Giorni meridionali
by Eduardo Vinci
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Tante albe tanti tramonti
come altalene di gioco
sui campi di lavoro innocente
macinati da storie nemiche,
sull’occhio di migliaia di uomini
si accende e si spegne là sera del Vespro.

Credo a quella terra siciliana
dove fui bambino pieno di forza e di memoria,
figlio di fiori e di steppe
di ruscelli segreti e di trifogli amari,
di strade inamidate di silenzio
e di salsedine,
si rinnovano le stagioni
dandosi un volto assassino.

Ho cercato tra i ricordi
il tempo che fu e mi ritrovai ancora
stretto al dono lontano di una Terra
di giorni ardenti e felici,
il crescere immenso di me stesso,
e di mille volti amici
abbandonati ai propri respiri
del giorno che nasce;
udranno il canto di voci indurite
tra campi di spighe che possono
ancora nascere.

Si ripetono i giorni
dove ho imbrattato le mie albe di rosso,
di adorabili cose,
il cielo come una tavolozza di colori,
niente di più che l’abbandono mi resta.
Il tuo seno, o Sicilia, è come 
un quadro fragile di paura
ma rimane ancora il sole
per lenire il lutto dei pioppi tremuli.

Di cosa parlate. giorni meridionali?
Di cosa tremate, figli del canto?
La vostra storia è anche la mia,
dove i miei versi non hanno più armonia,
Il vostro dolore si tinge di rosso
di coscienza di classe.

Non so quali pensieri seguirò
tra i perduti orrizzonti meridionali.
Lontano cadrà la mia primavera.
Sull’uscio delle galassie
getterò l’antica schiavitù,
dove trasparirà almeno per un istante
la fuggitiva realtà di un mondo
di uomini dabbene o di gente straziata
da mute follie.

Nella incerto chiarore
di memorie e di prigioni,
l’esodo di gioventù:
rattoppa i giorni perduti
ricuce gli strappi subiti.

Sulle strade abbandonate risuona,
forse non più, il cigolio dei carretti,
il venditore ambulante malato
si dispera, su verdure secche di miseria.
L’astuta civetta non fissa più il suo sguardo,
vede l’agonia staccarsi lenta
mentre il tempo fugge
strappando palpiti e veli di pietà.

Nel cielo della mia Sicilia
brillano ancora caroselli di luce
dove tutto rimane uguale.
Cosa pensare?

Da mille armi quale storia più da inventare?
E’ una ferita che brucia.
Cieli meridionali!
Smettetela di intrecciare crisantemi inutili
senza riscatto,
progettate nuove albe di fuoco,
illuminate la notte ai poeti,
addormentate l’insonnia dei falchi.

Sentirò ancora l’aria mordere il fico d’India?
Come una leggenda
si addormenterà il tutto
fra sterpaglie e giochi di follia.

(1978)

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