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PICCININI Daniele - pagina 2


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Garibaldi si fece prestare dal Piccinini il binocolo ( 1 ) per vedere chi erano i soldati che stavano salendo verso le posizioni dei allontanandosi ripetè: « Mi raccomando, Piccinini, quando ci siano da presso, non fate fuoco, mi raccomando, non fate fuoco ».
Testimonianza delle generose illusioni del Generale che i soldati italiani potessero far causa comune con i volontari e marciare su Roma. Ferito Garibaldi e dichiarato in arresto con tutti i suoi seguaci, il Piccinini, in un impeto di generoso sdegno, spezzò la sua spada gettandone i pezzi davanti al capitano dei Bersaglieri che Io taceva prigioniero ( 2 ), giurando che mai più avrebbe impugnato una spada. Prigioniero, fu portato con altri compagni al forte di Bard e qui « si rannicchiò in una cannoniera dove stette quasi notte e giorno a languire di nostalgia e di dolore civile » ( 3 ).
Il padre lo soccorse inviandogli vestiti d'inverno, quanto mai opportuni data la stagione e la località, e quaranta franchi, altrettanto preziosi. E il figlio ringrazia con una breve lettera, esprimendo la speranza « di poter ritornare alla propria casa in breve tempo ». Poco dopo infatti tornò alla sua casa, ma in uno stato d'animo di profonda tristezza, di delusa amarezza, per ciò che era accaduto, per come l'Italia ufficiale aveva ricompensato l'Eroe che aveva regalato due anni prima un Regno senza nulla chiedere.
Daniele protestò a suo modo erigendo con le proprie mani nel suo orto un monumento in tufo consistente in un'erma alta più di un metro, sormontata da due grucce, simbolo della ferita di Garibaldi , e da un arco sotto il quale modellò egli stesso un rospo con l'iscrizione: « Ingratitudine e viltà di popolo - 29 agosto 1862 - all'Eroe dei due Mondi », rappresentando in ciò l'omaggio che l'Italia ufficiale aveva fatto a
Garibaldi . E in cima a tutto il monumento troneggiava un vaso non precisamente da fiori. Volle che tale monumento rimanesse negli anni successivi. Fu infatti abbattuto solo quando chi lo aveva costruito era ormai morto da molti anni. Quasi a conferma dell'ingratitudine dello Stato burocratico per chi aveva tanto generosamente combattuto, il 24 giugno 1864 « il capitano Piccinini veniva arrestato per pretesa diserzione dal Quartiere di Morbegno, avvenuta il 31 agosto 1859, ma il 4 luglio, in seguito a sentenza del Tribunale Militare di Brescia, veniva prosciolto dall'accusa ed ordinata la cancellazione della nota di diserzione » ( 4 ).
L'anno seguente ebbe riconosciuta, in seguito alla legge del 22 gennaio 1865, la pensione annua di L 1.000 « a far tempo dal 2 febbraio 1865, per aver fatto parte della Spedizione di Marsala in Sicilia capitanata dal generale Garibaldi » ( 5 ).

6. - Di nuovo semplice volontario (1866).
Annunziata la II Guerra d'Indipendenza nel 1866, rispose al nuovo appello di Garibaldi che gli giungeva tramite una lettera del Cucchi del 3 maggio da Firenze.
«Sono reduce da Caprera.
cimenti . Ti consegnerà queste due righe l'amico Numa Palazzini .
Spero vederti anch'io quanto prima. Addio di tutto cuore. Tuo
Checco Cucchi » ( 6 ).
Fedele però al giuramento fatto ad Aspromonte di non cingere mai più spada, si arruolò come semplice milite e fu assegnato al 1° Reggimento dei Volontari Italiani, comandato dal maggiore Federico Salomone che aveva il campo a Lonato. L' Adamoli ( 7 ) narra: « Non dimenticherò facilmente lo spettacolo che offriva il campo di Lonato. S'incontravano ad ogni passo vecchi commilitoni; ma fra tutti, la memoria mi rende viva dinanzi agli occhi la figura caratteristica di Daniele Piccinini, Bergamasco dei Mille, famoso capitano della Brigala Eber. Infastidito dal chiasso che si faceva intorno ai gradi, si era arruolato come semplice volontario; e, sdegnoso, non riconosceva più i compagni quando avessero i distintivi di ufficiale ».
A Como, sede momentanea del 1° Reggimento Volontari, Garibaldi se lo vide di sentinella sulla porta e, stupito di trovarlo semplice soldato, gli chiese: « Piccinini, che fate costì?», Generale, vi servo come posso » e gli narrò della sua promessa, al che
Garibaldi concluse: « Piccinini
può rendere dei buoni servigi anche col fucile » ( 8 ). Si segnalò infatti nel combattimento di Lodrone del 10 luglio tanto da meritarsi una seconda medaglia d'argento ( 9 ).
Fu poi impiegato come esploratore con missioni di fiducia che esigevano astuzia, robustezza e coraggio, e che erano appunto perciò adatte al Piccinini abituato ai monti e con l'occhio del cacciatore esercitato a vedere in lontananza ed a calcolare le distanze. Abbiamo presso il nostro Museo due lasciapassare firmati dal comandante il 1° Reggimento Volontari, maggiore Saiomone, il primo dei quali datato 20 luglio da Monte Brialone dice : « Si permette ai volontari Piccinini Daniele e Piccinini Emilio ( 1) e Mazzoleni Paolo di portarsi in qualunque posto ch'ei credono per esplorare le mosse del nemico, invitando tutti i comandanti di Compagnie, drappelli etc. a sussidiare i suddetti esploratori in qualunque cosa abbisognano ». E così il secondo, datato 27 luglio, da Daone conferma: « Il volontario Piccinini Daniele potrà liberamente portarsi a visitare le posizioni tenute dalle nostre forze nei territori di Daone Condino e Storo; e ciò per mire di servizio e con intelligenza del Sig. Comandante la 4ª Brigata ».
Conclusa la campagna con l'altra amarezza dell'« Obbedisco » di Garibaldi , già lanciato all'occupazione del Trentino, il nostro Dani e tornò un'altra volta alla sua vita ritirata, dalla quale uscì l’anno dopo per seguire ancora Garibaldi nel nuovo tentativo di marciare su Roma. Ma appena seppe che il Generale era stato arrestato a Sinalunga, tornò sdegnato e irato a casa, ne più in segui o volle partecipare ad altre imprese o manifestazioni politiche o militari.

7. - Sdegnoso ritiro tra le sue montagne.
Ritornato nella sua cassi di Pradalunga, condusse una vita libera e solitaria, quale era richiesta dalla sua indole troppo generosa che non poteva in alcun modo accettare le miserie e i compromessi della vita politica ed ufficiale.
Avrebbe certo potuto avere cariche ed onori, continuare la carriera militare od iniziarne una politica, come fecero tanti altri suoi commilitoni. Non volle, ne glielo permise il suo temperamento. Molto simile al suo idolo, Garibaldi , come ben vide l' Abba ( 2), credeva anch'egli dì non dover trarre alcun utile ne alcun vantaggio morale o materiale da ciò che aveva fatto, ma solo, se mai, il diritto di dichiarare a voce o per iscritto il suo disdegna per tutto ciò che gli sembrava non accordarsi con l'alto ideale per il quale aveva combattuto; sprezzava tutto ciò che sapeva di ufficialità, le cerimonie, i discorsi che gli sembravano solo chiacchiere e grottesche pagliacciate.
Diversi fatti ed alcune lettere dimostrano la fierezza di tale carattere. Il 5 maggio 1861, nel primo anniversario della partenza da Quarto, si tenne al famoso scoglio una solenne commemorazione alla presenza di numerose autorità e dei più celebri dei Mille.
Il Sylva , che ricorda tale fatto in un articolo su « La Rivista
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(1) Il fratello che lo segui in questa campagna.
(2) GIUSEPPE CESARE ABBA - Da Quarto al Volturno, Bologna, Zanichelli, 1943, pag. 250.
di Bergamo » del 1926 (1), non cita il Piccinini tra gli intervenuti bergamaschi, tra i quali invece erano il Cucchi ed il Nullo .
Evidentemente il nostro eroe non volle parteciparvi. Così non nel 1885, in occasione del venticinquesimo anniversario, a Palermo.
Gli amici, ben conoscendo il suo carattere, tentarono di convincerlo. Ne fa fede una lettera dell' Abba , da Travagliato, in data 17 maggio 1885. Dice, tra l'altro: « Non posso far a meno di osare anche a nome degli amici che sono qui e di Ziliani stesso (2), osare, dico, di pregarti a muoverli per venire con noi a Palermo. Piccinini non deve mancare. Chiuderemo un occhio sul grottesco che potremo o Clefta (3), e vieni coi tuoi amici che ti vogliono, che vogliono Daniele nella fossa dei leoni. Scrivimi a Brescia per concertare dove e come dovremo trovarci » (4). Ma nonostante tante affettuose insistenze, Daniele non andò a Palermo.
Di pochi mesi precedente è la lettera sdegnosa e amarìssima diretta all'amico e commilitone bergamasco Mauro Bertacchi (5).
In essa, forse in risposta ad una proposta di passare a far parte della milizia territoriale nella quale  il Bertacchi fu capitano nel 1881, maggiore nel 1888 e colonnello nella riserva nel 1898 (6), il Piccinini dice; « Ti faccio osservare che io non sono più capitano, e che se io ho fatto questa parte nella mascherata del 1860, non credere che io l'abbia presa sul serio, anzi il brevetto che il generale Sirtori mi aveva rilasciato restò sui campi di Capua dopo avervi pulito le mele. Un altro brevetto di capitano portante la data dell'11 giugno 1860 e che io aveva rispettato, me lo ritirò più tardi un Ministro della Guerra, ed io non me ne son curato di riaverlo, e buon prò gli faccia... Ora poi il titolo di capitano suona male all'orecchio di chi non può dimenticare la data del 29 agosto, e gli allori di Custoza. Io sono Piccinini Daniele Salsicciaio e ti saluto »
Anche in altre lettere dello stesso periodo è evidente lo stato d'animo estremamente deluso ed amareggiato. Il suo spirito ritrovava serenità nella contemplazione della natura, nella vita semplice dei suoi monti e nella passione vivissima per la caccia. A Pradalunga, nella casa avita, già dei conti Maldura di Venezia, passata
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(1) Vedasi Fatterelli garibaldini di GUIDO SYLVA nel numero di gennaio-febbraio 1926, pag. 9, de " La Rivista di Bergamo ".
(2) Il Dottor Ziliani di Travagliato, ospite del quale era l' Abba , dalla cui casa scriveva.
(3) Clefti, che significa propriamente briganti, erano detti i forti e liberi montanari greci insorti contro i Turchi, tra il 1821 e il 1828.
(4) La lettera é oggi al nostro Museo di Storia del Risorgimento, donata dagli eredi.
(5) La lettera è stata gentilmente segnalata dal Dottor Gino Romelli Gervasoni di Clusone, che ne possiede l'autografo.
(6) Vedasi qui la biografia di Luigi Mauro Bertacchi .
poi in possesso della famiglia Piccinini (1), viveva col fratello Cesare e la famiglia di lui.
Trascorreva poi molta parte del suo tempo in una casa di campagna a Salvino dove poteva abbandonarsi ai piaceri venatori. Qui riceveva visite di amici, illustri e sconosciuti; tra gli altri venne anche Benedetto Cairoli che, anche se assurto alla carica dì Capo del Governo, non dimenticava gli amici dei tempi eroici.
La passione per la caccia era del resto congeniale alla famiglia Piccinini ed alla gente della sua terra. Nelle camminate e soprattutto nelle lunghe attese nei roccoli dimenticava le avversità, le delusioni, le tristezze e ritrovava la semplicità, la gioia della sua anima candida e forse rievocava, per sé, i momenti più alti e più commossi della sua vita di cavaliere dell'ideale. Ma solo con se stesso avrà rievocato le ore luminose d'eroismo del suo passato, non certo con altri perché non voleva presentarsi come un eroe.
Di parola facile ed arguta, si lasciava trasportare a rievocare amici e commilitoni, e parlava di essi e soprattutto del suo ideale, di Garibaldi , e allora si infervorava e l'entusiasmo lo riprendeva.

8. - Volontà tenace.
Volitivo e tenace nei propositi, come dimostrò ampiamente nelle sue imprese, non prometteva mai invano. Giurò ad Aspromonte di non più impugnare una spada e nel '66, per tener fede alla promessa, si arruolò come semplice volontario per non dover portare la spada da ufficiale; giurò un giorno di non più bere vino e, cosa quasi incredibile per un montanaro, per un bergamasco e per un cacciatore, non bevve mai più; giurò di non più fumare e mantenne anche questa difficile promessa. Sarà non inutile e non spiacevole esporre come fu portato a fare tali promesse. Racconta il Sylva (2)
che una sera d'inverno di un anno imprecisato, comunque tra il 1875 ed il 1880, dopo aver fatto la solita partita con gli amici a Pradalunga, ed aver bevuto un po' più del solito, si avviò per salire, a notte alta, attraverso ben noti sentieri, alla sua casa di Selvino. Ad un certo punto, accorgendosi di non essere nelle sue normali facoltà, si sedette presso un dirupo e parlando a se stesso, si pose il dilemma o di farla finita gettandosi dal precipizio o di non più assaggiare vino in vita sua. Avendo deciso per la seconda soluzione, riprese il cammino e giunse sano e salvo a Selvino, ma si ricordò della promessa e la mantenne per sempre, ed anche quando, in occasione dì banchetti, si trovava con amici, non si lasciava tentare, ma imperterrito inzuppava grosse fette di panettone nell'acqua fresca. La vicenda della promessa notturna dovette essere ben nota anche agli amici perché vi accenna spiritosamente
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(1) IPPOLITO NEGRISOLI: Daniele Piccinini in Bergamo e i Mille, Bergamo, 1932, pag. 120.
(2) GUIDO SYLVA - L'VIII Compagnia dei Mille, Bergamo, 1959, pag. 125. 296
Agostino Pasquinelli. bergamasco dei Mille, da Roma, dove si trovava come giornalista della « Tribuna », in una lettera del 28 ottobre 1886 diretta a Daniele Piccinini. In essa dice : « ... egli (cioè il comune amico colonnello Cossovich) desidera il ritratto di Gioppino nell'imbarazzo, quando sul ciglio del precipizio del paradiso degli asini (1), circonfuso lo intelletto per una toppa (2) illustre, cogitando filosoficamente sulla convenienza del suicidio, si decide spartanamente per la vita, coll'animo intento, anzi, a perfezionare con lungo studio gli ordigni per toglierla agli sventurati volatili che hanno la melanconia di tentare la traversata fra le gole della tua Selvino ». Meno drammatico ma non meno puntiglioso fu il motivo che lo indusse a giurare di non più fumare, e fu quando il Monopolio di Stato accorciò i sigari, mantenendone invariato il prezzo. Se ne indispetti come di un affronto alla sua intelligenza ed alla sua dignità. « Dovevano, se mai, aumentaùrne ilò prezzào, non accorciarli!» diceva, e cosi non fumò più, dimostrando una volontà ed una tenacia di propositi assolutamente eccezionali.

9. – Eroe da romanzo.
Anche da una promessa solenne dovette derivare la decisione di non farsi una famiglia. Racconta infatti ancoàà citata Tironi Spampanato (3) che lo stesso Piccinini le aveva assicurato di aver preso « la bella risoluzione » di non peùù a farsi una famiglia in seguito ad un banale incidente, dovuto forse a sciocca precipitazione e ad eccessiva susceàà della fidanzata.
Daniele dunque, fidanzato a 25 anni con una giovane di buona famiglia, di nome Giulia, con la quale avrebbe dovuto sposarsi presto, si trovava a Selvino dove villeggiava anche la fidanzata.
Invitato una sera a scendere a passeggiare con lei ed il fratello, nella fretta di vestirsi, poiché si tràà a letto, òò di infilarsi calze e scarpe, e scese a passeggiare nel prato a piedi nudi. La fanciulla rimase tanto offesa di questa apparente mancanza di riguardo che la mattina dopo con una lettera lo scioglieva a con mal garbo e disprezzo da ogni promessa ».
Che il Piccinini non abbia vùù sposarsi non solo per questo disinganno, ma anche e soprattutto per un segreto amore romanticamente sbocciato tra le armi e tragicamente spento è stato supposto dal Casari (4) e lo fa intuire lo stesso Garibaldi , nel suo farraginoso romanzo « I Mille », nel quale storia e fantasia
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(1) Cosi appunto è chiamato un passo pericoloso lungo la strada per Selvino, forse perchè qui cadevano gli asini e...volavano in Paradiso.
(2) Cioè per una sbronza eccezionale.
(3) In Fiabe e Racconti (Portici, Napoli, 1896) citato da GIANNI GERVASONI in « Bergomum », 1933, pag. 55. L'episodio è inoltre confermato dalle nipoti che ricordano di aùù volte sentito raccontare in casa.
(4) SANTO CASARI: Ricordi 297
si intrecciano liberamente. In tale romanzo infatti i personaggi principali sono il Nullo ed il suo amico inseparabile P., nel quale e dato identificare facilmente e chiaramente il nostro eroe. Costui è figlio delle valli bergamasche, è robustissimo e consegna a Garibaldi un mantello incerato a proposito del quale Fautore si preoccupa di mettere in nota : « Storico, almeno il mantello datemi da P. » (1), riferendosi al noto episodio di Calatàà ricordato. Col Nullo ed il P. ci sono poi due fanciulle: Lina, figlia delle Valli Orobiche, sorella del P., della quale è perdutamente innamorato il Nullo , e l'amica Marzia, bruna ebrea romana,  amata dal P. Dopo una serie di romanzesche avventure, Marzia, ferita a morte, spira tra le braccia del P. La vicenda
è senz'altro romanzesca ma qualche spunto Garibaldi dovette trarlo dalà. Forse l'aver conosciuto a Trescore una sorella di Daniele, alla quaò un suo largo fazzoletto di seta, fece nascere l'idea dell'imbarco clandestino della fiera fanciulla, ribattezzala Lina, e forse una segreta vicenda di amore sbocciata, tra la Sicilia e Napoli, tra^ il valoroso Bergamasco ed una bella misterò essere stata all'origine delle avventure di amore e di morte narrate dal Generale scrità il Cucchi ebbe a dire che Garibaldi ò il Piccinini « eroe in uri suo romanzo » (2), e d'altronde,àà è stato detto, l'identificazione non e difficile. Ci si potrebbe tuttavia chiedere perché il Nullo viene citato in chiaro, mentre per il secondo eroe viene usala la semplice iniziale. Una spiegazione potrebbe essere il fatto che quando Garibaldi componeva il suo romanzo, cioè nel 1871 (3),
il Nullo
àià morto, glorioso eroe in Polonia, mentre il Piccinini era ancor vivo e quindi l'autore volle rispettare un segreto di cui forse era, in tutto o in parte, al corrente. E se amore segreto ci fu, segreto rimase. Il Piccinini maiòò, mai ne scrisse. Alcune nipoti tuttavia ricordano che si parlava in famiglia, con un certo senso di mistero, di un amore tra lo zio Daniele ed una giovane principessa siciliana chiusa in un convento. Che ci sia un fondamento àà (ricordiamo del resto i poetici episodi citati dall' Abba sugli occhioni stupiti delle giovani suore salvate dai garibaldini dai conventi in fiamme di Palermo) o che sia un'altra variazione sul tema del garibaldino in convento, non è possibile dire. A noi basta aver rilevato il fatto, indubbiamente significativo, della trasposizione fantastica che Garibaldi
ò dal Piccinini, capitano dei Mille, al P., eroe del suo romanzo, dallo sfortunato amore.
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(1) GIUSEPPE GARIBALDI - I Mille, Bologna, Capelli, 1933, pag. 39.
(2) IPPOLITO NEGRISOLI: Daniele Piccinini in Bergamo e i Mille, Bergamo, 1932, pag. 118.
(3) JESSIE MARIO - Vita di Garibaldi , Milano, Treves, 1882, Vol. II, pag. 259.

10. - Tenerezza di sentimento e gàà di cuore.
Qualunque sia stato, quindi, il motivo, egli nonòò e visse con il fratello Cesare, riversando sulla famiglia di questi, formata da 8 figli, 6 femmine e 2 maschi, la grande ricchezza affettiva de] suo cuore generoso. Era il nume tutelare della sua famiglia e della sua gente. I nipoti vedevano in lui il forte eroe buono delle favole, che difende i deboli, raddrizza i torti, fa trionfare il bene. L'aureola di leggenda che lo circondava non Io metteva su un piedestallo di inacceàà, perché la sàà, la sua rude modestia, lo facevano sentire ùù vicino ai piccoli ed agli umili qùù grandi erano state le sue gesta e nobile il suo agire. Alternava tratto familiare al tratto apparentemente aspro. Le nipoti ricordano, ad esempio, che era proprio lo zio Daniele che settimanalmente provvedeva a far prendere l'olio di ricino a tutti i nipoti, compresi i recalcitranti, ma era ancora lo zio Daniele che ogni sera, prima dì coricarsi, passava in rassegna tutti iì lettini dei ùsuoi cari per vedereààà se dormivano ed erano ben coperti. Così pure per difendere i piccoli dai rimproveri della mamma provvedeva a cambiare loro le mutandine bagnate, che faceva sparire sotterrandole semplicemente nell'orto! Coi bambini, semplici e sinceri, con gli umili, i poveri, si sentiva a suo agio. Era di una generosità che potrebbe apparire incredibile. Non era raro il caso che giungesse a casa senza giacca o senza camicia per averla donata a qualche tale bontà. Provvedeva infatti aiuti in denaro ed in biancheria anche a donne bisognose in occasione di nuove maternità. E ci fu chi ottenne da lui aiuti a tale titolo più di una volta nel corso di uno stesso anno, senza che il generoso ingenuo si avvedesse dell'evidente inganno; a meno che fingesse di non accorgersene!

11. - Figura simpatica.
Simpatica e caratteristica era poi la sua figura. Citiamo il Sylva (1) il quale, come commilitone ed amico, ben lo conobbe ed è quindiùimone più autorevole: « Di statura piuttosto alta, robustissimo e di conformazione perfetti!, il colorito era indice sicuro di sua ferrea salute. Aveva collo taurino, spaziosa la fronte, occhi lampeggianti, daàuardi apparà bontà e la lealtà de l'animo. La sua bocca facilmente atteggia vasi a sorriso, ad un sorriso schietto, che allietava.
Compagno piacevolissimo, umile con gli umili, di modestia ingenita, che gli taceva disù le virtù e i meriti onde andava fornito. Vestiva a la montanara, con calzoni di fustagno, panciotto di velluto con larghe tasche, formato a diversi risvolti e a lungo spaccato, dal quale vedovasi la camicia, sempre
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(1) GUIDO SYLVA - L'VIII Compagnia dei Mille, Bergamo, 1959, pag. 126. 299
candida e finissima, molto scollata. Sopra la corta giacca di velluto, portava un fazzoletto celeste e rosso, suoi colori preferiti.
Una berretta di seta nera con lungo fiocco scendente sugli omeri, sotto un cappello cinereo a larghe tese, grosse scarpe chiare, ed un immenso ombrello in mano quando le disposizioni del tempo il richiedevano ».
Tale figura, ben conosciuta ed amata nella sua terìì simpaticamente e ìì nella avventurosa schiera dei Mille, tra i quali nessuna stranezza di tratto o di vestito poteva meravigliare, mòò alcune volte spiacevoli contrattempi avendo a che fare con chi non lo conosceva.
Ricordano ad esempio i nipoìì raccontava in casa un episodio relativo ad un suo viaggio a Milano. Vedendo la strana foggia di quel montanaro con grosse scarpe, berretta, fazzoletto al collo ed enorme ombrello rosso, alcuni ragazzi cominciarono a schernirlo. Dopo aver sopportato alquanto, persa la pazienza,òò ad usare l'ombrello a mo' di clava facendo in breve il vuoto intorno a se ma richiamando l'attenzione di alcuni tutori dell'ordine che lo fermarono e lo accompagnarono in Questura. Qui, tra l'indignato e il divertitoòò di essere amico personale del qà suscitando l'incredulità ed anche il risentimento di chi Io interrogava finché, di fronte alle sue insistenze, lo portarono dal questore in persona il quale, appena lo vide, òò irrigidendosi sull'attenti e abbracciandolo quindi affettuosamente, poiché era stato un suo subordinato nella campagna di Sicilia.
Altri episodi analoghi accaddero in occasione di un suo viaggio attraverso la campagna romana nel 1888.
A Roma stessa molti si soffermavano a guardare stupiti quel vigoroso contadino con giubba di velluto, largo cappello sopra la reticella nera e l'enorme ombrello rosso, che in piazza Colonna si tratteneva a chiacchierare cordialmentàputati al Parlamento, già suoi commilitoni ed ancora suoi amici che sembravano far cerchio intorno a lui, quasi a chiedere a quel sereno Scorate al di sopra della mischia quel conforto e quell'incitamento, forse quelle « parole àrcangelo », che già avevano udito nelle battaglie ormai leggendarie della loro epopea.
Inoltratosi poi in un lungo viaggio attraverso gli Abruzzi.
spinto dalla passione venatoria e dal desiderio di ricercare campi di battaglia di antiche genti o della recente storia, spesso, quand’era stanco, apriva il suo famoso ombrello e vi si sdraiava sotto a riposare o dormire, come tante volte aveva fatto nella campagna del '60, quando aveva riparato dal sole o dalla pioggia anche tanti amici e lo stesso Garibaldi . Ma ora non il nemico lo svegliava ma i caùi che più di una volta, vedendo quello strano individuo con barba lunga, reticella, schioppo e pistolaàettiti sulla sua identità lo interrogavano e ne controllavano aàente documenti e identità. Ed egli non si indispettiva, anzi si scusava di far loro perdere tempo. 300
Molto gli piacquero quei posti; è documento di questo suo stato d'animo una lettera dall'Aquila, in data 1 agosto 1888, indirizzata al Casari (1).
In essa, tra l'altro, dice: « Io pure sto benissimo, e forse troppo bene... In mezzo a questa cerchia di monti io mi trovo benissimo e benissimo si troverebbe l'archeologo, e il naturalista &raqàota come la sua curiosità sia sollecitata dall'osservazioneàri che parlano e di città distrutte, e di popoli scomparsi poiché qui non mancano anche ruderi di mura ciclopiche ».
Lo interessa anche il tipo umano, fiero e rude, che egli sente forse un po' congeniale a sé ed alla sua razza montanara. « Quòò che non manco di ammirare in questo paese è il tipo nervoso e sanguigno di questi montanari che nella loro costituzione poco o punto degenerarono dai loro antenati che dopo la guerra sociale formarono il nerbo di quelle legioni che fecero Roma regina del mondo ». Per concludere sul suo abbigliamento, citeremo quanto riferisce ancora Adelaide Tironi Spampanato (2), la quale ricorda che agli amici che lo criticavano benevolmente e lo invitavano ad uniformarsi al vestire cittadino, era solito rispondere: « Lasciate che mi guardino, che ridano, non cambierei il mio vestito da contadino con tutte le marsine e gli stiffelius del mondo! Solo il giorno in cuà Trieste e Nizza si vedrà Piccinini in marsina e tuba! ». Parole che rivelano come sempre nel suo grande cuore era vivo e bruciante l'ideale della Patria unita e libera nei suoi naturali confini.

12. - « Salsicciaio novus ».
Singolarissimo tratto rivelatore del suo temperamento è il titolo di « Salsicciaio » o di « Salsicciaio novus » del quale si fregiava in tono scherzoso ma talvolta anche con asprezza polemica, sia facendolo stampare sui propri biglietti da visita sia aggiungendolo al proprio nome in calcàere dirette ad amici. Già abbiamo accennato ad un paio di biglietti del genere giacenti al nostro Museo del Risorgimento, ed alla lettera diretta al Berlacchi firmata appunto « Daniele Piccinini Salsicciaio ». Sottolineava cosi scherzosamente quella càgrave; essere un'attività da passatempo intrapresa negli anni della giovinezza e ripresa di quando in quando per aiutare la vedova che doveva gestire da sola il suo negozio di salumeria. Racconta infatti la Spampanato che il Piccinini le aveva narrato che, poiché la vedova di una sua ordinanza era malata ed il medico le aveva orìì recarsi per un periodo di tempo in montagna, la poveretta si trovava in grande imbarazzo perché le mancavano i mezzi finanziari necessari, ne d'altra parte sapeva a chi affidare il negozio. Con hi sua tipica spontanea gene
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(1) Ora la lettera si trova al nostro Museo di Storia del Risorgimento.
(2) Ancora in « Bergomum » del 1933, pag. 55.
à               301
rosità il Piccinini le diede la somma necessaria a titolo di prestito, del quale mai poi ebbe ne mai richiese la soddisfazione, e sòò a gestire di persona il negozio per il tempo necessario.
tura del mondo, quasi fosse nato bottegaio » (1).
Ma quando la natura spontanea e idealista dell'eroe di Calafatimi reagiva vivacemente a qualche notizia, a qualche situazione che offendeva la sua viva e sincera ansia di purezza e di giustizia, che non era il suo, dichiarandosi sdegnosamente nè capitano, nè eroe, ma semplicemente salsicciaio, quasi volesse ritenersi non responsabile di aver cooperato a creare quell'Italia della quale doveva vergognarsi.

13. - « Chiudo faà»
Tragica fatalità doveva portarlo alla tomba, ancora nel pieno delle sue forze ed in modo da far pensare ad una beffa crudele del destino. L'uomo, che serenamente e spavaldamente aveva affrontato il fuoco nemico in tante battaglie, doveva cadere colpito a morte da un solo colpo della sua stessa pistola, sfuggito al e dai suoi cari. Nel viaggio del 1888, durante il quale era andato da Roma all'Aquila percorrendo Lazio ed bruzzi, alla ricerca di caccia e di antiìì di battaglia, era rimasto talmente preso dall'incanto di quei luoghi ancora tanto primitivi e ricchi di un loro aspra bellezàniale alla rude genuinità del suo temperamento, che volle tornarvi l'anno segueìì nelà del 1889 si trovava, già da due mesi, a Tagliacozzo dove si era fatto amare e stimare da tutti, e progettava di fare un'escursione sul Gran Sasso, quando la mattina del 4 agosto, mentre era alla stazione in attesa di partire per Celano, àl'incredibile.
Aveva già acquistato il biglietto ferroviario quando un giovane suo amico, che avrebbe dovuto accompagnarlo nell'escursione, gli chiese di vedere la grossa pistola che il Piccinini aveva con sé.
Con la sua naturale cortesia porse al giovane, di nome Troini, l'arma offrendogliela dalla parte del calcio. Forse per disattenzione o peràienza o per pura fatalità, poiché l'arma era carica e non in posizione di sicura, non appena fu in mano al giovane parti un colpoìì il Bergamasco al petto, dalla parte sinistra, all'altezza dell'ultima costa. Il Piccinini si compresse la ferita col suo largo fazzoletto ed ebbe ancora la forza di tornare da solo all'albergo, ma fu subito chiaro che la ferita era molto grave. Egli stesso se ne rese perfettamente conto, e loòò scrivendo
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(1) Vedasi in « Bergomum », 1933, pag. 55.
quel famoso biglietto all'amico Paììàale dimostra una serenità veramente socratica, temperata e quasi nobilitata da quel tono di controllata irìì caratteristica del suo carattere tanto generoso quanto modesto. Scriveva infatti: « Chiudo fabbrica, perché ho il ventre in disordine. Ho preso il biglietto per Celano, ma cùrada. Più tardi avrai mie precise notizie » (1).
Visse ancora cinque giorni, duùquali più che a s&eacuòò a àre di ogni responsabilità il suo involontario feritore.
Volle che fosse redatto un verbale, alla presenza del Pretore, di quanto era successo, ed egli stessoò&ogravòò di vivere il 9 agosto, alle 5,45 pomeridiane. Era giunto il giorno prima il fratello Ferdinando, Sindaco di Pradalunga, che era stato avvertito telegraficamente della gravita delle condizioni di Daniele. Nel tardo pomeriggio del successivo 10 agosto ebbero àfunerali che, per volontà della Giunta Comunale di Tagliacozzo, assunsero la forma di pubbliche solenni onoranze (2).
Egli aveva lasciato scritto di essere sepolto a Tagliacozzo, che tanto cordialmente l'aveva accolto, con funerali civili e modestissimi, portato dùo dei più poveri del paese, a ciascuno dei quali si sarebbero date 30 lire, e con due sole torce. I portatorà otto ma le altre volontààosservate, e la solennità delle onoranze fu data dalla paàione di tutte le autorità e di quasi tutta la popolazione. A Tagliacozzo, oltre al fratello Ferdinando, era accorso anche l'amico
Agostino Pasquinelli, quale redattore del giornale romano « La Tribuna », il ùome e più degli altri, dolorosamenòò la triste coincidenza della scomparùe dei più coraggiosi e generosi protagonisti dell'epopea garibaldina. Benedetto Cairoli ,
morto l'8 agosto a Capodimonte, e Daniele Piccinini, morto il giorno dopo a Tagliacozzo, assùno ai più alti fastigi della vita politica, rimasto l'altro umile nell'ombra, ma non meno glorioso.
Anche Menotti Garibaldi ,
telegrafando, rilevava la triste coincidenza: « Cairoli e Piccinini!
L'illustre superstite di una famiglia d'eroi e il modestàaggioso milite di libertà; entrambi compendiano tutte le lotte per la nostra indipendenza: entrambi vissero senza macchia e senza paura. Con animo straziatissimo vi prego deporre per me un bacio al caro estino. Menotti Garibaldi ».
14. - Di nuovo e per sempre tra i suoi monti.
L'anno dopo, il 3 aprile 1890, la salma di Daniele Piccinini giungeva a Bergamo dopo essere partita da Tagliacozzo il primo, passata da Roma il 2, ed essere stata onorata da larga rappre
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(1) IPPOLITO NEGRISOLI: Daniele Piccinini in Bergamo e i Mille, Bergamo, 1932, pag. 119.
(2) Per tutte queste notizie vedasi l'articolo de « La Tribuna » firmato da Agostino Pasquinelli, riportato da « L'Eco di Bergamo » del l3 Agosto 1889. à303
sentanza di autorità e commilitoni, primi tra i quali il generale Menotti Garibaldi . Lo stesso giorno 3, al pomeriggio, prosegui in treno per Nembro e quindi in lungo corteo a Pradalunga, dove le spoglie dell'eroe furono deposte nella tomba di famiglia.
Si potrebbe definire trionfale il viaggio dell'eroe restituito alla sua ferra. Alle stazioni di Tagliacozzo, di Roma, di Milano, Treviglio, Nembro e nella sua Pradalunga innumerevoli furono i compagni, ilà sconosciuti, le autorità, il popolo, che vollero onorare della loro presenza, del loro affetto, delle loro lacrime, l'ultimo viaggio del proào cavaliere della libertà. Cucchi , Tasca , Missori , Bruzzesi , Margarita , Carissimi , Antongini , e tanti altri vennero da varie parti d'Italia, molti parlarono di lui onorandolo e compiangendo la sua perdita. Lo ricordarono i giornali italiani, ed anche in America, per iniziativa di Servilio Multi, di Vall'Alta, emigrato a New York, e Presiàlla « Prima Società Italiana Reduci Patrie Battaglie e Veterani di New York », fu degnamente ricordato con articoli di giornali, con la pubblicazione di un opuscolo e con la collocazione nella sede dell'Associazione di una bandiera tricolore di seta, inviata da Cesare Piccinini, fratello di Daniele, recante l'effigie dell'eroe.
Viene spontaneo il pensiero che solo a Piccinini morto si poterono tributare onoranze ufficiali e solenni. Se qualcuno avesse avuto l'idea di dare in qualche modo onorevole riconoscimento al sàmo ed alla sua generosità, essendo ancora lui vivo, è certo chìì sarebbe sentito offeso da tante a chiacchiere e pagliacciate r ed avrebbe rudemente e sprezzantemente rifiutato.
Da allora, indicato dalla semplice epigrafe:

DANIELE PICCININI UNO DEI MILLE

riposa nella piccola cappella di famiglia, nel cimitero di Pradalunga. l'Eroe forte e buono, modesto e coraggioso, nella pace dei suoi monti, sulle sponde del suo fiume sonante.
LUIGI TIRONI

DOCUMENTI E CIMELI

A Daniele Piccinini è oggi dedicata a Bergamo una breve via del centro, mentre la sua Pradalunga gli ha intitolato la via principale; la sua memoria inoltre è ancora viva nella casa avita, ricca di dipinti, fotografie, mobili antichi gelosamente e amorosamente custoditi dagli eredi, nonchè nella casa di Selvino sulla quale una lapide ricorda:

QUI ABITO' DANIELE PICCININI CAPITANO DEI MILLE.

I numerosi nipoti e pronipoti di Pradalunga, Nembro, Bergamo e Milano, conservano con affetto reverente lettere, documenti e cimeli rimasti dopo la dispersione operata dal fratello Cesare il quale, troppo generosameòò ad enti e privati molti preziosi ricordi, andati poi malauguratamente perìì da una cartolina di Luigi Tacchini da Alzano, in data 22 gennaio 1906 (ora al Museo di Storia del Risorgimento di Milano), diretta ad Enrico Emilio Ximenes, sappiamo che Cesare Piccinini aveva donato ad una non meglio identificata Commissione di Brescia, dellùnulla più è stato possibile sapere, molòò che aveva del fratello. Nel 1906 poi lo stesso Cesare Picciòò al predetto prof. Enrico Emilio Ximenes, che aveva organizzato un suo personale Museo Archivio Storico dei Mille, numerose lettere, fotografie e cimeli, dei quali abbiamo la nota precisa, firmata dallo stesso Cesare Piccinini. Tali cimeli comprendevano: il cappello caratteristico, la berretta a retina, ìla camùicia rossa di Calatafimi, l'ombrello rosso, il bastone del 1848, la spada tolta ad un ufficiale Borbonico a Calatafimi ed infine il berretto da capitano portato nella campagna del 1860. I documenti, insieme ad alcuni cimeli, furono poi ceduti al Museo di Storia del Risorgimento di Milano, dove ora si trovano raccolti nella cartella n. 775, mentre di altri cimeli non si riuscì a reperire più nulla.
I nipoti e pronipoti Piccinini, Gavazzi, Monguzzi e Redaelli hanno fatto ora generosa donazione di quanto loro restava al Museo di Storia del Risorgimento di Bergamo, nel quale si potr&agravòò ordinare una vetrina dedicata esclusivamente al loro eroico « zio Daniele &raquìiamoùave; al Museo più di trenta lettere del Piccinini, tra le quali alcune di notevole valore storico e documentario, ed altre dirette al Piccinini da Benedetto Cairoli ,
Francesco Cucchi ed altri amici garibaldini, documenti ufficiali, cimeli personali, quali il  binocolo di Aspromonte, la sciabola di Palermo, il famoso ombrellone rosso, il vestito indossato il giorno del mortale incidente di Tagliacozzo, una delle sue famose berrette nere, il fazzoletto, bagnato di sangue, col quale si compresse la ferita mortale, ed alcune fotografie.
Due pezzi notevoli sono poi il ritratto ad olio del pittore Pezzetta ed il busto in bronzo. La tela, di forma ovale (cm. 150 per 115 di diametro) fu esposta per tre giorni alla scuola dei Tre Passi a Bergamo in occasione della traslazione della salma del Piccinini da Tagliacozzo a Pradalunga nell'aprile del 1890.
Tale ritratto, per quanto ripreso da una fotografia, è riuscito tuttavia  felicissimo, anche perché il pittore ben conosceva l'Eroe. Il busto, opera di Alberto Maironi, fu inaugurato e posto sotto l'atrio del Palazzo della Ragione, insieme a quello del Tasca, opera dello scultore Pagani, nel 1895, in occasione del XXV anniversario dell'entrata dell'Esercito Italiano in Roma.
Altri documenti e cimeli, quali il congedo militare ed il famoso mantello di Calatafimi, sono andati invece forse irrimediabilmente perduti. Sarebbe fortunata ventura se chi fosse eventualmente venuto in possesso e tuttora detenesse tali ed altri documenti e cimeli, li facesse avere al nostro Museo di Storia del Risorgimento od almeno ne rendesse edotto chi ha curato la presente biografia.

STATO DI SERVIZIO E DECORAZIONI MILITARI DI DANIELE PICCININI

1848: Nei Cacciatori Bergamaschi.
28-3-1859: Volontario arruolato nella 5ª Compagnia, 2° Reggimento del Corpo Cacciatori delle Alpi .
27-5-1859: Ferito nella battaglia di S. Fermo, alla mano sinistra.
16-10-1859: Congedato col grado di Sergente dal 51° Reggimento.
5-5-1860: Imbarcato a Quarto.
7-5-1860: Assegnato all’8ª Compagnia (Bassini) quale Comandante della 2ª Squadra.
15-5-1860: Promosso ufficiale sul campo.
27-5-1860: Ferito a Porta Termini (Palermo), alla gamba destra.
11-6-1860: Promosso Capitano e assegnato al 5° Btg. (Cossovich), 2° Reggimento, 2ª Brigata (Eberùdf; Divisione (Tùrr). Lugl. 1860: Comandante della 4ª Compagnia, 7° Btg., 2° Reggimento (Cossovich), 2ª Brigata (Eberùdf; Divisione (Tùrr).
20-7-1860: Presidente di una Commissione straordinaria per reprimere reati verificatisi in vari Comuni.
15-12-1860: Dimesso su domanda.
24-6-1864: Arrestato per diserzione dal Quartiere di Morbegno, avvenuta il 31-8-1859.
4-7-1864: Prosciolto dall'accusa e ordinata la cancellazione della nota di diserzione.
1866: Volontario arruolato nel 1° Regt. Volontari Italiani.
Campagne: 1848, 1859, 1860, 1866.

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Menzione Onorevole per la Campagna del 1859.
Medaglia d'argento per i combattimenti di Calatafimi e Palermo (R.D. 12-6-1861, 4° Elenco).
Medaglia d'argento per il combattimento di Lodrone (10-7-1866).
Medaglia commemorativa della Campagna di Sicilia.
Pensione dei Mille (legge 22-1-1865) a far tempo dal 2-2-1865.

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NOTE
(1) Ora al Museo di Storia del Risorgimento di Bergamo, donato dai fratelli Radaelli, pronipoti del Piccinini.
(2) GIUSEPPE CESARE ABBA - Storia dei Mille, Firenze, Bemporad, 1904, pag. 60. GUIDO SYLVA - L'VIII Compagnia dei Mille, Bergamo, 1959, pag. 124.
(3) GIUSEPPE CESARE ABBA - Storia dei Mille, Firenze, Bemporad, 1904, pag. 60 e seguenti.
(4) IPPOLITO NEGRISOLI: Daniele Piccinini in Bergamo e i Mille, Bergamo, 1932, pag. 117. Cita il congedo rilasciato dalla Brigata delle Alpi e lo stato di servizio rilasciato dall'Archivio di Stato.
(5) Vedansi le due lettere ufficiali del Prefetto di Bergamo e del Ministero delle Finanze, giacenti ora presso il nostro Museo di Storia del Risorgimento. La lettera si trova ora presso il Museo di Storia del Risorgimento di Bergamo, donata da Cesare Gavazzi pronipote del Piccinini.
(7) GIULIO ADAMOLI: Da San Martino a Mentana, Milano, Treves, 1892, pag. 273.
(8) GUIDO SYLVA - L'VIII Compagnia dei Mille, Bergamo, 1959, pag. 125.
(9) Le due medaglie d'argento, del 1860 e del 1866, insieme alla medaglia commemorativa della campagna di Sicilia, sono ora in possesso del pronipote Alessandro Piccinini, di Nembro.
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