Omaggio a Miss Europa di Francesco Savio |
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L'articolo di Francesco Savio che qui si presenta è il secondo tentativo
(dopo quello di Luigi Comencini, del
1941!), serio e appassionato, di una rivalutazione europea di Louise
Brooks, anche in considerazione del prestigio della rivista su cui fu
pubblicato. Pochissimo dopo arriveranno i contributi dell'esule tedesca
Lotte Eisner (1952) e di Ado Kyrou (1953) rispettivamente con
L'ecran démoniaque
e
Le surrealisme au cinéma,
ma
è doveroso che si riconosca ai due italiani la primogenitura europea
della
Brooks renaissance.
Lo stesso Savio, a conferma di un amore sistematico, compilerà dapprima
la voce
Louise
Brooks
per il secondo volume della
Enciclopedia dello Spettacolo,
quindi omaggerà ancora Louise in
Visione privata
(1972), studio di qualità letterarie e critiche pregevolissime. Qualche
errore (la data di nascita, il film che decise Pabst -
A girl in every port
e non
The canary murder case,
almeno secondo la
vulgata)
è più che comprensibile, dato che persino i connazionali di Louise,
incluso James Card, avevano perso completamente le tracce (e la memoria)
della Brooks, chiusa in un volontario e feroce isolamento. Ritornando, dopo ventuno anni, su Louise Brooks, nel suo Visione privata, Francesco Savio aggiungerà: " (...) All'americana Louise Brooks (...) riesce invece facilissimo calarsi in quel pozzo di mobile indecenza, di vegetativo immoralismo e di affastellata ossessione che Pabst le costruisce tutt'attorno. Le peripezie del personaggio (...) la coinvolgono senza scalfirla. Immunizzata dalla grazia fotogenica, essa esprime una sensualità passiva e integra, sulla quale s'infrangono e rifrangono le tensioni e le incoerenze del destino. Ma, al di sopra di questa pigrizia animale, di questo guardarsi esistere, c'è, nella Brooks, lo scatto incontenibile della gaiezza ironica, dell'implacata femminilità. Quale attrice ha simulato con più persuasivo trasporto l'effervescenza del sangue, la simbiosi tra gesto e sorriso, bacio e scherzo, amore e zuffa, allegria e pianto? Nel tetro e vischioso magma pabstiano, la mobilità 'fisica' di Lulu (e di Maria) fa lampeggiare agguati, trasalimenti, scocchi. Tutto il film ne riceve come una sollecitazione dinamica; una vibrazione contagiosa (...)" |
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