuseppe Nardiello cadendo in un vortice senza uscita .
Rivede ancora la scena di quando gli aveva infilato il coltello in pancia perché lasciasse in pace suo fratello , ma non era servito a niente perché , appena costituitosi Giuseppe Nardiello , era arrivato quel maledetto di Cicco Ciancio , che aveva fatto diventare Ferdinando ancora più cattivo fino a quando lo avevano braccato e ammazzato come un animale selvatico.
Un periodo nero come la pece che aveva portato a morte uno appresso all’altro Giuseppe Marino, il figlio di Cicco di Camilla il 14 Ottobre di quello stesso maledetto anno , ucciso ed infossato sul Terminio come la carcassa di una vacca morta per caso , senza messa e senza preghiere e poi Raffaele Del Percio e Giuseppe De Feo e Luigi Volta e finalmente , come una liberazione aveva chiuso il cerchio il 21 Novembre 1866 l’uccisione di Cicco Ciancio , giornata indimenticabile che aveva vendicato la morte di tanti poveri giovani circuiti dalla cattiveria del montellese e dei suoi compari.
Nella casa affianco , Raffaele Picardo applaude alla gente che gioisce e gira la testa all’interno ad osservare il fratello Gaetano
<< Era meglio che morivi , quel giorno di dieci anni fa . Povero Gaetano feci tanto per farti costituire , ma ogni giorno mi fai maledire il mio gesto >>. Sembra parlargli , ma è solo un pensiero che rimbomba e resta nella sua mente
<< Gaetano Picardo, l’ultimo brigante di Volturara , è una larva umana , schiavo del vino e dei suoi tormenti . Il signore mi ha voluto punire ed io accetto questa croce in suo nome . E’ finita un’epoca stasera , ma i residui morali ed economici ce li porteremo per il resto dei nostri giorni >>.
La folla continua la sua marcia . Attraversa il Carmine, gira per la Cupa e sale alla Pozzella.
Achille De Cristofano esce in strada ed aiutato dai familiari offre bottiglie di vino a tutti , e tutti lo festeggiano con passi di tarantella cui risponde facendo finta di ballare. La Spezieria è tutta un’esplosione di gioia , con gente accalcata e festante. Poi lentamente la banda musicale intona l’inno italiano e tra applausi e cori si dirige in Piazza.
Achille si ferma a guardarli mentre si allontanano e asciugandosi il sudore dalla fronte , resta con la mano tra i capelli perdendosi in mille considerazioni. Rivede davanti agli occhi il fratello Ferdinando,ormai morto da otto anni a 45 anni , lasciando la moglie con il piccolo Sebastiano in uno stato di totale disperazione. Rivede se stesso , idealista e ingenuo , caduto nella trappola di invidiosi e corrotti. Rimpiange quell’Achille di dieci , dodici anni prima , ma accetta mentalmente la situazione attuale di un uomo che si impegna nel lavoro , nella famiglia e nella politica paesana combattendo i soprusi e le cattiverie dei vari Vincenzo Luciani e compagni.
<< Incredibile ! sembra lo stesso corteo del 7 Aprile . Allora nacque la morte . Oggi rinasce la vita ed in mezzo una dozzina di anni e di morti ammazzati. Si partì per difendere la Patria , oggi si balla contro quella Patria e sembrano tutti contenti. Diventarono briganti per fame e per orgoglio , li ammazzarono come animali selvatici . Risero con i piedi sui loro petti e li malmenarono anche dopo morti. Li dissero feroci e sanguinari, ma li uccisero spietati e crudeli . Restano lacrime e disperazione in chi amava quei poveri giovani senza riserve e sapeva che il loro destino era nato senza colpe di scelta , ma per un gioco del fato che aveva trasformato in un attimo amici in nemici da combattere e nemici in alleati contro i loro vecchi amici, in un gioco perverso dove i fessi subiscono e pagano sulla loro pelle errori o scelte
di altri >>.
Si fa il segno della croce e rientra in casa.
La piazza è piena di gente. La banda schierata sotto il tiglio centrale riprende a suonare marce militari e patriottiche , ripetute a squarciagola da una marea di gente , che non vuole smettere di gioire. Il palazzo Masucci è illuminato a festa e dal balcone del primo piano si affaccia Don Leonardo , sostenuto dai figli Achille ed Annibale. Una ovazione saluta il grande vecchio che non usciva dalla sua stanza ormai da mesi . Con le mani alzate i Masucci rispondono ai saluti , e restano ad osservare la festa con il popolo che balla al centro della piazza ed i vari notabili intorno ad osservare divertiti , come per dire ci sono anche io . Don Leonardo guarda i figli ed esclama :
<< Voi siete nati per comandare ! e per comandare questo paese ingestibile , è necessario che seguiate delle regole. La prima è che non dovete mai schierarvi per una fazione o per un’altra . Dovete mandare i vostri uomini ed i vostri alleati a farsi i nemici o a creare amici . Voi dovete aspettare l’evolversi degli eventi e vedrete che le situazioni si chiariranno da sole . Ricordate che l’alleato di oggi può essere il peggiore nemico di domani e viceversa . Noi abbiamo combattuto ed aiutato i briganti , senza che si siano mai permessi di toccarci con un dito e se guardate bene in piazza , molti dei Don chi si sono arricchiti con la refurtiva in cambio di protezioni mai date , come i De Feo ed i Raimo , oggi sembra che abbiano vinto chissà che cosa , quando poi ospitavano nelle loro cantine o nei loro pozzi prosciugati fino a pochi mesi fa i più feroci assassini e i loro protettori , per non farli arrestare.
I veri briganti sono stati e sono ancora loro , traboccanti di ipocrisia e di sete di danaro e di proprietà. Con la nuova Italia diventeranno sempre più potenti con i referenti che si creano ad Avellino o a Napoli, ma non potranno mai arrivare a scalfire la nostra supremazia perché Michele Capozzi è amico nostro e se ,come penso ,diventerà il padrone politico della Provincia per gli anni a venire , voi avrete la supremazia sugli altri che dovranno venire da voi a chiedere di intercedere con le Istituzioni. Mio nonno e mio padre hanno messo in un angolo i Pennetti che comandavano da secoli sapendo fiutare il vento del cambiamento nelle tante trasformazioni sociali anticipando le conseguenze degli eventi . Volturara non si comanda dall’interno, ma con una rete di amicizie esterne che condizionano le scelte locali ed impediscono la crescita di chi vuole fare il passo più lungo della gamba. Oggi il brigantaggio è finito ed il popolo festeggia il pericolo scampato , ma voi già dovete capire che chi festeggia qualcosa ha già perso il futuro. Si osserva e si resta in attesa , cercando di capire i prossimi mutamenti. Un avvenimento storico scaccia un altro .Il 1820 fece dimenticare il 1799 . Il 1848 mise l’oblio sul 1820 , e il 1860 fece scomparire la repressione del 48. A Volturara nessuno si ricorda più di Don Domenico e Don Carmine Benevento e dei loro ideali liberali , e le nuove generazioni non conoscono nemmeno più il nome dell’ultimo Re borbonico . Oggi l’eroe è Garibaldi ed il Re è Vittorio Emanuele, che non ha fatto niente altro che raccogliere i sacrifici del padre Carlo Alberto, che nessuno del popolo conosce. Per qualche anno ancora si parlerà dei tanti giovani uccisi , carcerati e emarginati , poi solo i bambini sapranno dai racconti dei nonni di briganti che rubavano ai ricchi per dare ai poveri , fino a quando un altro grande avvenimento che potrà essere una guerra europea o un grande terremoto , come ce ne sono stati tanti , cancelleranno il ricordo di questo periodo e tutti parleranno di nuovi avvenimenti e delle loro conseguenze .La Storia non la raccontano gli uomini né i vinti, ma i Governi che la impostano secondo i loro interessi ed i loro obbiettivi facendo passare per grandi i mediocri e viceversa . Finché ci sarà il mondo , nascerà sempre qualche Napoleone che usando filosofi e storici imporrà idee e guerre in nome di valori assoluti che servono solo a coprire interessi milionari di gruppi economici e di potere , in un gioco perverso in cui non si saprà mai se è il Napoleone di turno a comandare e a decidere , o sono i gruppi di potere nascosti che inventeranno il despota per aumentare il loro peso economico o sociale. Non mancherà poi qualche monarca pazzoide che per soddisfare i propri istinti getta la sua Nazione in conflitti mostruosi usando migliaia di soldati come birilli da far cadere per soddisfare il gioco della noia o della pazzia .>>
Capendo che sta parlando troppo per il suo carattere , invita i figli a rientrare e tornando in casa chiude il balcone su una piazza che va lentamente spopolandosi .
















Appendice
























Il brigantaggio post-unitario a Volturara inizia con la rapina del 12 Marzo 1861 , finisce con l’arresto di Gaetano Picardo il 17 Dicembre 1863 .
Nessun brigante si è allontanato dal territorio di Volturara, anzi Cicco Ciancio aveva il figlio dodicenne Michele nascosto a Volturara in casa di Maffeo Vincenzo e Anna Buonopane al Freddano, quando fu arrestato il 7 Dicembre 1861.
I briganti sono
- Ferdinando Candela “ Pagliuchella “ ucciso il 2 Luglio 1862.
- Giuseppe Nardiello, capo della banda costituitosi il 27 Luglio 1861, appena tre mesi dopo la rivolta del 7 Aprile. Quasi sicuramente autore dell’omicidio di Giuseppe De Meo , sergente della guardia nazionale e falegname ,avvenuto il 2 Luglio 1861. Per sfuggire alla giustizia emigrerà in America.
- Luigi Picone , fratello di Alessandro costituitosi il 23 Luglio 1861. Nel 65 è ancora in carcere.
- Giuseppe Marino ucciso nell’ottobre 1863 e scomparso dagli archivi.
- Pietrillo De Feo arrestato il 7 Dicembre 1861 . Sconterà 36 anni di carcere.
- Vincenzo Mele “carpato” .
- Angelo Mele , “ carpato “fratello di Vincenzo.
- Alessandro Masucci “ malaoi “arrestato nel Maggio 1862
Erano tutti soldati sbandati datisi alla macchia chi per il richiamo alle armi nell’esercito italiano del dicembre 1860, chi per sfuggire all’arresto ordinato dal Governatore della Provincia Nicola De Luca l’8 Aprile 1861 appena arrivato a Volturara dopo la rivolta del giorno precedente.






---- La prima rapina della banda di Volturara avviene il 12 Marzo 1861 , un mese prima della rivolta , ai danni di due pastori di Chiusano per reperire indumenti,armi e cibo. Il solo Nicola Montefusco partecipa in prima persona alla rivolta del 7 Aprile . Gli altri erano già alla macchia.
La banda operò sul territorio fino al 7 Luglio 1861, quando Giuseppe Nardiello assalta il posto di guardia in Piazza .Venti giorni dopo si costituisce. Da questo momento Pagliuchella si unisce a Cicco Ciancio aggregando Gaetano Picardo,Giuseppe Marino,Pietro De Feo e dall’inizio del 1862 Alessandro Masucci.



























--- 23 Agosto 1873 nella sala della Segreteria comunale di Volturara Irpina destinata alle sessioni municipali convocatasi regolarmente la Giunta Municipale , intervenuti i Signori Gennaro Vecchi Sindaco,ed assessori Bernardino Luciani,Alfonso Marra,e Vincenzo Di Feo.
Il presidente
trovando l’adunanza costituita nel numero a potere validamente deliberare ha proposto significarsi le congratulazioni al Real Prefetto della Provincia ed il giusto entusiasmo che destò nel popolo di Volturara Irpina la distruzione della comitiva di Manzi
La Giunta
Considerato il terrore che tutto giorno gettava sui popoli la facinorosa banda di Manzi, e le funestissime tracce ,che da per ogni dove lasciava,
Considerato le tristissime condizioni in cui versavano i popoli irpini,che continuamente venivano infestati da questo branco di masnadieri
Considerato che l’egregio Prefetto Casalis con mirabile ingegno ed indescrivibile vigilanza sulla pubblica sicurezza,finalmente ha resa tranquilla tutta quanta la Provincia di Principato Ultra , colla distruzione della spaventevole banda in parola

Uniformemente delibera

Che facendosi interprete dei pubblici voti,uopo è,rendersi omaggio alla giustizia del Governo del Re ( D.G.) e portarsi le sue inesplicabili congratulazioni al veramente real Prefetto Casalis,benemerito della Patria,per attestato della pubblica satisfazione. In paritempo sia da manifestarle ,che all’arrivo del lieto annunzio,il popolo tutto con ineffabile entusiasmo, previ bandi per l’organo dell’inserviente comunale tra i festosi gridi di canti e di gioia non cessava di applaudire al distruggimento del brigantaggio dal crudelissimo suicida Manzi,girando con la banda musicale per il circuito dell’abitato intero adorno nelle singole abitazioni dell’illuminazioni notturne.

E’ l’ultimo documento sul brigantaggio volturarese.
Da questo momento miseria ed emigrazione nelle lontane Americhe ,nonché emarginazione sociale sono le condanne civili verso chi non aveva voluto o saputo adeguarsi al “nuovo ordine delle cose”.
Nuovi protagonisti e nuovi personaggi si affacciano sulla scena politico – amministrativa di Volturara portando il paese nel difficile cammino del progresso e dell’ineluttabilità della vita.I poveri Cristi,eroi per un giorno, scompariranno nell’oblio delle cose comuni sopraffatti dai detentori del potere precostituito.Negli anni a venire un alone romantico circonderà la figura dei tanti briganti , che armati di scoppetta e con un cappellaccio in testa , rapivano e rapinavano i ricchi nascondendo i marenghi d’oro nel cavo degli alberi e che secondo la teoria del Lombroso avevano i volti truci dei criminali perché nati tali e tali destinati a diventare.
Il “ viva a chi ? “ del 1861 riferito a Garibaldi o a Franceschiello a cui si rispondeva con un filosofico “ viva a Chi comanda”, espressione di una paura ancestrale di fronte all’impossibilità di prevedere il futuro e “o la morte o la montagna” di Alessandro Picone in attesa della rivolta del 7 Aprile 1861 ben definiscono un periodo storico importante e dimenticato in cui chi era potente poteva salvarsi sconfessando le proprie idee ed azioni ,
mentre chi non contava assolutamente niente nella scala sociale era costretto all’azione sbagliata per essere disintegrato e servire da esempio agli altri.













--- Il mio primo incontro con Pagliuchella è avvenuto leggendo dieci anni fa la Storia di Volturara di Roberto Di Meo. Non conoscendo i particolari del periodo in cui visse,mi restò per molto tempo nella mente la storia di un bandito che sul Malepasso fermava i viandanti derubandoli e picchiandoli. Mi restò anche impresso il fatto che era stato catturato ed impiccato in Piazza a Volturara sotto il mitico Tiglio secolare. Quante volte l’ho guardato cercando di capire e di immaginare a quale ramo era stato appeso. Il risultato che vedevo davanti ai miei occhi era una persona penzolante sul lato del tiglio rivolto verso il Campanaro .E quasi sempre la scena finiva con un brivido che mi percorreva la schiena,non so se di paura o di curiosità su una storia che non avrei mai conosciuto o capito a fondo.
Il secondo incontro è avvenuto tre anni fa scoprendo Edoardo Spagnuolo con le sue ricerche sul periodo post-unitario del 1861,in particolare con il libro “Rivolte antisabaude nel Circondario di Volturara,Montemarano e Castelvetere”. Uno squarcio su una realtà dimenticata. Una voglia di andare fino in fondo per scoprire che era successo veramente. Personaggi sino ad allora sconosciuti incominciarono a girare nella mia mente con cognomi e nomi familiari. Spezzoni di vita che era difficile mettere insieme senza commettere errori madornali.
In quel libro ritrovo un tal Pagliuchella,arrestato dal Governatore della Provincia Nicola De Luca nella repressione della rivolta anti-piemontese ed anti-notabili del Luglio 1861 con sua impiccagione il 14 Luglio sotto il tiglio e lasciato penzolare per alcuni giorni al “ludibrio del popolo”. Il dato che mi colpì ,però,fu che Spagnuolo citava come fonte Roberto Di Meo con il suo libro ed era strano che un ricercatore di documenti come lui non fosse riuscito a trovare niente di ufficiale sulla vicenda di Pagliuchella e che si era affidato ad uno storico locale che a sua volta non aveva citato alcuna fonte. Un alone di mistero e di curiosità a volte ossessiva animò la mia voglia di arrivare fino in fondo per scoprire una storia che forse non interessava nessuno,ma che nella mia mente apriva scenari romantici e avventurosi.
Dagli archivi consultati escono piano piano nomi e volti,protagonisti e vittime di un periodo di grande turbolenza sociale che alla fine è l’inizio di un percorso che ha determinato la realtà di oggi.
Giovanni Volpe viene ucciso dai fucili piemontesi nella repressione dell’8 Aprile 1861,verso le dieci di mattina,aveva sedici anni. Cadde come un passerotto dal ramo di un albero mentre canta al primo calore del mattino e non si rende nemmeno conto di cadere.
Giuseppe De Meo,falegname e sergente della Guardia Nazionale di Volturara,viene ucciso in contrada Tavernole il 2 Luglio 1861 in uno scontro a fuoco con i briganti,sicuramente della banda di Giuseppe Nardiello.
Vengono arrestati più di cento volturaresi e condannati il 5 Luglio a pene di diversa entità e li troviamo tutti con nome,cognome e paternità,ma di Pagliuchella nessuna traccia!
Dal 1862 al 1866 le montagne di Volturara pullulavano di briganti di tanti paesi, tutti sfuggiti alle repressioni dell’esercito regolare in nome di un’unità d’Italia che nessuno voleva accettare e per non ingrossare,con la chiamata obbligatoria alle armi, le file di un esercito che consideravano nemico. Per primo viene arrestato Alessandro Masucci,Malaoi. Alla fine del Novembre 63 viene ucciso in uno scontro a fuoco sul Terminio il brigante Luigi Volta di Serino. Il 17 Dicembre viene arrestato il brigante Gaetano Picardi. Nel Giugno 1866 viene sterminata la banda di Francesco Cianci ( Cicco Ciancio) di Montella di cui Pagliuchella era luogotenente. Il capobrigante ammazzato viene trasportato al suo paese e mostrato per le strade su un carro a monito per tutti.
Alla fine si sa quasi tutto di tutti,ma il vero nome di Pagliuchella non salta fuori. Non si riesce a capire chi era,quando è morto e come è morto. Ormai si fa strada il pensiero che non sia mai esistito e che sia frutto di fantasia popolare che Roberto Di Meo ha creduto di trasportare nella storia di Volturara,per creare un alone di leggenda in un periodo che la nebbia della dimenticanza dolosa ha coperto sotto una coltre impossibile da aprire.
Nell’inverno del 1999 Carla Di Vece,ultima discendente della famiglia Pasquale,mi mostra un quaderno scritto a mano nel 1916. E’ il tentativo,mai portato a termine, di scrivere una “Storia di Volturara” da parte di Nunzio Pasquale(1879-1967) dimenticato negli anni in un baule in soffitta.
Tra le tante notizie carine riesco a decifrare una pagina dedicata al Brigantaggio:
<< Il brigante più celebre di queste contrade fu Cicco Ciancio,nativo di Montella,il quale compiva le sue gesta uccidendo e rubando assieme ai suoi degni compagni nel territorio di Volturara e di Montella. Cicco Ciancio che andava a rifugiarsi nelle recondite grotte della Faggeta e sotto le gole del Terminio era il terrore di questi luoghi. Egli il più delle volte inviava anche qualche lettera minatoria ai benestanti di Montella e di Volturara intimando loro di inviargli mediante qualche suo fido o confidente una somma rilevante in danaro,altrimenti pena la morte. Cicco Ciancio ed i suoi degni ed inseparabili compagni sequestravano anche qualche persona che incontravano nei boschi ed allora i furfanti rilasciavano i disgraziati quando la famiglia di quest’ultimi inviava loro il danaro chiesto. Cicco Ciancio per molti anni fu invano perseguitato dalla forza pubblica che non potette scovrire ed assicurare alla Giustizia il temibile e pericoloso brigante. Finalmente un giorno ben triste pel famigerato brigante, Cicco Ciancio fu ucciso a colpi di moschetto dai Carabinieri che perlustravano le campagne. La voce pubblica afferma che il cadavere di Cicco Ciancio il quale aveva commesso innumerevoli furti e delitti fu trascinato a viva forza per sfregio per le vie di Montella mettendolo esposto al pubblico per qualche giorno per farne vedere la sembianza truce su cui era impresso il marchio dell’infamia e rilevavanosi a chiare note le stigmate dei veri e grandi delinquenti nati. Furono altresì briganti e seguaci di Cicco Ciancio i seguenti volturaresi: Pagliuchella,alias Ferdinando ??? ( il cognome viene cancellato dall’autore) che fu ucciso in contrada Faggeta,in un conflitto colla forza pubblica; Pietrillo De Feo,il galeotto,che scontò in diversi penitenziari la pena di anni 36 di lavori forzati;il brigante Giuseppe di Zeza,che per sfuggire alla Giustizia,dopo aver commessi diversi delitti fuggì alle lontane Americhe clandestinamente;Alessandro Masucci soprannominato Malavoi; Cienzo (Vincenzo) e Angelo Mele lo Carpato;il fratello di Sabatiello di Camillo; un certo Sarni che fu ammazzato in carcere perché traditore dai suoi stessi compagni,briganti come lui. Altri briganti sono esistiti in queste contrade,che non citiamo per non andare alle lunghe. Tutti detti briganti capitanati dai celebri Cicco Ciancio e Pagliuchella ecc , mandavano la refurtiva a qualche ricettatore di qui ???????????? ( nomi cancellati dall’autore sul manoscritto).Furono presi ( in quei tempi) dai briganti in ostaggio i seguenti cittadini di Volturara: Ferdinando Picardi,mentre dormiva nella sua casina; e dovette la sua famiglia sborsare una rilevante somma per essere rilasciato;D. Gennaro Vecchi e Pietro Lepore.( cfr Storia di Volturara di Nunzio Pasquale ) >>.
Pagliuchella è tornato prepotentemente sulla ribalta dei personaggi volturaresi!Nuove luci e nuove ombre si stagliano su una figura ormai assurta a personaggio leggendario e sempre più misterioso. Finalmente sappiamo definitivamente e sicuramente che Pagliuchella è esistito e che si chiamava Ferdinando,che fu ucciso in un conflitto a fuoco sul Terminio e non impiccato in Piazza sotto il Tiglio,ma perché Nunzio Pasquale scarabocchia sul suo cognome impedendone la visualizzazione? .
La risposta più semplice è che la famiglia di Pagliuchella è ancora a Volturara nel 1916 e che Nunzio Pasquale ha paura di ritorsioni.
Ad uno sguardo attento però balza agli occhi che di tutti gli altri briganti citati,Don Nunzio da’ nome,cognome e soprannome. Ciò significa che la famiglia di Pagliuchella non solo sta a Volturara,ma che e’ soprattutto una famiglia potente e/o pericolosa.
Iniziano ricerche per arrivare a soddisfare una curiosità che sta assumendo i contorni di un giallo,ma tutto è inutile. Di volturaresi con nome Ferdinando uccisi nel periodo post-unitario dal 1861 al 1870 non esiste nessuno!
I ricordi degli anziani del paese si perdono in qualche non so,non ricordo. Non si può dare loro torto,sono passati centocinquanta anni .
Alcuni dicono che prima della II guerra mondiale abitava al Freddano un certo Antonio Monzione soprannominato Pagliuca con due figlie femmine di cui si sono persi i nomi. Non mi sembra una buona pista!
Altri aprono piste su una famiglia in particolare; indizi sfumati su antichi racconti che finiscono,però sempre nella stessa frase: mi diceva mio nonno che quella era una famiglia di “ breanti ”.
Altri ancora arricchiscono la loro versione con “marenghi d’oro” trovati in un tronco d’albero alla fine dell’800 da un volturarese,che secondo la versione dei loro nonni erano in verità il frutto delle rapine dei briganti di cui quel volturarese era ricettatore e parente.
Alla fine dopo tre anni di ricerche,tra tira e molla più o meno veri,resta il mistero di un breante di cui non si riesce a trovare l’identità. Un’istintiva simpatia si affaccia sulle vicende di un uomo che nel turbine confuso dell’Unità d’Italia partì per difendere,come tanti,l’autonomia della sua Nazione,il Regno delle Due Sicilie,contro un invasore spietato e crudele che voleva cancellare secoli di memoria e di storia e finì col diventare preda da cacciare e da uccidere. Fossero tornati i Borbone,come nel 1799, sarebbe diventato un eroe da ricordare e da indicare ai posteri per audacia e coraggio,ma quello che è successo non si può cancellare e ,forse ,è meglio che sia andata così. Resta il dubbio assoluto che il Bene ed il Male siano frutto di circostanze casuali e che non sempre chi vince ha ragione. E se me lo si permette alla fine. Forse è meglio non conoscere mai il vero nome di Pagliuchella ,perché un dato è certo. In una Volturara in cui la classe dirigente ha sempre pensato e pensa solo ed esclusivamente al proprio tornaconto personale, il Brigante Pagliuchella resta uno dei pochi che ha combattuto ed è morto per un Ideale.
Il dubbio sulla identità di Pagliuchella cade in una calda sera del Luglio 2002, quando in un documento del 1895 si parla nella quotizzazione delle terre di un certo Alessandro Candela fu Luigi , alias Pagliuchella.
Tutto è chiaro! Alessandro è fratello di Ferdinando Candela fu Luigi e Anna Pisacreta ,il vero Pagliuchella,ucciso il 2 Luglio 1862 sulla Faieta e sepolto per ordine del Sindaco Salvatore Sarno “extra sacellum sepulcreti ”
Un vero Brigante!
La guardia nazionale di Volturara in perlustrazione sul Cretazzuolo , su segnalazione di qualcuno , accerchia il posto dove sono nascosti i briganti. Una raduna che è rimasta famosa come il “ sierro di Pagliuchella” dove attorno ad un fuoco chiacchierano diversi briganti ignari del destino che li attende .Una pioggia di proiettili si abbatte sul povero Ferdinando,mentre i suoi compagni si danno alla fuga e si perdono nella montagna. Pagliuchella viene caricato su di un mulo e portato in piazza come monito per tutti coloro che sono contro l’ordine costituito. Appeso al tiglio da morto resta per alcuni giorni penzolante finché viene messo in una fossa senza nome e senza identità,forse per scacciare la paura di un uomo che potesse servire da esempio ad altri.





























Albero genealogico della famiglia di Ferdinando Raimo di Sebastiano




























Nel 1856 Ferdinando Raimo di Sebastiano è soldato nell’esercito borbonico
Nel 1858 E’ riportato nello stato di famiglia del padre ancora come soldato
Nel 1862 Il suo nome scompare da tutti i documenti ufficiali e non esiste nessun atto di morte,ne’ al Comune,ne’ nell’ufficio Parrocchiale di Volturara.
Genealogia della famiglia del Brigante Pagliuchella















































Pagliuchella è un atto d’amore di Edmondo Marra verso il suo paese e la sua gente. E’ la cronaca romanzata , ma fedele , quasi giorno per giorno , dal 1861 , un anno importantissimo della Storia d’Italia, e si basa su documenti veri , frutto di una ricerca lunga e difficile. Nell’esaltazione del particolare diventa in definitiva uno spaccato di un periodo quasi sconosciuto che ha determinato gli eventi e le situazioni attuali.
Il “nuovo ordine delle cose” imposto dal Governo Nazionale di Torino scatena una serie di ripercussioni politiche ed economiche che creano grossi turbamenti sociali i cui risvolti dureranno decenni. Nasce per restare come documento vero che aiuti a creare la memoria storica della nostra gente.
















































Indice



23 dicembre 1860 Soldati sbandati

24 dicembre Don Leonardo Masucci

16 Gennaio 1861 Ferdinando Raimo si da alla macchia

12 Marzo Rapina della banda di Pagliuchella

31 Marzo Pasqua

1 Aprile Viva a chi comanda.

5 Aprile Don Nicola Coscia

6 Aprile Alessandro Picone

7 Aprile Domenica La Rivolta

8 Aprile Giovanni Volpe 16 anni ucciso dai piemontesi

9 Aprile Ferdinando Candela , Pagliuchella.

10 Aprile 200 rivoltosi scappati sulle montagne

8 Maggio Una madre muore di crepacuore per i figli in carcere

16 Luglio Sentenza della Gran Corte Criminale contro i rivoltosi

30 Settembre Guardie nazionali assolte

15 Ottobre Don Giacobbe Benevento, cassiere comunale

25 Novembre Processo contro il farmacista Achille De Cristofano

30 Novembre Pagliuchella cerca di vendere un fucile ad un contadino.

5 Dicembre La grotta dei briganti

6 Dicembre Pietro e Concetta

7 Dicembre Arresto del brigante De Feo

6 Aprile 1862 Vicenzo Luciani segretario comunale

30 Giugno Malaoi venduto per 12 carlini

3 Luglio Uccisione del brigante Pagliuchella.

1 Gennaio 1864 L’ultimo brigante di Volturara

1870 La storia del cinghiale bianco

20 Agosto 1873 Fine del brigantaggio































2005