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COLLETTIVO |
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La
mia metodologia di allenamento è totalmente
basata su concetti di collettivo.Nel calcio il
termine collettivo è il più abusato e
frainteso.Quello che si chiama collettivo
infatti è una situazione statica e priva di
sviluppo, che si raggiunge pel il solo fatto di
giocare insieme o di aver risolto, o non avere
lasciato sviluppare difficoltà di conduzione.
E’ una condizione che non và molto più in là
di una conoscenza reciproca e di una intesa in
campo, o di un adeguarsi senza portare
contributi creativi. A volte si vede qualcosa in
più di un insieme che arriva e si perde per
caso, ma che offre molte opportunità per
capire. Sono i momenti di grazia di una squadra
che prima comincia a vincere in modo più o meno
inatteso e dopo conferma le vittorie. In questi
casi l’euforia coinvolge noi, i giocatori e
l’ambiente, azzera tensioni, ruggine e
soggezioni e man mano con le conferme diventa
sicurezza. Ma se non ne capiamo i motivi e non
li stabilizziamo questi momenti non reggono.
Tocca a noi capire cosa è cambiato nella
squadra, quali meccanismi si sono messi in moto
o si sono creati, cosa fa rendere la squadra al
suo potenziale, come siamo cambiati anche noi. E
possiamo scoprire certe attitudini o abilità
che prima non si erano mai espresse o,
addirittura, qual’è la vera forza dei
giocatori e della squadra. Sarebbe il momento
per cercare di capire cosa è successo per
poterlo ripetere, ma nel calcio non si vede
ancora l’utilità di indagare le situazioni
favorevoli. Ci si illude che siano stati
ottenuti grazie ai metodi usati o ad una
maturazione sopravvenuta o operata nella squadra
e si pensa che esse possano continuare
all’infinito. Ma neppure una situazione così
favorevole, se resta solo provvisoria e non
indagata, può essere il primo passo verso il
collettivo. Resta infatti legata a fatti casuali
e non riassume in se le condizioni per ulteriori
ampliamenti. Il collettivo è pensare e trovare
insieme le soluzioni in campo e fuori, creare e
partecipare alla creazione degli altri scoprire
possibilità di gioco e applicarle senza
rischiare di risultare incomprensibili. E’
scoprire cosa è successo nella partita, errori
e colpi di genio, o cosa va corretto cosa và
sviluppato e trovare le soluzioni e trasformarle
in conoscenza e strumento di tutti.
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LA
PERSONALITA'
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Uno
degli argomenti da tempo oggetto di ampie
discussioni e senz’altro quello relativo alla
personalità dell’allenatore. Quali sono
infatti i fattori, i requisiti e le varie
componenti che determinano nel loro insieme la
cosiddetta “personalità”? Rispondere a tale
interrogativo in maniera schematica e categorica
è sicuramente riduttivo, in special
modo se la trattazione prescinde
dell’ambito di situazioni in cui
l’allenatore opera. Sulla base pertanto della
mia esperienza corre l’obbligo di
evidenziare alcune sostanziali differenze legate
essenzialmente all’ipotesi in cui
la discussione investe il calcio in
genere. Per quanto attiene all’aspetto della
personalità dell’allenatore sono
dell’avviso che alcuni aspetti caratteriali
siano innati come naturale predisposizione, per
esempio allenare e a gestire con facilità un
gruppo, senza l’incidenza di fattori esterni
determinanti. Molto spesso infatti ci troviamo
di fronte a soggetti che pur avendo alle spalle
una buona carriera calcistica non riescono
tuttavia ad affermarsi come allenatori
difettando magari di talune fondamentali
caratteristiche tipiche di un buon allenatore
(comunicatività, intelligenza calcistica e
disponibilità verso gli altri) per contro
esistono persone che pur non riuscendo a vantare
una buona carriera calcistica a discreti
livelli, ciò nonostante sono ugualmente
riusciti ad affermarsi (tale fenomeno è più
frequente in campo professionistico laddove sono
maggiormente richieste doti sul piano tecnico
tattico comunicativo e gestionale). Oltre
naturalmente alle doti innate anche fattori
esterni concorrono in maniera rilevante alla
formazione della personalità dell’allenatore.
Il processo educativo
ad esempio che l’allenatore ha
“subito”, quasi certamente condizionerà il
modo di educare gli altri inteso nella eccezione
più squisitamente pedagogico-redazionale del
termine. Un ruolo senz’altro importante
riveste poi l’esperienza calcistica la quale
con ogni probabilità influenzerà gli
orientamenti e la propensione verso un
determinato modo di allenare i calciatori,
aiutando il tecnico a gestire situazioni di
successo, di insuccesso situazioni conflittuali
etc. Nelle dinamiche di gruppo in senso
lato e nello specifico nella conduzione di una
squadra di calcio esistono altre componenti,
altrettanto importanti e significative che, pur
apparendo avulse da un contesto tecnico tattico,
risultano invece ad esso collegate ed agiscono
in maniera molto profonda
e incisiva. Stiamo ovviamente parlando delle
cosiddette componenti psicologiche, che in
questi ultimi tempi stanno assumendo sempre più
valenza tanto da diventare un vero e proprio
“fattore imprescindibile” del mondo del
calcio. Anche qui risulta più che mai doveroso
sottolineare la differenziazione degli
atteggiamenti ed implicazioni psicologiche in
rapporto alla
specifica situazione da gestire. Sulla
scorta delle diverse esperienze lavorative avute
inerente all’applicazione psicologica della
personalità dell’allenatore, sempre più
forte appare il convincimento secondo il quale
esistono tratti comuni indipendentemente dai
vari livelli di applicazione. Perché infatti
l’allenatore possa essere definito
“positivo” è necessario che la sua
personalità possegga delle componenti
psicologiche fondamentali senza le quali il suo
operato è destinato a fallire. Dovrà essere
innanzitutto un allenatore intelligente, nel
senso di capire e di saper leggere tutte
le situazioni. E’ necessario altresì che sia
un buon comunicatore, capace di trasmettere
all’intero gruppo l' interpretare della gara
alla medesima maniera. Sono dell’avviso,
inoltre, che lo stesso dovrà assumere una
condotta autorevole ma mai autoritaria, dovrà
quindi godere
di grande stima da parte del gruppo in maniera
tale che quest’ultimo accordi fiducia
incondizionata. Perché poi la personalità di
un allenatore possa essere definita
“psicologicamente forte” è necessario che
questi abbia una buona mentalità elastica
sicurezza dei propri mezzi, necessità di
un’autostima ed avere sempre l’obbiettivo da
perseguire. Molto importante infine ritengo,
nella personalità dell’allenatore, sia la
capacità di gestire al meglio il gruppo senza
ingenerare situazioni di stress soprattutto in
momenti particolarmente sfavorevoli, anzi
proprio in tali circostanze emerge la personalità
del buon tecnico, la sua capacità di dominare
siffatte situazioni ed incidere in maniera
positiva.
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L'IMPORTANZA
DI UN LEADER
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Ogni volta
che parliamo di squadra, prima o poi il discorso
cade sul ruolo, l’importanza e le
caratteristiche del leader. Tutti sanno, noi
allenatori in particolare, che avere un leader
all’interno della squadra può essere
fondamentale per una migliore gestione del
gruppo stesso e per l’attuazione delle nostre
idee sia tecnico-tattiche che disciplinari e
comportamentali. In tutte le discipline sportive
di squadra, il leader solitamente è il capitano
anche se molte volte nella realtà non è così.
Per una squadra possedere un leader dal quale
farsi guidare, soprattutto nei momenti di
difficoltà, è di vitale importanza per
arrivare ad ottenere i risultati che la stessa
desidera raggiungere. Il leader è colui che fa
risaltare le potenzialità dei singoli, il
fulcro intorno al quale si fonde lo spirito di
gruppo, molto importante per il raggiungimento
dei traguardi sportivi. Tutti coloro che hanno
giocato a calcio sanno che non tutti i
calciatori possiedono le stesse doti di carisma
vi sono giocatori che restano defilati, altri
che amano farsi guidare, altri ancora capaci di
trascinare. La leadership è una componente
dinamica che integra molti altri elementi, in
particolare la personalità e l’ascendente sui
compagni. I leaders vengono vissuti dai compagni
come figure capaci nel condurre le squadre verso
il successo. I leaders sanno creare buoni
rapporti con i compagni e l’allenatore. Il
leader riconosciuto deve avere una personalità
particolare, un ottimo livello di autostima,
essere consapevole del proprio lavoro, avere la
capacità di guidare la squadra in campo, non
deve essere egoista e deve mettersi a
disposizione del gruppo. L’intelligenza e la
sensibilità sono le sue doti principali per
essere un buon leader. Il vero leader è quello
che riesce a condizionare in positivo il
pensiero della squadra, reagisce con grinta
davanti alle difficoltà dando così sicurezza
al resto della squadra. Bisogna distinguere tra
leader positivo e leader negativo. Quando il
leader è positivo, nel senso che sposa la linea
scelta dal tecnico, diventa un supporto per la
gestione del gruppo smussandone gli angoli di
contrasto rendendo la vita del tecnico più
facile ed il rapporto di ottima creatività e
convivenza. Quando il leader è negativo e
assurge a ruolo di primadonna non dando mai
l’esempio viene usato dal gruppo nel tentativo
di ottenere delle riduzioni nel lavoro da
svolgere o per evitare un ritiro o
un’amichevole ingombrante. In questo caso se
la società non forma un unico blocco con la
conduzione tecnica si lavorerà spesso in
contrasto ed il tecnico si troverà
inevitabilmente tra l’incudine ed il martello.
Quando invece la società è forte ed ha un
unico interlocutore tra la proprietà ed il
tecnico allora il discorso cambia. Quando si
verifica questa coesione il leader negativo sa
di non poter trovare alleati e quindi sposa al
meglio la linea comune imposta dalla società e
tecnico divenendo utilissimo nell’economia del
gruppo. E’ oltremodo importante che il leader
non scavalchi mai il tecnico. Un’altra
considerazione da fare è quella in cui il
leader deve essere in grado di fare la
differenza in campo. Esistono infatti giocatori
che si atteggiano a ruolo di leader solo nello
spogliatoio prima degli allenamenti ma poi sul
campo riescono a svolgere unicamente il loro
compitino. Questo, a gioco lungo, non porta
nessun beneficio ne in campo ne fuori. Anzi nel
caso di periodi negativi questi passano più per
chiacchieroni che per leader.
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