La sua lunga esperienza terrena (visse 87 anni) fu segnata da una forte
vocazione religiosa maturata nel clima di quell'Aspettativa Escatologica
in gran parte ispirata da Gioacchino da Fiore "il calavrese
di spirito profetico dotato", che lo sospingerà con maniacale
urgenza alla ricerca della solitudine estrema e all'autoannientamento
tramite la quotidiana mortificazione della carne.
Sullo sfondo della ricerca si intravedono i grandi temi che caratterizzarono
l'ultimo scorcio del tardo Medio Evo: lo scontro fra la Ecclesia Carnalis
rappresentata da Bonifacio VIII, e la Ecclesia Spiritualis costituita
dalle brulicanti "sette paueristiche", ben rappresentata da
Francesco d'Assisi e Jacopone da Todi; il tormentato subentro della dinastia
angioina sulle ceneri di quella sveva; l'ultimo grande scontro fra il
Potere Spirituale (Bonifacio VIII) e il Potere Temporale (Filippo IV di
Francia detto il Bello).
Ostinato avversario del potere, della gloria e degli assordanti messaggi
di felicità offerti dalla vita mondana, fra' Pietro visse 65 dei
suoi lunghi 87 anni in assoluta segregazione sui monti della Maiella.
Scovato da Carlo II D'Angiò mentre dimorava nella sua grotta di
S. Onofrio sul Morrone, fu imposto al Conclave di Perugia del 1292-94
quale Pontefice col nome di Celestino V. Passato alla storia come il detentore
dell' "ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto"
fu invece un gigante che con umiltà e fermezza depose la tiara,
dopo soli 504 giorni di fallimentare governo della Chiesa, perché
indisponibile ad avallare le nefandezze della "Ecclesia Carnalis"
perefettamente rappresentata dal successore Bonifacio VIII, (il pontefice
che invento il Giubileo).
Lo storico evento avvenne nelle gelide mura del Maschio Angioino, forse
nella Sala del Tinello (Il De Blasis dice che la rinuncia avvenne nella
sala magna superiore sistentis ricordata in un diploma di re Roberto;
il Celano afferma che Celestino rinunziò al Papato nella sala gotica;
il Galante ritiene che abdicò nella sala dell'armeria vecchia ch'è
a destra della chiesa di S. Barbara. Per altri lo straordinario evento
avvenne nella sala maggiore o sala del tinello che era posta nella cortina
occidentale, e che si chiamerà poi sala aragonese. Per altri ancora
la famosa formula fu letta nell'antica Cappella Palatina, detta poi, dal
1776, chiesa di S. Barbara).
Nel 1241, dopo una breve parentesi di studio in Laterano lascia Roma e
si insedia in una grotta presso Sulmona, in località Segezzano,
probabilmente dopo aver appreso che in quei luoghi aveva dimorato il famoso
eremita Flaviano da Fossanova.
In quella spelonca, il giovane eremita comincia ad essere avvicinato da
quelli che saranno i futuri discepoli. Si tratta di centinaia di giovani
provenienti dalle vicine casupole di Bucchianico, Caramanico, Salle, Roccamorice,
Pratola, attratti dalla sua crescente fama di santità, e vogliosi
di condividere con lui le sofferenze e le privazioni della vita eremitica.
Lui li accoglie suo malgrado, perché pur essendo animato da profondi
sentimenti di generosità e di amore per il prossimo, non intende
condividere con alcuno la sua solitudine.
E' un uomo taciturno, silenzioso e riservato che fugge, quando può,
la rumorosa invadenza dei suoi simili. Nel 1246, proprio perché
insofferente alla frequentazione dei fedeli, che diventano sempre più
numerosi e petulanti, abbandona l'eremo di Segezzano per rifugiarsi nella
vicina Maiella dove, sull'orrida parete dell'Orso, alla Ripa Rossa, trova
un primo, inaccessibile rifugio.
Successivamente si sposterà in uno fra i più impervi dirupi
di quelle montagne, chiamato S. Spirito di Maiella dove poi sarà
edificato il famoso monastero che fino al giugno del 1293 sarà
Caput Congregationis. Resterà per lunghi anni sulla Maiella, sempre
in fuga dalle fastidiose turbe di fedeli che insidiavano la sua solitudine,
e sempre alla ricerca di nuove e più irraggiungibili caverne, invano
sperando nella loro capacità dissuasiva, perché masse di
pellegrini, poveri, infermi e disperati, per trovare conforto alle loro
sofferenze, lo raggiungeranno ovunque, anche quando troverà rifugio
nei proibitivi antri di S. Bartolomeo di Legio e di S. Giovanni sull'Orfento.
Qui, sui monti della Maiella, negli anni che vanno dal 1246 al 1293, si
consolida definitivamente la sua fama di venerabile taumaturgo.
Uomo mite, silenzioso, schivo, ma soprattutto umilissimo, Pietro condusse
una vita sempre coerentemente ispirata ai canoni del cristianesimo primitivo
e del pauperismo francescano. Penitenza, preghiera, silenzio, rigorosa
astinenza, durissimi e prolungati digiuni, autofustigazione e mortificazione
della carne: furono queste le direttrici che orientarono senza sosta e
senza soluzione di continuità la sua lunga vicenda terrena. Una
fiaba ben orchestrata da alcuni suoi falsi estimatori lo vuole uomo di
potere, uomo d'organizzazione, uomo d'apparato, instancabile manager dedito
alla costruzione di castelli e palazzi, ma Pietro da Morrone non fu mai
nulla di tutto ciò. La gran parte dei possessi attribuiti alla
sua Congregazione gli pervenne da donazioni e cessioni a vario titolo,
delle quali quasi sempre ignorò non solo l'entità, ma l'esistenza
stessa. Pietro da Morrone non fu mai uomo da "comunità",
mai uomo d'"Ecclesia" in senso stretto, mai uomo da "assemblea
dei fedeli", mai parte supina di un'informe massa di credenti accomunata
da vincoli dogmatici, ma cristiano individuo che crede nel messaggio di
povertà e di rinuncia proposto da Cristo; messaggio al quale si
atterrà scrupolosamente, fino in fondo, fino alle estreme conseguenze.
Nel giugno del 1293, sempre sospinto dalla sua insopprimibile brama di
solitudine, convoca il quarto (ed ultimo) Capitolo Generale e, tra la
costernazione dei discepoli, comunica la sua irrevocabile decisione di
volersi ritirare per sempre sul Morrone, essendo ormai giunto al termine
del suo percorso terreno. A tale scopo farà scavare il famoso eremo
di S. Onofrio, dove vivrà per tredici mesi in assoluta segregazione,
recidendo tutti i contatti col mondo esterno, salvo quelli strettamente
connessi alla sopravvivenza.
In quella spelonca Pietro vive i suoi ultimi giorni di solitudine nel
più profondo e consapevole godimento della grazia divina. E' felice,
appagato, sereno. I suoi conti con Dio sono in ordine. E' ormai sicuro
di essere giunto alla meta, e pregusta con gioia l'imminente realizzazione
dell'unico grande sogno della sua vita: ricongiungersi a Dio e riconsegnargli
l'anima pura e immacolata così come Lui gliel'aveva affidata. Ignora
che la Storia è in agguato e sta per stanarlo da quella vera e
propria anticamera del paradiso chiamata S. Onofrio.
Se fosse morto prima del 5 luglio del 1294, sarebbe rimasto uno sconosciuto,
uno fra i tanti eremiti e "santoni" che a quei tempi pullulavano
sulla dorsale appenninica abruzzese. Quel cinque di luglio gli fu fatale.
A Perugia, gli undici cardinali superstiti che da 27 mesi, da quando cioè
era scomparso Niccolò IV, si contendevano il Soglio di Pietro,
lo elevarono al Sommo Pontificato. Compiendo un gesto di autentica irresponsabilità,
mai adeguatamente biasimato dagli storici, i cardinali-elettori gli accollarono
un gravame per lui insostenibile e da lui, peraltro, mai richiesto né,
tanto meno, ambìto. Nella mischia (e quindi negli affari del Conclave)
si era gettato anche Carlo II d'Angiò il quale aveva urgente bisogno
di un papa che ratificasse l'accordo raggiunto con gli aragonesi per la
restituzione della Sicilia. E fu proprio in quella occasione che il francese
misurò la grinta del Cardinale Benedetto Caetani, il futuro Bonifacio
VIII, il quale lo invitò, non molto garbatamente, a farsi gli affari
suoi in casa sua, e a starsene quindi alla larga dalle vicende della Chiesa.
Il re, indignato per l'onta subita, ma anche disperato perché rischiava
di veder vanificati gli effetti dell'intesa raggiunta, lascia Perugia,
ma invece di procedere per Napoli si reca a Sulmona e gioca una carta
che si rivelerà vincente: agendo sulle buona fede di Pietro, lo
istiga a scrivere una strana lettera ai cardinali riuniti in conclave.
In quella missiva Pietro sollecitava l'elezione del nuovo Papa, minacciando
la collera di Dio se avessero ulteriormente protratto la vedovanza della
"Sposa di Cristo". E quelli, come folgorati da una rivelazione
Celeste, individuarono proprio in lui, nel povero eremita morronese, l'agnello
sacrificale al quale affidare, in uno dei momenti più drammatici
dello scontro con il potere temporale, una Chiesa che aveva toccato il
fondo della decenza morale e spirituale.
Fin da subito, però, la vittima sfuggì dalle loro mani,
perché il nuovo Pontefice fu, di fatto, sequestrato dal re angioino,
che ne fece un inconsapevole e prezioso strumento dei suoi maneggi politici.
Intorno a Celestino V, dal 29 agosto al 13 dicembre del 1294, pascoleranno
faccendieri, maneggioni, affaristi, questuanti, trafficanti e "barattieri"
d'ogni risma, che utilizzeranno il suo nome e le pergamene papali bollate
in bianco, per concludere i loro turpi affari.
E' ormai vecchio, stanco, decrepito, consumato dagli acciacchi e da una
vita fatta di stenti e di privazioni indicibili, ma trova il coraggio
e la forza di opporsi a quello scempio.
Il 13 Dicembre del 1293 convoca il Concistoro e, ordinando a tutti di
tacere, detta ed impone agli allibiti cardinali la sua rinuncia, incurante
delle minacce del popolino napoletano che, sobillato dal re e forse anche
da alcuni suoi discepoli, lo aggredisce devastando e saccheggiando la
sua umile dimora. E' il grande giorno. E' il giorno del riscatto suo e
delle Chiesa di Cristo. E' il giorno in cui dimostra al mondo intero che
in nome della fede si possono spostare anche le montagne. Come un gigante
ferito, si ribella a quegli undici peccatori, li zittisce in nome di Dio
e rinunzia (ecco perché non appartiene a Celestino V l' "ombra
di colui che fece per viltade il gran rifiuto", perché fu
rinunzia , non rifiuto, e Dante conosceva benissimo la differenza fra
i due termini !) a quell'incarico la cui ultima finalità era quella
di dannare l'anima sua e di infangare il nome della Chiesa.
Quel 13 dicembre di settecento anni fa, colui il quale è passato
alla storia come il capofila dei codardi, lascia il papato da trionfatore
e da vincente: da trionfatore perché né le minacce, né
le lusinghe dei "poteri forti" del suo tempo, riescono a tenerlo
inchiodato ad un ruolo che non serviva a rendere gloria a Dio; vincente,
perché vince la sola battaglia da lui combattuta, contro l'unico
suo mortale nemico, il Maligno.
Il 24 dicembre di quello stesso anno , a soli dieci giorni dalla sua rinunzia,
con il prezioso apporto dei voti francesi pilotati da Carlo d'Angiò,
è eletto papa Benedetto Caetani che assume il nome di Bonifacio
VIII.
Nella notte del 1 gennaio del 1295, quando mancano 17 mesi alla fine del
suo martirio, braccato come un pericoloso delinquente dalle polizie congiunte
di Carlo d'Angiò e di Bonifacio VIII, il papa dimissionario fugge
da S.Germano per raggiungere la sua amata cella sul Morrone e successivamente
la Puglia, da dove tenterà l'imbarco per la Grecia.
Catturato presso Vieste e consegnato a Bonifacio, dopo essere stato "ospitato"
nella dimora anagnina del Papa, è tradotto nell'orrenda torre di
Castel Fumone dove resterà fino alla fine dei suoi giorni. La detenzione,
nonostante le numerose falsificazioni addotte dai partigiani di Bonifacio,
fu durissima; il rigore estremo di quella cattività è stato
ampiamente documentato da tutti i cronisti dell'epoca.
Finalmente, dopo trecentodiciannove giorni di carcere duro, la sua bell'anima
si svincola dall'aborrita carcassa di carne e ossa, per raggiungere la
meta da sempre agognata: Dio. Sono le 16 (al vespro) di sabato 19 maggio
1296.
Quattrocento anni dopo, Lelio Marini, il più informato biografo
del Santo (Pietro fu canonizzato il 5 maggio del 1313 da Clemente V) proverà
a dimostrare, con un'accurata e puntigliosa disamina di numerosi reperti
storici, che l'eremita fu barbaramente ucciso per ordine di Bonifacio
VIII (L'enigma della morte di Celestino V è stato ampiamente trattato
nella mia precedente ricerca dal titolo "La leggenda del chiodo assassino",
Tommaso Marotta Editore in Napoli).
La Chiesa, negli ultimi 700 anni ha sempre provato a rimuovere questo
ingombrante personaggio, soprattutto a stendere un velo sul contenuto
profondo ed attuale del suo messaggio perchè Pietro da Morrone,
ancora oggi, è una mina vagante per i "poteri forti",
laici ed ecclesiastici. La povertà, la continenza, la riservatezza,
il disprezzo per il possesso e il rifiuto del potere, così come
lui li ha vissuti e praticati, rappresentano valori fortemente trasgressivi
e destabilizzanti per il "mercato", che si regge esclusivamente
sulla cultura del più sfrenato consumismo e sulla dilapidazione
delle risorse umane ed ambientali.
"La sua elezione fu una disgrazia per la Chiesa", impreca lo
storico tedesco Peter Herde, occultando così la verità-vera
e cioè che quella elezione fu una disgrazia soprattutto per lo
sfortunato eremita. Pietro da Morrone (San Pietro a Maiella- Celestino
V) è ancora oggi un uomo scomodo per alcune retroguardie del mondo
cattolico, che non gli hanno mai perdonato il coraggioso gesto della rinuncia,
col quale ha concretamente dimostrato che il potere non è tutto
nella vita di un uomo, né il fatto che quel gesto fu anche (diamogli
finalmente nome e cognome) un atto di vera e propria insubordinazione.
Ma non è tutto: l'umile eremita del Morrone sconta ancora oggi
la pena dell'ostracismo, perché è accusato di aver instaurato
un rapporto diretto con Dio, prescindendo dalla mediazione delle gerarchie
ecclesiastiche; di essere stato formalmente un benedettino, ma sostanzialmente
un francescano, un francescano di rottura, pauperista, "testamentario".
E non gli è stata perdonata, infine, la sua ostinazione, il suo
temperamento forte, "meridionale", il suo agire riservato e
taciturno, in una società come la nostra dove trionfa il presenzialismo
e il vaniloquio. Consiste in ciò la vera pericolosità di
San Pietro a Maiella. Il suo messaggio è devastante, perché,
ove divulgato e recepito, manderebbe in frantumi la fatua impalcatura
costruita dai venditori di felicità a prezzi stracciati.
Indice
Premessa Pag.
Prefazione "
Prologo "
L'Evo delle grandi paure "
Una luce di speranza "
Fra' Pietro fra eresia e ortodossia "
Fra' Pietro il manicheo "
Il profumo di Francesco "
Benedetto da Norcia, il grande maestro "
L'influsso materno "
Potenza del Maligno "
Signora povertà "
Signora solitudine "
1. Dell'infanzia e della giovinezza "
Un secolo importante "
Sulle origini di fra' Pietro "
Il bambino dei miracoli "
Voglia di solitudine "
Fra' Pietro e la "questione femminile "
2. Un eremita in Laterano "
Fra la "gens immunda" della rissosa Roma "
Ritorna la collera dell'Onnipotente "
3. Primi passi sul Morrone "
Fra' Pietro e i suoi primi discepoli "
Miracoli a Segezzano "
4. Pietro da Morrone, chi era costui? "
La giornata di un eremita "
Il riposo di Pietro "
Le quaresime di Pietro "
5. Gli anni della Maiella "
Nella tenaglia della Storia "
Miracoli sulla Maiella "
Una Congregazione in pericolo "
6. Un viaggio leggendario "
A Lione fra storia e leggenda "
Profezie di morte, profezie di vita "
7. Fra' Pietro maestro di vita e di umiltà "
La scuola dell'umiltà "
Miracoli in Faifoli "
L'empio Simone di S. Angelo "
8. La Storia in agguato "
La "Fraterna" d'Isernia "
Ancora miracoli sulla Maiella "
La Sicilia in fiamme "
I "Grandi Elettori" "
Perugia degli intrighi "
9. L'amaro calice "
Ritorno a S. Onofrio "
Miracoli a S. Onofrio "
Il Conclave umiliato "
10. Il Pontefice sull'asinello "
L'asinello di Gesù "
La cattività aquilana "
La "Perdonanza" "
Verso la cattività napoletana "
11. Il giorno del "gran rifiuto"
Gli errori di Celestino "
Omaggio a San Vincenzo al Volturno "
Il "caso San Germano" "
Miracoli in Terra di Lavoro "
L' "affaire" Castrocielo "
I cinque giorni che sconvolsero il mondo "
A futura memoria "
Scuole di pensiero sul "gran rifiuto" "
Dante con Dante "
Il "gran rifiuto" di Matteo Rosso degli Orsini "
La coerenza di Pietro "
Giudizi sulla legittimità della rinuncia "
L'ora di Benedetto Caetani "
Bonifacio VIII, chi era costui? "
12. La fuga e la cattura "
Fuga da San Germano "
Miracoli a S. Onofrio "
La collera di Bonifacio "
L' "Operazione Celestino" "
La cattura "
13. Da Vieste ad Anagni fra due ali di folla osannante
"
L' umiltà di un illustre prigioniero "
Gli ultimi miracoli di fra' Pietro "
Fra' Pietro nelle mani di Bonifacio "
14. Verso il Golgota "
"Quando Fumone fuma tutta Campagna trema" "
Il "mistero" di S. Onofrio "
Epilogo "
1296. Bonifacio revoca la "Perdonanza" di Collemaggio
"
1299. Miracoli post mortem "
1296-1293. Le guerre di Bonifacio "
1300. Una bella trovata: il grande Giubileo "
1301. Le Bolle del terrore "
1303. L'"insulto di Anagni" "
1303. Morte di Bonifacio "
1306-1313. Del processo di Canonizzazione di fra' Pietro "
1327. Le spoglie trafugate "
1630. Fra' Pietro fu assassinato? "
1807. Come muore una Congregazione "
1988. Le spoglie trafugate dai balordi "
2000. Fra vecchi e nuovi detrattori "
L'insostenibile messaggio di Celestino "
Note "
Documenti "
1. Una perizia medico-legale sul cranio di Celestino "
2. Stralcio della laude di Buccio da Ranallo sulla Perdonanza "
3. Una rara mini-biografia di fra' Pietro "
4. Il Decreto di Elezione del 5 Luglio 1294 "
5. Il "Manifesto" di Lunghezza "
6. La Bolla "Praeteritorum temporum" (stralcio) "
7. L'"insulto" di Anagni nella versione di Luigi
Tosti "
8. Fra storia e leggenda, notizie sulle reliquie di Celestino "
9. La Bolla "Unam Sanctam" "
10 Come Giovanni Villani racconta l'elezione di Pietro da Morrone "
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