Una pagina per tutte le esperienze letterarie e gli studi che portano ad iniziative in campo artistico o sociale

I “Percorsi. di vita” di Fulvio Righi


Pubblicata la raccolta di diversi scritti del “magistrato umanista” cremonese

Fulvio Righi ci fa dono della sua ultima pubblicazione appena stampata dalla Fantigrafica: un volume in agile formato di 140 pagine patinate, che raccolgono diversi suoi scritti disseminati or sono decenni, su diversi fogli, divorati in fretta, com'è destino dei prodotti di ogni quotidiano. Gli siamo grati per averli ora riuniti e restituiti alla nostra memoria sotto il titolo “Percorsi di vita”.
Magistrato, Righi è stato non solo testimonio di tanti “percorsi”, ma ha dovuto deciderne le tappe forzate, facendo “giustizia”. Pratico quindi della “carne umana” di inesauribile complessità, da decenni ha voluto bloccare il rovinoso trascorrere del tempo, fissando per iscritto il ricordo di vicende e personaggi . Ne è uscita una nutrita bibliografia che gravita, per la maggior parte, intorno alla sua attività di magistrato, “costretto” a dilatare le sue conoscenze in tanti campi che vanno dalla psicopatologia, all'anatomia ed alla medicina; si è peritato persino di grafologia.
Antonio Leoni nella calda presentazione dell'Autore (perspicace la connotazione di"profondamente cristiano e patriottico.., per l'orgoglio di appartenere a una Nazione”), ha sottolineato di Righi l'umanità e la sua capacità di immedesimarsi negl'imputati. Leoni aggiunge: “Righi mai si dimenticava che anche l'imputato più losco è un uomo, creatura di Dio” Ne sono stato testimone diretto, quando, in carcere, gli ho fatto qualche volta da interprete. La casistica della sua umana partecipazione potrebbe costituire una vera raccolta di “fioretti”.
Intriso di cultura classica, umanista, Righi si è sempre dilettato del bel dire, trovando, nel percorso della sua vita, degli avversari che, in fatto di oratoria e dottrina, gli assicurarono dei duelli forensi memorabili.
Righi ci viene ora incontro con la fisionomia del nonno: lo sportivo, lo schermidore, il nuotatore, insomma l'atleta sono inesorabilmente tramontati; non è più lo statuario procuratore della repubblica, né il presidente del tribunale, ma è il dolce ed amabile nonno col desiderio appassionato di dilettarci con “La cronaca nera del passato” a partire da rapina del 1862 fino ai nostri giorni. Lo stile narrativo ha la concentrazione dell-Antologia di Spoon River”, dei “Nodi” di Lange, dei “Profili” di Claudio Maffini sul mensile “Cammino” di Milano: in poche righe il Narratore dice un destino.
Giramondo romantico, Righi ci restituisce una serie di impressioni di viaggio, che rivelano perspicacia giornalistica nella scelta degli elementi più sintomatici di una terra: E da ultimo i “Racconti” che lambiscono lo sconcerto kafkiano (Il caso dell’uomo toro) ed il buon umore [Il processo).
Giovanni Borsella

Il Paese pericoloso



UN PAESE PERICOLOSO - Storia non romanzata degli Stati Uniti d'America
di John Kleeves, Edizioni Barbarossa, 1999, 382 pagine - Euro 18 richiedere a: Società Editrice Barbarossa C. P. 136 - 20095 Cusano Milanino (MI) tel. 02 66400383 E-mail: barbarossasrl@tiscali.it

di Massimo Fini**

Kleeves parte da un presupposto abbastanza sorprendente: degli Stati Uniti si crede di sapere tutto ma in realtà si sa assai poco. Ciò è dovuto sostanzialmente a due motivi. Il primo è che si tratta di un paese singolare, con una forte specificità, le cui affinità con le culture di altre aree del mondo, compresa quell'Europa da cui provengono, sono più apparenti che reali. Il secondo motivo è che gli Usa dispiegano una forza propagandistica enorme per essere percepiti come vogliono essere percepiti ma come in realtà non sono.
In America esiste una United States Information Agency (Usia), con un budget di tre miliardi di dollari e 50 mila funzionari sparsi in tutto il mondo, il suo scopo statutario è di «influenzare le opinioni e le attitudini del pubblico estero in modo da favorire le politiche degli Stati Uniti d'America». (...)
Così gli americani hanno potuto presentarsi come i vessilliferi dei buoni sentimenti e della pace, il che è abbastanza straordinario per un paese che dalla sua nascita ha compiuto più di 200 interventi armati in tutte le aree del mondo, il cui schiavismo ha provocato 40 milioni di morti, autore di uno dei più spietati e cinici genocidi della storia, quello dei Pellerossa, infine l'unico ad aver usato, senza troppi scrupoli, la bomba atomica.
Kleeves, che fa largo uso della ricerca motivazionale, utilizzata in psicologia, individua l'origine del «modo di essere americano, di quella che è una vera e propria teologia, nel protestantesimo declinato nella sua versione più radicale ed estrema, il puritanesimo. Ciò dà all'americano medio la certezza di essere dalla parte degli Eletti, dei Buoni, dei Giusti e agli Stati Uniti la caratteristica di paese straordinariamente aggressivo, convinto di avere il diritto, anzi il dovere, di portare il proprio modello ovunque.
Il presidente Roosevelt lo disse esplicitamente: “L'americanizzazione del mondo è il nostro destino”.
Su questo sentimento (...) si inseriscono gli interessi economici di quell'oligarchia mercantile che rappresenta il 5% della popolazione, detiene la metà della ricchezza nazionale e il cui interesse non è quello di esportare i Buoni Sentimenti ma di omologare l'intero pianeta al proprio modello per potervi vendere i propri prodotti e sacrificare così a quello che gli stessi americani chiamano Almighty Dollar, Il Dollaro Onnipotente. Per ottenere questo scopo sono disposti a distruggere culture, habitat, diversità, tradizioni, economie.
(** “Avvenire”)


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Esegesi della grande preghiera cristiana


Le anomalie del "Padre Nostro"... ma forse è meglio lasciarlo com'è

di Gianfranco Taglietti


Ricordo la fissazione della prof. Fernanda Mori Bocchi, la quale rilevando una presunta imperfezione nel 'Padre nostro'- aveva proposto In alto loco' una correzione. Per lei, quel "non ci indurre in tentazione" era un .... controsenso. Il Signore non può certo 'indurci' Lui In tentazione' e pertanto proponeva: "Fa' che non cadiamo in tentazione".
Ora vedo che non era un pensiero... peregrino quello della Signora. Anche secondo Dino Pieraccioni, che non so come, ma pare sia un illustre studioso, il 'Padre nostro' dovrebbe subire delle variazioni. Le principali sarebbero: 'Dacci il pane per oggi necessario' (attualmente 'dacci oggi il nostro pane quotidiano' conterrebbe una ripetizione dello stesso concetto, in quanto 'quotidiano' ingloba l'oggi).
'Rimetti i nostri debiti, come noi li rimettiamo...' verrebbe sostituito da 'come noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori'. 'Non indurci in tentazione' dovrebbe venir sostituito da 'non ci far cadere nelle tentazioni', modificando il testo attuale, come voleva la prof. Mori Bocchì.
E questo è niente. Leggo che nella Bibbia della Oxford University press, per la par condicio dei sessi, compare non più 'Padre nostro' ma 'padre madre', seguito da "sei" perché Dio è maschile e femminile.
Accettiamo senz'altro le spiegazioni che ci vengono fornite da un linguista di fama, quale è Manlio Cortellazzo, che ci avverte che "orazione domenicale non è 'della domenica', ma 'del Signore' (il 'dominus' per eccellenza) ed anche la sua osservazione che la preghiera non è proprio 'popolare', perché i termini 'rimettere i peccati' e 'non indurci in tentazione' sono entrambe espressione di difficile interpretazione.
Abbiamo imparato inoltre che il 'Padre nostro' che noi ritenevamo molto antico, è stato invece scelto all'inizio dell'Ottocento dall'erudito tedesco I. Ch. Adelmy come testo-guida da tradurre nel maggior numero di lingue e di dialetti in tutto il mondo, riuscendo a metterne insieme circa cinquecento.

Osserviamo, poi, come curiosità, che in aramaico (la lingua di Gesù) ab (da cui il greco abb) non significa propriamente 'il solenne padre', ma corrisponde al più confidenziale 'babbo', 'papà'; non si dovrebbe recitare 'Padre nostro' ma 'Babbo nostro', 'Papà nostro'. Qualcuno, un po' bizzarro, ha addirittura proposto 'babbino' o 'paparino', che -in verità- appaiono a noi persino... ridicoli.
Concludiamo questa.. . chiacchierata linguistico-devozionale affermando che il 'Padre nostro', così come è va benissimo; che l'abbiamo nell'orecchio e sulle labbra con quelle parole e che non vale soltanto il significato etimologico dei termini linguistici, quanto il sentimento con cui vengono recitati e che 'pregare' non è tanto un 'pronunciare' parole, quanto uscire -per breve tempo- dal reale per entrare in comunicazione spirituale con l'Ente supremo, a cui ci si affida sia nei momenti di disperazione, sia nelle pause di raccoglimento.


Un volumetto raccoglie gli scritti apparsi su "Mondo Padano"

Giancarlo Pandini e la grande dignità della poesia in dialetto (non solo cremonese)

Il noto critico letterario di Castelleone con questo suo lavoro ci richiama alla necessità di tornare alla consuetudine della nobile stampa locale che dedicava periodicamente attenzione alle parlate del luogo - Il settimanale era allora una bandiera di questa difesa delle specificità dialettali cremonesi con una pagina curata dal compianto Renzo Bodana

Giancarlo Pandini (lo dico per chi non lo conosce) è un critico letterario apprezzato, scrupoloso, onesto nei giudizi, disinteressato, ed è anche amante del dialetto cremonese nella varietà della zona di Castelleone, dove vive e lavora. Lavoratore indefesso, pur essendo in pensione, non desiste dal coltivare la sua passione,'critico-recensoria', come la chiama Vittorio Cozzoli nella prefazione.

Dicono che Donizetti, il famoso compositore di musica, dalla prodigiosa attività operistica, autore - tra l'altro - dell'Elisir d'Amore e della Lucia di Lammermoor, non riuscisse ad interrompere il suo scrivere musica, musica bella; anche Pandini continua - ed è un piacere leggerlo! - nella sua opera di critico letterario: scrive recensioni, continuando così ad offrire ai lettori i suoi equanimi giudizi sui libri che riceve e che via via vengono pubblicati. Egli, così, li legge in anteprima, contribuendo alla loro diffusione.
Si è detto che Pandini è anche un appassionato cultore del dialetto della sua Castelleone; in dialetto ha composto poesie, del dialetto ha trattato con competenza su varie riviste. Pandini è veramente bravo e costantemente migliora. Paragonarlo al vino, che più invecchia e più si arricchisce di sapore e di sostanza, è certo riduttivo e un po' troppo ....confidenziale, ma rende bene l'idea.
Pandini scrive di letteratura italiana, ma anche di letteratura in dialetto, che distingue, a buona ragione, dalla letteratura dialettale. E' uscita di recente una sua raccolta di scritti su poeti in dialetto, scritti pubblicati anni fa su 'Mondo Padano', diretto, allora, da Antonio Leoni, che Pandini nella introduzione ringrazia per aver creduto in lui, e che in un certo senso accomuna, nella dedicazione, al prof. Renzo Bodana, che gli amanti del dialetto ricordano per le pagine da lui curate sullo stesso 'Mondo Padano'.
L'Autore, l'amico Giancarlo Pandini, parte dalla convinzione che il dialetto è lingua di poesia, è la lingua antica che si è fatta nuova e che, di poco mutata, si è fatta lingua di poesia.
Si deve distinguere - si diceva - la poesia in dialetto dalla poesia dialettale; la poesia in dialetto è la poesia che assurge agli universali e che può rappresentare il sentimento di tutti gli uomini, mentre quella dialettale è più legata al contingente, al privato.
L'italiano, avvilito a 'lingua aziendale', come la chiamava Pierpaolo Pasolini, imbastardita dall'inglese e dall'americano, nonché dal dialetto sciatto e volgare, è diventato 'ombra di noi stessi', e si è sciupato nella sua vocazione poetica.
Nel dialetto, invece, si sono ritrovate l'ispirazione e la creatività, nella loro fecondità di sempre. Il dialetto ha porto la sua malleabilità, la sua sonorità, i suoi 'adagio' e i suoi 'allegro con brio', i suoi 'focoso' e i suoi 'fortissimo'. Meglio dice Pandini: “Come una lingua straniera, anche il dialetto vive sulla sinuosità delle omofonie, dei ritmi e delle assonanze”. Insomma, si fa musica, si fa melodia, accarezza i nostri orecchi, si fa poesia.


I poeti e gli scrittori dialettali esaminati da Pandini

Pandini tratta da par suo un mazzetto (che diventa mazzo per il valore di ciascuno) di poeti in dialetto, i maggiori che si possano leggere: Bertolani, Maffia, Ghiandoni, Dello Tessa, Trilussa, Grisoni, Noventa, Biagio Mann, Tonino Guerra, Zanzotto, Loi, Baldini, Zavattini, Ruffato, Serrao. Altri due Autori compresi nel mazzo non hanno scritto in versi, nè si sono espressi in dialetto, ma il dialetto hanno interpretato e del dialetto si sono occupati con particolare impegno. Uno, come Gadda, ha usato vari dialetti, l'altro, Luigi Meneghello, ha scritto del dialetto del suo paese.
Del dialetto in biblioteca Pandini comincia a commentare 'Libera nos a Malo', nel cui titolo, per richiamo ...mnemonico, quel 'Malo' ha due significati, chè 'Malo' è anche il nome del paese dell'Autore. Un capolavoro, lo definisce senz'altro tout court Pandini, perché “in questo libro c'è il senso di una vita di paese ( .....) a cui appartengono le cose concrete, legate al lavoro e alla vita quotidiana ( .... ) le conte, le filastrocche, le improvvisazioni fantastiche dei bambini, i canti e quei grumi dialettali” (che valgono) “a dire tante cose nel miglior modo possibile”. Ne deriva l'importanza del dialetto come espressione folgorante della realtà, “ragione prima della vita”.
Il primo dei poeti in dialetto è Delio Tessa, poeta singolare tra l'Otto e il Novecento, irregolare nella vita e nella poesia. Tipico rappresentante di quella 'ventata' di poesia in dialetto, che ha rinnovato e rinfrescato l'archetipo portiano. Due i libri della sua produzione: “L'è el dì di Mort, alégher!” e “De là del mur”.
Non poteva mancare in questa raccolta: “Il bestiario” di Trilussa, il poeta romano, che con il suo romanesco ha 'punzecchiato' la borghesia romana e la politica “becera e frustrante” al tempo del Fascismo e del Nazismo.
Di Carlo Emilio Gadda, scrittore - talvolta - in dialetto e scrittore di dialetti, molto si è parlato. Il vernacolo è stato da lui usato per riprodurre quel 'parlato' di bottegai e salumieri, di donne di condominio e di garzoni di negozi, di ortolani e di cameriere, in milanese ('Adalgisa'), in veneto ('Meccanica'), in napoletano ('Meccanica'), un po' in pugliese e un po' in romanesco ('Quer pasticciaccio brutto de via Merulana').
“Tanti soggiorni, altrettante esperienze linguistiche”, per dirla con Contini, esperienze che Gadda mischiava a quella sua prosa dai toni alti, lirici con tanta bravura.
Un donna, finalmente, nata a Sirmione, che scrive nel suo dialetto, più dolce del bresciano, con influssi veneti e trentini è l’Autrice de ‘La böba’, l’upupa, ma anche la stupida e la ‘matta’ nel gioco delle carte.
Ci sarebbe ancora molto da dire: dello spirito polemico che anima la poesia di Giacomo Noventa, della gioia di vivere e della delicatezza formale di Biagio Marin,del dialetto veneto di Andrea Zanzotto, del suo ‘vecio parlar’; del poema in dialetto lombardo ‘L’Angelo’ di Franco Loi; de ‘La notte’ di Raffaello Baldini; della lingua di Luzzara, quella di tutti i giorni’, usata da Cesare Zavattini; della ‘Diaboleria’ di Cesare Ruffato; del poeta felliniano Tonino Guerra; del ‘Furistir’, di Raffaello Baldini; del ‘Canto campano’, di Achille Serrao.
Chiude il volumetto una sommaria bibliografia, con un breve nota biografica. Sono una quindicina i libri di poesia di Pandini, due i volumi di narrativa; diversi i libri di saggistica ed altro ancora.
Concludiamo con la compiaciuta constatazione che la poesia in dialetto ha tuttora molti, impegnati cultori. E di Pandini che cosa possiamo dire? Confermiamo il nostro positivo apprezzamento e la nostra amicale ammirazione.

***

In margine, osserviamo che la stampa quotidiana, quella dei maggiori giornali, non si occupa della poesia in dialetto, la ignora. Peccato, ‘brutto mondo’, che di lettori appassionati del dialetto noi siamo convinti che ce ne siano. Sveglia, dunque!, a cominciare dai giornali locali, che non dovrebbero ignorare il dialetto della poesia cremonese.


Gianfranco Taglietti




La pagina è aggiornata alle ore 7:15:11 di Mer, 11 gen 2006




I nostri auguri con
"I 12 mesi di Giorgia": il miracolo della vita:



Una mamma racconta con le immagini il primo anno di vita della sua bambina

cliccando qui vedrete scorrere le fotografie una dopo l'altra. Un'emozione intensa per il rinnovarsi del miracolo di una vita che apre gli occhi al mondo: è il nostro
Buon Natale e
Buon 2006