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CUCCHI Francesco Luigi - pagina 3


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Francesco Cucchi, ritornato a Bergamo, ha sentore di ciò che tramano i suoi compagni d'arme e, in una delle sue visite a Caprera, ne riferisce a Garibaldi . Il Cucchi rimane sorpreso di ascoltare il parere contrario del Generale che non vede di buon occhio una simile impresa sia perché gli sembrava che scarso, e forse non gradito aiuto, avrebbe recato alla nazione dei Polacchi l'intervento straniero, mentre era suo desiderio che giovani intrepidi, come Nullo ed i suoi compagni, serbassero per l'Italia le ulteriori prove del loro valore ( 25 ).
Ritornato a Bergamo cerca di dissuadere i compagni dalla partenza, ma è impresa vana. Essi, spinti da un ardente bisogno di combattere per la liberazione dei popoli, partono per i lontani campi di battaglia. Troppo presto giunge a Bergamo la triste nuova della morte eroica del Nullo avvenuta il 5 maggio sul campo dell'onore a Krzykawka. Ed è ancora Cucchi che scrive a Garibaldi pregandolo di indirizzare alcune righe di conforto alla madre disperata ( 26 ).
Pare che all'intesa partecipasse anche Giuseppe Mazzini , che allora si era accordato con il Re e Garibaldi per organizzare moti simultanei dei Serbi, Magiari e Polacchi alle frontiere austriache. E' rivelativa una lettera di Mazzini al Bezzi ( 1 ), che dice testualmente: «
Ho avuto il convegno con C [ Cairoli ], Missori , Guastalla e Cucchi: il risultato è soddisfacente e siamo intesi.
Come risultato dell'accordo o necessario che voi pure siate bene con essi ».
Da questa lettera sembra chiaro che fossero stati divisi i campi di operazioni : il Re, Garibaldi ed i suoi emissari si sareb bero occupati dei moti all'estero, il partito d'azione e Mazzini avrebbero avuto riservato il compito di promuovere moti ai confini del Trentino e delle Venezie.
Garibaldi non doveva essere molto entusiasta neppure della partenza del Cucchi tanto che il viaggio viene rimandato di giorno in giorno per sopravvenute difficoltà ( 2 ). Anzi alla metà di settembre, stanco di attendere, il Cucchi parte per la Spagna sotto il pretesto di accompagnare a Barcellona suo fratello. Inutilmente a lui scrive Clemente Corte da Caprera pregandolo di rimandare il viaggio, perché non riesce più a capire che cosa bolla in pentola  « Chi qua, chi là; la gabbia dei matti! » ( 3 ). La lettera di risposta del Cucchi è sibillina intorno al vero motivo del viaggio, ma assicura il Corte che sarà di ritorno presto, e per ora, manda per il Generale Garibaldi un bariletto dell'acqua minerale di Trescore ( 4 ).
La salute del Generale lo preoccupa, più della sua, povero instancabile pellegrino della cospirazione, errabondo messaggero della libertà!
In Spagna si trattiene a lungo e la percorre tutta da Barcellona a Madrid, da Valencia a Gibilterra. A Granada, dove si ferma dal 10 al 13 ottobre, ha colloqui con « un ungherese » e con lui disimpegna lo scopo della sua missione all'estero ( 5 ).
Finalmente ritorna dalla Spagna a Bergamo; ai primi di gennaio del '64 riparte per i Balcani. Agli amici dissimula abilmente il vero scopo del viaggio scrivendo che sentiva il bisogno di togliersi un po' dalle brighe politiche e che per sollevarsi lo spirito depresso, aveva divisato di allontanarsi dall'Italia, recarsi in Egitto, risalire la corrente del Nilo per andare possibilmente a la scoperta delle sorgenti ( 6 ). Il viaggio durò per oltre cinque mesi nei quali Cucchi visitò, si può dire per lungo e per largo, tutti gli Stati balcanici, cominciando dall'Istria, attraverso la Croazia, l'Ungheria, la Bosnia, la Serbia e chiudendolo a Costantinopoli.
Questi cinque mesi corrispondono ad un periodo intenso di attività politica degli Ungheresi in Italia. L'11 febbraio si ha un convegno di Capi ungheresi: Kossuth, Klapka ed altri, con la presenza di emissari Inglesi e di Garibaldi , e nell'aprile si parla addirittura di arruolamenti italiani per una spedizione in Ungheria.
Ma il 9 giugno Antonio Mordini scrive a Garibaldi da Torino per dissuaderlo dall'impresa in Galizia lasciandogli intravedere per prossima la conclusione di intese col Ministero, nell'eventualità di guerra dell'Italia all'Austria, nelle quali Garibaldi avrebbe assunto il comando della flotta e avrebbe potuto sbarcare, con un Corpo d'Armata, formato di truppe regolari e volontari, su un punto apposito della costa adriatica ( 7 ).
E' per sondare la possibilità di un moto in Galizia (a cui avrebbero partecipato anche Polacchi ed Ungheresi) Io scopo segreto della missione Cucchi: organizzare un'insurrezione che, promossa ad opera di volontari sui Carpazi, con l'aiuto delle popolazioni locali, avrebbe dovuto dilagare sulla pianura ungherese. Garibaldi sarebbe stato l'elemento catalizzatore tra le varie popolazioni interessate nella spedizione.
Ma il Governo italiano non voleva, contrariamente al parere del Re, che Garibaldi fosse usato all'estero e che le forze del volontarismo italiano venissero disperse quando avrebbero potuto venire utilizzate proficuamente da un momento all'altro ai confini della Patria ( 8 ). Il 7 luglio lo stesso Minghetti assicurava Mordini che di spedizione in Galizia non si sarebbe effettuata. Secondo lui la causa italiana esigeva che non si giocasse, sopra una carta d'azzardo la vita più preziosa del Paese.
Ma tutti facevano i conti senza l'interessato: Garibaldi . Egli era sempre fisso nella sua idea. Ed aveva visto di buon occhio tutte queste incertezze, perché così, consenziente il Governo, poteva accumulare armi e denari per preparare quell'unica spedizione che gli stava veramente a cuore : la liberazione di Roma.
Infatti il 22 giugno si reca ad Ischia per una cura di bagni minerali e riunisce attorno a so i suoi fidi preparando la grande impresa.
Francesco Cucchi, appena ritornato dalla missione nei Balcani, e convocato anch'egli ad Ischia ed è vicino al Generale per ogni eventualità.
Non sappiamo quali siano stati i suoi segreti propositi sulla situazione e i suoi illuminati consigli a Garibaldi ( 9 ). Sappiamo soltanto che egli dovette fare parecchie volte la spola da Ischia a Torino in seguito alla rottura completa dei rapporti tra il Re e Garibaldi proprio a riguardo della divisata spedizione di Roma ( 10 ).
Comunque il 13 luglio alla presenza del Cucchi, del Cairoli e di altri il Generale dichiarò ai suoi fidi che « tutto era andato a monte » ( 11 ). La stampa verso la fine del mese reca le prime indiscrezioni sull'accaduto. «
Il Pungolo » afferma che Garibaldi avrebbe dovuto partire per la Dalmazia, dietro istigazione inglese, ma che Nino Bixio , d'intesa col Re, mandò tutto a monte, da qui sarebbe sorta la
Giuseppe Missori, milanese, fervente patriota, iniziò combattendo nelle cinque Giornate nel '48. Nel '59 si arrolò nelle Guide di Garibaldi sotto il comando di Francesco Simonetta. Tra i primi accorse alla Spedizione dei Mille e fu al comando delle Guide, la Cavalleria di Garibaldi . Salvò la vita al Generale a Milazzo. Sbarcò tra i primi sul continente e vagò per l'Aspromonte al fine di promuovere l'insurrezione nella Calabria. Entrò con Garibaldi a Napoli e combattè valorosamente al Volturno e a Caserta. Partecipò alla Spedizione contro Roma nel 1849 ed alla Campagna del 1866. Fu a Montana e dopo l'infelice tentativo si ritirò a vita privata, fedele sempre all'idealità repubblicana. Cfr.: E. MICHEL, in « Dizionario del Risorgimento Nazionale», Vol. III, Milano, Vallardi, 1933, pag. 602.
Giacomo Griziotti , pavese, combattè valorosamente nel 1848 e nel 1849. opo la resa di Peschiera corse a Venezia dove sparò l'ultimo colpo di cannone dal forte di Marghera. Partecipò ai moti mazziniani del ‘53 a Milano. Nel '59 è capitano di artiglieria del Corpo dei Volontari. Nel ‘60, con i ille, sbarca a Marsala, comandante dell'artiglieria della Spedizione. Irrito a Calafatimi ritornò all'azione a Napoli, dove partecipò alle battaglie di Caiazzo e del Volturno. Fu nel ‘66 di nuovo con Garibaldi e fu incaricalo della fortificazione di Brescia. Mori a soli 42 anni. Cfr.: G. MANACORDA, in « Dizionario del Risorgimento Nazionale », Vallardi, Milano, 1933, Voi. Ili, pag. 262.
Giovanni Nicotera , figlio del barone Felice di Catanzaro e di Giuseppina Musolino, ebbe, per tradizione familiare, infuso l'amore alla Patria, maestro Luigi Settembrini. Mazziniano fervente prese parte attiva alla rivoluzione di Calabria del maggio 1848. Rifugiatesi a Corfù, accorse in aiuto della Repubblica Romana. Si distinse a Porta S. Pancrazio con Garibaldi . E' ferito ai Quattro Venti e all'ospedale assiste Mameli nell'agonia. Finita la Repubblica scampa miracolosamente a Genova. Anima, con Carlo Pisacane , della infelice Spedizione di Sarpi. Condannato dal Borbone gli venne commutata la sentenza capitale in carcere a vita. Venne liberato nel 1860 da Garibaldi . Intransigente repubblicano rifiutò qualsiasi compromesso con la monarchia. In Parlamento, rappresentante del Collegio di Salerno, fu seguace della sinistra che trovò in lui un capo audace e di talento. Partecipò ai tentativi di Aspromonte e di Montana. Fu Ministro degli Interni nel Gabinetto Depretis nel 1876 e con il De Rudinì nel 1891. Cfr.: F. Pozzi, in « Dizionario del Risorgimento Nazionale », Vol. II, Vallardi, Milano, 1933, pagg. 694-702.
Giacinto Bruzzeri di Cerveteri (Civitavecchia), si distinse a Roma nel 1849 nella difesa dei Monti Paridi. Profugo andò a combattere per l'Ungheria. Partecipò ai moti di Milano nel 1853. Capitano dei « Cacciatori delle Alpi » nel 1859 con Garibaldi , nel 1860 secondo Capo di S. M. alla Spedizione dei Mille, si battè da prode a Calatafimi ed a Palermo, dove venne ferito. Al Volturno portò alla lotta le truppe meridionali al suo comando. Nel 1862 fu ad Aspromonte e patì la prigionia. Partecipò alla Campagna del ‘66 alla testa del 3° Reggimento Volontari, guadagnandosi la medaglia d'oro. Nel ‘67 cospirò in Roma assieme a Francesco Cucchi. Negli ultimi anni di sua vita visse appartato. Cfr.: E. MICHEL, in « Dizionario del Risorgimento Nazionale », Vallardi, Milano, 1930, Vol. II, pag. 435.
Enrico Guastalla, giovane partecipò nel 1848 alla campagna nella Colonna Mantovana. Nel ‘49 fu a Roma alla disperata difesa della Repubblica. Nel ‘59 da Parigi, dove erasi rifugiato, raggiunse a Varese, Garibaldi . Nel ‘60 andò in Sicilia con la seconda Spedizione Medici . Fu ferito al Volturno. Nel ‘62 segui rottura tra Garibaldi e il Re il quale si sarebbe affrettato poi a mandare ad Ischia i suoi intermediari per una riconciliazione ( 12 ).
La verità sembra un'altra: era stata l'impresa di Roma il pomo della discordia, non la questione balcanica.
Intanto il Governo, allarmato dal tentativo di Garibaldi , stipula e firma il 15 settembre la Convenzione con la Francia, in cui garantisce, anche con l'uso della forza, i confini dello Stato Pontificio, mentre la Francia assicura il ritiro delle sue truppe.
Garibaldi digerisce l'amara pillola in silenzio. Il 25 settembre, però, indignato, scrive a Bixio ad Alessandria : « Non voglio immischiarmi in affari imbrogliati e che nulla di buono possono essere per la causa del nostro Paese. La questione romana la diano a voi ed a me da sciogliere, e sarà presto sciolta, e di trattative con Buonaparte non me ne impiccio » ( 13 ).
Francesco Cucchi non abbandona Garibaldi , ma gli è sempre vicino, soprattutto nei momenti più gravi della sua vita, e per lui disimpegna diversi incarichi e missioni, sempre con correttezza, con abilità e con tatto insuperabili. La sua diplomazia è raffinata, quando domanda qualche notizia che gli interessa agli amici, difficilmente si riesce a comprendere il vero scopo della sua missiva ( 14 ).
Garibaldi , da parte sua, non è scarso di lodi all'amico fidato ( 15 ).
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di nuovo Garibaldi e fu carcerato a Fenestrelle. Nel 1866 fu luogotenente colonnello con Garibaldi . Partecipò, quale membro del Comitato Centrale per l'insurrezione romana, alla Spedizione contro Roma. Fu Deputato al Parlamento e Consigliere Comunale di Milano. Cfr.: G. BADII, in « Dizionario del Risorgimento Nazionale », Vol. III, Vallardi, Milano, 1933, pag. 273.
Aqostino Lombardi, di Brescia, combattè nel ‘49 nel Battaglione bersaglieri comandato da Luciano Manara. Nel ‘59 si segnalò a Varese, S. Fermo e Rezzato nel 2° Reggimento « Cacciatori delle Alpi ». Seguì il Medici nella seconda Spedizione di Sicilia dove si guadagnò il grado di maggiore. Seguì Garibaldi ad Aspromonte. Nel '66 comandò un Battaglione garibaldino e di fronte a Condino trovò morte gloriosa. P. SCHIARINI: in « Dizionario del Risorgimento Nazionale », Vol. III, Vallardi, Milano, 1933, pag. 387.

Si tratta di due caratteri che si integrano a vicenda, da una parte un ardire indomabile, una volontà battagliera, dura e caparbia, un temperamento che non conosce ostacoli ne impedimenti, istintivo ed emotivo, sempre pronto a prorompere veemente nello scatto, ma anche nella generosità, un animo fanciullo di sognatore, semplice ed inesperto, di una semplicità che o grandezza ed è genio, di una onestà che è invincibilità; dall'altra uno spirito raffinato, coraggioso ma l'attenuto, astuto ma leale, esperto di uomini e cose, abile nel trattare gli affari e nel condurli a compimento, sagace calcolatore che conosce le vie del successo come quelle della ritirata, in cui domina non il cuore, ma la mente acuta da montanaro, duttile da diplomatico, callida da politico.
Tra i due, è evidente, l'accordo non è mai completo anzi spesso divergono sull'opportunità dei mezzi da usare e nella scelta dei fini da perseguire; ma il Cucchi o pieno di ossequio e di riverenza verso il suo Generale, il grande combattente della libertà, ed ammira in lui le doti eminenti di volontà e di decisione e trova attraverso lui uno stimolo di più all'azione ed un incentivo al patriottismo.
Garibaldi , d'altro lato, e ben consapevole di avere nel Cucchi un consigliere fidato, un ambasciatore provetto, un amico sincero per tutte le evenienze ed occasioni e apprezza in lui il senso vivo della concretezza, Io spirito organizzativo e la sagacia ammirabili.
La natura li ha fatti tanto costituzionalmente diversi, ma la sorte li ha uniti concordi nella lotta per il bene dell'Italia, per compiere, ciascuno nei limiti delle proprie possibilità e nell'attuazione delle loro doti complementari, la difficile impresa dell'unità della Patria.
Un'impresa che lì impegna per la vita e oltre la vita.

10. - Nella guerra del 1866.
Di particolare aiuto al Generale fu Francesco Cucchi nelle trattative che si intavolarono tra il Re e Garibaldi , alla vigilia della guerra del 1866, per la discussione di un progetto di sbarco di truppe garibaldine in Dalmazia onde prendere l'Austria tra due fuochi, mentre truppe regolari avrebbero attaccato sul fronte del Veneto ( 16 ).
Il progetto era geniale ed ardito insieme, congegnato in modo tale da evitare quelle barriere naturali e quelle difficoltà di terreno che avrebbero potuto essere facilmente sfruttate dall'Esercito austriaco ( 17 ).
Per ben due volte il Cucchi si recò dal Re, prima a Firenze poi a Bologna. Ma il piano che avrebbe impresso indubbiamente uno svolgimento ben diverso alle infelici operazioni militari di quella campagna ed evitato a Garibaldi di dar cozzo nelle rupi del Trentino, non venne accettato dallo Stato Maggiore del Re.
Molto probabilmente il piano fu collegato alla sempre sperata e mai realizzata rivoluzione ungherese che, una recentissima visita in Ungheria di Emilio Visconti Venosta, assicurava proprio allora votata all'insuccesso. Anche queste informazioni dovettero confermare il generale Lamarmora nel proposito di scartare, dal piano di guerra italiano, un'azione diretta verso la Dalmazia.
Tuttavia il Re incarica Garibaldi di organizzare un Corpo di Volontari che sarebbe stato comunque impiegato contro l'Austria.
Garibaldi , a sua volta, accetta l'incarico e adopera il Cucchi come suo fiduciario in questo lavoro. Ed ecco il Cucchi far ripetutamente la spola tra Caprera e Firenze per concordare le varie modalità degli arrolamenti ( 18 ).
Già nel maggio il successo dell'arrolamento dei volontari è assicurato: più di ventiseimila sono pronti ad entrare in azione.
A seguito dell'attacco austriaco alla Prussia, truppe tedesche, il 16 giugno, entrano in Sassonia.
L'Italia, fedele al trattato di alleanza difensiva e offensiva dell'8 aprile stipulato con Bismarck, entra in campo il 30 giugno con un proclama di Re Vittorio Emanuele II alle truppe.
Qualche giorno prima Garibaldi aveva passato in rassegna i primi Battaglioni di volontari. Il 17 giugno era giunto a Bergamo ed in carrozza con il nostro Cucchi aveva passato in rassegna al Campo di Marte due Battaglioni al comando dei maggiori Mosto e Castellini che sfilarono, poi, impeccabilmente, in parata, dinanzi a lui in piazza Cavour.
Era una domenica piena di sole e tutta la città acclamò Garibaldi e le superbe sue truppe ( 19 ). Il Generale proseguì per Brescia e di là verso la zona di radunata.
Il 20 giugno, sotto il suo comando, le truppe garibaldine fanno irruzione nella zona delle Giudicarle contro lo schieramento del generale austriaco Von Kuhn. Lo accompagna il Cucchi nominato maggiore di Stato Maggiore ( 20 ).
Il 3 luglio, giorno della vittoriosa battaglia dei Prussiani a Sadowa, Garibaldi è ferito lievemente alla coscia a Monte Suello.
Ciò nonostante prosegue ed il 14 luglio avviandosi verso il Trentino in un proclama esorta i suoi volontari a tagliare « lo sbocco alla rapina dello straniero ». Il 21 luglio il Cucchi partecipa valorosamente alla battaglia della Bezzecca. Il generale austriaco, nell'intento di rompere l'assedio del forte Gligenti, ordinò ad una colonna di scendere per la Val di Conzei su Bezzecca, cacciarne gli Italiani e spingersi per la Valle Ampola sino a Darfo, mentre un'altra colonna avrebbe avanzato verso le Giudicarle rompendo in due lo schieramento delle truppe garibaldine.
Il pericolo era gravissimo. Gli Austriaci, scendendo a frotte dalle alture circostanti, fulminavano i volontari che incautamente si erano avventurati lungo la strada della Val Conzei. I nostri, davanti alla superiorità numerica e di armi dei nemici, si sbandavano cercando di ripararsi alla meglio nell'anfrattuosita del terreno.
Le sorti della battaglia volgevano al peggio ed il nemico stava entrando a Bezzecca quand'ecco apparire Garibaldi . Calmo e sereno si rende conto della situazione precaria dei suoi. Fa avanzare al galoppo la 7° Batteria del 5° Reggimento di Artiglieria ed ordina al comandante, maggiore Grazio Dogliotti, di apprestare i suoi pezzi sul Colle di S. Lucia, magnifica posizione per tiri di infilata nella Valle ( 21 ).
Ordina al suo seguito: Cucchi, Damiani, Ricciotti, Canzio, di raggruppare i dispersi formando uno schieramento di centro e al Battaglione, comandato dal figlio Menotti, sopraggiunto da Tirano, di attaccare, dalla sinistra alla destra, il nemico avanzante. All'ordine di Garibaldi tutti si precipitano a baionetta spianata contro gli Austriaci. Il nostro Cucchi o in testa ad un manipolo di garibaldini e li guida nel travolgente assalto. Gli Austriaci non reggono e si ritirano sotto il fuoco di artiglieria che li decima. Così, per merito di Garibaldi , il nemico, vittorioso in mattinata, è ricacciato da tutte le sue posizioni e la sua ritirata si tramuta in rotta. Per il suo comportamento Francesco Cucchi è decorato sul campo della medaglia d'argento al valore ( 22 ).
Ormai Garibaldi si era aperto la via per Trento, ma lo raggiunge la notizia dell'armistizio firmato a Cormons (26 luglio).
All'ordine di fermare le sue truppe risponde il 7 agosto a Bezzecca, sia pure con il cuore infranto, il celebre: « Obbedisco ».
Dopo la stipulazione del trattato di pace le truppe garibaldine dovranno retrocedere dalle posizioni raggiunte lasciando purtroppo ancora terra italiana in mano al secolare nemico.

II. - Confidente e consigliere di Garibaldi .
Finita la campagna del ‘66, Francesco Cucchi passa, se non ufficialmente, certo, quel che più conta, praticamente, a completa disposizione di Garibaldi . Si può dire che egli disimpegni le funzioni di segretario del Generale sul continente e divenga la sua longa manus nelle delicate e difficili trame delle congiure politiche e delle organizzazioni segrete. Un segretario sui generis che mentre disimpegna funzioni riservate come quella di riscuotere per lui crediti e competenze militari dall'Esercito, si prende l'iniziativa di sceverare di propria testa le missive ed i proclami del suo dominus e di mandarne alcuni a destinazione e di scartare invece quelli che ritiene intempestivi e inopportuni ( 23 ).
Attraverso di lui passa tutta la corrispondenza e le direttive stesse generali dell'indirizzo politico nelle quali egli si sostituisce a Garibaldi perché sa di goderne la fiducia e di aver il potere di far ratificare all'evenienza gli a!;ti presi di sua volontà.
Gli e che il Nostro o qualche cosa di più di un semplice mandatario o di un rappresentante ad negotia, o il confidente, l'amico ed il consigliere di
Garibaldi epperò si arroga il diritto di indirizzarlo per il meglio, di vegliare sui suoi passi e la sua fama, di frenarne anche, ove occorra, l'indole irrequieta e l'ardire prepotente. Garibaldi non ha ancora finito di deporre le armi che già pensa come utilizzare la sua spada a disposizione della sacra causa delle nazionalità oppresse.
Il 9 agosto, da Storo, dove si trovava il suo quartiere generale, aveva espresso, in un proclama ai volontari, la speranza che la pace non fosse che una tregua d'armi, dopo la quale, si sarebbe potuto marciare di nuovo alla completa liberazione del Paese « per spezzare gli ultimi ferri che disonorano questo popolo grande, ma infelice » ed annientare la potenza austriaca, nemica della libertà dei popoli.
Purtroppo invece Bismarck non intende schiacciare l'Austria, naturale antemurale europea verso la Russia, e preferisce, dopo averla vinta, offrirle condizioni onorevoli di pace.
Garibaldi non e soddisfatto della pace, come non sono soddisfatte le aspirazioni degli italiani. Coglie l'occasione di moti liberali in Grecia per indirizzare agli Elleni un proclama (28 ottobre 1866) in cui inneggiando alla libertà dei popoli, una ed indivisibile, ha parole roventi contro l'opera conservatrice della diplomazia: « No! amoreggi pure la vecchia barattiera dei popoli co' suoi padroni camuffati in autocrati o in maschera liberale, mettendo un ordine alla baracca europea che conviene pur sempre rifare con macelli umani! A noi tocca il porgere la destra ai caduti, ai derelitti popoli che pugnano contro il dispotismo ».
Invia poi al Cucchi ( 24 ) un proclama, datato da Caprera il 13 novembre 1866, indirizzato agli Istriani, Triestini e Goriziani, in cui prendendo lo spunto dalla caduta dell'Impero del Messico, fratello dell'austriaco, esprime la speranza che tale caduta sia preludio ed auspicio alla liberazione di tutti i popoli oppressi dal dispotismo dell'aquila grifagna. Il Cucchi da alle stampe il proclama di Garibaldi e riannoda i rapporti con i patrioti slavi, ungheresi e greci onde tener viva la fiamma del nazionalismo ed affrettare per essi l'ora della riscossa.
Ma anche su questo fronte comune delle nazionalità oppresse contro l'Austria non e facile operare una scelta. Ungheresi e Croati hanno interessi se non proprio contrastanti, certo divergenti e tra i due movimenti di liberazione si stabilisce una specie di concorrenza per cattivarsi le simpatie italiane.
Eugenio Kvaternik rappresenta l'irredentismo croato che desidera stabilire una linea comune di azione con gli italiani contro l'Austria. Egli ha cercato presso Cavour e presso Gerolamo Napoleone di sostituire l'influenza ungherese presso gli italiani con quella croata ( 25 ) per ottenere aiuti, ma non gli e riuscito. Dopo il ’66 torna alla carica lamentandosi che gli italiani trascurino la nazionalità croata spesso da loro confusa con quella austriaca.
Garibaldi lo indirizza al nostro Cucchi che si deve assorbire memoriali e lettere dell'ardente patriota croato ( 26 ).
Nella furia della polemica il Kvaternik ha parole e giudizi piuttosto aspri verso il Türr . Tali giudizi non potevano naturalmente essere condivisi dal Cucchi, legato da lunga amicizia al comandante di un tempo.
Perciò la fatica del Kvaternik sarà destinata, almeno nei confronti del Cucchi e per quel tempo, a rimanere inefficace ( 27 ).
Altri compiti aspettano per ora il Nostro, compiti gravi che assorbono la sua intera attività.

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NOTE
(1) Cfr.: G. CASTELLINI, Pagine garibaldine (1848-1866), Torino, Bocca, 1909, pag. 172; anche E. D. MùLLER: Politica segreta italiana, Torino, Roux.,
(2) In un post scriptum di una lettera a Federico Bellazzi, in data 5 giugno 1863, conservata presso il Museo Centrale del Risorgimento in Roma, busta 253, n. 70 (5), Francesco Cucchi scrive: « Continuo a differire la mia gita in Serbia perchè non ricevetti ancora le lettere che di là aspettavo:  temo sieno intercettate. Türr mi scrisse dalla Moldavia piuttosto sfiduciato ».
(3) Cfr.: lettera del 5 settembre 1863 di Clemente Corte, nell'archivio della famiglia in Bergamo e lettera del 7 settembre 1863 del Museo Centrale del Risorgimento in Roma, busta 43, n. 34.
(4) Cfr.: lettera del 7 settembre 1863 da Bergamo presso il Museo Centrale del Risorgimento, busta .14, n. 34.
(5) Dal diario, lasciato tra i suoi scritti, in cui sono annonate le tappe del suo viaggio in Spagna, pare che il nome dell'emissario ungherese sia certo Besaken.
(6) Francesco Cucchi nell'epopea garibaldina, op. cit., pag. 10.
(7) A. COMANDINI: op. cit., sotto la data 9 giugno 1864.
(8) A. COMANDINI: op. cit., sotto la data 23 giugno e 10 luglio 1864.
(9) Francesco Cucchi, prima e dopo il suo ritorno dai Balcani, fu in rapporti con un emissario ungherese che dimorò a lungo sulla riviera ligure, in Pegli. Pare anzi che, attraverso di lui, sia riuscito a spedire armi oltre la frontiera. Ciò è desumibile dalle seguenti missive di Garibaldi


Caprera, 19 luglio 1863
« Caro Cucchi,
delle carabine di cui mi parlate fate ciò che meglio credete, io ve ne dò piena autorizzazione. La mia ferita si è cicatrizzata e spero in qualche mese mandare al diavolo la gruccia. Credimi.
Vostro

GARIBALDI ».

Caprera, 20 dicembre 1864
« Mio caro Cucchi ,
vi ringrazio per il fatto e per il da fare — spero molto nell'intrepida vostra sagacia —.
Qualunque cosa che importi, risultante della visita di quelle persone ve la comunicherò. Vogliate salutarmi caramente la famiglia vostra, quella di Nullo , Tasca e gli amici.
Vostro G. GARIBALDI ».

(Cfr.: Museo del Risorgimento in Milano, ms. 104, n. 15911 e le lettere del 11 gennaio e 7 settembre 1865, ibidem, ms. 102, nn. 2.346 e 2.347, sempre relative all'uomo di Pegli).
(10) Francesco Cucchi nell'epopea garibaldina, op. cit., pag. 10 e pag. 45.
A proposito del viaggio di Cucchi a Torino, è di significativa importanza quanto rivelò sulla " Tribuna » del 27 luglio 1898, Achille Fazzari particolarmente sui rapporti, piuttosto tesi, allora intercorrenti tra il Re ed il Governo.
« A Ischia, il giorno prima che si partisse per tornare a Caprera sul vapore "Il Zuavo di Palestro", Francesco Cucchi ricevette dal Generale l'ordine di recarsi a Torino a consegnare una lettera al Re. Vittorio Emanuele lo ricevette segretamente, facendolo entrare dalla porta della scuderia; e dopo d'aver letto la lettera di Garibaldi , gli disse pressappoco così: « Questi Ministri mi hanno seccato. Io posso garantire la sua persona finchè non esce dal mio Palazzo, ma, quando sarà in istrada, non posso prometterle che non sarà arrestato. Si immagini che Spaventa e Peruzzi mi spiano dappertutto, non ho un momento di libertà ».
(11) Ecco, nel testo integrale, un'interessante e inedita lettera del Cucchi,
datata da Napoli il 16 luglio 1864, diretta al fratello .Luigi a Bergamo:
" Caro Giglio,
giunsi in Napoli l'altro ieri giorno 14 ad un'ora pomeridiana. Era ad aspettarci il fratello di Nicotera il quale su primo annunzio ci disse che tutto era andato a monte. Le circostanze e combinazioni che fecero abortire una spedizione ideata dal Generale e combinata senza dipendere da alcuno dei soliti amici, tè le dirò poi a voce, perché sarebbe quasi impossibile ii poterle tutte scrivere. Sappi solamente che in parte ciò avvenne in causa anche di alcuni dei nostri soliti amici. Il Generale andò sulle furie con alcuni, ai quali dimostrò apertamente il suo malcontento. Però da un altro lato egli non doveva trattare troppo aspramente con gente che aveva errato credendo di far bene, e che ad ogni modo era tosto accorsa ad una sua chiamata. Quando io, Missori e Griziotti giunsimo a Napoli erano già di ritorno da Ischia, assai malcontenti del contegno del Generale, Corte, Nicotera, Bruzzesi, Guastalla, Lombardi ed altri. Noi ad ogni modo abbiamo voluto andarci ugualmente. Partimmo ieri alle due e vi giunsimo alle quattro. Ci ricevette cortesemente assieme a Benedetto Cairoli che già trovavasi ad Ischia. Noi lo ringraziammo d'averci chiamati quando ideava di far qualche cosa, ed egli ci dimostrò il suo rincrescimento d'averci fatto fare un viaggio inutilmente e ci disse che in qualunque altra circostanza avrebbe sempre fatto calcolo su di noi. Però, ad onta di tutti i nostri sforzi, non ci fu mai possibile poter rilevare quali sono i suoi intendimenti avvenire. Sulla direzione che avrebbe preso la spedizione mi spiegherò con tè a voce.
Frattanto il Generale pare die assolutamente voglia ritornare a Caprera fra pochi giorni.
Prima di decidersi però vuole attendere Nuvolari che egli spedì espressamente a Bixio acciò questi parlasse, credo, col Re. Tale decisione di Garibaldi di rivolgersi a Bixio dopo che in molte circostanze gli aveva dimostrato di non esserne contento, ci ha molto meravigliati e non sappiamo che costrutto cavarne. Corte, Bruzzesi, Guastalla, Lombardi ed altri partono oggi col diretto per Genova, anzi al Lombardi consegnerò questa mia lettera da lasciarti all'Agnello. Io, Missori e Griziotti resteremo fino al ritorno di Nuvolari , e vogliamo, dopo che avrà ricevuto l'attesa risposta, sentire ancora una volta il Generale. Occorrendo, ti scriverò di nuovo. Del resto il Generale non so come avrebbe potuto essere in grado di partire, perchè ieri lo trovammo col braccio e colla gamba sinistra, che non poteva muovere in causa d'una artrite, ch'egli dice di non aver mai provato l'eguale. Fu effetto dell'acqua minerale d'Ischia che e troppo forte, anzi nociva, per uno che soffra d'artrite, ad onta che sia indicatissima per le ferite. Egli ha dismesso interamente di far tali bagni e li fa invece d'acqua dolce assai caldi per promuovere il sudore. E' una cura di suo capriccio, perché ora non vuole più ascoltare i dottori ch'egli dice che non capiscono mai nulla. Cc l'ha poi a morte con tutti i generi d'acqua minerali ch'egli dice essere "reclamo" e buffonate come la "botteqa dei preti". La fregata "Italia" ed il vapore di guerra "Tancredi" incrociano continuamente attorno all'ìisola ùùgi&agòòrave;à da trèe giorni, cosa che indispettisce assai il Generale, massime perchè, come ci disse ieri mentre stavamo osservandoli .col cannocchiale dall'alto della villa dove abita, sono le stesse navi che incrociavano al Faro nel 1860 prima del passaggio in Calabria. Allora erano borboniche, ora sono navi italiane, egli ci disse, ma sono sempre adoperate contro di me. Io e gli altri due amici ritengo che finiremo per partire mercoledì alla più lunga, meno casi impreveduti. Credo averti già detto clic siamo giunti ad Ischia stamattina. Dopo avere passato la notte in casa del Generale. L'altro ieri appena giunto a Napoli incontrai Comin il quale mi tempestò delle più curiose domande. Io feci un po' il diplomatico. Ti prego però a tener da parte tutte le corrispondenze di
Napoli che potessero esservi sul "Pungolo" di Milano. Egli annunzio il nostro arrivo sul "Pungolo" dell'altro ieri sera, giorno del nostro aròggi andrò a ritrovarlo. Se scrivi a Bergamo potrai dire agli amici ch'io conto ritornare per Roma, Firenze e Bologna, trattenendomi pochi giorni in queàà. Ho scritto di gran fretta e forse con molti spropositi? Devo terminaèè gli amici vanno ad imbarcarsi. Addio, credimi sempre il tuo CHECCO .
P. S. — Mi dimenticai dirti che il Generale ha, in buona maniera, licenziato Guerzùo con più torto che ragione. A voce i dettagli.
Credo che anche Guerzoni parta oggi per Genova. Bada di non rendere pubblico quanto ti ho scritto, potrai solo usarne tu stesso con un po' di politica. M'immagino che l' Emanueàà molto iàà se almeno sui giornali dell'Alta Italiàà qualche chiacchiera in proposito di spedizioni. Anzi dovresti mandargli a mio nome una riga dicendogli di stare tranquillòritornerò presto. Ròagli però di non farne motto con alcuno. Addio.
Ultimo poscritto da bordo. - In questo punto accompagnai gli amici a bordo ed Accossato mi disse che ebbe un dispaccio dal Governo coèè invitato a mettere a disposizione di Garibaldi lo "Zuavo di Palestre". Accossato ritiene che sia per recarsi a Caprera. Se il Generale non e partitì&òritornerò ad Ischia. Addio ».
(12) Cfr.: Sul « Pungolo » del 26 luglio 1864, articolo di Leone Fortis.
(13) A. COMANDINI, op. cit. Vol. IV, pag. 583.
(14) Il 3 dicembre 1864, ad esempio, si rivolge all'amico Federico Bellazzi, per conoscere se il Re trovavasi a Torino. Evidentemente ha bisogno di essere ricevuto a Corte. Ma egli non confida neppure al Bellazzi il suo intendimento. E' il fratello che lo ha incaricato a nome di un'ispettrice del Conservatorio di musica di sapergli dire in quali giorni il Re, trovandosi a Torino, da udienza. Ma, evidentemente, la musica non c'entra, ma anche la politica, in certèè una musica e quale musica! Cfr.: Busta 253 n. 10 (6), Museo Centrale del Risorgimento.
Federico Bellazzi, nato a Milano, fu parte attiva nella rivoluzione del 1848 e copri la carica di Segretario del Governo provvisorio deàà. Riparo a Lugano con l'archivio del GòPartecipò alle Campagne del ‘59 e del ‘60. Fu Deputato al Parlamento per Erba. Passato al partito moderato fu eletto Prefetto di Belluno. Cfr.: G. BADII, in « Dizionario del Risorgimento Nazionale », Vallardi, Milano, 1930, pag. 221.
(15) Al termine di lunghe trattative, sempre riguardanti l'irridentismo ungherese, Garibaldi si congratula con Francesco Cucchi con la seguente missiva in data 11 settembre 1865:
« Mio caro
Cucchi,
avete operato benone collo "uomo di Pegli". In generale, fidarsene poco e barchegiarlo (sic). Vi ringrazio per il ricordo gentile del 7 settembre — e con uomini come voi — io presumerei di sentirmi il cuore per un altro. I Mille si troveranno sempre in Italia, ma i milioni sono stupidi, adoratori del ventre e carogne, ed hanno il Governo che meritòsono però superbo d'appartenere alla vostra schiera e per la vita.
Vostro G. GARIBALDI ».
(Archivio di famiglia Cucchi in Bergamo).
(16) Francesco Cucchi nell'epopea garibaldina, op. cit., pag. 11; SYLVA , op. cit., pag. 45.
(17) Cfr.: GEN. DANTE FORMENTINI, Francesco Cucchi, in « Rivista d'Italia », 1925, Vol. II, fase. VII, Milano, Soc. Ed. Unitas.
(18) A. COMANDINI, Vol. IV, sotto la data 21 maggio 1866, pag. 810.
Di ritorno di una delle sue visite a Capròchi passò da Bergamo recando buone notizie della salute del Generale. Assicurava inoltre che Garibaldi era pronto alla chiamata della Patria, benché fosse impaziente ed insofferente dei troppi prolungati indugi. La diplomazia aveva tentato con una conferenza per la pace di appianare i dissidi tra la Prussia e l'Austria. Cfr.: In « Gazzetta di Bergamo », 9 giugno 1866.
(19) G. CASTELLINI: Pagine garibaldine (1848-1866), Torino, Bocca, 1909, pag. 214.
Dopo il 1866 Berù ebbe più la fortuna di ospitare Garibaldi . A tenere i rapporti sempre vivi e cordiali tra Bergamo ed il Generale valse non poco l'opera del nostro Cucchi, che con lui ebbe contatti frequenti fino alla sua scomparsa. Cfr.: Notizie Patrie (anno 1883, pag. 91).
(20) Dallo stato di servizio militare del Cucchi, conservato presso l'Archivio di Stato di Torino, risulta la promozione a maggiore, datata dal 15 giugno, e la nomina ad aiutante in campo del generale Garibaldi dal 17 giugno.
(21) G. LOCATELLI, op. cit., in « Bergomum », 1933, XX, n. 5, pag. 246.
(22) La motivazione della medaglia d'argento alèè la seguente: « Raccolse, per ordine del generale Garibaldi , sulla sinistra, non pochi dispersi e li ricondusse al combattimento, cooperando alla vittoria. Bezzccca, 21 luglio 1866 ».
A Menotti Garibaldi venne conferita la medaglia d'oro. Entrambe le onorificenze vennero rifiutate dagli insigniti in segno di protesta contro la politica governativa. Cfr.: « Gazzetta di Bergamo » del 5 febbraio 1867.
Ecco la lettera di Menotti Garibaldi , datata da Caprera il 20 gennaio 1863 — conservata nell'archivio della famiglia Cucchi —, che comunica al Cucchi la rinuncia: «
Caro Cucchi,
ho consegnato la tàà e credà&agàà risposto.
Scrivo con questo corriere al Ministero rifiutando la medaglia — delle ricompense ne fecero veramente uno spreco — e ne figurano nomi clic non furono mai al fuoco. Le medaglie e le croci di Savoia vanno di pari passo alle croci dei soliti santi.
Per la Grecia — se continua questa primavera la rivoluzione — credo che sia nostro dovere di andarvi e io per me òe vi sarò. Sto aspettando notizie e non capisco — il silenzio dei nostri amicà&èè veramente incomprensibile —, qui non possiamo sapere molto di ben certo. Se tu sai qualcosa scrivimi. Papa ti saluta. Un abbraccio del sempre tuo
MENOTTI GARIBALDI ».
(23) A dimostrazione di quanto asserito riportiamo le lettere conservate dal Museo del Risorgimento di Milano, relative agli incarichi di fiducia disimpegnati per Garibaldi .
L'11 settembre 1866 da Bergamo Francesco Cucchi scrive a Garibaldi

« Mio Generale, ignoro ancora, non avendo risposta, se Le sia pervenuta una mia lettera che spedii con l'ultimo corriere. Le parlavo del proclama da Lei lasciatemi poi volontari ondeòarlo. Ciò io non feci finora per l'assoluta e decisa opposizione che mi fecero

Cairoli e Fabriàà le dissi le ragioni che resero tanto calorosi questi due amici nostri onde impedire tale pubblicazione. Erano ragioni tutte in di Lei riguardo e certamente dettate dall'interesse e dall'amore die al pari di me essi Le portòsono però sempre agitato dal timore che
Ella non approvi la mia condotta e sono ansioso d'avere il di Lei giudizio.
Creda, mio Generale, che se ho mancato fu certamente con buone intenzioni.
Oggi parti da qui Menotti cogli ufficiali del suo Reggimento, diretto a Como.
L'affare della resa dei conti va per le lunghe in causa dell'iàà e del pedantismo dòale Parrò incaricato di ricevere e rivedere i conti. Chi mai lo ha conosciuto questo porro?
Ora, dopo aver parlato con Menotti, mi faccio ardito di significarLe una cosa. Quando Eìì da Brescia io feci fare, per incarico di Basso, i conti delle di Lei competenze fino al 20 settembre e vennero soddisfatte.....».
(Ms. n. 20).

Ed il Generale gli risponde di rimando:
« Mio caro Cucchi,
v'invio una linea per Zanardelli. Circa ad interessi ve ne scrive Basso e da lui avrete l'autorizzazione mia per ricevere le mie competenze. In tatto avete fatto bene » (Ms. n. 74).

(24)
Caprera, 4 dicembre 1866
« Mio caro Cucchi,
v'invio due parole per gli Istriani... se vi sembrano bene potete stampare. Sempre vostro
G. GARIBALDI ».
(Ms. n. 73).

Caprera, 25 dicembre 1866
« Mio caro Cucchòisponderò alla vostra del 22 ed ho ricevuto quella del 20 presente.
Il viaggio a Romaàà male. Ai Greci quanta proèè possibile.
Sempre vostro
G. GARIBALDI ».
(Ms. n. 71).
Caprera, 24 dicembre 1866
« Mio caro Cucchi,
la vostra lettera del 22 fu rimessa ieri (sic) da Basso che si trova assente. Ho risposto all'avvocato Molinari. Circa al vostro viaggio a Roma che àà ultimato a òa non può essere che bene. Voi poi non dovete (sic) temere mai di scrivermi poiché mi sono sempre carissime le vostre lettere. Di cuore sempre vostro
G. GARIBALDI ».
(Ms. n. 72).
(25) Per i rapporti di Eugenio Kvaternik con gli italiani cfr. A. TAMBORRA, Cavour e i Balcani, ILTE, Torino, 1958, p. 213 e segg.
(26) Eugenio Kvaternik scriveva da Milano al Cucchi che Garibaldi stesso a Brescia l'aveva a lui indirizzato. L'8 settembre ‘66, dopo averlo ringraziato per la lettera di raccomandazione ottenuta da Garibaldi per il barone Kicasoh ribadisce le sue idee politiche come segue:
« ... Je me rejouis a l'avance d'avoir a espérer une entrevue que vous me promettez nous pourrons alorsàà notre aise sur toutes choses et tout le monde; en attendant, souffrez, M.le Major, que je vous dise franchcment que vous étes vous et vos compatriotes, trop s&èères dans votre jugement au sujet des derniers événements qui vous touchent èès. Nous étrangers, nous jugeons autrement les faits.
Les désastres de l'Italie ne sont que le résèès-naturèèslogique de toute sa politique suivie depuis 1848 au point de vue international.
C'est cette politique qui vous a perdus, et vouàà tant que vous la suivrez; peu importe si toute votre armée soit composée des
Garibaldi seuls, et votre diplomatie de meilleurs homes d'Etat possibile. Les victoires remportées eussent rendu votre position politique plus embrouillée, plus désastreuse encore que les défaites subies; nous en parlerons plàà son temps.
Je vous ai dit un jour mon opinion sur M. Türr , que c'est nul politique cela pouvait otre clair meme dévant un aveugle; mais qu'il sera assez
prudent &mdèès les tristes expériences faites avec Zega — àà Belgrade se laisser trahir stupàà Moàà Vienne, par le brutal élément serbo-byzantin — creature russo-austrichienne et de tout le monde contre les Latins —: je n'aurais pas le jugé capable d'une telle betise !
Je recois d'Agram des lettres qui sont pleines de persiflagesèères objections et réfléxions contre l'Italie: puisque par se plus secrets agents et émissaires on juge l'entrepreneur!
L'Italie a en 1866, comme a en 1848 encore conspiré avec le serbomagyarisme contre la nationalité croate, qui est pourtant votre naturelle amie et alliée ou notre religion est l'esprit de votre civilisation au milieu de nous; non, vous vous attachez aux élémens diametralment oppos&eàà votre avenir: et vous en retirez maintenant le profit; vous armez l'Autriche contre vous et nons. Je saurai vous dire des nouvelles qui vous interesseront touchant Türr , Klapka , Kossuth , nouvelles que je recois d'Agram et qui dévoilent beaucoup.
Maintenant je comprends pourquoi les Florentins n'ont laissé inactif et délaissé ignominieàà Breàà Milan.
Et pourtant, que tonte la Croatie s'attendait autre chose de l'Itàà un tel procédé, la meilleure preuve en sont les bruits circulant en Croatie touchant ma personne; savoir: que je suis mort avec Ms. Boggia au hord du navire Re d'Italia, a Lissa, le 20-VII; que j'etais nommé Gouverneur-Géneral de toute la Dalmatie; que je disposais de 40 millions de francs pour revolutioner tonts la nation Croate etc. etc. (je vous ferai voir de àà cet égard récues cc jours-ci et demandant de mes nouvelles). Donc, la Croatie s'attendait que l'Italie taàà resusciter l'antique et glorieux Royaume de Croatie; cn attendant qu'elle conspirait avec le byzantinisme et le magyatisme — qui et dument mort pour l'action liberale, soyez en convaincu, si peut étre les faits ne vous suffisent pas que le Magyars ont accomplis devant la guerre de 1866 — est se laisser trahir: a Vienne et a St. Petersbourg tout mouvement italien secret fut congu quinze jours d'avance.
Mais parlerons plus amplement oralement. Je ne d&eacèère pas si l'Italie serait libre de son action, peut-étre jamais plus belle occasion pour la devolopper ne pourrait se présenter a aucun peuple — mais dans una telle alternative il foudrait suivre une politique dictée par la saine raison et la pratique.
Je suis heureux de pouvoir vous exprimer mes plus profonds respects en me nommant.
èès devoué serviteur  AVV.
EUGENE KVATERNIK ».
(Le Lettere sono conservate presso l'archivio della famiglia Cucchi in Bergamo).
(27) Da Eugenio Kvaternik, dalla suaàà ed ideologia,àà vita insieme al partito croato, il nazionalismo dei Croati,àà spinto alle sue estreme e fatali conseguenze, nel corso della seconda guerra mondiale, col movimento ustasa di Ante Pavelic e Slavko Kvaternik, pronipote d'Eugenio. Cfr.: TAMBORRA, op. cit., pag. 235.
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continua
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