Centro Studi e Ricerche CELESTINO V 

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Il Papa Santo Celestino V - "San Pietro a Maiella"

Il Papa Santo
Celestino V-San Pietro a Maiella

Il Papa Santo , una ricerca sulla vicenda umana e spirituale di uno "sconosciuto" che sul finire del XIII secolo passò come una meteora sul Regno di Napoli lasciandovi una traccia indelebile.
Nato in Provincia di Terra di Lavoro, (probabilmente a Isernia), all'età di venti anni, dopo una breve e sofferta permanenza nel monastero benedettino di S. Maria in Faifoli (allora in Diocesi di Benevento) lascia senza rimpianti la sua "patria", ben deciso a non farvi mai più ritorno.
Le notizie intorno alla sua infanzia sono scarsissime. Dai cronisti coevi apprendiamo che era un bambino un po' stravagante, bizzarro, solitario e sfaticato, tanto da essere detestato dai fratelli, che non volevano spendere soldi per mandare agli studi un "fannullone". Soprattutto sappiamo che era sempre tormentato da incubi, ossessionato da orripilanti visioni e, soprattutto, dalle fastidiose polluzioni notturne.

La sua lunga esperienza terrena (visse 87 anni) fu segnata da una forte vocazione religiosa maturata nel clima di quell'Aspettativa Escatologica in gran parte ispirata da Gioacchino da Fiore "il calavrese… di spirito profetico dotato", che lo sospingerà con maniacale urgenza alla ricerca della solitudine estrema e all'autoannientamento tramite la quotidiana mortificazione della carne.
Sullo sfondo della ricerca si intravedono i grandi temi che caratterizzarono l'ultimo scorcio del tardo Medio Evo: lo scontro fra la Ecclesia Carnalis rappresentata da Bonifacio VIII, e la Ecclesia Spiritualis costituita dalle brulicanti "sette paueristiche", ben rappresentata da Francesco d'Assisi e Jacopone da Todi; il tormentato subentro della dinastia angioina sulle ceneri di quella sveva; l'ultimo grande scontro fra il Potere Spirituale (Bonifacio VIII) e il Potere Temporale (Filippo IV di Francia detto il Bello).
Ostinato avversario del potere, della gloria e degli assordanti messaggi di felicità offerti dalla vita mondana, fra' Pietro visse 65 dei suoi lunghi 87 anni in assoluta segregazione sui monti della Maiella. Scovato da Carlo II D'Angiò mentre dimorava nella sua grotta di S. Onofrio sul Morrone, fu imposto al Conclave di Perugia del 1292-94 quale Pontefice col nome di Celestino V. Passato alla storia come il detentore dell' "ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto" fu invece un gigante che con umiltà e fermezza depose la tiara, dopo soli 504 giorni di fallimentare governo della Chiesa, perché indisponibile ad avallare le nefandezze della "Ecclesia Carnalis" perefettamente rappresentata dal successore Bonifacio VIII, (il pontefice che invento il Giubileo).
Lo storico evento avvenne nelle gelide mura del Maschio Angioino, forse nella Sala del Tinello (Il De Blasis dice che la rinuncia avvenne nella sala magna superiore sistentis ricordata in un diploma di re Roberto; il Celano afferma che Celestino rinunziò al Papato nella sala gotica; il Galante ritiene che abdicò nella sala dell'armeria vecchia ch'è a destra della chiesa di S. Barbara. Per altri lo straordinario evento avvenne nella sala maggiore o sala del tinello che era posta nella cortina occidentale, e che si chiamerà poi sala aragonese. Per altri ancora la famosa formula fu letta nell'antica Cappella Palatina, detta poi, dal 1776, chiesa di S. Barbara).
Nel 1241, dopo una breve parentesi di studio in Laterano lascia Roma e si insedia in una grotta presso Sulmona, in località Segezzano, probabilmente dopo aver appreso che in quei luoghi aveva dimorato il famoso eremita Flaviano da Fossanova.
In quella spelonca, il giovane eremita comincia ad essere avvicinato da quelli che saranno i futuri discepoli. Si tratta di centinaia di giovani provenienti dalle vicine casupole di Bucchianico, Caramanico, Salle, Roccamorice, Pratola, attratti dalla sua crescente fama di santità, e vogliosi di condividere con lui le sofferenze e le privazioni della vita eremitica. Lui li accoglie suo malgrado, perché pur essendo animato da profondi sentimenti di generosità e di amore per il prossimo, non intende condividere con alcuno la sua solitudine.
E' un uomo taciturno, silenzioso e riservato che fugge, quando può, la rumorosa invadenza dei suoi simili. Nel 1246, proprio perché insofferente alla frequentazione dei fedeli, che diventano sempre più numerosi e petulanti, abbandona l'eremo di Segezzano per rifugiarsi nella vicina Maiella dove, sull'orrida parete dell'Orso, alla Ripa Rossa, trova un primo, inaccessibile rifugio.
Successivamente si sposterà in uno fra i più impervi dirupi di quelle montagne, chiamato S. Spirito di Maiella dove poi sarà edificato il famoso monastero che fino al giugno del 1293 sarà Caput Congregationis. Resterà per lunghi anni sulla Maiella, sempre in fuga dalle fastidiose turbe di fedeli che insidiavano la sua solitudine, e sempre alla ricerca di nuove e più irraggiungibili caverne, invano sperando nella loro capacità dissuasiva, perché masse di pellegrini, poveri, infermi e disperati, per trovare conforto alle loro sofferenze, lo raggiungeranno ovunque, anche quando troverà rifugio nei proibitivi antri di S. Bartolomeo di Legio e di S. Giovanni sull'Orfento. Qui, sui monti della Maiella, negli anni che vanno dal 1246 al 1293, si consolida definitivamente la sua fama di venerabile taumaturgo.
Uomo mite, silenzioso, schivo, ma soprattutto umilissimo, Pietro condusse una vita sempre coerentemente ispirata ai canoni del cristianesimo primitivo e del pauperismo francescano. Penitenza, preghiera, silenzio, rigorosa astinenza, durissimi e prolungati digiuni, autofustigazione e mortificazione della carne: furono queste le direttrici che orientarono senza sosta e senza soluzione di continuità la sua lunga vicenda terrena. Una fiaba ben orchestrata da alcuni suoi falsi estimatori lo vuole uomo di potere, uomo d'organizzazione, uomo d'apparato, instancabile manager dedito alla costruzione di castelli e palazzi, ma Pietro da Morrone non fu mai nulla di tutto ciò. La gran parte dei possessi attribuiti alla sua Congregazione gli pervenne da donazioni e cessioni a vario titolo, delle quali quasi sempre ignorò non solo l'entità, ma l'esistenza stessa. Pietro da Morrone non fu mai uomo da "comunità", mai uomo d'"Ecclesia" in senso stretto, mai uomo da "assemblea dei fedeli", mai parte supina di un'informe massa di credenti accomunata da vincoli dogmatici, ma cristiano individuo che crede nel messaggio di povertà e di rinuncia proposto da Cristo; messaggio al quale si atterrà scrupolosamente, fino in fondo, fino alle estreme conseguenze.
Nel giugno del 1293, sempre sospinto dalla sua insopprimibile brama di solitudine, convoca il quarto (ed ultimo) Capitolo Generale e, tra la costernazione dei discepoli, comunica la sua irrevocabile decisione di volersi ritirare per sempre sul Morrone, essendo ormai giunto al termine del suo percorso terreno. A tale scopo farà scavare il famoso eremo di S. Onofrio, dove vivrà per tredici mesi in assoluta segregazione, recidendo tutti i contatti col mondo esterno, salvo quelli strettamente connessi alla sopravvivenza.
In quella spelonca Pietro vive i suoi ultimi giorni di solitudine nel più profondo e consapevole godimento della grazia divina. E' felice, appagato, sereno. I suoi conti con Dio sono in ordine. E' ormai sicuro di essere giunto alla meta, e pregusta con gioia l'imminente realizzazione dell'unico grande sogno della sua vita: ricongiungersi a Dio e riconsegnargli l'anima pura e immacolata così come Lui gliel'aveva affidata. Ignora che la Storia è in agguato e sta per stanarlo da quella vera e propria anticamera del paradiso chiamata S. Onofrio.
Se fosse morto prima del 5 luglio del 1294, sarebbe rimasto uno sconosciuto, uno fra i tanti eremiti e "santoni" che a quei tempi pullulavano sulla dorsale appenninica abruzzese. Quel cinque di luglio gli fu fatale. A Perugia, gli undici cardinali superstiti che da 27 mesi, da quando cioè era scomparso Niccolò IV, si contendevano il Soglio di Pietro, lo elevarono al Sommo Pontificato. Compiendo un gesto di autentica irresponsabilità, mai adeguatamente biasimato dagli storici, i cardinali-elettori gli accollarono un gravame per lui insostenibile e da lui, peraltro, mai richiesto né, tanto meno, ambìto. Nella mischia (e quindi negli affari del Conclave) si era gettato anche Carlo II d'Angiò il quale aveva urgente bisogno di un papa che ratificasse l'accordo raggiunto con gli aragonesi per la restituzione della Sicilia. E fu proprio in quella occasione che il francese misurò la grinta del Cardinale Benedetto Caetani, il futuro Bonifacio VIII, il quale lo invitò, non molto garbatamente, a farsi gli affari suoi in casa sua, e a starsene quindi alla larga dalle vicende della Chiesa.
Il re, indignato per l'onta subita, ma anche disperato perché rischiava di veder vanificati gli effetti dell'intesa raggiunta, lascia Perugia, ma invece di procedere per Napoli si reca a Sulmona e gioca una carta che si rivelerà vincente: agendo sulle buona fede di Pietro, lo istiga a scrivere una strana lettera ai cardinali riuniti in conclave. In quella missiva Pietro sollecitava l'elezione del nuovo Papa, minacciando la collera di Dio se avessero ulteriormente protratto la vedovanza della "Sposa di Cristo". E quelli, come folgorati da una rivelazione Celeste, individuarono proprio in lui, nel povero eremita morronese, l'agnello sacrificale al quale affidare, in uno dei momenti più drammatici dello scontro con il potere temporale, una Chiesa che aveva toccato il fondo della decenza morale e spirituale.
Fin da subito, però, la vittima sfuggì dalle loro mani, perché il nuovo Pontefice fu, di fatto, sequestrato dal re angioino, che ne fece un inconsapevole e prezioso strumento dei suoi maneggi politici.
Intorno a Celestino V, dal 29 agosto al 13 dicembre del 1294, pascoleranno faccendieri, maneggioni, affaristi, questuanti, trafficanti e "barattieri" d'ogni risma, che utilizzeranno il suo nome e le pergamene papali bollate in bianco, per concludere i loro turpi affari.
E' ormai vecchio, stanco, decrepito, consumato dagli acciacchi e da una vita fatta di stenti e di privazioni indicibili, ma trova il coraggio e la forza di opporsi a quello scempio.
Il 13 Dicembre del 1293 convoca il Concistoro e, ordinando a tutti di tacere, detta ed impone agli allibiti cardinali la sua rinuncia, incurante delle minacce del popolino napoletano che, sobillato dal re e forse anche da alcuni suoi discepoli, lo aggredisce devastando e saccheggiando la sua umile dimora. E' il grande giorno. E' il giorno del riscatto suo e delle Chiesa di Cristo. E' il giorno in cui dimostra al mondo intero che in nome della fede si possono spostare anche le montagne. Come un gigante ferito, si ribella a quegli undici peccatori, li zittisce in nome di Dio e rinunzia (ecco perché non appartiene a Celestino V l' "ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto", perché fu rinunzia , non rifiuto, e Dante conosceva benissimo la differenza fra i due termini !) a quell'incarico la cui ultima finalità era quella di dannare l'anima sua e di infangare il nome della Chiesa.
Quel 13 dicembre di settecento anni fa, colui il quale è passato alla storia come il capofila dei codardi, lascia il papato da trionfatore e da vincente: da trionfatore perché né le minacce, né le lusinghe dei "poteri forti" del suo tempo, riescono a tenerlo inchiodato ad un ruolo che non serviva a rendere gloria a Dio; vincente, perché vince la sola battaglia da lui combattuta, contro l'unico suo mortale nemico, il Maligno.
Il 24 dicembre di quello stesso anno , a soli dieci giorni dalla sua rinunzia, con il prezioso apporto dei voti francesi pilotati da Carlo d'Angiò, è eletto papa Benedetto Caetani che assume il nome di Bonifacio VIII.
Nella notte del 1 gennaio del 1295, quando mancano 17 mesi alla fine del suo martirio, braccato come un pericoloso delinquente dalle polizie congiunte di Carlo d'Angiò e di Bonifacio VIII, il papa dimissionario fugge da S.Germano per raggiungere la sua amata cella sul Morrone e successivamente la Puglia, da dove tenterà l'imbarco per la Grecia.
Catturato presso Vieste e consegnato a Bonifacio, dopo essere stato "ospitato" nella dimora anagnina del Papa, è tradotto nell'orrenda torre di Castel Fumone dove resterà fino alla fine dei suoi giorni. La detenzione, nonostante le numerose falsificazioni addotte dai partigiani di Bonifacio, fu durissima; il rigore estremo di quella cattività è stato ampiamente documentato da tutti i cronisti dell'epoca.
Finalmente, dopo trecentodiciannove giorni di carcere duro, la sua bell'anima si svincola dall'aborrita carcassa di carne e ossa, per raggiungere la meta da sempre agognata: Dio. Sono le 16 (al vespro) di sabato 19 maggio 1296.
Quattrocento anni dopo, Lelio Marini, il più informato biografo del Santo (Pietro fu canonizzato il 5 maggio del 1313 da Clemente V) proverà a dimostrare, con un'accurata e puntigliosa disamina di numerosi reperti storici, che l'eremita fu barbaramente ucciso per ordine di Bonifacio VIII (L'enigma della morte di Celestino V è stato ampiamente trattato nella mia precedente ricerca dal titolo "La leggenda del chiodo assassino", Tommaso Marotta Editore in Napoli).
La Chiesa, negli ultimi 700 anni ha sempre provato a rimuovere questo ingombrante personaggio, soprattutto a stendere un velo sul contenuto profondo ed attuale del suo messaggio perchè Pietro da Morrone, ancora oggi, è una mina vagante per i "poteri forti", laici ed ecclesiastici. La povertà, la continenza, la riservatezza, il disprezzo per il possesso e il rifiuto del potere, così come lui li ha vissuti e praticati, rappresentano valori fortemente trasgressivi e destabilizzanti per il "mercato", che si regge esclusivamente sulla cultura del più sfrenato consumismo e sulla dilapidazione delle risorse umane ed ambientali.
"La sua elezione fu una disgrazia per la Chiesa", impreca lo storico tedesco Peter Herde, occultando così la verità-vera e cioè che quella elezione fu una disgrazia soprattutto per lo sfortunato eremita. Pietro da Morrone (San Pietro a Maiella- Celestino V) è ancora oggi un uomo scomodo per alcune retroguardie del mondo cattolico, che non gli hanno mai perdonato il coraggioso gesto della rinuncia, col quale ha concretamente dimostrato che il potere non è tutto nella vita di un uomo, né il fatto che quel gesto fu anche (diamogli finalmente nome e cognome) un atto di vera e propria insubordinazione. Ma non è tutto: l'umile eremita del Morrone sconta ancora oggi la pena dell'ostracismo, perché è accusato di aver instaurato un rapporto diretto con Dio, prescindendo dalla mediazione delle gerarchie ecclesiastiche; di essere stato formalmente un benedettino, ma sostanzialmente un francescano, un francescano di rottura, pauperista, "testamentario". E non gli è stata perdonata, infine, la sua ostinazione, il suo temperamento forte, "meridionale", il suo agire riservato e taciturno, in una società come la nostra dove trionfa il presenzialismo e il vaniloquio. Consiste in ciò la vera pericolosità di San Pietro a Maiella. Il suo messaggio è devastante, perché, ove divulgato e recepito, manderebbe in frantumi la fatua impalcatura costruita dai venditori di felicità a prezzi stracciati.

Indice

Premessa Pag.

Prefazione "

Prologo "

L'Evo delle grandi paure "
Una luce di speranza "
Fra' Pietro fra eresia e ortodossia "
Fra' Pietro il manicheo "
Il profumo di Francesco "
Benedetto da Norcia, il grande maestro "
L'influsso materno "
Potenza del Maligno "
Signora povertà "
Signora solitudine "

1. Dell'infanzia e della giovinezza "

Un secolo importante "
Sulle origini di fra' Pietro "
Il bambino dei miracoli "
Voglia di solitudine "
Fra' Pietro e la "questione femminile "

2. Un eremita in Laterano "

Fra la "gens immunda" della rissosa Roma "
Ritorna la collera dell'Onnipotente "

3. Primi passi sul Morrone "

Fra' Pietro e i suoi primi discepoli "
Miracoli a Segezzano "

4. Pietro da Morrone, chi era costui? "

La giornata di un eremita "
Il riposo di Pietro "
Le quaresime di Pietro "

5. Gli anni della Maiella "

Nella tenaglia della Storia "
Miracoli sulla Maiella "
Una Congregazione in pericolo "

6. Un viaggio leggendario "

A Lione fra storia e leggenda "
Profezie di morte, profezie di vita "

7. Fra' Pietro maestro di vita e di umiltà "

La scuola dell'umiltà "
Miracoli in Faifoli "
L'empio Simone di S. Angelo "

8. La Storia in agguato "

La "Fraterna" d'Isernia "
Ancora miracoli sulla Maiella "
La Sicilia in fiamme "
I "Grandi Elettori" "
Perugia degli intrighi "

9. L'amaro calice "

Ritorno a S. Onofrio "
Miracoli a S. Onofrio "
Il Conclave umiliato "

10. Il Pontefice sull'asinello "

L'asinello di Gesù "
La cattività aquilana "
La "Perdonanza" "
Verso la cattività napoletana "

11. Il giorno del "gran rifiuto"

Gli errori di Celestino "
Omaggio a San Vincenzo al Volturno "
Il "caso San Germano" "
Miracoli in Terra di Lavoro "
L' "affaire" Castrocielo "
I cinque giorni che sconvolsero il mondo "
A futura memoria "
Scuole di pensiero sul "gran rifiuto" "
Dante con Dante "
Il "gran rifiuto" di Matteo Rosso degli Orsini "
La coerenza di Pietro "
Giudizi sulla legittimità della rinuncia "
L'ora di Benedetto Caetani "
Bonifacio VIII, chi era costui? "

12. La fuga e la cattura "

Fuga da San Germano "
Miracoli a S. Onofrio "
La collera di Bonifacio "
L' "Operazione Celestino" "
La cattura "

13. Da Vieste ad Anagni fra due ali di folla osannante "

L' umiltà di un illustre prigioniero "
Gli ultimi miracoli di fra' Pietro "
Fra' Pietro nelle mani di Bonifacio "

14. Verso il Golgota "

"Quando Fumone fuma tutta Campagna trema" "
Il "mistero" di S. Onofrio "

Epilogo "

1296. Bonifacio revoca la "Perdonanza" di Collemaggio "
1299. Miracoli post mortem "
1296-1293. Le guerre di Bonifacio "
1300. Una bella trovata: il grande Giubileo "
1301. Le Bolle del terrore "
1303. L'"insulto di Anagni" "
1303. Morte di Bonifacio "
1306-1313. Del processo di Canonizzazione di fra' Pietro "
1327. Le spoglie trafugate "
1630. Fra' Pietro fu assassinato? "
1807. Come muore una Congregazione "
1988. Le spoglie trafugate dai balordi "
2000. Fra vecchi e nuovi detrattori "
L'insostenibile messaggio di Celestino "

Note "

Documenti "

1. Una perizia medico-legale sul cranio di Celestino "
2. Stralcio della laude di Buccio da Ranallo sulla Perdonanza "
3. Una rara mini-biografia di fra' Pietro "

4. Il Decreto di Elezione del 5 Luglio 1294 "
5. Il "Manifesto" di Lunghezza "
6. La Bolla "Praeteritorum temporum" (stralcio) "

7. L'"insulto" di Anagni nella versione di Luigi Tosti "
8. Fra storia e leggenda, notizie sulle reliquie di Celestino "
9. La Bolla "Unam Sanctam" "
10 Come Giovanni Villani racconta l'elezione di Pietro da Morrone "

 

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