LA CORTINA DI BAMBU’

Uno dei fenomeni più importanti del secondo dopoguerra fu, per certo, quello della decolonizzazione, come abbiamo già accennato.
Tra il 1945 ed il 1957 si ebbe, in Africa e in Asia, una prima serie di dichiarazioni d’indipendenza, che chiameremo prima decolonizzazione, e che interessò numerosi paesi.

L’Egitto e l’Iraq avevano ottenuto la propria indipendenza già prima della fine della guerra, così come i Dominion britannici; tuttavia, le vere decolonizzazioni cominciarono solo dopo la fine del conflitto: alcuni paesi ottennero di liberarsi dal giogo coloniale pacificamente e per via negoziale, ma molti altri, come vedremo, dovettero combattere delle vere e proprie guerre coloniali.
Quando si era sfasciato l’Impero ottomano, dopo la Grande Guerra, il Medio Oriente era rimasto, come abbiamo visto, sotto il controllo anglo-francese: nel 1946, non senza violenze terribili, specialmente in Libano e Siria, i paesi della sponda orientale del Mediterraneo divennero indipendenti: tuttavia, in Palestina emerse un gravissimo problema, dettato dalla compresenza di arabi ed ebrei sul medesimo territorio.

La comunità ebraica godeva dell’appoggio e della simpatia degli Usa e, per opposte ragioni, dell’Urss, mentre il movimento armato Haganah soffiava sul fuoco, per la formazione di un vero e proprio Stato ebraico, cui, di fatto, si opponeva la sola Gran Bretagna, che ad un certo punto si trovò praticamente in guerra con gli ebrei.
Nell’aprile 1947, gli inglesi, messi in una situazione senza uscita, rinunciarono al proprio mandato sui territori palestinesi, delegando il problema all’Onu, che non trovò di meglio che proporre la creazione di due stati, uno ebraico ed uno arabo, con Gerusalemme "città aperta" e, in pratica, terra di nessuno.
Gli ebrei, che erano il 30% della popolazione, naturalmente accettarono la proposta; non così la maggioranza araba, che si sentiva, giustamente, defraudata.
Nonostante non vi fosse stato alcun chiarimento, il 14 maggio 1948, allo scadere del mandato britannico, il Consiglio nazionale ebraico della Palestina proclamò la nascita dello Stato di Israele, provocando la reazione militare della Lega Araba (Egitto, Siria, Libano, Transgiordania e Iraq), che attaccò il neonato Stato ebraico; il fronte arabo, disunito e senza una guida unica, subì però la superiorità militare di Israele, e la prima guerra arabo-israeliana si concluse nel 1949 con una sua pesante sconfitta, che portò ad Israele importanti acquisizioni territoriali, tra cui Gerusalemme ovest.

La parte orientale della vecchia capitale fu, invece, occupata dalla neonata Giordania che aveva unito i due territori di Trans e Cisgiordania.
Da questo momento, in quei territori cominciò ad aggirarsi un convitato di pietra, malvisto dagli alleati, che lo ospitavano in campi profughi, ed inviso agli israeliani, che ne avevano espropriato la terra: il popolo palestinese, vero sconfitto di questa guerra.

Nel 1951 nacque il regno di Libia, dove al governatorato italiano si sostituì re Idris, a suo tempo emiro della Cirenaica.
Nel 1956, in seguito a lunghi e laboriosi accordi diplomatici, divennero indipendenti dalla Francia la Tunisia, che divenne una repubblica, sotto la guida di Habib Burghiba, e il Marocco, che tornò ad essere un sultanato, una parte del quale era sotto la dominazione spagnola. Anche questa parte fu riunita nel ’56 alla madrepatria, tranne il piccolo territorio di Ceuta e Melilla, che restò spagnolo.

Anche il Sudan, che era stato un protettorato anglo-egiziano, si rese indipendente nel ’56.
Il Sudest Asiatico, dopo il crollo del Giappone, fu teatro di una serie infinita di conflitti, che, se da un lato dimostravano l’intrinseca immaturità democratica di quei paesi, dall’altra furono l’occasione per le due superpotenze di proseguire il proprio duello, lasciando che a combattere realmente fossero solo dei comprimari, che, però, portavano sullo scudo le stelle e le strisce o la falce e il martello.
Caso a parte è quello delle Filippine, indipendenti dagli Usa fin dal 1946, data la posizione anticolonialista assunta dal governo americano dopo la guerra.
In Asia, comunque, il caso di decolonializzazione più importante e famoso fu, senza dubbio, quello dell’India.
Il vicereame britannico ospitava da decenni un movimento indipendentista forte e tenace, guidato da Gandhi. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, quando, ormai, l’atteggiamento inglese era quello di un distacco "soft" dall’India, tuttavia, questo movimento, che era stato, per così dire, trasversale, vide il nascere di forti divisioni religiose al suo interno, che avrebbero portato alla spaccatura territoriale del ’47 tra India e Pakistan.

I musulmani, guidati da Jinnah, premevano per la creazione di due stati, uno induista ed uno islamico, mentre il tradizionale Partito del Congresso, guidato da Nehru, insisteva per un’India indipendente e unita.
I terribili disordini che insanguinarono il subcontinente nel ’46 convinsero la Gran Bretagna della bontà della teoria della divisione dell’India in due diversi stati, così, nell’agosto del 1947, si giunse alla proclamazione dell’indipendenza indiana (maggioranza induista) e pakistana (maggioranza musulmana), che produsse l’esodo di decine di milioni di persone nelle due opposte direttrici di marcia.

L’anno successivo sarebbero divenute indipendenti anche la Birmania e Ceylon, mentre la Malaysia avrebbe dovuto aspettare il 1963 per la sua totale indipendenza dalla Gran Bretagna.

Soltanto una dura e sanguinosa guerra d’indipendenza permise, nel ’49, all’Indonesia di affrancarsi dalla dominazione olandese, così come accadde per l’Indocina francese. I paesi che formavano l’Indocina erano il Laos, la Cambogia e il Vietnam; proprio quest’ultimo impegnò in una guerra senza esclusione di colpi le truppe francesi.

Alla fine, i Vietminh di Ho Chi Minh ebbero ragione dei parà e della Legione e, dopo la sconfitta di Dien Bien Phu (maggio 1954), la Francia fu costretta a rinunciare alle proprie pretese sull’Indocina.

Il Vietnam, con la conferenza di Ginevra (1954) venne diviso in due stati: il primo era governato dai comunisti di Ho Chi Minh, mentre l’altro era scopertamente filoamericano: cominciava a delinearsi uno scontro tra capitalismo e comunismo che passava dalle risaie dell’Asia sudorientale.
In realtà, il Paese che maggiormente minacciava di assorbire il Sudest asiatico nell’universo comunista era la Cina di Mao: il comunismo cinese, intriso di confucianesimo, era, infatti, assai più digeribile di quello russo per le popolazioni asiatiche.
La Cina era diventata Repubblica Popolare Cinese nel 1949, quando le truppe comuniste di Mao Tse-Tung sconfissero definitivamente quelle del Kuomintang, partito nazionalista e governativo guidato da Chiang Kai-scek, costringendo gli anticomunisti a fuggire a Taiwan (Cina Nazionalista), ed era, ovviamente, entrata nel sistema di alleanze sovietico.
Da questo momento ebbe inizio una nuova politica di ingerenza Usa nell’Asia sudorientale, che avrebbe causato non pochi disastri negli anni a venire.
Se la prima tappa diplomatica di questa politica mutata fu la fine dell’occupazione americana del Giappone (1951), quella militare fu, invece, un conflitto lungo e sanguinoso, che portò il mondo ad un passo dall’olocausto nucleare: la guerra di Corea.

Nel giugno del 1950, la Corea del Nord, controllata ed appoggiata dai sovietici, attaccò senza preavviso la Corea del Sud, invadendola; immediatamente, gli Usa ottennero dall’Onu il permesso di inviare in Corea una forza di intervento internazionale (tanto per farne una originale!), che, in breve, respinse le truppe del Nord fin quasi al confine con la Cina, che, per tutta risposta, mise in campo a favore dei nordcoreani 300.000 uomini, ristabilendo gli equilibri, mentre MacArthur premeva su Truman perché usasse le bombe atomiche contro il colosso cinese.

Fortunatamente, il presidente Usa non se la sentì e l’armistizio del 1953 riportò i contendenti sui confini di partenza; ma il mondo l’aveva scampata bella!
Con questo conflitto e con quello vietnamita si concluse quel burrascoso periodo che prima abbiamo chiamato "decolonizzazione", ma, come vedremo, i guai grossi in materia di fine del colonialismo non erano davvero terminati.