Il tema della compassione


La compassione, secondo Nietzsche, è un sentimento cristiano condannabile in quanto intralcia in blocco la legge naturale dello sviluppo.

E' comprensibile come i sofferenti trovino nella devozione assoluta il senso della loro esistenza ed è questa sofferenza che la religione sfrutta come potente strumento di controllo delle masse, proponendo alle masse  uno sfogo alle proprie pulsioni, pulsioni che si indirizzano così verso l'autopunizione e il sacrificio, verso la compassione immotivata, pulsioni trattenute dentro di sé e non lasciate libere di sfogarsi.

"Il concetto cristiano di Dio – Dio come divinità degli infermi, Dio come ragno, Dio come spirito – è uno dei più corrotti concetti di Dio che siano mai stati raggiunti sulla terra; esso rappresenta forse, nello sviluppo discendente dei tipi di divinità, addirittura il grado dell’infimo livello. Dio degenerato fino a contraddire la vita, invece di esserne la trasfigurazione e l’eterno sì! 
In Dio è dichiarata inimicizia alla vita, alla natura, alla volontà di vivere! Dio, la formula di ogni calunnia dell’ "al di qua", di ogni menzogna dell’ "al di là"! In Dio è divinizzato il nulla, è consacrata la volontà del nulla!"

Il tema della compassione è uno dei tanti  motivi di contrasto tra Nietzsche e Wagner.  
Wagner infatti esalta la compassione: Il rimorso di Parsifal per il "sacrilegio inaudito" compiuto da lui con l'uccisione del cigno, segna un primo barlume di consapevolezza verso la compassione attiva che sostiene la trama interiore di questa rappresentazione. 
L'identità di sapienza e compassione espressa nel motto "Durch Mitleid wissend" (sapiente attraverso la compassione) è il sostegno del programma di "redenzione" o rigenerazione del mondo affidata a Parsifal.
La prospettiva di redenzione del mondo attraverso la "compassione attiva" è sostenuta in Wagner sulla centralità del genio, romanticamente inteso secondo una dimensione prometeica, e che unisce in sé le figure del filosofo, dell'artista e del santo, che Schopenhauer teneva rigorosamente distinte. Da ciò deriva la congiunzione di compassione ed eroismo che anima Parsifal e che può culminare nella finale rigenerazione della natura nell'incantesimo del Venerdì santo. 
In realtà l'intero processo della compassione è finalizzato da Wagner a una valorizzazione dell'eccezionalità e superiorità del genio, che diventa così elemento propulsivo ed unica condizione della redenzione, il "vincitore del mondo". 

"Il debole che desta compassione non può essere uno scopo. Invece il forte compassionevole, la forza che annienta se stessa nella compassione, è il risultato definitivo" annotava, e addirittura esprimeva, con un lessico darwiniano, il carattere del genio: "La divinità è la natura, è la Volontà che cerca la redenzione e, per dirla con Darwin, si cerca i forti per portare a compimento la redenzione". 

Su questo tema vi è in Wagner un rapporto di dipendenza da Schopenhauer.
Certamente era stato Schopenhauer a porre il sentimento della compassione a fondamento dell'azione morale, che presuppone la fine dell'egoismo e il riconoscimento di un'essenza comune in cui scompaiono l'alterità e le differenze individuali.  
Tuttavia in  Schopenhauer la compassione è un episodio occasionale che modifica l'orrenda tessitura del mondo, la scena su cui la volontà di vivere si ripete. Il carattere antropologico fondamentale che questa filosofia analizza non è la compassione ma l'egoismo, e per Schopenhauer il mondo non può smettere di testimoniare la "colpa" o il "peccato originale" connaturato alla sua stessa esistenza. 

Wagner effettua una modifica radicale della metafisica della volontà di Schopenhauer, che troverà espressione compiuta solo qualche anno dopo nello scritto Religione ed arte e definisce la compassione come strumento di redenzione del mondo (e non dal mondo, come è in Schopenhauer) che lo porta dallo statuto di "dilacerazione" alla "salvezza nella quiete dell'unità". 

Nietzsche invece, prendendo le parti del paganesimo,  nota che i Greci hanno interpretato la compassione come un veleno da concentrare ed espellere attraverso la terapia del dramma.  
Secondo Nietzsche l'immedesimazione della sofferenza predicata dalla religione, porta ad un incremento del senso dell'IO del soggetto, che si dilata oltre il confine dell'individualità normale e svela quel meccanismo di potenza che Nietzsche ha più volte sottolineato nei sentimento wagneriano di compassione. I deboli dunque, i sofferenti, tutti coloro che la religione ha chiamato a sentimenti di compassione, si uniscono in masse e diventano una forza urlante che sminuisce l'uomo e gli toglie dignità. Tale massa urlante soffoca l'oltreuomo e lo costringe a subire la loro compassione con tutto ciò che ne consegue, costringendolo a dipendere dalle loro regole e dalle loro istituzioni che finiscono con il diventare regole di vivere sociale indebitamente imposte.

 La falsa medicina del prete asceta è al centro della critica di Nietzsche nella Genealogia della morale. La "medicina sacerdotale" compare qui come una lettura magico-simbolica della natura   indifferente alla causa reale della sofferenza. Essa cerca di narcotizzare il dolore, di esorcizzare l'"assurdità" dando un valore etico, un ignobile "senso" alla sofferenza. Secondo Nietzsche i meccanismi profondi del dominio, del potere, passano attraverso l'identificazione del sofferente con il "senso" morale che fa del dolore l'effetto di una colpa.

Il prete asceta  assume il ruolo di predestinato salvatore, pastore e difensore del gregge malato. Non è possibile non comprenderne la sua enorme missione storica. Il dominio sui sofferenti è il suo regno, a esso lo rinvia il suo istinto, in esso possiede la sua vera arte, la sua maestria, la sua specie di felicità. 
Deve essere lui stesso malato, deve essere fondamentalmente affine ai malati e ai tarati per comprenderli, per intendersi con loro; ma anche essere forte, ancor più padrone di sé che di altri, particolarmente indenne nella sua volontà di potenza per poter essere per costoro appoggio, resistenza, puntello, costrizione, correttore, tiranno.

Proprio con la distruzione nietzschiana della categoria del genio di Wagner e della comunità devota, effettuata in Umano troppo umano, si viene ad acutizzare il rancore tra i due grandi dell'800: Wagner si scaglia contro Nietzsche nello scritto Pubblico e popolarità, individuando in Umano troppo umano un attentato al cardine della propria ideologia. 
Qui egli vede la svolta di Nietzsche come un'adesione alla mentalità utilitaria e analitica che rovescia in una sorta di socratismo intellettuale i temi wagneriani in cui era totalmente immersa La nascita della tragedia

La polemica nei confronti del sentimento di compassione conferma una volta di più il concetto nietzschiano del cristianesimo ed è legata ad una valutazione di tipo morale: il cristianesimo è solo l'esaltazione del senso di colpa, la glorificazione di un'ascesi mortificante e contraria alla gioia di vivere, che proiettando la vita verso l'aldilà induce al soffocamento della libertà e ad una fondamentale «infedeltà alla terra». 
Emblema di questa immagine di cristianesimo è la figura stessa di Cristo, il Dio crocefisso rimasto soffocato dalla sua compassione, vittima di un Dio che si mostra solo nemico della volontà di vivere; un Dio che, lungi dall'essere Padre di misericordia, appare curioso testimone delle profondità dell'animo umano (anche quelle più abbiette), mostrandosi scrutatore così invadente dell'uomo da impedirgli di essere libero.

Nell’Anticristo Nietzsche espone questa sua posizione di fronte al Cristianesimo. Questa religione ha considerato peccato tutti quelli che sono i piaceri e i valori della terra, “ha preso le parti di tutto quanto è debole, abietto, malriuscito. E’ la religione della compassione. Nel Dio cristiano Nietzsche scorge la divinità degli infermi, un Dio degenerato fino a contraddire la vita. In Dio è dichiarata inimicizia alla vita, alla natura, alla volontà di vivere”

In Zaratustra troviamo: 

Il dolore attende coloro che amano, che non conoscono niente di piú elevato delle loro sofferenze”. 

E veramente trattare una persona solo con pietà e compassione significa vedere in lui un debole e miserabile schiavo; infine riguardo a se stessi ciò significa essere schiavo della propria sofferenza e debolezza. Vi è una moralità piú alta, che corrisponde ad un gradino piú alto dello sviluppo umano, che si basa su di un incremento della forza, non dell’umana debolezza; essa non richiede la compassione per lo schiavo, ma il rispetto per l’uomo, il rapportarsi con lui come ad un io, essa richiede l’affermazione e la realizzazione dell’io e conseguentemente non un venir meno della vita ma la sua elevazione al suo livello spirituale piú alto. 

Zaratustra dice alla folla intorno a lui: 

“Io sono venuto ad insegnarvi l'oltreuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. Che cosa avete fatto per superarlo? Tutte le creature che sono esistite prima hanno fatto nascere qualcosa di piú alto di ciò che essi erano. Volete voi essere la parte che fallisce in questa grande marea e preferite tornare allo stato di bestie piuttosto che superare l’uomo?” “Cosa significa una scimmia per l’uomo? Un sogghigno, una vergogna, una pena” “Sentite, io vi predico l'oltreuomo” “L'oltreuomo è l’essenza dell’universo. Lasciatevelo dire, l'oltreuomo è l’essenza dell’universo”

"La compassione è l’abisso più profondo: quanto più a fondo penetra l’uomo nella vita, tanto più a fondo penetra nel dolore". (F. W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, 122)