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SYLVA Guido


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Naturalmente l'aver prima letto, e durante la stesura probabilmente fatto confronti, può darsi abbia contribuito a togliere a certe pagine la spontaneità ignara dello scrittore di getto, del diarista annotatore giornaliero, ma per chi voglia da pagine relative ad eventi famosi trarre spunti di documentazione e di valida ricostruzione dei fatti, il sapere che avanti la stesura di alcuni di essi l'autore stesso si è preoccupato di stabilirne l'esattezza, non penso possa costituire un difetto, ma se mai un pregio dell'opera.
Non che il Sylva non cada per questo in omissioni ed in diversi errori, alcuni dei quali si sono rilevati anche nel commento, ma penso che la sua preoccupazione, a volte quasi « pignola », di stabilire i termini entro i quali andava raccolto il vero, abbia giovato al suo compito di onesto narratore di eventi, che furono tra i più convulsi e disordinati della nostra storia.
Ma l'intento maggiore, lo si è ricordato di sfuggita, che l'autore si propose, fu quello di riparare ad una ingiustizia involontaria, ma dolorosa, compiuta nelle loro storie da molti di quelli che, tra i primi, scrissero intorno alla spedizione del '60. E l'ingiustizia era quella relativa alI'VIII Compagnia dei Mille, che il Piltaluga scambiò con la Colonna Zambianchi , anch'essa costituitasi a Talamone, e che altri invece ignorarono addirittura. Fu questo un fatto singolarissimo e non districabile del tutto neppure oggi. Sul Piemonte si stabili di formare del corpo di spedizione sette oppure otto Compagnie? Il foglio relativo, anche quello rimasto al Sìrtori, Capo di Stato Maggiore, e con annotazioni di sua mano, porta sette compagnie! E sulla scia della strana omissione si misero il Guerzoni , la Mario , il Bizzoni, mentre il Türr dice la Compagnia formata a Santo Stefano, invece che a Talamone.
Il primo documento, credo, nel quale la VIII compaia regolarmente è quello relativo all'« Ordine di marcia da Salemi, il 15 maggio 1860 », nel quale nella 2" Colonna Cacciatori delle Alpi , dopo l'avanguardia, compaiono l'VIII Compagnia (146 uomini), e la VII (145), delle altre notevolmente più numerose, salvo la Iª, di 158 uomini, che chiudeva lo schieramento in retroguardia.
L' Abba fu forse il solo ai quale non sfuggì (.1.) l'esistenza delI'VIII Compagnia fin dai primissimi giorni della spedizione. Egli scrive: « ... l'ultima era l'VIII. L'aveva raccolta quasi tutta nella sua Bergamo Francesco Nullo , che la dava bell'e fatta ad Angelo Bassini , pavese, certo dì darla a chi l'avrebbe condotta da bravo ».
E Francesco Scarpelli la dice poi «staccata come un bei grappolo sodo dalla città nativa » (.2.).
Il libro del Sylva, pertanto, ha innanzitutto il fine di « riempire una lacuna nei riguardi della partecipazione dei Bergamaschi alla Spedizione dei Mille »
(.3.), di quel « poderoso manipolo di volontari (.1.) Carte Sirtori, Bib. Ambrosiana, Milano (.2.)
Francesco Scarpelli : «Il lavoro», Genova, 29-V-1910. (.3.)
«Così «L'Adriatico», Venezia, 20-V1910. 338
orobici il quale costituì quasi il quinto dì quella prima Spedizione in Sicilia, e per il che Bergamo fu da Garibaldi onorata con l'appellativo di "Città dei Mille" » (.1.).
Non sono, tuttavia, queste pur legittime preoccupazioni e circostanze singolari che fanno del libro del Sylva un pregevole documento, quanto piuttosto quello che di positivo ne risultò : la narrazione, cioè, della vicenda di un intero Corpo della spedizione, quando invece il racconto solitamente tende a sperdersi in i; noterelle » ed in « fatterelli » (.2.), in vivide rievocazioni, che piuttosto si incentrano su uno o alcuni pochi dei molti personaggi (anche i secondari sono avvincenti) che popolano quella romantica scena, che non su intere schiere del Corpo dì Spedizione (.3.).
Ed è naturale, in un certo senso, che le cose siano andate così. Ignoro come sia avvenuto il reclutamento degli altri contingenti dei Mille, ma, non per la sola testimonianza del Sylva, a Bergamo esso costituì una vera e propria « leva », sia pure estemporanea e del tutto volontaria, degli abili alle armi nel 1860. Come l'anno prima, comunque con flusso minore, si « andava in Piemonte » ad arruolarsi nei Corpi regolari e nei Cacciatori delle Alpi , così ora la Città, di recente restituita alla nazione, celebrava la ua festa di liberazione, spontaneamente donandosi per una impresa che doveva affrettare il fatale moto di riunificazione della Patria, che tanti canti avevano esaltato stendentesi una dalle Alpi al Lilibeo.
Parve logico, pertanto, in questa nuova edizione del libro del garibaldino bergamasco, arrischiare il mutamento del suo titolo, che ià quando apparve sembrò ad alcuni poco felice e non del tutto pertinente, in quello a lui più consono di « Storia delI'VIII Compagnia dei Mille » (.4.).
Il libro è un documento prevalentemente di storia militare; prevalentemente, perchè il Sylva non riuscì neppure lui a sottrarsi alle esigenze di un commento anche politico dei fatti. Egli appartenne ad uno schieramento ben individuato tra le correnti che allora guidavano la nazione: alla corrente avanzata dell'interventismo e dell'azione, del democraticismo laico e radicale, che aveva assunto in Garibaldi il suo simbolo maggiore, ammirato non solo come esponente del nostro volontarismo guerriero, ma anche come uno dei grandi rappresentanti della saggezza politica della nazione.
Questo spiega le molte pagine, che egli dedica alla « politica volpina » del Cavour (.5.) — a denti stretti riconosciuto statista grande (.6.) — ma che comunque fu, secondo lui, un risoluto avver-
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(1) GUIDO SYLVA: La VIII Compagnia dei Mille, pag. 72.
(2) Oltre alle celebri Noterelle dell'àBBA, si potrebbero ricordare i meno noti e meno riusciti Fatterelli garibaldini del SYLVA stesso.
(3) Vedasi anche Francesco Scarpelli, « Il lavoro » Genova, 29-V-19IO.
(4) FRANCESCO SCARPELLI in "II Lavoro», Genova, 29-V-19IO.
(5) GUIDO SYLVA: La III Compagnia dei Mille, pagg. 39-47.
(6) GUIDO SYLVA: La VIII Compagnia dei Mille, pag. 46. 339 sario della spedizione,
la quale, se mai, deve qualcosa a Vittorio Emanuele (.1.) piuttosto che al suo illustre Ministro. Questo spiega anche perché egli abbia finito per accogliere e far suo il motto « Italia e Vittorio Emanuele », dileggiando quei garibaldini che, fieramente repubblicani, abbandonarono la Spedizione. Certo que stioni più grandi di lui, di quando egli giunse, non ancora sedicenne, a Quarto; ma che andarono sempre più infiammando il suo spirito in seguito.
L'opera del Sylva può essere collocata tra le tante dì rilievo, comunque non numerose, che furono scritte nel cinquantennio successivo al 1860, quando Garibaldi , al quale si tendeva già a statura carlyliana. Ma essa risultò anche diversa da altre del genere. E non solo perché il Sylva, spirito per natura del tutto antiretorico, si abbandonò solo ad una pacata ispirazione romantica, piuttosto della tempra dei « realisti » efficaci, che dei fantastici o dei ragionatori del fatto storico qual era, ma perché egli fu della vicenda garibaldina naturale discorritore, in templicità di spirito e di intenti. Se si volesse in forma schematica dire dell'operetta, potremmo riassumerne i caratteri così: impressioni e ricordi (2) di un Bergamasco dei Mille:
1) sulla VIII Compagnia ed i suoi maggiori esponenti;
2) sulla Spedizione in Sicilia, da Quarto a Palermo;
3) sui protagonisti maggiori della grande vicenda, come Garibaldi , Bixio , Crispi .
Il libro appare, pertanto, un documento prezioso, già proficuamente utilizzato (.3.), per una più puntuale ricostruzione dell'impresa garibaldina e per l'acquisizione alla storia di elementi biografici importanti su molti degli uomini, maggiori e minori, che la diressero. Essa, infine, è la fonte principale della storia del volontarismo bergamasco garibaldino, sia come fenomeno collettivo, che come espressione di eroismo singolo rilevante: basti ricordare il Nullo per tutti. Nel suo alternare le biografie dei maggiori Bergamaschi dei
Mille col tessuto della narrazione della vicenda generale il Sylva non è sempre del tutto felice : a volte un che di aspettato, ma insieme di estrinseco,pare sopravvenire nel filo del racconto; ma questo tocca, in ogni caso, una pur possibile critica dell'opera dal punto di vista letterario, piuttosto che il suo valore di documento. Ha tentato la fusione della storia con la monografia e l'impresa, difficilissima sempre, non si può dire gli sia del tutto riuscita. E' stata l'impressione, che si spera fondata, anche di un che di «cucito», che ha consigliato qualche spostamento delle parti della materia
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(1) GUIDO SYLVA; La VIII Compagnia dei Mille, pag. 43.
(2) Questa espressione usò il Sylva stesso come sottotitolo della sua opera.
(3) Vedasi, ad es-, CARLO AGRATI: I Mille nella storia e nella leggenda, Mondadori, Milano, 1933, pagg. 77, 79, 198, 317, 326, 349. 340
e le enucleazioni a capitolo di altre, senza, comunque venire meno alla rigorosa integrità del testo. La soddisfazione, ìnsomma, della esigenza di una più rigida logica nella successione del racconto, a fine anche di una maggiore validità anche artistica dell'opera.
Il Sylva narra per aver veduto da Quarto fino alla conclusione della battaglia di
Calatafimi ove, pur ferito gravemente, dimostra di aver seguito le diverse fasi, anche le finali, della giornata. Da Calatafimi a Palermo il racconto è ripreso da opere comparse prima della sua, anche se solo « utilizzate », tali e tanti erano i ricordi visivi dei luoghi ed uditi delle azioni, che si erano accumulati attraverso le conversazioni avute dal Sylva con i commilitoni. E' ciò che accadde pure al Bandi, ferito con il Sylva nel medesimo combattimento.
Questo vale anche per la storia delI'VIII Compagnia; ma qui assume una particolare importanza quanto l'autore scrive sul suo reclutamento, sullo spirito che animò chi venne a comporla, sui momenti culminanti della sua partenza da Bergamo e del suo arrivo a Genova, ove si sciolse, per ricomporsi in organica unità a telamone. A non dire, naturalmente, del suo comportamento sulle balze di Calatafimi, quando i reparti si spezzarono nello scontro, fino a far perdere ogni possibilità di un valido controllo ai loro capi. Ma il Sylva riesce, per l'VIII, alla quale si aggiunse come comandante di rincalzo il Nullo , spostatesi dalle Guide a reggere le sorti di una mezza compagnia di suoi concittadini, a seguirne i passi sul terreno e a coglierla negli attacchi furibondi contro il nemico.
La battaglia di Calatafimi, nella quale egli ebbe il battesimo del sangue, costituisce indubbiamente la parte più valida della sua opera, anche dal punto di vista letterario. La descrizione del luogo; le fasi degli scontri; le rapide efficaci presentazioni dei protagonisti: Garibaldi , Bixio , Stocco , Missori , Carini , Türr , Tuchory , Sirtori , Crispi

l'emergere nel furor della mischia, e nel momento dell'incertezza, del

Nullo , costituiscono altrettanti motivi, dei quali egli seppe fare abile sentita rievocazione. Ed essa è, anche, l'apoteosi della sua compagnia, che lasciò sul terreno a decine i morti e i feriti.
Il Sylva, che pure aveva ripresa la campagna militare allo Stretto, non continuò nel suo libro il racconto, privandoci cosi di una documentazione preziosa, della quale egli sarebbe stato pienamente capace (.1.).
Più convinto e compiaciuto si affermò invece, anche dopo la pubblicazione dell'opera principale, sui personaggi garibaldini, fossero essi o no suoi concittadini. Dire di Garibaldi , e di come il Sylva lo vide, è cosa ingrata, a
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(.1.)Lo fece, succintamente e con minor vena, nei citati suoi articoli: Una scorsa nei ricordi garibaldini. Il più bello dei Mille e in Fatterelli garibaldini; del 1859, ì86O, I861.1862 del 1926, citati e ripubblicati ne La VIII Compagnia ecc. 341
chi è preoccupato di non sciupare quel fatto, storico ed umano insieme, che fu la risonanza emotiva che il grande capo determinò nel cuore dell'autore adolescente e dei suoi commilitoni, che dall'Eroe derivarono il nome stesso di « garibaldini », quasi a significare che in qualche modo fu il contatto con lui, che ne causò la generazione. Il Sylva parla di « vista estasiante del Duce » (.1.), di « fremiti di godimento ineffabile » (.2.), dell'incontro con Garibaldi
dopo la ferita di Calatafimi, quando scrive: « Quelle parole, e quel bacio ne scendono soavi, dolcissimi all'animo... » (.3.).
Ma è la figura di Garibaldi , impareggiabile stratega, che egli delinea di più, insistendo sulla fiducia che essa provoca nello spirito dei combattenti, quando essa
è serena, la preoccupazione laboriosa, quando essa si fa pensosa.
Il racconto della Spedizione non avrebbe un'anima, se Garibaldi ne fosse tolto: più che un Capo fisicamente visibile, quell'uomo appare per quella gente un'ispirazione (.4.). Se fosse caduto, forse il Corpo di Spedizione si sarebbe disciolto.
« Daniele Piccinini , vedendo Garibaldi starsene d'ogni pericolo incurante, in mezzo a quell'uragano, interamente a lo scoperto, come si sentisse, a la maniera d'un eroe di Omero, fatalmente invulnerabile, si fa avanti animoso, e piantatogli davanti lo copre di tutto il suo ampio torace e rudemente gli dice: « Generale, la camicia rossa vi espone maggiormente ai tiri nemici, e ciò non va bene », e in cosi dire, si toglie da le spalle la sua grande mantella impermenabile e la pone in dosso a Garibaldi
, in modo da coprirnelo interamente, e questi lo lascia fare, pur dicendogli, con espressione quasi triste: « Ma Piccinini, e non è forse bello morire per il proprio Paese? » (.5.).
Si diffonde molto anche su Bixio , che forse indulge troppo a cogliere nella nota dominante della sua natura, in quell'« ira funesta» ed insieme generosa, che fece di lui una delle figure più singolari ed indimenticabili della spedizione. Parla di lui che è sul Lombardo, quando sbarca a Marsala, sul campo di Calatafimi (.6.), nella dura marcia di avvicinamento a
Palermo (.7.), alternando testimonianze personali e dirette ad altre a lui riferite. Lasciamo la parola al
Sylva su un episodio poco noto: « Questo drappello di baldi giovinetti, comandato dal Siciliano Carmelo Agnetta, accolto dai superstiti dei Mille, e da la cittadinanza con entusiastico trasporto, è condotto nella chiesa di San Giuseppe dei Teatini, ai
Quattro Canti, dove già trovansi acquartie
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(1) GUIDO SYLVA: la VIII Compagnia dei Mille, pag.101.
(2) GUIDO SYLVA: la VIII Compagnia dei Mille, pag.129.
(3) GUIDO SYLVA: la VIII Compagnia dei Mille, pag.192
(4) la maggior apologia del Generale , il Sylva fa, anche per bocca del timoniere della spedizione Andrea Rossi, nel cap. VIII, pag 133 e seguenti de la VIII Compagnia dei Mille ecc.
(5) GUIDO SYLVA: la VIII Compagnia dei Mille, pag. 187
(6) GUIDO SYLVA: la VIII Compagnia dei Mille, pagg. 167-168 e 187-188
(7) Vedasi anche, a commento del libro del Sylva, l'articolo del 27-V-1910 «Il tempo» di Milano.
342
rati altri garibaldini.
Quivi avviene uno spiacevolissimo incidente.
Subito dopo i nuovi arrivati, entrarono in chiesa due ufficiali, uno dei quali di grado superiore, che si fa tosto avanti, e che domanda: «Chi comanda qui?». L'Agnetta s'inoltra per rispondere, ma l'altro senza dargliene tempo: «Vada coi suoi uomini ad accompagnare ai funerali la salma del colonnello Tuchory».
Ma l'Agnetta, in posizione di guard'a voi, chiede: «Scusi, chi è lei?». « Io sono Bixio »- grida l'altro- e repentinamente lascia andare un potente manrovescio su la guancia de l'Agnetta.
Com'è naturale, ne nasce un grosso guaio. L'Agnetta, che a sua volta è di carattere caldo, subitaneo, mette mano a la sciabola, mentre i suoi volontari, per vendicare il loro capo, accennano a scagliarsi su Bixio .
L'ufficiale ch'era con questi, Giuseppe Dezza, e altri dei volontari presenti s'intromettono, e a forza di energia e con grande fatica, pervengono a sedare il parapiglia.
Agnetta però vuole pronta soddisfazione per le armi.
Garibaldi urlgaribag.htm , esigendo rispetto a le leggi militari, che in tempo di guerra proibiscono i duelli, mette il suo veto, e l'Agnelta deve rassegnarsi a differire la partita a la fine de la campagna. Lo scontro ebbe luogo soltanto nel marzo 1862, a la pistola, e questa fu una delle rare volte in cui la cieca sorte del duello fece giustizia a chi l'offesa aveva patita. Bixio si ebbe una palla nella mano che impugnava l'arma, e quella mano, che avea pur schiaffeggiato, gli rimase storpia» (.1.).
La nobile singolare figura del Bixio , il « Secondo dei Mille », egli riprende anche in una serie di « ricordi di un garibaldino bergamasco », nel cinquantenario della morte di quel valoroso.
L'« Aiace dei Mille » vi è descritto « dal profilo tagliente, di temperamento sanguigno, ma dotato di muscoli d'acciaio, temprato alla massima resistenza… di una complessa natura, che dominava tutte le sue facoltà, e che, per ogni nonnulla. Io faceva assai di frequente scattare a degli atti di estrema violenza...
E' da notare però-conclude il Sylva- che al cospetto di Garibaldi , egli si trasformava in un vero agnello, e che per la sua famiglia aveva in fondo al cuore un tesoro di bontà e di tenerezza... ».
Cose note, ma che piace risentire da chi lo conobbe direttamente, anche sul campo di battaglia, a Calafatimi, quando — dopo udita dal Capo la grande frase: «Qui si fa l'Italia o si muore » - si getò tra i combattenti, incitandoli con la parola ed a piattonate di sciabola: «Quando mi arrivò vicino, ne tirò una anche a me, che, se
_________________
(1) Nino Bixio nei ricordi di un garibaldino bergamasco, «Rivista  di Bergamo », agosto 1924, pagg. 1663-1668. Interessante profilo di Bixio , anche se in stile meno magistrale di certe pagine de La VIII Compagnia dei Mille. Vi è anche descritta succintamente , la seconda parte della Campagna nel sud : dallo stretto in poi. 343
non fossi stato svelto a schivarla, mi avrebbe conciato per bene anche la spalla sinistra. Il mio condiscepolo Antonio Fumagalli,
che mi sosteneva, gli gridò:
— E' ferito, generale!
— E allora indietro, sacramento! ».
L'opera del Sylva, infine, è fonte notevole per la ricostruzione di personalità
bergamasche garibaldine quali — oltre al Nullo — il Cucchi , il Piccinini , il Tasca , il Dall'Ovo , che lasciarono una orma di se nella storia del volontarismo italiano. Ma l'Autore, se
pur dedica più pagine a questi, non dimentica affatto i personaggi
minori, specie i coetanei, quella schiera di giovanissimi, alcuni
dei quali lasciarono la vita in Sicilia, come Adolfo Luigi Biffi , di tredici anni e Alessio Maironi , la cui terribile fine è descritta nel capitolo « I feriti di Calatafimi » : « Prima che vengano i medici, mi fa chiamare, avendo egli a confidarmi i suoi pensieri più intimi, i suoi ultimi desideri. In ultimo mi dice ch'egli si sottomette all'operazione, purché io rimanga ad assisterlo.
I medici mancano d'ogni presidio chirurgico, e non parliamo poi di mezzi antisettici, e di sterilizzazione, di cui, a quei tempi, nella chirurgia non eransi forse ancora introdotte neppure le parole. Sono muniti di un bisturi e per pinzetta adoperano una forbice semiarruginita.
L'operazione è fatta. Ciò che si crede arteria, viene legato con un filo di seta, i cui capi si fissano alla superficie de le carni, mediante un po' di cera.
Invece de l'arteria, a detta di Padre Luigi, si è legato un tendine.
Il povero amico è spirato, tenendomi sempre la mano in mano—
Era il 30 di Maggio; egli non aveva che 16 anni ».
Di scorci rapidi ed efficaci, anche migliori, è pieno il libro del Sylva. Non sapeva d'essere scrittore; ma quando si hanno grandi cose da dire e un gusto istintivo, il salire dal piano della cronaca fedele a quello più alto della poesia, non si presenta impossibile.
Il Sylva, che conservò per tutta la vita grande freschezza di mente e di cuore, che conobbe più gli entusiasmi che le noie e le tribolazioni dell'esistenza, che colse con facilità sempre la poesia degli atti umani e delle cose, calmo, sereno aperto alle suggestioni della verità e della bellezza, aveva l'animo più adatto a ricevere ed a riesprimere con semplicità cristallina ed efficace le risonanze del suo spirito. Sia che si cimenti in profili di personaggi d'alto rango, sia che affronti le figure più modeste o addirittura minime della scena, egli è sempre ben padrone della sua penna, che muove abilmente incisiva ed efficace. E ne sgorgano aneddoti, caratteri, spunti autobiografici che sono un modello del genere. Ecco lo Zambeccari che si precipita giù
per le scale e Bixio dietro, con la rivoltella spianata... (.1.); ecco « un signore, in un costume indefinibile, tra quello del vagabondo e quello del galeotto e da l'aspetto robusto, per quanto logorato dai patimenti — bruno, di statura media, da l'occhio nero, vivace, de l'apparente età di quarant'anni —. Egli è Giovanni Nicotera...
Ritorna da l'isola di Favignana » (.2.); ecco «padre Luigi, al secolo Pietro Nocito, un bellissimo giovane sui 25 anni, buono, dagli occhi neri, vivacissimi, splendidi come carbonchi » (.3.); ecco « Padre Cappello, dei marchesi di tal nome. Uomo sui quarantacinque anni, di statura media, tondo come un barilotto, di modi triviali, da l'aria di un'apparente bonarietà, una specie di fra' Melitone, al quale se ne possono dire di cotte e di crude, senza che mai si offenda » (.4.); ecco, nel convento delle Orsoline di Castelvetrano, la Superiora : ella, "« circondata dal suo stato maggiore di monachelle, ci riceve con ogni dimostrazione di deferenza. Le più giovani, cui non è consentito di uscire dal loro reclusorio, si arrampicano a le grate dei finestroni, formando come un magnifico quadro di rose, l'una a l'altra sovrapposte. Sono floridi visini, la cui avvenenza guadagna immensamente dal soggolo bianco chi li circonda... »
(.5.).
Qui pare che il Sylva — senza preziosità di stile, con nessuna ricerca di effetti, senza declamazioni — colga effettivamente l'anima dei personaggi e lo spirito delle situazioni, da abile pittore della realtà trasfigurata dal suo animo generoso, incline a rifiutare quanto vi è di risibile e di falso nel comportamento degli uomini.
Ma egli alle debolezze indulge : fanno come parte della varietà e del pittoresco, di cui
è intessuta la vita; ma quando, invece, la passione trapassa il segno o insorge la viltà, quando si afferma la virtù e l'uomo dona se stesso in eroico olocausto sul campo di
battaglia, allora la sua prosa conosce del suo spirito le trepidazioni, le ansie ed i fremiti.
Non colse, tuttavia, solo la varietà dei « personaggi umani »,
ma anche quella dei luoghi e delle cose. Egli ebbe uno spiccato senso delle bellezze naturali. I vasti cieli stellati, il mare, le notti
silenti in navigazione o sul campo, le distese delle spighe mature mosse dal vento, le rigide masse verdi dei fichi d'India, sui margini delle trazzere
siciliane, lo stagliarsi di un castello sul profilo di un colle, i falò accesi sulle alture prima della calata a Palermo, lo spettacolo degli antichi templi di Segesta e di Selinunte, immoti nel chiaro azzurro, rapiscono la sua anima e trovano nella sua prosa efficaci risonanze. Sono come solide quinte, entro le quali muove i suoi personaggi e le schiere rosse delle squadre garibaldine.
_________________
(1) GUIDO SYLVA:La VIII Compagnia dei Mille, pag. 168.
(2) GUIDO SYLVA:La VIII Compagnia dei Mille, pagg. 263-264.
(3) GUIDO SYLVA:La VIII Compagnia dei Mille, pag. 258.
(4) GUIDO SYLVA:La VIII Compagnia dei Mille, pag. 267.
(5) GUIDO SYLVA;La VIII Compagnia dei Mille, pag. 269. 345
Il libro, infine, è ovvio il dirlo, è un'opera autobiografica, un diario, e del momento certo più notevole della vita dell'Autore.
E, notisi, dell'Autore quindicenne. Esso è, perciò, una testimonianza, anche dal punto di vista psicologico, interessantissima. Non che il Sylva riveli nelle sue pagine una vera e propria scapigliatura di marca studentesca, tutt'altro, ma certo i molti anni trascorsi non han potuto soffocare i momenti, del tutto particolari anche per l'età, in cui essi furono vissuti. Le pagine, insomma, sono piene di simpatici giovanili ricordi. Egli si accompagna solitamente cogli adolescenti della sua compagnia, scherza con loro, ne nota le infrazioni disciplinari. Si ha l'impressione, a volte, seguendo il racconto, che una vicenda più grossa di loro si svolga attorno a questi meravigliosi ragazzi e che gli anziani, non solo gli illustri, acquistino accanto a loro dei cipigli di adulti cipressi, che si pieghino benevoli verso gli ancor fragili virgulti nati come per incanto ai loro piedi. Ecco perché, volendo, l'opera potrebbe diventare, trasceltene opportunamente le pagine, anche un libro di avventure, adatto all'età&agravèe; utopistica ed idealistica, cioè eroica, della vita.
Molti di tali pregi sfuggirono naturalmente ad una lettura affrettata che si fece del libro, altri furono subito sottolineati. Non sfuggirono all' Abba , che definì quelle del Sylva « pagine semplici, sincere, direi alla bergamasca, se non temessi d'essere frainteso » : alla bergamaèè essenziali e senza inutili orpelli (.1.)
E scrivendo all'autore gli aveva subito detto : « Grazie per adesso del libroàà ho capito per cosa fatta con amore. Tu scrivi come il cuore e la memoria dettano, e, da quel che ho veduto, dici cose più interessanti di quelle che dico io » (.2.).
E' forse un po' troppo; ma i giudizi dell' Abba vogliono sottolineare la disadorna efficacia dell'opera del Sylva, la cui poesia deriva dalle cose stesse che sono narrate e non o frutto dàà scaltrita nella consuetudine con le lettere. Del resto anche il Pascoli dava di questa storia delI'VIII Compagnia dei Mille un giudizio positivo, facendo cenno a «due libri, ancora inediti, ma che presto faranno degnamente parte della più splendida letteratura garibaldina: di Guido Sylva, uno dei Mille e deàà dei Mille» (.3.).
Il libro creò subito al suo autore una piccola fama, proprio nel momento in cui a
poco più di una decina erano ridotti i superstiti della
spedizione, sulla quale si andava riaccendendo l'interesse per le
commemorazioni recenti e per il rinverdirsi del patriottismo guerriero
alla vigilia dell'impresa libica. Il Sylva, pertanto, diventò
una vivente testimonianza, interrogata ed ascoltata, di un pasàà
alquanto lontano. Così Il Lavoro di Geno-
(1) G. C. ABBA su «La Stampa » del 5-VIII-1910.
(2) G. C. Abba a Guido Sylva : Lettera del 4-VI-1910.
(3) GIOVANNI PASCOLI in « Secolo XX » di Genova, 5-V-1910. Del volume del Sylva parlarono anche, tra i molti, GUALTIERO CASTELLINI ( « La Tribuna » del 18-IV-1914) e MARIO FLORENA ( «Voghera Nuova » del 19-V-1910).
va del 6 agosto 1911, inaugurandosi a Diano Marina il monumento ad Andrea Rossi, il pilota dei Mille, citava largamente l'autore, che tanto a lungo Io aveva esaltato nella sua opera; il 16-7-1911 era la volta de La Tribuna, che lo interpellava sulla vexata quaestio della
bandiera di Calatafimi: « De la bandiera di Valparaiso - rispose il Sylva - io conservai la profonda impressione che ne avevo ricevuta per lo splendore de' ricami d'oro onde andava adorna, mentre proprio nessuna memoria erami rimasta di un'altra, quella cui accenna Elia ... Io credetti sempre che la prima fosse la bandiera impugnata da Schiaffino... ». Risposta interessante ed onesta, al giornale ed al salvatore di Garibaldi , Augusto Elia, col
quale tenne qualche corrispondenza. Ancora nel 1928 II Popolo di Calabria citava il Sylva circa « Lo sbarco di Garibaldi in Calabria nel 1860 », da una sua lettera del 2-3-1912. Con qualche ricerca
si potrebbe continuare; ma basàà
detto. A conclusione del
quale si può ribadire il concetto che,
nella non vastissima
letteratura garibaldina dovuta alla penna dei
protagonisti della
mirabile impresa, grandi o piccoli che essi fos-
sero, la Storia
dell'VIII Compagnia ha pur diritto di trovare un suo
posto, nel senso e nei
limiti che soprèè sforzati di chiarire.

ALBERTO AGAZZI

STATO DI SERVIZIO E DECORAZIONI MILITARI DI GUIDO SYLVA
8-6-1859: Volontario nel 3° Reggimento Cacciatori delle Alpi .
12-10-1859: Congedato.
11-5-1860: Sbarcato a Marsala col gen. Garibaldi .
27-10-1860: Sotto Ten. nella 17ª Div. - 3ª Brigata - 1° Reggimento dell'Esercito dell'Italia Meridionale a far tempo dal 1° Agosto 1860 (Decreto dittatoriale).
12-3-1861: Al Deposito di Biella - 51° Reggimento Fanteria - fino al Luglio 1861.
4-8-1861: In aspettativa per riduzione di Corpo.
30-9-1861 : Confermato nel grado nell'arma stessa del corpo dei volontari italiani.
2-12-1861: Collocato in aspettativa per riduzione di corpo su do
8-3-1862: Al deposito dei Sotto Tenentàà Esercito Meridionale in Ivrea.
19-10-1862: Sotto Ten. nel 66° Reggimento Fanteria dell'Esercito Italiano.
16-11-1862: Giuramento dàà in Alessandria.
13-2-1865: Designato ed ascritto alla 1° Categoria del contingente di leva dell'anno 1864.
4-2-1866: In aspettativa per àà temporanea non proveniente da servizio.
7-6-1866: In servizio effettivo con àà 18-1-1863.
31-1-1867: In aspettativa per riduzione di Corpo.
10-11-1867: Collocato in riforma in seguito a sua domanda per àà non proveniente dal servizio.
Ottobre 1870-Gennaio 1871: Campagna dei Vosgi in Francia.
1859: Medaglia per l'Indipendenza àà d'Italia (8-8-1867).
1859: Medaiile Militaire del Governo Francese (14-6-1923).
1860; Medaglia per l'indipendenza àà d'Italia (27-5-1865).
1860: Medaglia del Senato deàà di Palermo.
1860; Medaglia dei Mille (17-11-1864).
1866: Medaglia della Guerra 1866 (9-6-1867).
1870: Medaglia della Légion d'honneur (4-5-1923).
N. B. - I suddetti dati dallo Stato di Servizio di Nocera dei Pagani (18-1-1868) e da altri documenti autografi del Museo del Risorgimento di Bergamo.
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